“La massa ondeggiava”: l’ Estate arriva sulle note di “Disco Dreams”, re-edit della mitica hit della Contessa Pinina Garavaglia

” La massa ondeggiava, la pista brulicava…Un’ enorme forza propellente muoveva tutta quella gente”: un’ immagine d’ altri tempi? Forse, a causa dell’ incubo pandemia, ma che rimane ben impressa nella mente (oltre che nel cuore) “di chi c’era e di chi c’è ancora”. Cito la Contessa Pinina Garavaglia, e non a caso. I suoi fan avranno certamente riconosciuto le lyrics (o meglio, i versi) con cui ho aperto questo articolo: “Disco Dreams”, anche nota come “La massa ondeggiava”, è una leggendaria hit della Contessa e ha la capacità di catapultarti sul dancefloor sin dalle prime note. Oggi, l’ iconico e ritmatissimo brano ritorna grazie a Gasoldo, l’ eclettico producer di TempiNversi Records, che ha deciso di far vibrare l’Estate con il suo sound esplosivo. E’ un regalo a dir poco straordinario, quello che riceviamo da TempiNversi. Basti pensare che, uscito il 5 Giugno scorso, “Disco Dreams” ha già ottenuto un boom di ascolti sulle piattaforme (come YouTube e Spotify) che lo ospitano. Il tipico beat in stile ’90s del pezzo accende la voglia di ricominciare a vivere la notte,  di immergersi in un vortice di ebbrezza fino al sorgere del sole. E’ un desiderio che avvampa in chiunque, senza distinzioni: nei nostalgici, in chi l’ epoca d’oro dei club e della techno se la porta dentro, ma anche in tutti coloro che si imbattono per la prima volta nei versi che la Contessa declama su un travolgente sottofondo musicale. “Forever Young”, come recita Pinina Garavaglia nel brano “Magic Moments”: la Contessa Rock e il suo sound sono senza età e senza tempo, irresistibili sine die. Correvano gli anni Novanta quando “Disco Dreams” vide la luce sotto forma di poesia. Pinina Garavaglia la scrisse di getto dopo una serata allo storico Cellophane Club di Rimini, dove si era esibita come special guest, dedicandola all’ art director argentino Lucas Carrieri (tuttora attivo nel clubbing con i suoi stratosferici party organizzati in “templi” del calibro del “Peter Pan” e della “Villa delle Rose”).

 

 

Da allora, la Contessa iniziò a declamarla nel corso di tutte le sue performance fino a renderla mitica all’ After e all’ One Night Exogroove: “La massa ondeggiava, la pista brulicava”…la gente impazziva letteralmente mentre Pinina Garavaglia, sacerdotessa della notte, scandiva i suoi ipnotici versi in rima. Non è un caso che, nel tempo, “Disco Dreams” sia stata utilizzata dal dj Joe T Vannelli come live intro di raccolte quali “Exogroove Compilation” e “Exogroove volume due” con Francesco Zappalà, riscuotendo – va da sè – un successo smisurato. L’ immenso carisma della Contessa, il suo fascino e le sue doti di trascinatrice di folle tornano quindi ad essere protagonisti in questa Estate 2021. E non importa se la riapertura delle discoteche è ancora incerta, se dovremo limitarci a ballare “Disco Dreams” in giardino, in terrazza oppure in spiaggia, di fronte al mare: quei versi iniziali sono un potente mantra da scandire tutti insieme con gioia, a titolo beneaugurale. Potete star certi che il magnetismo sprigionato dalle liriche della Contessa Garavaglia, la loro magia, risulteranno di buon auspicio…così come erano di buon auspicio allora, durante l’ apogeo della nightlife, e come sempre lo saranno. Nonostante qualsiasi avversità.

 

 

 

“Judy”, lo struggente biopic su Judy Garland

 

” Somewhere over the rainbow
Bluebirds fly
And the dreams that you dream of
Dreams really do come true “

(Da “Over the Rainbow”, che Judy Garland canta ne “Il Mago di Oz”)

 

Forse, Judy Garland non aveva mai covato il sogno di diventare un’attrice. Per lei, figlia di due performer del vaudeville, debuttare sul palco di un teatro era stato naturale, quasi ovvio. Ce lo conferma Oriana Fallaci nel libro “I sette peccati di Hollywood” (1958), dove la Garland così si esprime durante un’ intervista: ” Non avevo mai chiesto di diventare una attrice. Non sono mai stata bella, non sono mai stata una Duse e tutto quello che so fare è cantare. Ma decisero di farmi diventare un’attrice da quando avevo dieci anni e cantavo con papà e le sorelle in teatro. Mi vide un tale della MGM e poi mi fece un provino e io divenni proprietà della MGM. ” Così ebbe inizio la carriera di una delle più leggendarie icone della storia del cinema. Nel 1939, quando uscì “Il Mago di Oz” di Victor Fleming, Judy aveva già preso parte a tre film e la sua fama si era diffusa in tutti gli Stati Uniti, ma fu il ruolo di Dorothy a consacrarla giovane stella del panorama hollywoodiano. La Garland aveva appena 17 anni, e un anno dopo il film di Fleming le valse un Oscar Giovanile. Pare, però, che proprio durante la lavorazione de “Il Mago di Oz”, per mantenersi in forma e sostenere i ritmi pressanti del set, venne spronata ad assumere quegli psicofarmaci che si tramutarono in una costante della sua vita. Una costante nefasta, naturalmente, che 30 anni dopo contribuì a determinare il suo declino. E’ a questo periodo che fa riferimento “Judy”, il biopic di Rupert Goold appena uscito nelle sale. Una straordinaria Renée Zellweger veste i panni della Garland nel suo ultimo anno di vita, il 1969: a quell’ epoca, l’ ex “enfant prodige” annoverava nel curriculum quasi 40 pellicole, due nomination degli Academy Awards e un Golden Globe, ma l’esistenza che conduceva era tutto fuorchè dorata.

 

Un ritratto fotografico di Judy Garland

Quattro divorzi sommati ad anni di eccessi, abuso di farmaci e depressione l’ avevano segnata fisicamente e psicologicamente, con gravi ripercussioni sulle sue condizioni economiche. La nomea di “inaffidabile” la rincorreva e diradava i contratti cinematografici, le banche si rifiutavano di erogarle prestiti. Sola e con i figli Joey e Lorna a carico (era in lotta per la custodia con l’ex marito Sidney Luft), licenziata dalla Metro-Goldwyn-Mayer dopo il flop del film “L’allegra fattoria” (1950), nel 1969 Judy Garland decise di volare a Londra per una serie di concerti destinati a rilanciare la sua carriera. Seppure a malincuore, si separò dai figli e da Mickey Deans, un uomo d’affari che divenne il suo quinto marito. Nella capitale inglese, accudita dall’ onnipresente assistente Rosalyn, l’ attrice firmò un contratto di cinque settimane per esibirsi nel nightclub “The Talk of the Town”: furono serate in cui eccezionali performance e crolli emozionali si alternarono a ritmo continuo. In parallelo con questa caotica fase esistenziale, il film mostra la Judy “del successo”, l’ adolescente che nel 1939 conquistò il pubblico dopo il lancio in grande stile che organizzò per lei la Metro-Goldwyn-Mayer. Ma dietro al glamour hollywoodiano, al di là della parvenza della perfezione, non era esattamente oro tutto quel che luccicava. Per “creare” i loro divi, le major ne pianificavano la vita a trecentossessanta gradi. Raggiungere la fama era un obiettivo perseguito attraverso vere e proprie macchine da guerra, che non di rado stritolavano le star in erba: costretta a una dieta perenne, calata in una quotidianità in cui le torte di compleanno erano fake per ostentare sfarzo, Judy Garland scoprì ben presto l’altro volto del successo.

 

Da “Il Mago di Oz” di VictorFleming (1939)

Snodandosi sui due piani temporali del 1939 e del 1969, che continuamente alterna, il film mette  a raffronto la Judy degli esordi con quella del crepuscolo, intrappolata nella sua spirale autodistruttiva. All’eccesso di controllo a cui venne sottoposta durante l’ adolescenza si contrappone il subbuglio emotivo degli “anta”: come filo conduttore, un talento che si accompagna a una sensibilità finissima, a un costante bisogno di amore.  Delle doti che se da un lato “nutrono” l’artista, dall’ altro finiscono per scontrarsi con il mondo sfavillante, certo, ma spesso anche spietato dello show business.

 

Dal film “Nuvole Passeggere” (1946), registi vari

Adattato dalla pièce teatrale “End of the Rainbow” di Peter Quilter, “Judy” (guarda qui il trailer) ha già fatto l’ en plein di premi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Una menzione speciale va a Renée Zellweger, che si è calata perfettamente nel ruolo della protagonista: un’ interpretazione, la sua, talmente fedele di Judy Garland da rievocarne persino la gestualità e il modo di parlare. Nei paesi anglosassoni, dove il film è già uscito da mesi (a Settembre negli USA, a Ottobre nel Regno Unito), i riconoscimenti di cui la Zellweger è stata insignita sono innumerevoli. Per citane solo alcuni, la candidatura al Premio Oscar 2020 come migliore attrice, il Golden Globe e il Premio BAFTA 2020. Senza tralasciare, inoltre, la standing ovation interminabile che le è stata tributata al Toronto International Film Festival: il meritato elogio alla verve drammatica di un’attrice che, nel 2001, il mondo aveva imparato a conoscere nelle vesti della buffa e pasticciona Bridget Jones.

 

Al Greek Theater di Los Angeles nel 1957

Con John Hodiak nel film “The Harvey Girls” (1946)

 

 

Ritratto a colori di Judy Garland via Kate Gabrielle from Flickr, CC BY 2.0

 

New Icons: Adut Akech Bior

Adut per Valentino Haute Couture, AI 2019/20

In Italia l’ abbiamo conosciuta meglio grazie allo spot di Born in Roma, la nuova fragranza di Valentino (rileggi qui il post che VALIUM le ha dedicato), dove sfreccia in moto ad una festa indossando uno splendido abito da sera: è difficile che qualcuno sia rimasto immune al fascino esotico di Adut Akech Bior, più conosciuta come Adut Akech, e che non voglia saperne di più su una modella che ha scalato le vette del fashion system in soli due anni di carriera. Se il suo vi sembra un volto familiare, non stupisce. Sappiate che dal 2017 sfila e posa per le Maison più altisonanti del pianeta: basta dire che il suo debutto internazionale in passerella è avvenuto a Parigi quell’ anno stesso, con un brand del calibro di  Saint Laurent. Nel 2018, lanciatissima, Adut è stata scelta da Karl Lagerfeld in persona per esibirsi in look nuziale al défilé AI 2018/19 di Chanel Haute Couture, un onore che prima di lei spettò solo a un’ altra mannequin di colore (Alek Wek). Ma la vita di Adut Akech non è sempre stata votata al glamour. Sembra una fiaba a lieto fine, certo, però è iniziata in un modo ben diverso. Ripercorrendo l’iter esistenziale della musa di Pierpaolo Piccioli, scopriamo che nasce il 25 Dicembre 1999 nel Sudan del sud e che cresce in Kenya, in un campo profughi. Quando Adut ha 8 anni  la sua famiglia decide di chiedere asilo in Australia, ad Adelaide. Parlando solo Swahili e Dinka, la futura top deve innanzitutto iscriversi ad una scuola di inglese, che frequenta insieme a bambini provenienti da ogni parte del mondo. Degli anni seguenti ricorda il bullismo subito per i suoi incisivi distanziati e per la sua altezza, ma è un bullismo non destinato a durare a lungo: a 13 anni Adut già sfila in passerella, la prima volta per il fashion show di sua zia e successivamente alla Melbourne Fashion Week. E’ proprio allora che decide di diventare modella e si iscrive ad una fashion agency. Il resto, è storia. Sedicenne, vola a Parigi convocata da Saint Laurent, che la scrittura in esclusiva per tre stagioni. Un debutto ai défilé grande stile, il suo, subito seguito da un fioccare di occasioni irripetibili: oltre a Chanel, griffe come Fendi, Valentino, Alexander McQueen, Givenchy, Prada, Miu Miu, Tom Ford, Bottega Veneta, Lanvin, Off-White, Calvin Klein, Burberry, Simone Rocha, Giambattista Valli e Versace (per citarne solo alcune) se la contendono, le campagne pubblicitarie di cui è protagonista sono sempre più numerose. Qualche esempio? Saint Laurent, Valentino, Moschino, Fendi, Zara, Bottega Veneta la scelgono come testimonial ripetutamente, consacrando la fama che nel 2018 Adut ha consolidato posando per il calendario Pirelli scattato da Tim Walker che la immortala,tra le altre, accanto a Whoopi Goldberg e a Naomi Campbell. Nello stesso anno, la top sudanese viene eletta “Model of the Year” da Models.com, mentre, sin dagli esordi, la sua carriera acquista ulteriore impulso grazie ai prestigiosi fashion magazine che la vogliono in copertina: svariate edizioni internazionali di Vogue ma anche I-D, Numéro, Elle, L’Officiel e moltissimi altri ancora.

 

Adv Valentino Born in Roma eau de parfum

Oggi, Adut Akech è richiestissima. Impossibile non ricordarla sul catwalk della collezione Primavera Estate 2019 di Valentino Haute Couture, una sfilata che ha chiamato a raccolta la “crème” delle modelle black per abbattere la discriminazione razziale a colpi di eleganza sopraffina: la prima immagine che viene in mente di lei è come una visione. Adut indossa uno spettacolare abito color corallo che la avvolge, dalla vita in su compreso il capo, in un tripudio di rose di satin. Il suo volto ebano, in quella cornice, risalta al pari di una pietra preziosa. E se il suo “black pride” non passa inosservato (recentemente si è scagliata contro Who Magazine, che in un articolo a lei dedicato aveva pubblicato la foto di un’altra modella di colore, definendo quell’ errore “inaccettabile e ingiustificabile”), è noto l’impegno della top nei confronti dei rifugiati. A questo scopo collabora con le Nazioni Unite e si prodiga per una maggiore comprensione della loro condizione. Esempio vivente del potere dei sogni, role model con fierezza, Adut incoraggia il prossimo a credere in se stesso, a realizzare obiettivi e aspirazioni. Ce l’ha fatta lei, dopotutto, proveniente da un contesto non certo fertile: il che è indicativo della sua tempra. Il sostegno dei rifugiati la coinvolge  a pieno titolo. Perchè Adut Akech, nonostante la fama e la ricchezza, sarà sempre una rifugiata nel profondo, come ha dichiarato a Marie Claire USA. Una rifugiata che ha combattuto con tutte le sue forze per cambiare il corso del proprio destino.

 

Adut per Versace, AI 2019/20

Adut per Max Mara, AI 2019/20

Adut per Alexander McQueen, AI 2019/20

David Jones Beauty Campaign

Adut per Moschino, PE 2020

Adv Missoni AI 2019/20 by Mert & Marcus

Adut per Marc Jacobs, AI 2019/20

Adut per Saint Laurent, AI 2019/20

Adv Bottega Veneta PE 2019 by Tyrone Lebon

Adut per Valentino Haute Couture, PE 2019

Adut per Victoria Beckham, PE 2020

Adut per Etro, AI 2019/20

Chanel Pre-Fall AI 2018, foto by Karl Lagerfeld

Adut per Versace, AI 2018/19

Adv H&M AI 2019/20

Adut per Marni, AI 2019/20

Adut per Miu Miu, AI 2019/20

Adut per Fendi, PE 2020

Adv Americana Manhasset, AI 2018/19

Adut per Tom Ford, AI 2018/19

Adv Moschino PE 2018 by Steven Meisel

Adut per Chanel Haute Couture, AI 2018/19

Adut per Valentino TKY, Pre-Fall 2019

Adv Coach PE 2019 by Craig McDean

Adut per Saint Laurent, PE 2019

 

 

 

New Icons: Zendaya

 

Ventitré anni e già una carriera prestigiosa alle spalle. Ma anche, non c’è bisogno di dirlo, un futuro scintillante davanti a sè: sto parlando di Zendaya, star poliedrica e nuova musa di Tommy Hilfiger, insieme al quale ha firmato una collezione di chiaro stampo anni ’70 – “Tommy x Zendaya”, appunto. Fashion icon del Terzo Millennio, Zendaya si cala nelle vesti di un’ eroina dei Seventies (senza disdegnare il decennio successivo) per celebrare l’ empowerment femminile e il contributo donato in tal senso da donne emblematiche. Penso a Jane Fonda, a Pam Grier, a Maria Schneider, al trio FawcettJacksonSmith delle “Charlie’s Angels”, tutte accomunate – nella vita o sullo schermo, a volte entrambi – dalla ribellione verso i ruoli predefiniti. Nel lookbook della collezione, Zendaya reinterpreta il loro fascino con disinvoltura. D’altronde, è lei stessa una “role model” oltre che attrice, cantante, produttrice, modella, ballerina, designer e ambasciatrice per l’ organizzazione no-profit Convoy of Hope, impegnata nella lotta internazionale alla povertà. Figlia di una statunitense di origini scozzesi-tedesche e di un afroamericano dell’ ArkansasZendaya Maree Stoermer Coleman – questo il suo nome all’ anagrafe – si è sempre battuta a favore dell’ inclusività e dell’ uguaglianza razziale: non è un caso che sia una presenza ricorrente nel concept-album “Lemonade” di Beyoncé. E se la sua popolarità viene associata a quando, ancora giovanissima, recitava per il Disney Channel, in pochi sanno che aveva debuttato anni prima sul palcoscenico del California Shakespeare Theatre di Orinda (“Ero una strana bambina di otto anni veramente interessata a Shakespeare, lo capiva e ne apprezzava la lingua”, ha dichiarato). La sua carriera ha preso quota tra ruoli di modella, testimonial e protagonista di video musicali; poi sono venute le serie TV, l’esordio discografico, i film (sul set della pellicola TV Disney “Nemici per la pelle” il suo primo ciak), la dibattuta partecipazione all’ 87ma edizione degli Oscar, dove si presentò con i capelli avvolti in dreadlocks suscitando pungenti critiche: un episodio che le valse l’appoggio di molti, tra i quali la Mattel, che le dedicò una Barbie acconciata in “Rasta style”. Al cinema l’abbiamo vista per la prima volta nel 2017, nel film campione di incassi “Spider Man: Homecoming”. Da allora, gli impegni di Zendaya si sono moltiplicati in ogni settore si sia cimentata (nel 2013 ha persino scritto un libro dedicato agli adolescenti), regalandoci memorabili apparizioni sul red carpet del Met Gala. Oggi, ritroviamo la magnetica californiana nei panni di brand ambassador di Tommy Hilfiger. Che sono “panni” cool e audaci, splendide rivisitazioni di capi cult dell’ epoca a cavallo tra gli anni ’70 e ’80: “Tommy x Zendaya” include jeans a zampa di elefante, t-shirt “zodiaco” dalle effigi psichedeliche, suit in puro gusto Studio 54 e tanti abiti, di volta in volta sleeveless, luccicanti d’oro o con le spalline incrociate sul collo, ma sempre semi-lunghi rievocando quelli indossati da Jane Fonda in “Klute”. Un paio di stivali con tacco, una chioma alla Farrah Fawcett e grandi cerchi alle orecchie come Foxy Brown completano i look, facendo apparire Zendaya un’ icona di quasi mezzo secolo orsono. La classe non è acqua, è proprio vero; e neppure lo stile. Concludo con una succosa anticipazione: Miss Coleman, in questi giorni, è stata nominata volto della nuova fragranza Idôle di Lancôme, che verrà lanciata il 22 Agosto. Per saperne di più…rimanete sintonizzati!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buon compleanno, Topolino!

 

 

Oggi è un giorno speciale: Topolino, il topo più celebre e celebrato del mondo, compie 90 anni. L’ avreste mai detto? Eppure è in perfetta forma! I fatti, però, parlano chiaro. Era il 18 Novembre del 1928 quando “Steambot Willie”, il corto Disney che lo vedeva protagonista, venne proiettato al Colony Theatre di New York. Fu accolto con una vera e propria ovazione. Da allora, Topolino divenne il personaggio principale di una saga che narrava le sue avventure e quelle degli amici che Disney gli andava via via affiancando. “Steambot Willie” rappresentò una pietra miliare anche perchè fu il primo cartoon sonoro: un bel record per Walt Disney. A prestare la voce alla nuova star sarebbe stato proprio lui, e lo fece fino al 1946, quando il fumo danneggiò le sue corde vocali. Topolino, tuttavia, non debuttò con “Steambot Willie” nè in quel corto pronunciò le sue prime parole. Era apparso già in “Plane Crazy” e in “Topolino Gaucho” qualche mese prima, ma “Plane Crazy” incontrò difficoltà di distribuzione tali che i due corti apparvero solo un anno dopo sugli schermi. Corpo nero, guanti bianchi e orecchie tonde da qualunque angolazione le si guardino, Topolino indossava unicamente un paio di braghette con due bottoni e delle scarpe comode. Era simpatico, argusto, astuto, ma anche romantico e sognatore. “La gente si diverte con Topolino perchè è umano e questo è il segreto della sua popolarità”, disse suo papà Walt Disney.

 

Walt Disney

Il re dei cartoon lo aveva creato insieme al socio Ub Iwerks, nel 1928, dopo che la Universal si era appropriata dei diritti di Oswald the Lucky Rabbit, un personaggio che aveva precedentemente inventato ispirandosi alle fattezze del Gatto Felix. Ecco alcune curiosità sull’ icona oggi novantenne: all’ inizio avrebbe dovuto chiamarsi Mortimer Mouse, ma la moglie di Disney propose il più divertente Mickey Mouse (in Italia poi battezzato Topolino). Pochi sanno che il nostro eroe ha una sorella, Amalia Fieldmouse, apparsa solo nelle strisce a fumetti: Amalia è la madre dei più noti Morty e Ferdy, i Tip e Tap nostrani. Colei che viene considerata la sua fidanzata storica, Minnie, è in realtà sua moglie e affianca Topolino già in “Plane Crazy”, anche lei doppiata dallo stesso Disney. Nel corto “The Opry House”, del 1929, Mickey Mouse sfoggia per la prima volta i suoi iconici guanti bianchi e scopriamo che ha quattro dita anzichè cinque, una scelta dettata da motivi sia economici che estetici (Disney associava le cinque dita ad un casco di banane).

 

 

Sempre nel 1929, il leggendario topo parla per la prima volta in “The Karnival Kid”. Le sue parole? “Hot Dogs!”. Il personaggio subisce due cruciali trasformazioni: nel 1935 appare a colori nel corto “Fanfara” e dal 1940 in poi assume un aspetto sempre più simile a quello attuale. In Italia iniziamo a conoscerlo nel 1932, quando Walt Disney viene premiato con un Oscar proprio per la sua creazione; poco tempo dopo, un giornalino a fumetti (“Topolino”) consacra la fama di Mickey nel Bel Paese.

 

 

 

Nel 1933, Topolino è già un personaggio iconico. Esce il primo orologio con le lancette che ne riproducono le fattezze: il prezzo è di 3 dollari e 75 centesimi, mentre attualmente il suo valore ammonta a circa 6000 dollari. In occasione del 50mo compleanno, nel 1978, a Topolino viene intitolata nientemeno che una stella sulla Hollywood Walk of Fame. Oggi, può essere considerato una superstar a tutti gli effetti: protagonista di oltre 135 corti e di molteplici lungometraggi, strisce a fumetti e programmi TV, a lui sono dedicati anche parchi a tema  – Disneyland – sparsi in tutto il mondo. Al cinema e nelle varie Disneyland gli “hidden Mickeys” (sagome di Topolino nascoste) sono innumerevoli, basti pensare che ne sono state avvistate 376 nel solo parco di Los Angeles.

 

 

Ben visibili sono, invece, i tributi che il mondo dello stile ha sempre ideato in suo onore: dalla Topolino fever sono scaturite collezioni di moda, accessori, gioielli, oggetti di design – come la celebre sedia di Terence Cornan – che hanno sancito il ruolo di “musa” di Mickey Mouse. Inutile dire che le creazioni realizzate per il suo 90mo compleanno siano numerosissime. I designer si sono sbizzarriti nell’ omaggiare il celebre topo attraverso limited edition apposite, avvalorando una volta di più la fama e l’affetto che lo circondano. Non resta che augurare all’ icona Disney 100 di questi giorni, ma in un continuo loop. Perchè  una cosa è certa: Topolino è ormai immortale!

 

La sedia di Terence Conran

 

 

La capsule Disney x Karen Walker

La collezione eyewear di Italia Independent

L’ eau de toilette “Mickey Mouse” di Zara

 

Photo Mickey Mouse courtesy of Walt Disney Italia c/o Opinion Leader

 

 

Peggy Moffitt, icona 60s tra Pop Art e “bowl cut”

 

Quando si parla di “bowl cut”, uno dei tagli di capelli più cool delle ultime sfilate, la mente torna al suo iconico look: Peggy Moffitt, top model degli Swinging Sixties, ne fece un inconfondibile signature style. Un make up occhi di ispirazione Kabuki, la chioma scolpita da Vidal Sassoon in persona, Peggy abbinava al rigore geometrico del “five point” – l’ altro nome che fu dato al taglio – mise coloratissime, ma lineari e dense di richiami Op. Lo stile che sfoggiava, d’altronde, viene considerato autentica Pop Art. E pensare che i suoi esordi la videro alle prese più con i ciak che con l’obiettivo fotografico:  nata a Los Angeles, classe 1940, la futura top debuttò come attrice nel 1955 prima di approdare nelle fascinose brume parigine. Fu proprio nella Ville Lumière che ebbe inizio la sua liason con la couture, e da allora Peggy Moffitt si dedicò alla carriera di modella senza disdegnare comparsate nei film. Quando gli anni ’50 lasciarono il posto ai rivoluzionari Sixties, complice il suo ruolo di musa del designer Rudi Gernreich,  la fama di Peggy cominciò a decollare: Gernreich era un precursore, fu il primo a proporre creazioni unisex ampiamente declinate in plastica e in vinile, ma il suo spirito avantgarde si identificò indissolubilmente in un costume da bagno “topless” chiamato monokini.  Lo lanciò nel 1962, nel pieno di un’ era che inneggiava alla libertà in ogni sua forma, e su consiglio di Diana Vreeland lo fece immortalare in scatti ad opera di William Claxton, marito di Peggy Moffitt e membro del trio inseparabile che lo vedeva a fianco di Gernreich e della sua musa.

 

Peggy Moffit in uno scatto di William Claxton

Le foto che ritraggono Peggy in monokini sono oggi dei cult, testimonianze di un mood ribelle che negli anni ’60 coinvolse ad ampio spettro anche la moda. Ma il set fotografico è una costante che ritorna, per l’ iconica modella, nella pellicola “Blow up” di Michelangelo Antonioni, dove appare tra le protagoniste dei photo shoot scattati da Thomas/David Hammings. Nel 1967 fu suo marito William Claxton a dirigerla: il corto “Basic Black”, archetipo dei futuri fashion film, rientrò tra le opere della mostra intitolata The Total Look: The Creative Collaboration Between Rudi Gernreich, Peggy Moffitt and William Claxton con cui il Los Angeles Museum of Contemporary Art’s Pacific Design Center omaggiò negli anni ’80 il trio creativo. La figura di Peggy, emblema di una vera e propria svolta epocale, continua ad essere una fonte di ispirazione inesauribile: non è un caso che la rock band The Handcuffs e musicisti come Boyd Rice e Giddle Partridge le abbiano dedicato, rispettivamente, il proprio album di esordio e una limited edition in vinile.

 

 

I fashion show dell’ Autunno/Inverno 2017/18 e i più famosi hairstylist celebrano, inoltre, il “bowl cut” di Peggy Muffitt rivisitandolo in innumerevoli versioni. Una su tutte? Quella esibita dalla top ucraina Irina Kravchenko in passerella e nell’ advertising campaign di Anteprima. Ma il celebre taglio geometrico fu oggetto anche di un’ indimenticabile “citazione” sul catwalk parigino della sfilata AI 2008/2009 di Saint Laurent e viene riproposto dalle celeb di continuo: l’ hanno sfoggiato (tra le altre) Linda Evangelista, Agyness Deyn, Lady Gaga e, last but not least, persino la nostra Alessandra Martines nella saga fantasy TV “Fantaghirò”.

 

AI 2008/09: il bowl cut di Saint Laurent

AI 2017/18: il bowl cut di Irina Kravchenko per Alexander Wang

 

Foto di Peggy Moffitt via Kristine from Flickr, CC BY-NC 2.0

 

New icons: Stella Maxwell

Stella nella ad campaign AI 2017/18 di Karl Lagerfeld

Il suo ultimo trionfo è una breaking news: Karl Lagerfeld l’ ha appena scelta come volto della campagna Autunno/Inverno 2017 del brand omonimo. Seduttiva, fascinosa e chic, negli scatti Stella Maxwell sfoggia look esclusivamente in black & white e l’ eyeliner che le allunga l’occhio evidenzia una potente allure “parisienne”. Il fatto che Herr Lagerfeld abbia puntato su di lei equivale a una consacrazione definitiva: top del momento ma anche icona del fashion system, Stella vanta esperienze con il gotha della moda e della fotografia internazionali. Qualche nome? Victoria’s Secret su tutti, che l’ ha “arruolata” tra i suoi Angeli nel 2015. Ma anche Versace, Alexander McQueen, Moschino, Chanel, Marc Jacobs, Fendi, DKNY e Roberto Cavalli, per citare solo alcuni tra gli innumerevoli – quanto prestigiosi – brand che l’hanno voluta in passerella o come testimonial. Un bel traguardo per una 27enne che si considera “cittadina del mondo” e che, di fatto, annovera un mix di nazionalità e luoghi nel suo excursus esistenziale. Nata in Belgio da genitori nord irlandesi, Stella studia alla Scuola Europea di Bruxelles prima di trasferirsi, con la famiglia, in Australia e poi in Nuova Zelanda, dove si diploma al Queen Margaret College e si iscrive all’ Università di Otago. E’ proprio qui che viene scoperta e lanciata come modella.

Stella per Versus AI 2017/18

Chioma color miele, labbra carnose ed uno sguardo azzurro  al tempo stesso volitivo e sensuale, Stella incarna una “bionditudine” che va al di là di ogni stereotipo. E’ audace, frizzante, piena di energia, ma il suo atout è sicuramente l’ eclettismo: davanti all’ obiettivo è in grado di impersonare alla perfezione qualsiasi ruolo. Sofisticata, sporty, avantgarde, urban, pin up – come nella variopinta campagna Happy Socks AI 2016/17 scattata da Ellen Von Unwerth – e, ancora, boho, romantica, sfrontata e gipsy  sono gli aggettivi che la identificano nei photo shoot e sulle passerelle che la vedono protagonista. Dal sex appeal che emana come Angelo di Victoria’s Secret, Stella Maxwell è approdata con naturalezza alle suggestioni 70s dell’ ad PE 2017 di Roberto Cavalli ed alla psichedelia della collezione Resort 2017 di Moschino. Ha sfoderato il suo lato bold per Fenty Puma by Rihanna, esaltato la grinta della donna Versace e si è tramutata in stilosa esploratrice delle Lowlands scozzesi negli scatti realizzati da Giampaolo Sgura per la campagna Twinset AI 2017/18.

Stella per Victoria’s Secret AI 2016/17

Stella per DKNY AI 2017/18

Insieme alle richieste, per Stella sono arrivati i riconoscimenti: in vetta alla “Hot 100 List 2016” di Maxim, lo scorso Aprile è stata incoronata “Modella dell’ Anno” ai Fashion Awards di Los Angeles, che è peraltro la sua città preferita. E non a caso, dato che – insieme alla musica, alla vita outdoor e ai viaggi – la Mecca del Cinema rispecchia mirabilmente il suo mood solare. Next stept dell’ ammaliante supermodel, la nomina “chez” Lagerfeld. C’è da scommettere che, anche nelle vesti di musa, per Stella Maxwell la carriera sarà tutta in ascesa.

Stella nella ad campaign Happy Socks AI 2016/17 by Ellen Von Unwerth

Stella per Moschino AI 2017/18

Stella per Fenty x Puma by Rihanna AI 2017/18

Stella nella ad campaign PE 2017 di Roberto Cavalli Eyewear

Stella per Alberta Ferretti AI 2017/18

Stella per Versace AI 2017/18

Stella (insieme a Stella Lucia) nella ad campaign Twinset AI 2017/18 by Giampaolo Sgura

Stella per Philosophy di Lorenzo Serafini AI 2017/18

Stella per la ad campaign Max Factor 2017

Un ricordo di Anita Pallenberg

 

Modella, attrice, icona…Ma soprattutto musa. Dei Rolling Stones e di un’ epoca che ribalta in toto gli stereotipi del “femminile”. E’ così che Anita Pallenberg, scomparsa il 13 Giugno scorso, verrà sempre ricordata: It girl dei 60s, impone un ideale di bellezza che alla silhouette slanciata ed ai capelli color platino coniuga un fortissimo carisma. Pensare a lei solo in virtù dei love affair che intrecciò, prima con Brian Jones e poi con Keith Richards, non le rende giustizia. Il suo è un appeal magnetico, mixato a una personalità travolgente e ad uno spiccato senso di indipendenza. Nata nel 1942 a Roma da padre italiano e madre tedesca, molla gli studi a 16 anni e vola a New York dove frequenta la Factory di Andy Warhol e si unisce al Living Theatre. Tornata in Europa, debutta a Parigi come modella. La sua carriera la vede di nuovo in viaggio, in giro per il mondo sul set dei vari photoshoot. E’ proprio durante una delle sue trasferte che conosce Brian Jones: il colpo di fulmine tra Anita e il chitarrista dei Rolling Stones scocca a Monaco, nel backstage di un concerto della band, e da quel momento ha inizio una liason che durerà un biennio. Corre l’ anno 1965, la Swingin’ London esplode. Anita Pallenberg e Brian Jones sono una coppia speculare che detta stile: lo stesso caschetto biondo, le ruches da dandy, i cappelli a tesa larga e le scenografiche pellicce diventano i loro basic. Nonostante tutto, l’ intesa naufraga definitivamente durante un viaggio in Marocco ad alto tasso di litigi. E’ a questo punto che entra in scena Keith Richards; con lui Anita torna a Londra e inizia una convivenza che si snoda tra family life e eccessi, alternando alla nascita di tre figli – Marlon nel 1969, Dandelion Angela nel 1972 e Tara, morto appena 10 settimane dopo, nel 1976 – una quoditianità vissuta “on the wild side” in toto.

 

 

Anita, in quel periodo, consolida la sua funzione ispiratrice: è piena di interessi, brillante, parla fluentemente cinque lingue, affascina chiunque grazie al suo magnetismo potente. Negli anni di Biba e Mary Quant, la “musa dei Rolling” adotta un look iconico in cui trionfano boa di struzzo, suit damascati in lamè, jabots, caftani bohemien e gioielli di stampo etnico. La sua carriera di modella, intanto, lascia il posto ad un esordio come attrice che consacrerà con “Barbarella” (1967) la sua fama. Nel film di Vadim interpreta un’ avveniristica Regina Nera e affianca Jane Fonda in una delle più celebri – e bollenti – sci-fi comedy di sempre, dopodichè appare in pellicole come “Candy” (1968) di Christian Marquand, “Dillinger è morto” (1969) di Marco Ferreri, “Performance” (1970) di Cammell e Roeg, dove recita con Mick Jagger, e svariati documentari sui Rolling Stones (“Sympathy for the Devil” di Jean-Luc Godard (1968), solo per citarne uno). Al cinema vero e proprio torna nel 2007, quando appare in “Mister Lonely” di Harmony Korine e “Go Go Tales” di Abel Ferrara. Il Nuovo Millennio inizia per Anita con un bagaglio di vita e di ricordi davvero da leggenda. Nel 1980 la love story con Richards è terminata, ma “l’era dei Rolling” le ha lasciato in eredità una splendida amicizia: quella con Marianne Faithfull, storica ex di Mick Jagger, un legame mai venuto meno nel corso del tempo. Il suo ruolo di icona di stile rimane indiscusso, riannodando un fil rouge con la moda che la vede iscriversi al Central Saint Martins College di Londra, sfilare per noti designer e mettersi in gioco, a sua volta, come stilista. Adorata da celebs e top (come dimostra il feeling instaurato con Kate Moss), Anita Pallenberg è destinata a rimanere impressa nella memoria collettiva come un’ affascinante musa che accanto ai top names del rock ha immancabilmente brillato di una magica, inconfondibile luce propria. E se vi sembra poco…

Photo:

“Anita Pallenberg” via Miriam-Assai on Flickr, CC BY-ND2.0

“ellemay67keithanitadetail” via lobstar28 on Flickr, CC-BY-NC-ND 2-0

 

New icons: Tami Williams

Tami per Valentino Resort 2018

Quando è apparsa in passerella, ha stregato il parterre della sfilata Valentino Resort 2018: 1,80 di altezza, il corpo avvolto in un prezioso long dress di velluto fucsia, i capelli raccolti in treccine esotiche, Tami Williams non poteva passare inosservata. A soli 19 anni, d’altronde, questa top nata in Giamaica è già considerata un’ icona black del fashion system. La carriera di Shaekagale Shanicece – alias TamiWilliams è in effetti iniziata prestissimo: aveva 11 anni quando fu notata dal CEO Deiwght Peters di Saint International, leader tra le agenzie caraibiche per modelle, e 13 quando la giuria del concorso Fashion Face dei Caraibi le assegnò il secondo posto. Era il 2012 e il contest era stato bandito da Saint International, divenuta subito la sua agenzia di riferimento giamaicana. Un paio di giorni dopo la firma del contratto, Peters ricevette una telefonata da New York: la Elite  voleva fortissimamente Tami Williams a rappresentare la bellezza “made in Jamaica”. Non c’è bisogno di dire che, una volta nella Grande Mela, Tami conquistò il team Elite al primo istante. Insieme alla silhouette slanciata ed agli zigomi alti, perfettamente definiti, l’ eleganza innata delle sue movenze e la personalità determinata sono sempre stati i suoi atout irresistibili.

Tami per Alberta Ferretti AI 2017/18

Da allora, il percorso professionale della splendida top giamaicana è in continua ascesa. Richiestissima, tra le Maison per cui abitualmente sfila figurano nomi del calibro di Dolce & Gabbana, Chanel, Christian Dior, Balmain, Fausto Puglisi, Alberta Ferretti, Anna Sui, Sonia Rykiel, Calvin Klein, Atelier Versace, Michael Kors, Giorgio Armani, Giambattista Valli, Emilio Pucci, Max Mara e molti, molti altri ancora. Con due top brand del Made in Italy quali Valentino e Gucci ha intessuto una “liason” addirittura pluriennale: oltre che sulle loro passerelle, recentemente abbiamo potuto ammirare Tami in campagne pubblicitarie iper sofisticate come quella scattata da Glen Luchford per la Gucci Resort 2016 e da Steve McCurry per la PE2016 di Valentino.

Tami per Dolce & Gabbana AI 2017/18

Tami per Atelier Versace AI 2016

Accanto alle sfilate e alle campagne, per lei si sono moltiplicati i photoshoot e le copertine dei più prestigiosi fashion magazine: Vogue, Elle, Interview, W e Harper’s Bazaar (solo per citarne alcuni) l’ hanno già inserita tra le loro “favourites”. Ma oltre allo stile e al fascino, qual è il punto di forza che rende questa icona delle passerelle del tutto speciale? Gli addetti ai lavori lo assicurano: un senso dell’ umorismo a briglia sciolta e giocosamente audace. Niente di meglio per arricchire la sua allure di un tocco di verve frizzante.

Tami per Roland Mouret AI 2017/18

Tami per Trussardi PE 2017

Tami nella ad campaign Gucci Resort 2016 scattata da Glen Luchford

Tami per Ports 1961

Tami per Tommy x Gigi PE 2017

Tami nella ad campaing Valentino PE 2017 scattata da Steve McCurry

Tami per Anna Sui AI 2016/17