Il close-up della settimana

 

Un riconoscimento importante che va a premiare, oltre che una Maison leggendaria, una genialità creativa tutta italiana: è stato assegnato a Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, direttori creativi di Valentino, l’ International Award 2015 del Council of Fashion Designers of America. La premiazione, svoltasi il 1 giugno scorso al Lincoln Center di New York, è stata motivata in virtù della visione creativa e dello straordinario operato grazie al quale il duo ha contribuito a incrementare il prestigio ed il valore iconico della Maison fondata nel 1959 da Valentino Garavani. L’ affinità con il Dna del brand e la continuità di una cifra stilistica che ne rivisita i dettami alla luce di una nuova contemporaneità rappresentano i maggiori atout di Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, alla direzione creativa di Valentino dal 2008. In occasione dell’ evento newyorkese, i due designer – premiati dal Direttore di Vogue Italia  Franca Sozzani e da Valeria Golino – hanno presentato un corto in cui il  regista Francesco Munzi – che conta su ben 16 nomination per i Davide di Donatello 2015 con il film Anime Nere – racconta per immagini il loro percorso umano e professionale: cornice d’eccezione, oltre alla storica Maison di Piazza Mignanelli, una Roma nella sua maestosa magnificenza, fonte di ispirazione continua e humus sempiterno delle creazioni Valentino. E’ da un connubio indissolubile tra ricercatezza estrema, stile, grazia nella quintessenza, savoir faire e couture sopraffina che prendono vita i valori più squisitamente iconici del marchio, valori che il duo Chiuri-Piccioli ha saputo perpetrare grazie all’ apporto continuo di creatività, nuovi linguaggi, di una knowledge mirata alla creazione di un’ eleganza timeless e proiettata in un futuro che mai viene meno all’ heritage del brand. L’ intesa tra i due Direttori Creativi si è rivelata immediata sin dall’ inizio, cementata dal dialogo e da un continuo confronto di intenti. La valorizzazione della craftmanship e il trait-d’union costante con una modernità in cui rivive la tradizione stilistica Valentino sono stati alcuni tra i punti cardine fondamentali del percorso artistico del duo, portando il brand a livelli di eccellenza tali da risultare in perfetta sintonia con l’estetica ed il mood di Valentino Garavani, mito e Imperatore dell’ era moderna dedito all’ appassionata ricerca del Bello. Il nuovo corso della Maison è già avviato, e nel convalidare il talento dei Direttori Creativi che hanno portato al suo successo l’ International Award si configura come un encomiabile, meritato premio che sancisce ulteriormente il valore di una griffe divenuta somma pietra miliare dell’ eleganza Italiana ed internazionale.

Il close-up della settimana

 

La notizia è ormai ufficiale: sarà Balmain a firmare la capsule deluxe che il colosso svedese H&M si accinge a lanciare, come ogni anno, in autunno. Identificata sui social con l’ hashtag #HMBalmaination – che coincide anche con il nome della collezione – la collaborazione si preannuncia emozionante e densa di novità sorprendenti. Il save the date è stato fissato al 5 novembre, data di esordio di una limited edition che comprenderà, oltre al womenswear, le linee accessori Uomo e Donna: un appuntamento speciale per tutte coloro che amano le creazioni del vulcanico Olivier Rousteing, che ha annunciato il connubio con il brand di fast-fashion il 17 maggio scorso in occasione dei  Billboard Music Awards di Las Vegas. Ed è proprio a Las Vegas che sono stati presentati in anteprima alcuni capi della nuova collezione; ad indossarli, le bellissime e statuarie Kendall Jenner e Jourdan Dunn, che di #HMBalmaination saranno probabilimente testimonial d’eccezione. Inizia dunque il countdown per il lancio della collezione, per la quale si prevede una distribuzione che include 250 H&M store mondiali e la vendita on line. Il fenomeno della #HMBalmaination è già in atto, avviato da massicce dosi di glamour e creatività e condito dall’ entusiasmo contagioso con cui affrontano la collaborazione i due brand coinvolti: “Come stilista, l’ obiettivo principale per me è parlare alla mia generazione”, ha dichiarato Olivier Rousteing. “H&M mi ha offerto la grande possibilità di far conoscere a tutti l’ universo Balmain, partecipando al sogno di creare un movimento di aggregazione promosso con l’ hashtag #HMBalmaination. E’ stata una collaborazione estremamente naturale: H&M è un brand con cui tutti entrano in connessione. Sostiene l’ unità, un valore che anch’io sostengo strenuamente.” La cifra stilistica del designer francese, una couture costantemente intrisa di dettami pop sensuali e vibranti, è inconfondibile e saprà certamente infondere all’ imminente capsule un tocco di intrigante e sfrontata contemporaneità. Grande fervore per l’ iniziativa anche da parte di Ann-Sofie Johansson, che ha evidenziato un’ ennesima, elettrizzante sfaccettatura del connubio con Balmain: “I suoi stretti legami con lo show business e con il mondo della musica aggiungono un altro elemento di sorpresa” ha affermato la creative advisor H&M. Non ci resta che aggregarci al conto alla rovescia per il 5 novembre ed ingannare l’ attesa lasciandoci coinvolgere, sin d’ ora, nell’ effervescente vortice della #HMBalmaination!

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Stasera, alle 20,30 presso la libreria Todo Modo di Firenze (in via dei Fossi, 15) avrà luogo la presentazione del libro Gucci. La vera storia di una dinastia di successo.  A discutere del volume, pubblicato per i tipi di Mondadori, saranno l’ autrice Patrizia Gucci insieme al vicesindaco di Firenze Cristina Giachi, l’ ex direttore de La Nazione Marcello Mancini e la Principessa Giorgiana Corsini, promotrice della manifestazione fiorentina Artigianato e Palazzo: una kermesse che – nata con l’ intento di valorizzare le eccellenze artigianali e gli antichi mestieri – rimanda a reminescenze dello storico passato della dinastia Gucci, quando a creare i primi articoli di pelletteria della neonata Maison erano gli abili artigiani fiorentini. Dei suggestivi episodi legati agli “inizi” e di una storia familiare che ha lasciato tracce indelebili nell’ excursus evolutivo dello stile italiano, Patrizia Gucci racconta in questa coinvolgente autobiografia che si propone di rivelare la “verità sulla sua famiglia”: pronipote di Guccio Gucci, che fondò l’ azienda a Firenze nel 1921, Patrizia -quarta generazione – è figlia di Yvonne Moschetto e di Paolo Gucci, scomparso a Londra nel 1995 e tra i “conduttori” dell’ impero familiare fino al 1982, quando lasciò la casa di moda dopo aver tentato l’ avventura in proprio. L’autrice, oggi al suo quinto libro e poliedricamente impegnata nelle attività di giornalista, designer, pittrice e organizzatrice culturale, ripercorre sul filo della memoria un periodo storico che scava a ritroso nel tempo con una ricca varietà di aneddoti e con spiccata partecipazione emotiva. A partire dal primo capitolo, che si apre con un toccante ritratto degli ultimi ricordi condivisi con il padre Paolo, il percorso autobiografico si snoda in un tracciato ad ampio spettro che esordisce con l’ incontro dei suoi genitori per rievocare via via sogni e genialità, gioie e dolori che hanno edificato il patrimonio umano, emotivo e caratteriale (oltre che materiale) della leggendaria famiglia dell’ “impero della doppia G”. L’ orgoglio del suo cognome va di pari passo con una malinconia sottile,  la consapevolezza dello scorrere inesorabile del tempo che tutto muta, trascinando con sè momenti e situazioni irripetibili. “Oggi Gucci è una multinazionale, ma con noi non c’entra più nulla. L’ ultima volta che sono entrata nel negozio, in incognito, nessuno mi ha riconosciuta, e la ferita nel mio cuore si è riaperta. “, afferma. Ma esiste un metodo impareggiabile per fissare il passato nel vortice del tempo: la scrittura, e Patrizia ne fa il suo prezioso strumento. Nel libro si avvicendano scene di vita familiare e imprenditoriale, aspirazioni e successi, la genesi di splendide creazioni che mandarono – e che mandano tuttora – in visibilio l’aristocrazia e il jet set internazionale: borse e modelli divenuti iconici e status symbol insostituibili, il cui prestigio si è perpretrato nel tempo. La figlia di Paolo Gucci entra in azienda negli anni Ottanta in qualità di PR e coordinatrice dell’ immagine del brand, per poi abbracciare l’ attività di designer con la quale si cimenta fino al 1992. Inizia poi una carriera in proprio e qualche anno dopo sperimenta quello che sarà il suo annus horribilis: nel 1995, infatti, oltre a perdere il padre e la dolce nonna Olwen, suo cugino Maurizio viene ucciso. Un fatto di cronaca che per qualche tempo offusca la patina glam legata al brand. Una ferita inferta alla dignità familiare che Patrizia, tramite il libro, decide fortemente di riscattare. Nel frattempo la Maison, affetta da contrasti interni, si avvia alla vendita approdando al gruppo Kering. Una conclusione traumatica ma tristemente inevitabile, sulla quale l’autrice riflette in una lettera diretta a François-Henry Pinault nelle ultime pagine del libro. Nel volume non manca un’ ampia serie di foto tratte dall’ archivio personale: ritratti in bianco e nero che evidenziano la bellezza e l’ eleganza innata dei Gucci, mamma Yvonne che sembra un’attrice e non sfigura accanto a star del calibro di Audrey Hepburn e Kim Novak, e poi, ancora, splendide testimonianze visive di clienti di sangue blu quali la Regina di Grecia affiancata dalle figlie Irene e Sofia .Oggi, nella miriade di borse della Maison denotate dalla più squisita ricercatezza di stile, Patrizia Gucci dichiara di amarne in modo viscerale una su tutte: uno zainetto datato anni ’60 che ha ritrovato casualmente in cantina. E’ lo zaino di suo padre Paolo, il cui nome è impresso sull’ etichetta: lo zaino vintage e “vissuto” che ha voluto per la foto di copertina del libro. A dimostrazione che l ‘iconicità di un oggetto possiede tante connotazioni quante sono le sfumature delle emozioni, dei ricordi, dei sentimenti che esso rievoca in noi.

Gucci. La vera storia di una dinastia di successo.

di Patrizia Gucci, 2015, p. 128,

ed. Mondadori

Il close-up della settimana

 

Il 2015 si conferma, per Giorgio Armani, un anno speciale: nominato Special Ambassador per la Moda di Expo Milano 2015, il designer che con American Gigolò saldò indissolubilmente il connubio iconico tra “Cinema” e “Moda” festeggia i 40 anni di attività con una serie di grandi eventi e iniziative. Lo scorso 30 Aprile è stata la volta dell’ inaugurazione di Armani Silos, multispazio espositivo allestito a Milano nei locali dell’ ex deposito di cereali di una multinazionale. Da qui, il nome Silos: 4500 mq di superficie e un investimento di circa 50 milioni di euro destinati alla creazione di una sorta di esposizione permanente che ospita, in una traiettoria d’effetto, 600 abiti e 200 accessori appartenenti alle collezioni Armani incluse in un arco di tempo compreso tra il 1980 ad oggi. “Così come il cibo, anche il vestire serve per vivere”, ha commentato il designer, che ha inaugurato il Silos con un party stellare ricco di superguest hollywoodiani ed altisonanti nomi dello show-biz – dalla Sophia nazionale a Cate Blanchett, Leonardo di Caprio e Tom Cruise, solo per citarne alcuni – preceduto da una sfilata della collezione Armani Privè nella celebre location dell’ Armani Teatro. Ma per il SilosRe Giorgio ha in serbo ulteriori iniziative: le ipotesi riguardano essenzialmente mostre artistiche esterne all’ universo Armani, selezionate in base all’ affinità con il mood della Maison – “Un progetto, per essere ospitato, deve essere vicino al mio spirito”, ha tenuto a precisare il designer piacentino – anche se, per il momento, il futuro relativo alla struttura rimane tutto da decidere e da organizzare. Quel che è certo è che, d’ ora in avanti, gli avventori del Silos potranno ammirare, in un percorso distribuito su quattro livelli, una lunga serie di capi iconici come le famose giacche ed outfit che spaziano da un’ eleganza essenziale ad uno stile iperfemminile, di ispirazione Oriente passando per la colonna portante del celebrato “greige”. Uno spazio espositivo destinato a rinnovarsi parzialmente ogni sei mesi, valorizzato da locali quali una conference rooom, una caffetteria, un archivio digitale, più uno special corner dedicato agli articoli da regalo. Ed è solo l’ inizio: in un prossimo futuro è prevista infatti la ristrutturazione dei rimanenti edifici dell’ ex plesso industriale che potranno fungere da ulteriori, innovative location.  Nel frattempo, il Silos si prepara a diventare uno dei principali poli d’attrazione della Milano creativa e del “fare,” candidato a convogliare nei suoi spazi – in tempi di Expo e non – un altissimo numero di visitatori. Non si tratta, tuttavia, dell’ unico dono che Giorgio Armani ha in serbo per i suoi estimatori: risale proprio a questi giorni, infatti, l’ annuncio della pubblicazione della sua autobiografia, che vedrà la luce a Settembre in occasione delle sfilate di Milano Moda Donna. Secondo le prime anticipazioni, il libro sarà edito da Rizzoli ed una foto di Re Giorgio da bambino farà bella mostra di sè in copertina. Quale modo migliore per celebrare “i suoi primi quarant’ anni” che dare alle stampe il racconto di un’ esistenza ormai assurta a simbolo, in parti uguali, di glamour e di operosità? A chi gli chiede come mai dal Silos siano escluse le collezioni d’esordio risalenti agli anni ’70, Armani risponde: “Avevamo pochi soldi, vendevamo tutto e non pensavamo certo di arrivare fin qui.” Eppure, “fin qui” è arrivato, portato dalle “idee e da un duro lavoro, con i piedi per terra.” Ed oggi, oltre ai suoi fan a celebrarlo è il Gotha Hollywoodiano che lo vuole, lo cerca, lo adora: un meritato riconoscimento per il talento innato e per aver rivoluzionato le coordinate dello stile: “La mia moda ha cambiato un po’ lo stile di tutti”, afferma, e sembra rispecchiare la sua nota pacatezza in un’eleganza  lineare, inconfondibile, scaturita da un mix di fantasia e sobrietà. Dopotutto, non si diventa “Re Giorgio” per nulla!

 

Armani Silos, a Milano in via Bergognone 40, è aperto di martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 11 alle 20. Il giovedì e il sabato, dalle 11 alle 22

(Photo by Lorenzo Bozzi via Wikipedia.it)

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E’ andato a Il sentiero dei nidi di ragno, l’ installazione realizzata da Segno Italiano in collaborazione con Antonio Marras, il Milano Design Award 2015. Il premio, alla sua quinta edizione, è sorto da un’ iniziativa di Elita Società Eventi insieme a La Repubblica, Future Concept Lab, IED, Casa Matera, Lovli.it e Fuorisalone.it e si propone di assegnare un riconoscimento alle più interessanti installazioni esposte durante il Fuorisalone; prevede inoltre l’aggiunta di quattro premi tematici e di una menzione speciale. Il sentiero dei nidi di ragno, giudicata “esemplare nella coerenza tra concetto ed esecuzione in un perfetto equilibrio tra poesia e matericità”, ha raccolto consensi unanimi per il suo forte impatto poetico. E a ragione: l’ opera, uno scenografico insieme di cesti e tessuti intrecciati a mano dagli artigiani sardi di Monteputzu, è un omaggio al sapere artigianale declinato in suggestiva creazione artistica. I cesti si tramutano in un tripudio di nidi sui quali gli uccelli volteggiano, dando vita a una spontanea “performance danzante” dal potente coinvolgimento emotivo. Realizzata nello showroom di Antonio Marras, l’ installazione rientra perfettamente nell’ operazione culturale portata avanti da Segno Italiano: “Vogliamo creare un sistema un po’ come slowfood“- ha dichiarato Alberto Nespoli in un’ intervista a Domus – “Individuando dei distretti, lavorando con l’ artigianato italiano e con le maestranze radicate da almeno un secolo”. Finalità del percorso creativo è “rimettere in moto produzioni ormai scomparse”, valorizzare l’ antica arte della manifattura. Un intento che si sovrappone alle motivazioni inerenti alla vincita di Segno Italiano del Design Award, e che risalta per immediatezza e comunicatività: “Questa installazione che rispolvera gli antichi saperi artigiani ha vinto per la sua forte carica comunicativa, perchè per capirla non ha bisogno di informazioni e spiegazioni, perchè è integrata nel contesto.”, ha commentato il caporedattore di La Repubblica e giurato del Premio Aurelio Magistà rimarcando, inoltre, la vittoria che sancisce l’ importante connubio tra moda e design e il valore dell’ italianità: “Marras è un marchio italiano e Segno Italiano va alla scoperta di saperi locali in via d’estinzione”, ha aggiunto. Dal connubio tra design e fashion è scaturita, tra le altre,  un’ ulteriore installazione: Mercado de Peloquemao di Marni, che si ispira al mercato di Bogotà in un mix multicolor di frutta esotica e prodotti artigianali realizzati dalle donne colombiane. L’ installazione ha vinto il premio Best Impact “per l’ impatto visivo del porogetto e il suo valore sociale.”. I rimanenti premi sono stati così distribuiti: Best Sound a Wonderglass della giapponese Nao Tamura, Best Tech a Construct me di Droog, Best Enterteinment a Lexus con A journey of the senses, mentre è stato Gamfratesi con Mind craft 15 ad aggiudicarsi la menzione speciale, “per lo straordinario impatto visivo generato da un progetto essenziale ma coraggioso, che dialoga in armonia con un contesto unico e suggestivo.”

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Da sempre in prima linea a favore della difesa degli animali, Elisabetta Franchi lancia un’ ennesima iniziativa rivolta agli amici a quattrozampe. Fedele al suo credo di animalista DOC, la designer bolognese bandisce rigorosamente le pellicce e materiali come l’ angora e le piume nelle proprie collezioni, proponendo uno stile animal friendly fondato su una serie di materie prime alternative. Un progetto, il suo, che si estende anche alla dailylife aziendale: negli headquarters del brand, infatti, si sono aperte le porte ai cani dei dipendenti che, usufruendo del progetto Dog Hospitality, hanno libero accesso al luogo di lavoro dei rispettivi proprietari. Proprio oggi, inserendosi tra i numerosisimi eventi ed usufruendo della risonanza mediatica garantita da Fuorisalone, la Franchi presenterà al pubblico la collezione Ef Loves Dogs, interamente dedicata al “migliore amico dell’ uomo”: una singolarissima capsule che, in un connubio di moda e design, include collarini, cappottini, guinzagli, trasportino e tutto il funzionale armamentario che caratterizza la vita quotidiana di un quattrozampe. Ef Loves Dogs conta su un contributo d’ eccezione, la partecipazione della fashion illustrator Megan Hess – nota illustratrice dei più prestigiosi luxury brand – che ha decorato i capi della linea con il suo inconfondibile tratto iconico e charmant. Stampa leit motiv della capsule, l’ immagine di una Elisabetta Franchi ritratta nel suo ufficio e circondata dal nutrito gruppo dei suoi dogs: riprodotta anche su cuscini e foulard, dona un tocco di raffinatezza ulteriore ad una collezione al tempo stesso elegante e sfiziosa. Connotati da uno stile Franchi nella quintessenza sono anche giochi da tavolo come la Dama, il Memory e le playing cards. Tutti i prodotti della linea sono sicuri candidati a must have irrinunciabili per ogni quattrozampe, ma esiste un motivo in più per acquistarli: il ricavato dalle vendite verrà infatti devoluto a favore di iniziative finalizzate alla tutela e alla difesa degli animali. Appuntamento dunque alle 18, presso la boutique Elisabetta Franchi di via Manzoni 37 a Milano. Gli articoli saranno acquistabili, a partire dalla giornata odierna, tramite il Digital store del marchio e nelle boutique monomarca di Milano, Firenze, Verona e Roma.

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“Che cosa vuoi, Vivian?”. chiedeva Edward. E Vivian, senza un attimo di esitazione: “Voglio la favola”. E favola è stata, se consideriamo che dopo 25 anni esatti dall’ uscita del film (debuttò nelle sale il 23 marzo del 1990) , Pretty woman è considerato ancora una delle commedie romantiche – forse “la” commedia romantica – che più fa sognare il pubblico femminile di ogni età. Come una favola, appunto: la favola nella quale Vivian Ward, prostituta caricata in macchina dal businessman miliardario Edward Lewis in Hollywood Boulevard, trova il suo riscatto sociale facendolo perdutamente innamorare. Dopotutto, come un passante esclama nelle battute conclusive del film, “Questa è Hollywood, terra dei Sogni: continuate a sognare!”: a Hollywood tutti i sogni (o quasi) diventano realtà e le favole, come quella di Edward e Vivian, hanno sempre un lieto fine. La pellicola che Gary Marshall girò nel 1989 – e che rese famosa Julia Roberts a livello planetario – festeggia dunque le sue nozze d’argento. Con un corredo di cifre da capogiro tutte da ricordare:  campione di incassi al botteghino, la commedia ha registrato i proventi da record di ben 463,4 milioni di dollari in tutto il mondo e 178 milioni di dollari nei soli Stati Uniti d’America. Concepito inizialmente come un film drammatico incentrato sui temi della tossicodipendenza e della prostituzione, Pretty Woman avrebbe dovuto essere girato a New York, ma poi evolvette in un soggetto brillante e come location furono scelte le assolate atmosfere della West Coast. Il primo ciak fu battuto a Los Angeles il 24 luglio 1989; le riprese si conclusero tre mesi dopo, il 18 ottobre, con un set dislocato tra Beverly Hills e all’ interno del leggendario Hotel Ambassador che fa da cornice alla settimana di ingaggio di Vivian come fittizia girlfriend del danaroso affarista. Curiosità e aneddoti sulla scelta dei protagonisti abbondano: si narra che la Touchstone Pictures (una divisione autonoma della Walt Disney Company) avesse puntato su Meg Ryan per il ruolo della prostituta, ma che l’attrice – così come una folta schiera di star hollywoodiane tra le quali figurano Daryl Hannah, Michelle Pfeiffer, Melanie Griffith, Molly Ringwald e Sandra Bullock – declinò l’ offerta considerando la parte “degradante” per il genere femminile. Per interpretare Edward furono contattati divi del calibro di Christopher Reeve, Sylvester Stallone, Al Pacino e Daniel Day Lewis prima che il ruolo venisse proposto a Richard Gere, non così propenso ad accettare. Pare che fu proprio una spumeggiante Roberts a convincerlo tramite un simpatico post-it, e come si suol dire…Quel che è bene, finisce bene. L’ accoppiata Julia Roberts-Richard Gere si rivelò vincente e perfettamente amalgamata:  lei, nei panni di una prostituta scarmigliata e dal sorriso a trentadue denti, vistosa e easy ma mai volgare. Lui, nella riuscitissima rappresentazione di un businessman dai nervi saldi, sì, ma dal cuore tutt’altro che di ghiaccio. E se scene come quella in cui i due protagonisti fanno shopping deluxe a Rodeo Drive o assistono a La Traviata sono rimaste indelebilmente impresse nell’ immaginario collettivo, anche la trasformazione di Vivian da flamboyante ragazza squillo in sofisticata Lady rappresenta una metamorfosi da manuale. Al ritmo di Oh, pretty woman di Roy Orbison, il leit motiv musicale che si snoda lungo tutta la pellicola intramezzato da brani quali It must have been love dei Roxette, Fame 90 di David Bowie e Show me your soul dei Red Hot Chili Peppers (solo per citarne alcuni), prende vita una improbabile storia d’amore inconfessata fino all’ ultimo, quando un ormai  innamoratissimo Edward sfreccia, sul moderno cavallo bianco di un’auto munita di autista, a riprendersi la sua Vivian nel pittoresco appartamento che condivide con l’ amica Kit (Laura San Giacomo). A dimostrazione che – smentendo le teorie di quest’ ultima – un lieto fine non sia possibile solo per “quella gran culo di Cenerentola“, ma anche per una (non) comune mortale come Vivian. E lieto fine fu anche per gli interpreti del film: prova ne sono la nomination all’ Oscar che Julia Roberts ricevette come Miglior Attrice Protagonista e il Golden Globe ottenuto per la sua prova di recitazione, mentre per Richard Gere Pretty Woman rappresentò la definitiva consacrazione. Oggi, le sempre numerose repliche decretano ancora il film uno dei più visti e graditi da ogni generazione: potere della favola o dell’ Hollywood dream, non si può che concludere con un deciso “E vissero tutti felici e contenti”.

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“Sono una persona alla moda, e la moda non riguarda solo gli abiti, ma ogni genere di cambiamento.”, ha affermato, e sulla vastità degli orizzonti culturali di Herr Lagerfeld non discutiamo. Eclettico, iconico, geniale, il couturier tedesco è stato omaggiato dalla sua Patria natale con una grande retrospettiva realizzata a Bonn, Modemethod, inaugurata il 27 marzo presso il Museumsmeile e visitabile fino al 13 settembre 2015.  L’ esposizione intende evidenziare, tramite una ricca documentazione che ripercorre dettagliatamente ogni traccia del suo percorso creativo, l’ importante ruolo nell’ evoluzione, nel cambiamento di prospettiva e nell’ innovazione dello stile del quale Lagerfeld è stato artefice oltre che sommo promotore. Curata da Lady Amanda Harlech, attraverso svariate sezioni la mostra offre testimonianza dei bozzetti, delle creazioni realizzate presso le Maison nelle quali si è snodata la lunga e prestigiosa traiettoria professionale del designer: Balmain, Patou, Chloe per arrivare a Chanel – dove ricopre il ruolo di Creative Director dal 1983 – e Fendi, con cui collabora da tempi remoti. Ma nell’ excursus ampio spazio viene ovviamente dedicato anche al suo brand omonimo e all’ inventiva, all’ audacia, alla continua sperimentazione creativa che unitamente alle originali intuizioni hanno contribuito a sviluppare e definire la sua inconfondibile cifra stilistica. Un’ estetica che prende le distanze da sterili virtuosismi per inserirsi in una vera e propria cultura di strada: non a caso, la sua concezione di moda è da sempre imbastita su un lemma del tutto personale, “La moda che non arriva nelle strade non è moda”. E su questo assioma, Herr Lagerfeld ha costruito un universo di bellezza che mai perde di vista il reale. Un universo che la retrospettiva di Bonn “racconta” evidenziandone accuratamente la magia e l’ incomparabile straordinarietà.

 

Modemethod, Karl Lagerfeld

Dal 27 Marzo al 13 Settembre 2015 presso il Museumsmeile di Bonn, Friedrich-Ebert-Allee 4

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I “rumours” sono stati confermati: si vociferava da tempo di un ritorno di Peter Dundas all’ Ufficio Stile di Roberto Cavalli, e nei giorni scorsi la notizia è stata ufficializzata. Dundas, dopo un’ esperienza durata sette anni alla Direzione Creativa di Emilio Pucci, riapproda dunque alla Maison fiorentina per la quale ha collaborato – tra il 2002 e il 2005 – nel team creativo. Il “debutto” da Cavalli, per il designer norvegese, è da considerarsi quindi una sorta di comeback: “E’ un onore ricevere l’ incarico di continuare nell’ evoluzione del fantastico, unico mondo Roberto Cavalli“, ha dichiarato al riguardo, aggiungendo: “Non vedo l’ora di cominciare.” I commenti altrettanto entusiasti di Roberto ed Eva Cavalli vengono avvalorati dalle notizie relative alla new entry di Dundas: la prima collezione firmata dal designer, al quale è stata affidata la responsabilità creativa delle linee Uomo, Donna e Accessori, verrà presentata a settembre durante la Milan Fashion Week. Dundas ricoprirà inoltre importanti incarichi nei settori Marketing e Communication del gruppo fiorentino.

 

 

In questi giorni, intanto, la Maison Pucci ha reso nota la nomina del nuovo Direttore Creativo: a sostituire Peter Dundas sarà Massimo Giorgetti. Il designer riminese – classe 1977 – non abbandonerà comunque le redini del proprio marchio MSGM, suddividendosi tra Milano e Firenze. Contraddistinto da stampe e colori vibranti, il suo universo stilistico possiede non pochi leit motiv in comune con lo storico brand fiorentino di proprietà del gruppo francese LVMH; l’ ingresso di Giorgetti in azienda è previsto per Aprile, mentre le sue creazioni debutteranno in passerella il prossimo Settembre. Per il neo Direttore Creativo Pucci nessuna dichiarazione ufficiale, ma immagini iconiche relative al nuovo, prestigioso progetto che si accinge ad affrontare postate su Instagram e Facebook.

 

 

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Dopo il gossip su una sua presunta liason con Leonardo Di Caprio (da lei però smentita) Rihanna torna a far parlar di sè per una nuova, entusiasmante tappa della sua carriera: la Maison Dior ha infatti scelto la pop singer originaria delle Barbados per il quarto cortometraggio della serie Secret Garden, che ha come sfondo la splendida Reggia di Versailles. Al video seguirà una campagna pubblicitaria scattata da Steven Klein. La notizia acquista ancora maggior rilievo considerando che con Rihanna, Dior lancia la sua prima campagna con una testimonial di colore: una svolta importante per un esordio d’ eccezione. ” Aver scelto una donna nera è geniale da parte loro”, ha commentato la popstar in un’ intervista a La Repubblica. Nei corti Secret Garden, famosi per le scene in cui magnifiche top corrono nella Residenza Reale francese indossando creazioni da sogno griffate Dior, è stata preceduta da modelle come Daria Strokus e Melissa Stasiuk. Un’altra statuaria bellezza entra dunque a far parte del “cast” stellare delle portavoce della Maison, che include dive del calibro di Charlize Theron, Natalie Portman, Marion Cotillard e Jennifer Lawrence. Ri-ri non è comunque nuova al ruolo di testimonial: ricordiamo le recenti collaborazioni con MAC Viva Glam e Balenciaga. E se la nuova campagna Dior che la vede protagonista non verrà lanciata che a Primavera inoltrata, Rihanna è nel frattempo intenta nella promozione di Home, cartoon in cui dà la voce alla dodicenne barbadiana Tip e canta alcune canzoni. Un turbine eclettico di impegni e sempre nuove sperimentazioni che rende la sua vita vorticosa, ma soddisfa in pieno le sue aspirazioni: “Mi piace poter essere creativa, nella musica, nel cinema, in qualunque cosa faccio”, ha dichiarato a La Stampa, Ed ora, il debutto da Dior che – ça va sans dire – la consacrerà definitivamente al ruolo di icona anche nel dorato mondo della Haute Couture.