Summer Details: la vernice

 

La vernice: un materiale che torna alla ribalta prepotentemente tramutandosi in uno dei leit-motiv dell’ estate 2013.  Non solo applicata agli accessori – e dunque a borse, pochette, sandali, pumps e chi più ne ha, più ne metta: la vernice del 2013 si declina soprattutto in outfit, coinvolgendo i capi nella loro totalità, parzialmente o nelle profilature e nei dettagli. L’abbinamento con i tessuti sintetici è un must che permette di calarci ancor più profondamente in quel mood anni ’80 già ampiamente citato dal trend ‘vernice’: tessuti in rete plasticati e pvc non sono un optional in questo revival che vide la luce nello stesso decennio in cui si imposero il fluo, le tracolle in plastica di fiorucciana memoria e in cui gli abiti di scena di gruppi come Blondie e Missing Persons pullulavano di vernice e di sintetiche suggestioni, mentre i Buggles incidevano il loro primo LP intitolandolo Living in the Plastic Age. Andiamo quindi a dare un’occhiata alle proposte in tema di alcuni designer per l’estate attuale…E che vernice sia!

 

 

Versus

Miu Miu

Fay

Chanel

David Koma

 

 

“Hypnose Show”: la collezione di Alber Elbaz per Lancome

 

L’ abbiamo attesa per mesi, e finalmente è arrivata! Hypnose Show, la collezione disegnata da Alber Elbaz per Lancome, dal 15 giugno è disponibile nelle migliori profumerie. Il poliedrico Direttore Creativo di Lanvin, per la sua ‘ scesa in campo’ nel settore del make up si è impegnato in un “progetto sui colori, sul divertimento e sulla qualità” mirato a un obiettivo speciale: rendere gli sguardi sorridenti. L’idea della collezione è infatti balenata in mente a Elbaz in seguito a un viaggio in Costa Azzurra, dove ha dichiarato di aver riscontrato una luce bellissima, donne dalla pelle e dalle labbra luminose ma – ahimè – dagli “occhi spenti”. Da lì, ha preso forma il progetto di creare una linea di maquillage incentrata sullo sguardo, “che senza luce è triste”, lanciata da un video a disegni animati creato dallo stesso Elbaz. Il video, divertente così come si presenta esteticamente la nuova collezione, mostra uno speciale défilè di moda in cui le mannequin indossano tre estrosissimi abiti che andranno poi a trasformarsi negli elementi decorativi caratteristici del packaging di tre iconici mascara: Hypnose Doll Eyes veste un abito di cuori rossi, e garantisce – grazie alla formula Fibershine con polveri di nylon – magnifiche ciglia da bambola, allungate e sollevate. Hypnose Star ha un abito a stelle bluette, e possiede un applicatore double-face: piatto su un lato, incurvato sull’altro, per donare volume e ciglia all’ insù tipicamente da star, piene e spesse. Hypnose Drama, infine, indossa un abito in stile flamenco decorato di grossi pois color fucsia ed è un mascara che, grazie a un  applicatore a forma di piuma, conferisce alle ciglia volume e spessore con una singola applicazione. Gli ombretti della linea sono suddivisi in due formule: palette o mono. Per quanto riguarda le prime, Doll presenta nuance nei toni del marrone, Star in quelli del blu e Drama si propone di donare il particolare effetto smokey eyes. I mono, dal canto loro, vengono proposti in tonalità come il blu, il taupe e il rosa. Tutti gli ombretti, dotati di applicatori magnetici di nuova generazione, grazie alla ‘copertura modulabile’ permettono di ottenere una sfumatura di colore intensa o un leggera ombreggiatura. Ma non finisce qui: per completare l’ operazione “occhi sorridenti”, il fantasioso Alber Elbaz ha corredato alla collezione una linea di ciglia finte, Hypnose Show Falsies, incluse in un coffret illustrato. Non resta dunque che stabilire, ora, a quale tipologia di donna Hypnose vi sentite maggiormente affini: pensate di essere più Doll, Star o Drama? Scegliete bene il vostro ruolo, e…”Che lo show abbia inizio”! , come recita il titolo del rutilante video associato alla collezione.

 

Hypnose Show Doll Eyes

 

Hypnose Show Star Eyes

 

Hypnose Show Drama Eyes

Il close-up della settimana

 

Bert Stern, di close.up, se ne intendeva. Lo shooting che lo ha ancorato indelebilmente all’ immaginario collettivo è quel Last Sitting di Marilyn‘ divenuto immortale: oltre 2571 foto scattate in tre giorni nell’ Hotel Bel Air di Hollywood, un mese esatto prima della scomparsa dell’iconica star. Ma la mole del lavoro di Stern è immensa e risale, ritratti dei divi a parte, agli ambiti della fotografia di moda e della pubblicità. Nato a Brooklyn nel 1929, di origini ebree,  Bert Stern rappresenta il ‘terzo elemento’  di quella triade di artisti, in cui sono inclusi anche Richard Avedon e Irving Penn, che ha rivoluzionato la fotografia di moda del XX secolo. Gli inizi professionali di Stern, eppure, avrebbero lasciato presagire un percorso diverso: trova impiego presso la rivista Look, ma se è vero che esiste un destino che premia il talento, l’incontro con un giovane fotografo – con cui intraprende un’amicizia ed interminabili partite a scacchi – lo porta a interessarsi  all’ espressione artistica. L’amico scacchista ha un nome che, dal canto suo, diverrà una pietra miliare nella storia del cinema: si chiama Stanley Kubrick.  La svolta di vita di Stern lo conduce ad abbracciare la fotografia come passione assoluta e totalizzante, in virtù del feeling che si stabilisce tra lui e la macchina fotografica. Negli scatti che risalgono al suo periodo ‘pubblicitario’ degli anni ’50, riesce a donare appeal persino agli oggetti più banali. A soli 25 anni, grazie a una campagna dallo straordinario impatto visivo per la Sminoff, riesce ad instillare nel popolo americano il gusto per la vodka.  Nella sessione di foto promozionali per il film Lolita (1962) girato dal suo amico Kubrick,  ha l’ intuizione degli occhiali a cuore di Sue Lyon mentre girovaga per bar e drugstore in cerca di ispirazione, Ne risulta un lavoro perfetto, che in pochi elementi -l’auto, il leccalecca, gli occhiali a cuore – coglie in pieno la natura del personaggio di Lolita. Stern fotografa abiti e dichiara ‘I don’t know about clothes’, ma conosce a menadito l’ animo umano che si cela dietro alle movenze e agli sguardi, e lo immortala nella sua quintessenza. I suoi ritratti colgono mirabilmente l’ interiorità attraverso l’esteriorità: Elizabeth Taylor, Audrey Hepburn, Brigitte Bardot, ma anche Twiggy, Madonna, Gary Cooper, Mastroianni sono alcuni dei suoi soggetti. Stern fotografa anche la ex moglie Allegra Kent, madre dei suoi tre figli, in tutta la sua grazia di ballerina, ma soprattutto fotografa Marilyn per Vogue in quell’ interminabile session al Bel Air Hotel nel 1962, un servizio che rimarrà nella storia anche grazie alle voluminose croci che la diva traccia con un pennarello arancione sulle immagini che non approva. E’ una Marilyn di cui Stern immortala i contrasti, la Marilyn del Last Sitting,  uniti a quella leggerezza tutta femminile che la bionda di Hollywood per antonomasia ostentava all’esterno per cammuffare un’ interiorità tormentata e ‘pensante’. La nudità, gli impalpabili foulard di chiffon con cui nelle foto gioca a celarsi il corpo, descrivono la diva più ‘dentro’ che ‘fuori’. Quando a Stern chiesero cosa pensasse del mito di Marilyn, non si profuse in grandi panegirici: fu coinciso, diretto, quasi riservato. Disse di lei che era ‘La ragazza americana’. Poche parole per riassumere il suo mito: gli oltre 2500 scatti del Last Sitting avevano già parlato, e in abbondanza, per lui. Il 26 giugno, nella sua casa di Manhattan, Bert Stern è morto a 83 anni. Ma la sua arte lo consegna all’ immortalità: con la stessa certezza con cui si è sempre adoperato a far vivere, nella sua fotografia, tante anime piuttosto che corpi.

L’accessorio che ci piace

 

 

Un ricordo di prima mano: erano i primi anni 70 quando, a soli quattro anni, davanti alle vetrine di un negozio di scarpe di Riccione – meta vacanziera dei miei, all’epoca – a mia madre piantai un capriccio: volevo assolutamente avere un paio di quei sandali che vedevo calzare da ragazze filiformi con gambe lunghissime, svettanti bionde in minigonna con i capelli lisci che arrivavano alla vita, valchirie statuarie e modaiole in transito tra l’aperitivo serale ed il night club. Li volevo a tutti i costi, quei sandali rasoterra ed infradito che si allacciavano alla gamba intrecciando un’ interminabile serie di lacci lungo tutto il polpaccio. Tutte li sognavano, tutte li esibivano e io ne rimanevo incantata: inerpicati su gambe flessuose invariabilmente scoperte da microgonne ridottissime, quei lacci erano in vernice e disponibili in due differenti colori: bianco e rosso. Mia madre cedette per sfinimento. Come li volevo? Bianchi, naturalmente: con il rosso, sin da mocciosa, non sono mai andata troppo d’accordo! E li ebbi. Oggi, ogni volta che noto i periodici comeback del sandalo alla schiava, detto poi ‘gladiatore’ e chi più ne ha più ne metta, con la mente torno a quell’ indimenticabile episodio della mia infanzia. I modelli sono evoluti, si sono diversificati, moltiplicati, alla suola ultrpiatta viene di frequente sostituito un tacco a spillo ed è raro dover intrecciare manualmente i lacci, già predisposti lungo la gamba in materiali più rigidi e strutturati. A volte, con mia grande gioia, capita però di imbattersi in un esemplare che ricorda, più o meno fedelmente, gli originali. E’ il caso di questo modello lace up di Stuart Weitzman, indossato da Kate Moss negli scatti di una celebratissima campagna pubblicitaria a firma di Mario Testino: suola rasoterra e appena 2 cm di tacco, i lacci si ‘inerpicano’ autonomamente lungo tutto il polpaccio e vengono fissati alla gamba con una fibbia dorata. Sono due i colori in cui il sandalo è disponibile: bronzo e nero, sofisticatamente in linea con una collezione spring/summer 2013 caratterizzata dalla classe e da un’eleganza all’ insegna di una preziosa sensualità.  Frequentemente associato – in versione 2000 –  allo stile boho, il sandalo alla schiava di Stuart Weitzman esprime, sfoggiato da Kate Moss, la sua più pura iconicità. Quest’ anno, con il boom del ritorno dello Swinging style, non vi è alcun dubbio che verrà esibito in abbinamento a un look ispirato all’epoca di Twiggy e Mary Quant, riappropriandosi delle sue più intime radici e delle sue origini più profonde. E’ anche per questo, che il sandalo alla schiava di Stuart Weitzman è l’accessorio che ci piace di questa settimana: già ai blocchi di partenza per  ripopolare le strade di una fauna femminile che giostrandosi tra hot pants, minigonne e abitini, ricalcherà allegramente il panorama visivo della mia infanzia, definirà le coordinate di un ricordo indelebile destinato a riprender vita nello spazio di un’ estate. Materializzandosi lungo i viali di Riccione e delle località balneari (e non ) più in della nostra penisola. non è  da mettere in questione che le novelle ‘valchirie’, le flessuose villeggianti dai polpacci intrecciati di listini di cuoio, riscuoteranno lo stesso interesse e la stessa ammirazione che suscitarono le loro precorritrici alcuni decenni orsono.

Vintage & contemporary trends: Jean Shrimpton per Lambretta

 

Nel pieno del 50mo anniversario della creazione della minigonna,  non possiamo non omaggiare una delle minigonne più belle che fu mai legata ad un prodotto tipicamente Made in Italy: la serie di foto che ritraggono una splendida Jean Shrimpton per il calendario Lambretta del 1967 rappresentano una chicca rara da custodire gelosamente. La Lambretta, memorabile scooter e diretto concorrente della Vespa, deve il suo design a Corradino D’Ascanio e raggiunge il suo picco di popolarità a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. L’atout di  D’Ascanio sta nell’ aver pensato, e proposto, un veicolo a due ruote che possa adattarsi ai gusti di entrambi i sessi, non trascurando di  renderne confortevole la guida a ragazze sempre più addicted a microabiti e miniskirt. Corre l’anno 1967, dunque: la minigonna è al top della popolarità, da ben quattro anni la Swinging London e il mondo intero sono pazzamente invaghiti di questo rivoluzionario indumento composto da due spanne di stoffa. Jean Shrimpton, all’ epoca, è già un’icona: è apparsa sulle cover di Vogue, Vanity Fair e Harper’s Bazaar ed è stata  la girlfriend e musa di David Bailey, altisonante nome della fotografia Made in the UK. It girl numero uno della scena londinese, modella legata agli Swinging Sixties per antonomasia, Jean Shrimpton viene scelta da Lambretta come testimonial del calendario che il brand italiano ha intenzione di lanciare sul mercato. Associare la Lambretta a Jean Shrimpton equivale a sancirne la modernità e  l’avanguardismo, a sottolinearne il design elegante, a stabilire un link all’ insegna di quel ‘giovane’ che, come aggettivo, furoreggia unanime. Non è un caso, infatti, che in tutti gli scatti Jean Shrimpton appaia accanto alla Lambretta in pose easy e non convenzionali, mirate a mettere in evidenza la sua immensa bellezza in parallelo all’ armonia di linee e forme dello scooter. Ma una menzione a parte merita il look che Shrimpton esibisce nella totalità delle foto: minigonne e top cangianti, sandali infradito, soprabiti in Pvc, coloratissime calze a rete, miniabiti in vernice, spessi collant in technicolor, una parrucca a caschetto nello stile di quelle, gettonatissime, vendute da Biba. Gli outfit che la modella indossa sono caratterizzati da una allure di straordinaria modernità,  splendidi esempi di un vintage da cui ha attinto, a piene mani, la contemporaneità stilistica più di tendenza. Tutto ciò a decretare, ancora una volta e per sempre, l’ inconfutabile carattere evergreen di un capo – come la minigonna – che negli anni, lungi dal perder smalto, ha affermato in modo costante le sue qualità ed il suo valore. Le foto del calendario Lambretta potrebbero essere state scattate nel 2013 senza incongruenze: il tutto a testimoniare che la vera bellezza, il vero stile, non si pongono limiti e non hanno confini. Sopravvivono al di là del concetto di tempo e, soprattutto,  non cessano mai di toccare le nostre corde più profonde: quelle di un meraviglioso stupore.

 

 

 

 

Glitter People

 

” A sedici anni, ero una buffa piccola cosa pelle e ossa, tutta ciglia e gambe. E poi, all’ improvviso la gente ha iniziato a dirmi che ero meravigliosa. Pensavo che fossero diventati matti. “

Twiggy

San Giovanni, Santo Patrono della mia città

 

 

“La guazza di Santo Gioanno fa guarir da ogni malanno”

 

” La notte di San Giovanni destina il mosto, i matrimoni, il grano e il granturco “

 

” Chi nasce la notte di San Giovanni non vede streghe e non sogna fantasmi “

 

 

“San Giovanni, con il suo fuoco, brucia le streghe, il moro e il lupo “

 

 

” La notte di San Giovanni, ogni erba nsconde inganni. “

 

 

” Per San Giovanni, si svellon le cipolle e gli agli “

 

 

” La notte di San Giovanni, entra il mosto nel chicco “

Tendenze: una treccia per tutte le stagioni

 

Una tendenza hair-make up lanciata in passerella durante i défilè delle collezioni Autunno/Inverno 2013/14, ma più che mai attuale: riflettori puntati sul fashion show di Valentino per annotare, e  anticipare, i nuovi must del trucco e dell’ hair-styleMaria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli hanno presentato una collezione invernale definita all’ unanimità ‘romantica’ e ‘poetica’ dalla stampa, che ne ha sottolineato i richiami ad un quadro di Johannes Vermeer. Molto d’ impatto nella sua essenza classicamente rétro si è rivelato,  come parte integrante della collezione stessa, il look esibito dalle modelle in passerella: capelli lunghi e lisci, pettinati con la riga in mezzo ed acconciati in una treccia laterale che ricade sulla spalla. Unico accessorio, una fascia nera a mò di cerchietto per capelli.  Con il volto sapientemente truccato grazie a fondotinta e correttore, l’ incarnato di porcellana delle indosstrici non si è avvalso di ulteriore make up: nessun mascara, nessun blush, nessun rossetto è comparso a ravvivare il loro pallore. Un rischio che avrebbe potuto equivalere ad effetto ‘slavato’,  magicamente vanificato lasciando il posto alla profonda sofisticatezza delle unghie smaltate di scarlatto, a contrasto. Un espediente stilistico che dona il massimo risalto alla palette cromatica costituita dal rosso, dal cobalto, dal nero, dal bianco, dal grigio perla caratterizzante l’ intera collezione. Sorprendono, le trecce: compatte, lineari, ordinatissime e quasi ‘collegiali’, nella loro sobria compostezza. Evitano decisamente un certo trend che le vuole elaborate, cotonate, scompigliate ad arte optando per la classicità, la linearità, una classe quasi d’altri tempi eppure incredibilmente moderna. La treccia laterale può essere felicemente adottata in questo caldissimo periodo dell’ anno, sia per chi ha lunghi capelli da raccogliere che per tutte coloro che utilizzano le extension e i toupet. La fascia nera sul capo, in raso o in velluto, non va naturalmente trascurata: rappresenta un importante valore aggiunto dell’  hairstyle nel suo insieme. Siete pronte a lasciarvi ispirare dal look Valentino?

Buona domenica.

 

 

 

 

Il close-up della settimana

 

 

Solstizio d’Estate: nel giorno in cui il sole raggiunge la massima altezza all’ orizzonte, non avremmo potuto proporre immagine più pregnante. Ricordavamo, d’altronde, una splendida Kate Moss protagonista degli scatti ‘assolati’ e suggestivi con cui Mario Sorrenti la immortalò in un luminoso e very glamourous shooting per il n. di Giugno/Luglio 2010 di VOGUE Paris,  dove appariva, intensa e affascinante, in stile diva cinematografica d’antan: le recentissime e tanto dibattute foto della Kate senza veli testimonial per Saint-Tropez, un brand britannico di solari ed abbronzanti, dunque, ci incuriosivano assai. Sullo sfondo pressochè monocolore di un mare di un turchese brillante e baciato dal sole, Kate viene ritratta mentre è intenta  a rilassarsi e ad abbronzarsi vestita – ma non sempre – soltanto di un costume immacolato. Appena un filo di make up, stavolta, quasi impercettibile: il look è nature, essenziale, ma estremamente sensuale. La pelle abbronzata della top è il focus attorno al quale ruota uno scenario minimale che la mette in assoluto primo piano, insieme al corpo tonico ed ai capelli sciolti, buttati sulle spalle. Un concept molto lineare che non richiede distrazioni nè orpelli, a parte il dettaglio della nudità di una Kate che si abbronza, prona, a pelo dell’acqua e che ha fatto già parlare molto di sè. Ma in fondo, se ci pensiamo bene, non è forse una sorta di citazione cinematografica della scena di un film, Et Dieu creà la femme, che aveva per location un paesino della Costa Azzurra dallo stesso nome del brand di cui Kate Moss è ora immagine? La scena in cui Brigitte Bardot , sdraiata a pancia in sotto e intenta ad abbronzarsi in giardino mentre la sua silhouette si delinea su un lenzuolo steso e lei risponde annoiata al maturo corteggiatore Carradine, ricorda vagamente quello scatto. La collaborazione tra la top inglese e Saint Tropez ha dato adito a dichiarazioni entusiastiche da ambo le parti: “Kate incarna con un approccio naturalmente glamour il concetto di abbronzatura di St.Tropez ed è una sostenitrice di lunga data del marchio”, ha dichiarato Michelle Feeney, CEO di PZ Cussons (a cui fa capo il marchio Saint Tropez). Da parte di Kate Moss, le dichiarazioni rilasciate sul suo ruolo di testimonial per il brand sono altrettanto positive e soddisfatte. Non ci resta che lasciarci tentare da queste immagini per immergerci ,in toto, nel mood estivo progettando vacanze degne dei solari Saint Tropez e della loro superlativa testimonial.

L’accessorio che ci piace

 

In una collezione all’ insegna dell’ eclettismo come quella che Anna Sui ci propone per la Primavera/Estate 2013, i dettagli rivestono un’ importanza fondamentale. Basta pensare ai contrasti tra materiali, nelle stampe, nella creazione di basic stravolti da tessuti insoliti, al rutilante look d’insieme che tanti piccoli particolari, riletti in un’ altra chiave, possono mirabilmente originare. Un esempio? Il Punk, abbondantemente profuso nella collezione soprattutto grazie alla rete. La rete che, sotto forma di calza, si indossa tagliata al polpaccio quando non addirittura al ginocchio, e riappare, lacerata, a intessere maniche, sottogonne e corpetti. Le parrucche color pastello esibite dalle modelle enfatizzano un look già di per sè ‘carico’ di estro e di inventiva, così fantasiosamente elaborato da sembrare uscito da una fiaba o da un cartoon made in Japan. Alle eroine di Anna Sui, novelle principesse Punk del 2013, non poteva mancare la corona destinata ad ogni eroina delle fiabe che si rispetti: è una corona di stoffa rigida, declinata in colori come il cipria, il cobalto, il beige e con profilature a contrasto, ornata in pizzo o di paillettes. La corona di stoffa è portabile come un cappello adatto alla nuova stagione, con il valore aggiunto dell’originalità che lo distanza da ogni scelta più ovvia e scontata.

 

 

Con ironia e savoir faire, l’accessorio più sfizioso della collezione di Anna Sui può tramutarsi nel copricapo che ‘rompe gli schemi’, unendo il brio a una ricercatezza sartoriale che ne esalta la preziosità finemente lavorata.  Le tonalità in cui è disponibile sono il cipria con profilature di ricami in nero, il cobalto con bordi riccamente adornati di paillettes in total black, il beige con una profusa merlettatura color panna. La corona di stoffa ci piace perchè è sofisticata e al tempo stesso divertente, perchè rappresenta un copricapo ‘di rottura’, perchè esprime l’allure principesca che esiste in ognuna di noi mescolando aspetto ludico e sogno, perchè dona un tocco glam in più di sicuro impatto a qualsiasi outfit e si adatta perfettamente al giorno, come alla sera. Siete già pronte a chiudere il cappello di paglia nell’armadio?