Il close-up della settimana

 

“Non penso che David Bowie sia necessariamente così importante. Penso che il contenuto e l’atmosfera creati dalla musica che scrivo siano più importanti. Sono un narratore, un menestrello elettronico.” ha detto di sè nel ’73. E ha talmente tenuto fede alle sue parole da creare, durante tutta la sua carriera, atmosfere tradotte in musica che riflettevano nel profondo squarci di vita ed emozioni. Il primo approccio con la musica di David Bowie l’ ho avuto alle soglie dell’ adolescenza. Ero poco più che una bambina e mi affacciavo a quell’ età in cui i giocattoli vengono riposti nell’ armadio, sostituiti da trucchi e belletti. In città, ai contestatori in eskimo e agli hippies irriducibili si sostituivano i primi punk con il chiodo borchiato ed i capelli a cresta. Scary monsters è stato il primo album che io abbia mai ricevuto in dono: mi ha colpito subito il suo sound potente, tormentato, intramezzato da ballate cadenzate e dalle ipnotiche note di Ashes to ashes, che considero a tutt’ oggi uno dei più bei brani di Bowie. Sono rimasta letteramente catturata dalle sensazioni che, mentre la puntina scorreva sui solchi di vinile, in un crescendo di sublimata angoscia la title track dell’ album riusciva ad evocare. Quella musica esprimeva un pathos che scaturiva direttamente dall’ anima, ti prendeva alle viscere, rifletteva gli angoli più inesplorati dell’ interiorità alternando un buio cupo ad un caleidoscopio di colori: dovevo saperne di più su quel Pierrot futuribile avvolto in bagliori argentei. Il mio “viaggio” alla scoperta dell’ universo bowiano è iniziato così, un percorso a ritroso nel tempo che mi ha immerso nel “sound and vision” della trilogia berlinese e poco a poco condotto nei mondi paralleli in cui lo straordinario trasformismo di David, il suo background artistico, gli studi di mimo alla scuola di Lindsay Kemp hanno dato vita a personaggi rimasti nella storia per magica inventiva ed incisività. Ziggy Stardust, The Thin White Duke, Aladdin Sane, Major Tom univano in un connubio unico musica e creatività, declinavano le infinite sfaccettature della personalità bowiana,  abolivano le barriere tra l’ “umano” e l’ “alieno”rappresentando una creatura cosmica che trascendeva i confini di genere e qualsiasi realtà contingente. Di David Bowie ho adorato soprattutto la produzione che risale agli anni ’70: perle di brani che hanno tradotto in note le mie inquietudini di teen, quel tormento interiore derivato dal sentirmi perennemente alla ricerca di me stessa e di una direzione. Il cielo plumbeo di Berlino e le atmosfere evocate da album come Low mi hanno penetrato l’ anima, rispecchiando in modo sublime la mia essenza in continuo divenire. Sono passati anni da allora, ma il corso del tempo ha solamente accentuato il feeling, l’amore e la profonda ammirazione che nutro per Bowie come musicista, artista carismatico e indiscussa icona. E se due giorni fa la notizia della sua scomparsa mi ha provocato una fitta al cuore, mi conforta la consapevolezza che la stella di Starman continuerà, d’ora in poi,  eternamente a brillare: “forever and ever”.

 

Photo by AVRO (Beeld En Geluid Wiki – Gallerie: Toppop 1974) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], via Wikimedia Commons

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