Il close-up della settimana

 

Una notizia straordinaria, del tutto inaspettata, che ha riempito di gioia i suoi innumerevoli estimatori: Alessandro Michele è appena stato nominato direttore creativo di Valentino. Il ritorno dell’acclamato designer, il cui divorzio da Gucci risale al Novembre 2022, è fissato al 2 Aprile, mentre il suo debutto in passerella è previsto per il prossimo Settembre, durante le sfilate Primavera Estate 2025 della Paris Fashion Week. La curiosità è già alle stelle: che tipo di estetica imprimerà, Michele, alle creazioni della Maison fondata nel 1960 da Valentino Garavani? Sicuramente, la leggendaria casa di moda romana si accinge ad iniziare un nuovo capitolo della sua storia. E siamo in trepidante attesa di ammirare il connubio che scaturirà dall’eleganza e la bellezza mozzafiato dell’heritage di Valentino con la fantasia, le suggestioni oniriche e la magica creatività di Alessandro Michele. Tanto più che il designer, che al timone della Maison di piazza Mignanelli rimarrà nella sua amata Roma, si occuperà per la prima volta anche delle collezioni di Alta Moda. Michele ha espresso parole entusiastiche per il nuovo incarico alla direzione creativa di Valentino. “E’ per me un grandissimo onore essere accolto nella Maison Valentino“, scrive su Instagram. E prosegue: “Sento l’immensa gioia e l’enorme responsabilità nel fare ingresso in una Maison de Couture che ha inciso la parola “bellezza” in una storia collettiva fatta di ricercatezza ed estrema grazia. A questa storia va il mio primo pensiero: alla ricchezza del suo patrimonio culturale e simbolico, al senso di meraviglia che ha saputo costantemente generare, all’identità preziosissima che i suoi padri fondatori, Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti, le hanno donato con amore sfrenato.” La nomina del designer romano è avvenuta ad opera di Jacopo Venturini, AD di Valentino, che in un comunicato ha lodato il talento e la creatività di Alessandro Michele, dichiarandosi molto contento di tornare a collaborare con lui: Venturini e Michele, infatti, avevano già lavorato insieme nel periodo in cui lo stilista era alla guida creativa di Gucci. La Maison Valentino ad oggi appartiene al fondo del Qatar Mayoola for Investiments, ma nel Luglio del 2023 il gruppo Kering ne ha acquisito il 30%.

(Nella foto: Alessandro Michele alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2022)

 

Il close-up della settimana

 

La notizia ormai è ufficiale: il marchio Walter Albini, capostipite del prêt-à-porter italiano, sta per essere rilanciato in grande stile. La proprietà intellettuale e buona parte degli archivi del brand sono stati acquistati da Bidayat, la società d’investimento con base a Lugano fondata da Rachid Mohamed Rachid. Rachid, CEO del fondo del Qatar Mayhoola che ha già acquisito le maison Valentino e Balmain, è entusiasta dell’ operazione. Attualmente sta intrecciando collaborazioni con un gran numero di media, musei, curatori, gruppi editoriali  e professionisti del settore del lusso allo scopo di divulgare l’eredità di Walter Albini e riaffermare la potente iconicità delle sue creazioni. Prima che li acquistasse Bidayat, gli archivi di Albini (che abbracciano un periodo compreso tra il 1965 e il 1983) erano di proprietà di Barbara Curti: sua madre, Marisa Curti, è stata un’appassionata collezionista di tutto ciò che riguardava lo stilista sin da quando apparve sulle scene. Abiti con le leggendarie stampe signature del brand, gioielli, accessori, un’incredibile quantità di foto e di disegni costituiscono il materiale della raccolta, di cui Barbara Curti seguiterà a occuparsi nel ruolo di curatrice. Il primo step del progetto di rilancio è incentrato proprio su un accurato studio dell’ heritage, che fornirà degli elementi decisivi per il futuro del marchio. La sfida è a dir poco emozionante: stiamo parlando di una griffe che il suo fondatore (Walter Albini, appunto) rese unica e irripetibile; non è un caso che lo stesso Rachid Mohamed Rachid l’abbia definita “un gioiello nascosto della moda italiana”. Ripercorrere in molta sintesi il percorso di Walter Albini, a questo punto, mi sembra d’obbligo. Nato a Busto Arsizio nel 1941, comincia a fare schizzi delle sfilate di alta moda appena diciassettenne, mentre studia ancora all’ Istituto d’Arte. Invia i suoi disegni alle riviste, si suddivide tra Roma e Parigi dove svolge la sua attività; nella Ville Lumière conosce Coco Chanel e ne rimane estasiato. Esordisce come fashion designer con Krizia di Mariuccia Mandelli, lavorando a fianco di un giovanissimo Karl Lagerfeld. Da Krizia rimane tre anni, a cui seguono collaborazioni con svariate case di moda. Si afferma a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 sbalordendo per il suo spirito innovativo: nel 1970 lancia il total look e l’ “unimax”, outfit per uomo e donna accomunati dal taglio e dalla tonalità; nello stesso anno svela la collezione Anagrafe, che a otto spose vestite di lunghi abiti rosa contrappone otto vedove in minidress nero. Anna Piaggi conia il termine “stilista” appositamente per Albini, ma l’estroso visionario di Busto Arsizio, grazie alle sue intuizioni, si guadagna anche il titolo di “pioniere del prêt-à-porter italiano”: sfila a Milano anzichè a Firenze (la capitale storica della moda), propone uno stile perfetto per la vita quotidiana e distante dall’atmosfera ovattata degli atelier. Presenta la prima collezione firmata Walter Albini a Londra, nel 1973. E’ una collezione co-ed che lancia in parallelo a molte altre novità. Una su tutte? La proposta di due linee parallele, la prima destinata a un pubblico ristretto e la seconda alla grande diffusione. In Italia apre uno showroom a Milano e va a vivere a Venezia, dove organizza un’indimenticabile sfilata al Caffè Florian. Diventa un “personaggio”, il testimonial delle sue creazioni, arreda le case che possiede en pendant con le sue collezioni. Nel 1975, a Roma, debutta nell’ alta moda con una linea fortemente influenzata da Coco Chanel e dagli anni ’30, che insieme ai ’40 rappresentano il periodo storico a cui fa riferimento. Altri cardini del suo stile sono le suggestioni ethno (pregilige l’Asia, l’Africa, il Messico), l’ispirazione Fortuny, l’unisex, il total look, la grande attenzione per i dettagli e gli accessori. Albini viene considerato l’equivalente italiano di Halston e di Yves Saint-Laurent, ma sfortunatamente non vive a lungo: muore nel 1983, a soli 42 anni. In Italia, all’ epoca, esplode il prêt-à-porter, un settore che lui stesso ha promulgato: il ricordo del suo marchio, tuttavia, sbiadisce con l’inarrestabile avanzata del Made in Italy.

 

 

Oggi, Bidayat ci offre la splendida opportunità di riscoprirlo. “La vera sfida sarà trovare una squadra direttiva del giusto calibro per concretizzare la nostra visione e ambizione”, dichiara Rachid Mohamed Rachid. E gira voce, non a caso, che alla direzione creativa del “nuovo” Walter Albini potrebbe essere nominato nientepopodimeno che Alessandro Michele.

 

Immagine di copertina: Walter Albini

Foto di Alessandro Michele by Walterlan Papetti, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

Il close-up della settimana

(Foto di Riccardo Raspa)

Dopo mesi di previsioni e toto-nomi, il 28 Gennaio è arrivato l’annuncio ufficiale: il nuovo Direttore Creativo di Gucci sarà Sabato De Sarno. Il Gruppo Kering ha divulgato la news tramite il suo sito, dove si comunica che la prima collezione del designer sfilerà a Milano Moda Donna nel Settembre 2023. I pronostici che ipotizzavano l’ ingresso in Gucci di Jonathan Anderson o di Maria Grazia Chiuri, dunque, sono stati smentiti. Il designer che prenderà il posto di Alessandro Michele vanta un prestigioso background professionale, ma è un volto poco noto a chi non opera nel fashion business. Sabato De Sarno, originario di Napoli, ha debuttato nel 2005 in Prada per poi approdare da Dolce & Gabbana. Nel 2009 ha fatto il suo ingresso nella Maison Valentino, ricoprendo incarichi di sempre maggiore responsabilità. E’ lì che la carriera del designer ha subito una svolta decisiva: dopo la nomina a Fashion Director, De Sarno ha rivestito il ruolo di supervisore delle collezioni uomo e donna. Oggi, appena la sua nomina in Gucci diverrà effettiva, prenderà il timone dell’ Ufficio Stile e riporterà a Marco Bizzarri, Presidente e CEO della Maison. Il suo compito sarà quello di delineare la visione creativa per quanto riguarda le collezioni donna e uomo, gli accessori, il lifestyle e la pelletteria. “Sono profondamente onorato di assumere il ruolo di Direttore Creativo di Gucci“, ha dichiarato Sabato De Sarno. “Sono orgoglioso di entrare a far parte di una Maison con una storia e un patrimonio straordinari, che nel corso degli anni ha saputo accogliere e custodire valori in cui credo. Sono emozionato ed entusiasta di dare il mio contributo al brand attraverso la mia visione creativa”. Anche Marco Bizzarri ha speso parole entusiaste per la nomina di De Sarno: “Avendo lavorato in alcuni dei più affermati brand di moda italiani”, ha affermato il Presidente e CEO di Gucci, “Sabato porta con sé un’esperienza vasta e di rilievo. Sono certo che, grazie alla sua profonda comprensione e al suo apprezzamento per il patrimonio unico del nostro marchio, guiderà il team creativo con una visione distintiva che contribuirà a scrivere il prossimo capitolo di Gucci, rafforzando l’autorità della Maison nel campo della moda e capitalizzando il suo heritage indiscusso”. Il Presidente e CEO di Kering François-Henri Pinault si unisce al coro di encomi: “Con Sabato De Sarno alla guida creativa, siamo certi che la Maison continuerà a influenzare la moda e la cultura attraverso prodotti e collezioni altamente desiderabili e a contribuire con una prospettiva unica e contemporanea al lusso moderno”, ha commentato. La curiosità e l’interesse nei confronti della visione di De Sarno sono già salite alle stelle. Ce la faremo ad aspettare fino al prossimo Settembre?

 

 

Il close-up della settimana

Alessandro Michele eletto “Designer Internazionale” ai British Fashion Awards del 2015

La notizia è arrivata improvvisa, come un fulmine a ciel sereno, nella notte tra il 23 e il 24 Novembre: il sodalizio tra Gucci e Alessandro Michele si interrompe, sul rapporto che lega il designer alla Maison fiorentina cala il sipario definitivamente. I rumors si susseguivano da qualche giorno; poi, la conferma. In un lungo post su Instagram, Michele (che proprio oggi festeggia il suo 50simo compleanno) ha raccontato con parole poetiche e con grande sensibilità d’animo il suo divorzio dal marchio del gruppo Kering: “Oggi per me finisce uno straordinario viaggio, durato più di venti anni, dentro un’azienda a cui ho dedicato instancabilmente tutto il mio amore e la mia passione creativa. In questo lungo periodo Gucci è stata la mia casa, la mia famiglia di adozione. A questa famiglia allargata, a tutte le singole persone che l’hanno accudita e sostenuta, va il mio ringraziamento più sentito, il mio abbraccio più grande e commosso.”, scrive. E conclude con un augurio rivolto alla sua “famiglia di adozione”: “Che possiate continuare a nutrirvi dei vostri sogni, materia sottile e impalpabile che rende una vita degna di essere vissuta. Che possiate continuare a nutrirvi di immaginari poetici ed inclusivi, rimanendo fedeli ai vostri valori. Che possiate sempre vivere delle vostre passioni, sospinti dal vento della libertà.” Il post è stato subito sommerso dai commenti. Parole di stima, affetto e solidarietà nei confronti di Alessandro Michele sono arrivate dai VIP e dalla gente comune. Dal 2015, l’anno in cui il designer fu nominato direttore creativo del brand, Gucci è diventato un autentico marchio di culto e ha riscosso un boom di consensi a livello planetario. Michele ha rivoluzionato i codici dello storico marchio mantenendo ben saldo il legame con l’heritage, che ha rivisitato e inglobato nella sua visione: un’ode al gender fluid costellata di contaminazioni vintage ed esaltata dalla glorificazione in chiave eccentrica dello stile nerd. Il pubblico è rimasto conquistato da questo mix sin dalla prima sfilata.

 

Un look dal fashion show “Cosmogonie”, allestito lo scorso Maggio a Castel del Monte

Con il passar del tempo, dire “Gucci” e dire “Alessando Michele” è diventato un tutt’uno. Lo stilista romano, diplomato all’ Accademia di Costume e Moda e approdato in Gucci nel 2002, ha saputo conferire un’impronta inconfondibile all’estetica del marchio, che vanta una brand identity potentissima e “portabandiera” del calibro di Jared Leto, i Maneskin, Harry Styles e Achille Lauro. Grazie all’ intuito di Michele,  oggi Gucci è una griffe fortemente riconoscibile, desiderata, eclettica e molto imitata, ma soprattutto dall’ iconicità senza eguali. Negli ultimi sette anni, il successo che ha ottenuto è andato di pari passo con i suoi fatturati. Di recente, tuttavia, i report finanziari hanno evidenziato un rallentamento nella crescita del marchio rispetto all’andamento generale di Kering (che comprende brand come, tra gli altri, Saint Laurent, Balenciaga e Bottega Veneta). Il 23 Novembre scorso, il gruppo capeggiato da François-Henri Pinault ha rilasciato un comunicato in cui annuncia la dipartita da Gucci di Alessandro Michele. Il Presidente e CEO di Gucci Marco Bizzarri ha commentato la notizia ricordando il suo incontro con lo stilista nel 2014: “Da allora abbiamo avuto il piacere di lavorare fianco a fianco, mentre Gucci tracciava il suo percorso di successo”, e aggiungendo che lo ringrazia “per il suo impegno ventennale in Gucci e per la sua visione, dedizione e amore incondizionato per questa Maison unica, negli anni da direttore creativo.” François-Henri Pinault, Chairman e CEO del gruppo Kering, ha definito “unica” ed “eccezionale” la collaborazione tra Gucci e Alessandro Michele. “Sono grato ad Alessandro“, afferma inoltre, “per aver portato così tanto di sè in questa avventura. La sua passione, la sua immaginazione, il suo ingegno e la sua cultura hanno messo Gucci al centro della scena, al posto che merita. Gli auguro tutto il meglio per il prossimo capitolo del suo viaggio creativo. ” Ma perchè questo divorzio? Sono stati ipotizzati motivi come le divergenze stilistiche e il rallentamento di crescita nei fatturati; quel che è certo è che è difficile, molto difficile, pensare a Gucci come a un’ entità separata da Alessandro Michele: l’identità del marchio è talmente inscindibile dall’ immaginario del designer che l’ha forgiata da rendere a dir poco arduo, quasi inconcepibile, un cambio di guardia nella direzione creativa.

 

Foto di copertina: Walterlan Papetti, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons

 

Gucci Cosmogonie: nel cielo del magico Castel del Monte ha brillato una nuova costellazione

 

Dal glamour sfavillante dell’ Hollywood Boulevard di Los Angeles all’ esoterismo al chiar di luna di Castel del Monte, nel cuore delle Murge baresi: l’ immaginario di Alessandro Michele si nutre di mondi variegati e molteplici, di un caleidoscopio di idee che si riflette immancabilmente nelle location, evocative e meravigliose, delle sfilate Gucci. Il 16 Maggio scorso Cosmogonie, la nuova collezione seasonless e co-ed del brand, è andata in scena di fronte al maestoso maniero di Castel del Monte. Federico II di Svevia lo fece costruire nel 1240, e nel 1996 è stato dichiarato Patrimonio Mondiale dell’ Umanità dall’ UNESCO. Considerato una perla dell’ architettura medievale, il castello ha visto accrescere il suo fascino attraverso i secoli: la struttura massicia e perfettamente simmetrica risulta enigmatica, intrisa di suggestioni esoteriche. A partire dal numero otto, una vera e propria costante. Otto sono le torri che lo circondano, ognuna a base ottagonale; otto le sale distribuite su ciascuno dei due piani della fortezza. La stessa pianta dell’ edificio è ottagonale, come quella del suo cortile. Il numero ricorre nei bassorilievi, nei particolari scultorei, nelle decorazioni. Il significato è altamente simbolico, coniuga magia e misticismo: rappresenta l’ infinito, l’armonia cosmica, crea un trait d’union tra cielo e terra. Non è chiaro che funzione ricoprisse Castel del Monte ai tempi della sua edificazione, ma in molti concordano nel ritenerlo un tempio iniziatico, un osservatorio astronomico, un crocevia di saperi.

 

 

Il castello dello “Stupor Mundi” (così venne ribattezzato Federico II per la sua sapienza e per il grande risalto che conferì alle arti, alla scienza e alla cultura) ha rappresentato la location perfetta per lo show Cosmogonie, il cui nome è il plurale di cosmogonia: la dottrina, cioè, che studia l’origine dell’ universo e la formazione dei corpi celesti.  “Costellazioni”, non a caso, è la parola chiave associata all’ ispirazione della collezione. Si tratta di costellazioni metaforiche, aggregazioni di elementi distanti nello spazio e nel tempo che si riuniscono grazie a un’ epifania rivelatrice. Entità o atomi originariamente isolati, sparsi nel cosmo come astri, che le costellazioni connettono e fanno risplendere: è in questo contesto che si inseriscono le figure del filosofo e critico Walter Benjamin, suicidatosi nel 1940 mentre era in fuga dal Nazismo, e della politologa Hanna Arendt, che paragonò la collezione di citazioni di Benjamin a una raccolta di perle rare. Alessandro Michele omaggia il filosofo e la sua capacità di rinvenire legami tra cose e realtà apparentemente scollegate. Il direttore creativo di Gucci, con Cosmogonie, compie lo stesso tipo di percorso: crea costellazioni combinando epoche, stili, dettagli, accessori diversissimi tra loro. E’ un eclettismo denso di riferimenti, il suo, un pot-pourri creativo e filosofico a un tempo. Il red carpet ha inizio al tramonto, quando i flash dei fotografi illuminano un parterre di star internazionali: da Lana Del Rey a Dakota Johnson, da Lou Doillon a Emma Marrone, da Alessandro Borghi ai Maneskin. Nell’ istante in cui cala il crepuscolo, e Castel Del Monte si ammanta di una suggestività straordinaria, comincia la sfilata.

 

 

“Costellazioni” che agglomerano passato e presente, heritage e futuribili visioni sono il fulcro della collezione. Le silhouette citano gli anni ’30 e ’40, ma un tripudio di accessori, di forme e di dettagli ingloba riferimenti alle epoche e agli stili più disparati. Geometrie nei pattern (prevalgono le righe e i rombi) e nella struttura degli abiti rievocano l’ armonia architettonica del castello e non di rado originano ipnotiche fantasie optical. Cappelli a tesa maxi rimandano agli anni ’60, così come i cut out ricorrenti. Le spalle sono squadrate come nelle pellicole dei telefoni bianchi, paillettes e cristalli si riversano sugli abiti con lo stesso impeto di una cascata stellare. Minigonne e succinti minidress in pelle nera si alternano a look inneggianti allo chiffon e alle sue fluttuanti trasparenze. Il Medioevo di Federico II riemerge in una serie di evening dress in velluto, drappeggiatissimi, con lunghe maniche a sbuffo. La fake fur abbraccia volumi over, declinandosi di volta in volta in motivi optical dai potenti cromatismi o in un simil ermellino che plasma manicotti e mini mantelle rinascimentali. Ma a esaltare i look sono soprattutto i colli, delle autentiche chicche d’epoca: lunghissimi e a punta o gorgiere come ai tempi di Elisabetta I Tudor, rappresentano uno dei clou della collezione. Altri leitmotiv si rinvengono tra gli accessori, come gli opera gloves in lattice e gli altissimi cuissardes stringati. Fasce metalizzate in stile Hippie cingono la fronte, abbinandosi a vistosi orecchini pendenti o a miriadi di gioielli etnici che decorano il viso. Collane di perle si avvolgono attorno al collo ricoprendolo completamente. Occhiali da sole con la montatura in plastica, leggermente allungati verso le tempie, ricordano un modello cool degli anni ’80. Non passa inosservata l’iconica clutch jacquard estrapolata dagli archivi Gucci: appartenuta a Greta Garbo, è riapparsa durante un’ asta qualche tempo fa. Alessandro Michele ne è rimasto folgorato e, pensando al suo ritrovamento come a una “coincidenza cosmica”,  l’ ha annoverata tra i pezzi cult di Cosmogonie. La luna piena, ora, immerge Castel del Monte in un poetico chiarore. Il maniero di Federico II,  accarezzato da quei bagliori argentei, sprigiona pura magia. Per Michele, nella fortezza potrebbe essersi concentrata una sorta di Silicon Valley medievale. E se sul concepimento del misterioso castello si avvicendano teorie a tutt’oggi poco chiare, una cosa è certa: la notte del 16 Maggio, lambiti dai raggi lunari, gli abiti di Gucci hanno brillato più della luminosissima costellazione di Orione

 

Federico II di Svevia, detto lo “Stupor Mundi”

Foto di Castel del Monte, dall’ alto verso il basso: 1) Nessun autore leggibile automaticamente. Idéfix~commonswiki presunto (secondo quanto affermano i diritti d’autore)., CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, attraverso Wikimedia Commons. 2) e 3) Pixabay. 4) 09Alessandra, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons. 5) Sailko, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, attraverso Wikimedia Commons. 6) Marcok di it.wikipedia.org, CC BY-SA 2.5 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5>, attraverso Wikimedia Commons. 7) 09Alessandra, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, attraverso Wikimedia Commons. 8) Sailko, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, attraverso Wikimedia Commons

Gucci goes to Hollywood: a Los Angeles ha sfilato la Gucci Love Parade

 

Gucci goes to Hollywood: per la sfilata che inaugura il periodo della rinascita (e coincide, peraltro, con il centenario della Maison), Alessandro Michele ha scelto come location l’ Hollywood Boulevard di Los Angeles. Un curioso destino, ultimamente, sta instaurando un legame tra Gucci e il Cinema. Il 9 Novembre è stata presentata a Londra la première di “House of Gucci”, il film nel quale Ridley Scott ripercorre l’ omicidio di Maurizio Gucci (con una splendida Lady Gaga nei panni di Patrizia Reggiani), mentre Milano si prepara a lanciare la pellicola questo sabato. Il 2 Novembre scorso, invece, lo storico brand fiorentino è approdato nella capitale del Cinema per un fashion show dal titolo pregnante, “Gucci Love Parade”. Ad introdurlo, un red carpet di divi hollywoodiani, popstar e fashionista da mozzare il fiato. Impossibile citarli tutti. Basti dire che Gwyneth Paltrow ha sedotto il parterre indossando un iconico tailleur pantalone in velluto rosso griffato Gucci by Tom Ford, e che i Maneskin hanno brillato per la loro presenza conquistando definitivamente il Paese a stelle e strisce. La sfilata si è tenuta lungo la Walk of Fame, dove i marciapiedi esibiscono le celebri stelle con incisi i nomi delle star e il TCL Chinese Theatre si erge imponente: uno scenario che l’ ambientazione notturna ha reso ancora più magico, tra lo sfavillio di un tripudio di insegne al neon e le luci variopinte dei riflettori che inondavano l’ Hollywood Boulevard. Qui, il sogno di Alessandro Michele ha preso vita. “Sogno” perchè, innanzitutto, il designer romano desiderava realizzare da tempo un fashion show nella “Mecca del Cinema”; in secondo luogo, cos’altro è il Cinema se non un sogno, la sua trasposizione sul grande schermo? Un sogno che ha il potere di far sognare. Non da ultimo, per Michele il Cinema rappresenta un’ eredità genetica, una passione che gli scorre nel sangue. Sua madre, con un background di assistente in una casa di produzione, gli ha trasmesso la fascinazione per la settima arte (che definiva “fabbrica dei sogni”) sin da quando era piccolissimo. Ripartire da Hollywood, contando sulla fama planetaria che vanta Gucci, è stato naturale. Prima, durante e dopo la sfilata abbiamo potuto assistere al trionfo di uno dei più prestigiosi marchi del Made in Italy, amato al punto tale da essere diventato uno status symbol. Ad avanzare sul catwalk, data la location, c’erano anche celebrity del calibro di Jared Leto, Macalauy Culkin e Jodie Turner-Smith, moderne incarnazioni delle divinità dell’ Olimpo hollywoodiano: in nessun altro luogo se non a Los Angeles il Cinema incarna un universo mitologico, con le sue Muse ed i suoi Dei. Lo show Gucci Love Parade li ha calati in un contesto tra l’ umano e il leggendario; modelli e modelle hanno sfilato in strada, come comuni mortali, ma in un viale fuori dal comune quale l’ Hollywood Boulevard. E’ stato interessante notare la valenza simbolica della “strada”, scelta quasi per sottolineare lo sdoganamento di alcuni leitmotiv dell’ estetica di Alessandro Michele: uno su tutti il genderless (adottato dagli stessi Maneskin, volendo fare un esempio). E poi la libertà, la piena affermazione di sè senza ricorrere a stereotipi, l’ esibizione di un’eccentricità che della libertà diviene parte integrante ed espressione pura.

 

 

La strada rimanda alla quotidianità, alla vita di tutti giorni. Ciò che prima poteva sembrare impensabile, stravagante, addirittura provocatorio, entra a far parte della realtà concreta grazie all’ amore – da qui il titolo “Gucci Love Parade”. “L’ amor che move il sole e l’altre stelle”, come scriveva Dante, in questo caso è l’ amore per il prossimo e per se stessi. Ma va anche considerato che la strada dove la sfilata si svolge non è una strada come ce ne sono tante: è la Walk of Fame dell’ Hollywood Boulevard, il viale delle stelle, il “cammino della celebrità”. Lo straordinario nell’ ordinario. Il sogno, l’ immaginazione, la meraviglia, aleggiano nell’ aria lungo tutto il percorso. Calpestare quel suolo è come calcare un palcoscenico, un luogo sfavillante e onirico dove ognuno si tramuta in una star. O, per meglio dire, nel protagonista della sua vita ideale, in cui i desideri più reconditi si fanno reali e ci si esprime senza timore, lasciando a briglia sciolta la fantasia oltre che il proprio vero io. E’ così che lo stile Gucci si coniuga con svariati riferimenti all’ iconografia cinematografica americana: cappelli da cowboy, abiti alla “Gilda” con lunghe maniche in pizzo, pepli argentei asimmetrici e iper plissettati, teatrali evening dress plastificati e bordati di ruches in tulle, stole a miriadi e pellicce eco indossate sulla pelle nuda, look ispirati a Cleopatra cosparsi di decori serpentiformi non passano inosservati, per quanto riguarda il womenswear. Gli elementi fetish abbondano; si declinano in bustini in lattice (anche sovrapposti agli abiti), reggicalze neri come se piovesse, calotte con ornamento jewel munite di catenella… contrapponendosi ad una femminilità d’antan che alterna le paillettes a un’ apparente sobrietà: alle spalline squadratissime fanno da contrappeso lunghi abiti in pizzo, accompagnati dalla tiara, oppure vestiti con strascico da diva anni ’30 impreziositi da miriadi di lamè e di piume. Tra gli iconici accessori che completano i look, citerò il più ricorrente: gli occhiali da sole cat-eye adornati da tre file di strass nella parte superiore. Rievocano l’epoca di Marilyn, delle pin-up, donando un accento di seduttività sfiziosa alla strabiliante Love Parade firmata Gucci. “Questa è Hollywood, la terra dei sogni. Alcuni si realizzano, altri no, ma voi continuate a sognare”, recitava la frase che concludeva il film blockbuster “Pretty Woman”: e il sogno di Alessandro Michele, non c’è dubbio, si è pienamente realizzato. (clicca qui per ammirare i look al completo)

 

 

Gucci Aria, la collezione che celebra il 100simo del brand fiorentino

 

Gucci: compie 100 anni: è passato un secolo da quando Guccio Gucci, durante un’ esperienza lavorativa all’ Hotel Savoy di Londra, rimase talmente colpito dai lussuosi bagagli degli avventori da decidere di tornare a Firenze per aprire un negozio di guanti, valigie e articoli di pelletteria. Da allora, il marchio fiorentino è diventato uno dei più celebri al mondo e un’ icona indiscussa del Made in Italy. Alessandro Michele, l’ attuale direttore creativo del brand, ne ripercorre la storia in occasione di questo specialissimo anniversario: la collezione Autunno Inverno 2021/22, “Aria”, rappresenta un pregnante excursus sul percorso della Maison e sul suo heritage. Michele approfondisce svariate tappe, le più iconiche, associate all’ evoluzione di Gucci; il designer se ne appropria, le reinterpreta, le rielabora attraverso un mix and match denso di contaminazioni. La sua cifra eccentrica e inconfondibile funge da leitmotiv a look e a stili che rivisita senza un preciso ordine cronologico. E’ il concetto di “appeal” a governare questa rilettura, una sorta di indagine sulle suggestioni sprigionate da certi cult, su un’ estetica irresistibile che si è saldamente imposta nell’ immaginario collettivo. Alessandro Michele riflette sul centenario successo di Gucci e sui suoi “perchè”. Le risposte sorgono immediate: Gucci è un marchio che esercita un’ attrazione potente, un fascino quasi di tipo erotico sulle persone. Da queste considerazioni scaturiscono le rielaborazioni operate dal designer. Se dovessimo rintracciarne un fil rouge, potrebbe essere l’ iconicità: quella del passato e quella del futuro, declinata in capi, stampe, stili e accessori che hanno fatto la storia, e che continueranno a farla, in un moto inarrestabile. E’ un omaggio e un intento al tempo stesso, quello che Michele attua nei confronti di Gucci. L’ intento, concretizzatosi sin dal suo debutto alla direzione creativa, riguarda la prosecuzione del percorso che ha fatto proprio dell’iconicità uno dei punti di forza della Maison. “Aria” lo dimostra rivisitando ampiamente il tema equestre, supremo emblema dell’ heritage di Gucci, che acquista un tocco fetish (per riallacciarsi, forse, al concetto di “appeal erotico”) arricchito com’è da cinghie, frustini sadomaso, imbracature in pelle. Sui cappelli da fantino appare la scritta “Savoy Club”: un richiamo all’ Hotel Savoy, dove il brand fu “concepito”, che viene declinato in una location più squisitamente contemporanea.

 

 

I look di “Aria” sfilano in un tripudio di citazioni (anche inerenti alla cifra stilistica dello stesso Michele): piume di marabù, “luccicanza” a profusione, colletti appuntiti e inamidati, stampe iconiche come la Flora e la GG Supreme, bustier in bella vista, sensuali abiti in rete da cui traspare un’ altrettanto sensuale lingerie, e poi mantelle, capi cult di Balenciaga (uno su tutti? I leggins della Primavera Estate 2017) per celebrare il recente ingresso del brand nel gruppo Kering, il tailleur in velluto rosso con camicia sbottonata sfoggiato da Gwyneth Paltrow alcuni anni fa insieme ad ulteriori, numerosi tributi all’ estetica di Tom Ford rivisitati in stile Michele; risaltano, tra queste riletture, le spalline amplificate e i choker fetish con catena. La sartorialità è ricercatissima, la portabilità marcata; un cappotto doppiopetto color Blue Klein con cappello nella stessa nuance è uno dei look passe-partout per ogni occasione. Ma Gucci, oggi, è anche un marchio che ha nutrito la cultura pop, e proprio a questo si riferiscono le lyrics con cui lo omaggiano note hit impresse su una gran quantità di capi ed accessori.

 

 

Già, gli accessori. Ne spicca uno, una minaudière che riproduce un cuore anatomico completamente rivestito di cristalli, dalla forte valenza simbolica: sprigiona luce ed è simbolo di vita, di amore, di emozioni pulsanti. E’ un accessorio-feticcio che concentra in sè due emblemi fondamentali, la luce e, appunto, il cuore. Perchè grazie ad entrambi la mitologia di Gucci rinasce a nuova vita, instaurando un fil rouge tra la sua leggendaria fondazione, la luminosità dell’ oggi che perpetua la storia del brand, e l’ amore: il motivo conduttore che l’ha accompagnato, con successo, lungo il centenario percorso commemorato da “Aria”.

 

 

Per presentare la collezione, Alessandro Michele si è avvalso di un corto che ha co-diretto con la regista e fotografa Floria Sigismondi. La prima sequenza,  in esterno notte, evidenzia un tipico scenario metropolitano: ci troviamo all’ ingresso di un locale su cui lampeggia la scritta al neon “Savoy Club”. Uno dopo l’altro, i modelli e le modelle accedono al suo interno ed è lì che ha inizio la sfilata. La passerella è un lungo corridoio di un bianco abbagliante, pieno di vecchi strumenti di ripresa attaccati ai muri. I modelli si avvicendano, flash e obiettivi puntati addosso come su un red carpet, prima di raggiungere una dark room dove piombano nel buio per alcuni minuti. Poi qualcuno apre una porta, e…con meraviglia unanime, un sorprendente giardino incantato si para davanti ai loro occhi. E’ immerso nella natura e popolato da cavalli, pavoni, conigli, cacatua, tutti rigorosamente bianchi. Dal buio alla luce, allo splendore, alla rinascita. Nel giardino, la luminosità naturale del sole si sostituisce a quella artificiale del club. Spira una brezza che propaga serenità e leggerezza: una levità tale da spronare i modelli a saltare, a piroettare, a librare il proprio corpo nell’ aria fin quasi a spiccare il volo. Non sfuggono i riferimenti al periodo della pandemia, il desiderio di tornare a respirare dopo il lockdown, di intrecciare un nuovo rapporto con la natura. Di riscoprire l’ aria, la libertà, il valore delle relazioni. Non è un caso che il corto si concluda con il lancio verso il cielo della sfavillante minaudière a forma di cuore. In un tripudio di luce, il cuore galleggia nell’ aria prima di raggiungere il cosmo: possiamo immaginarlo mentre sovrasta le terre e i popoli del nostro pianeta veicolando il suo potente inno alla vita, all’ inclusività….all’ amore.

 

 

 

 

Milano Fashion Week: flash dalle collezioni AI 2021/22

 

Questa mattina raggiungiamo Milano, dove, iniziata il 23 Febbraio, tre giorni fa si è conclusa la Fashion Week. Rimane indelebile il ricordo di un anno fa, quando Armani e Biagiotti decisero di sfilare a porte chiuse per la repentina propagazione di un virus chiamato Covid-19; non saremmo mai riusciti a immaginare, allora, che nel 2021 il contagio avrebbe continuato a imperversare. Di conseguenza, come già a New York e a Londra, si è verificato un massiccio utilizzo del web da parte dei brand: video e filmati di sfilate senza pubblico hanno sostituito i classici défilé. Le presentazioni delle collezioni, diffuse on line dalla Camera Nazionale della Moda Italiana, sono visibili anche nei siti e nei social delle varie griffe. La Fashion Week è stata inaugurata con un omaggio a Beppe Modenese (il presidente onorario della CNMI venuto a mancare nel Novembre scorso) e con il lancio del progetto WE ARE MADE IN ITALY – The Fab Five Bridge Builders, ideato da Stella Jean, Michelle Francine Ngonmo e Edward Buchanan in sinergia con la Camera della Moda. L’ iniziativa, dal nome che è tutto un programma (“i cinque favolosi costruttori di ponti”), è sorta allo scopo di sottolineare l’ importanza della multiculturalità e ribadire il valore dell’ inclusione: designer di origine africana come Claudia Gisèle Ntsama di GISFAB, Joy ljeoma Meribe di MODAF DESIGNS, Karim Daoudi, Fabiola Manirakiza di FRIDA-KIZA (che i lettori di VALIUM già conoscono, clicca qui per leggere la sua intervista) e  Pape Mocodou Fall alias Mokodu di MOKODU hanno avuto l’ opportunità di svelare le proprie collezioni attraverso la piattaforma a loro dedicata. Tra i big che hanno preso parte alla Fashion Week Autunno Inverno 2021/22 spiccano i nomi di Brunello Cucinelli (al suo debutto in calendario), Prada, Fendi, Missoni, Armani, Blumarine, Etro, Salvatore Ferragamo, Antonio Marras, Dolce & Gabbana, Alberta Ferretti, Vivetta, Philosophy di Lorenzo Serafini, Tod’s, Moschino, Sportmax e Max Mara (che ha celebrato il suo 70simo anniversario). I grandi assenti sono stati invece Gucci, Bottega Veneta e Versace: ma mentre Alessandro Michele tiene fede al proposito di presentare in modo totalmente autonomo le sue collezioni, Donatella Versace ha già fissato la data del 5 Marzo per svelare le creazioni che ha dedicato alla stagione fredda. Passiamo ora alla selezione di VALIUM relativa alla Fashion Week meneghina.

 

ANTONIO MARRAS 1

Mitologia e storia, passato e presente si intrecciano nel poetico corto con cui Antonio Marras ha presentato la sua collezione. “Su Nuraxi”, questo il titolo del video (prodotto da Antonio e Patrizia Marras e realizzato in collaborazione con la Fondazione Sardegna Film Commission), è ambientato nella Reggia di Barumini, un complesso nuragico risalente al II millennio a.C. che l’Unesco ha inserito nella World Heritage List. In questo suggestivo luogo della Sardegna (uno Stonehenge isolano, come lo definisce Marras) si dice che vivesse la Regina Su Nuraxi, magnifica e sontuosa nelle vesti preziosamente ricamate che le Tanittas, le sue fatine, creavano per lei. Ed  era a Su Nuraxi che il popolo si rivolgeva, organizzando dei pellegrinaggi, nei momenti di difficoltà. Il corto, splendido sotto ogni punto di vista, mostra uno sciame di pellegrini giunti a Barumini affinchè la Regina li salvi da una pestilenza – il rimando all’odierna pandemia non è puramente casuale. Gli abiti combinano meravigliosamente la mitologia e il folklore sardi con la fantasia e i capisaldi dello stile di Antonio Marras: giacche da pastore rivisitate, mix and match di pattern e tessuti a contrasto (c’è anche il tartan), sovrapposizioni, biker jacket abbinati a lunghe gonne plissettate, pull in colori vividi e rose rampicanti ricamate ovunque. Il nero, il bianco e il grigio sono le nuance predominanti.

 

ANTONIO MARRAS 2

ANTONIO MARRAS 3

DOLCE & GABBANA

Dolce & Gabbana inaugurano un nuovo capitolo del loro percorso stilistico: “Next Chapter” è il significativo titolo di questa collezione. Il duo creativo si connette con la Z Generation, esplora a tutto campo l’era digitale appropriandosi dei suoi crismi e dei suoi input. Non dimentichiamo, infatti, che in tempi di Covid il web riveste un ruolo di primo piano. Sul catwalk, dove alcuni robot umanoidi sfilano insieme alle modelle, innovazione e tradizione si uniscono per compiere un viaggio nel futuro all’ insegna dell’ hi-tech. E’ un viaggio che non può prescindere dal citare gli iconici anni ’90 del brand (le scritte “90s” e “I love supermodel” sulle t-shirt lo dichiarano a chiare lettere), ma li alterna a silhouette e a materiali inediti: plastica biodegradabile, lana e cellophane intrecciati, raso rivestito di vernice per auto…Il mood è cyber, le forme (rimandi agli anni ’90 a parte, che mantengono la loro carica sensuale) sono amplificate, soprattutto quelle dei capispalla decisamente over. Risaltano piumini, fake fur e parka “spaziali”, dalle dimensioni enormi, passamontagna e velette sfrangiate “coprivolto” (dei link ad un presente pandemico che è già storia), pantaloni verniciati e iridescenti in tessuti mai visti prima. La palette cromatica, un tripudio di colori arcobaleno intervallati dall’ argento metal, lascia senza fiato.

 

DOLCE & GABBANA 2

DOLCE & GABBANA 3

MAX MARA 1

Max Mara, il brand fondato a Reggio Emilia da Achille Maramotti, celebra il suo 70mo anniversario. La collezione prende il nome dall’ anno di nascita del marchio, “1951”, ed è impregnata di un mood più che mai British. Permane l’ accento sui capispalla, il trademark della griffe, ma spira un’ aria nuova: foulard annodato sotto il mento e borsa a spalla, la donna pensata da Ian Griffiths sembra in procinto di trascorrere un weekend nel countryside. Indossa capi eleganti ma pratici, a volte con un tocco eccentrico. Lunghi cappotti in velluto trapuntato e con collo a scialle, oppure in morbida alpaca come le giacche, non di rado in versione sleeveless, sfilano accanto a bomber con pattern a doppio lama, all’ iconico Teddy Bear e al leggendario coat in cachemire cammello. Eterei jabot di chiffon spuntano dai giacconi multitasche, i capispalla a manica lunga si sovrappongono a quelli modello gilet e i maglioni, oversize, sfoggiano lavorazioni a punto Aran. I pull su cui campeggia la scritta “1951” sono intervallati da gonne e tailleur in tartan o tattersall a scacchi. La palette cromatica conquista avvalendosi di svariate nuance di beige e di verde (come lo smeraldo e il verde oliva) alternate al nero e all’ ocra.

 

MAX MARA 2

MAX MARA 3

VALENTINO 1

Valentino approda al Piccolo Teatro Giorgio Strehler di Milano, emblema della cultura che il virus ha silenziato drammaticamente, e fa sfilare una collezione co-ed dal titolo “Valentino Act Collection”: un gesto dalla valenza quasi “punk”, sicuramente drastico, quello di riaprire un teatro in piena emergenza sanitaria (anche se la sfilata si è svolta a porte chiuse), così come perentorio e netto può essere definito il cambio di rotta nello stile di Pierpaolo Piccioli. Due soli colori, il bianco e il nero, caratterizzano tutti i look. A fare da leitmotiv è una camicia bianca con un grande colletto a punta declinata nei più disparati modi. Le differenze di genere si annullano, gli orli si accorciano, la silhouette è dinamica, punk e romantica al tempo stesso – laddove questo aggettivo sta ad indicare la libera espressione di sè. Nel womenswear ricorrono delle meravigliose mini mantelle couture e gonnelline nere che arrivano a metà coscia. Queste ultime si abbinano, di volta in volta, con la camicia bianca di cui sopra e con blazer over, giacche squadrate, lunghi coat in rete o a losanghe in black and white. Le stesse losanghe riappaiono squarciate da tagli netti, come quelli che hanno reciso gli orli: un gesto che rimanda a Lucio Fontana e alla sua ricerca dimensionale. Anche i dolcevita sono a rete, spuntano dalla camicia bianca instaurando un’ armonia geometrica con il suo colletto triangolare. I miniabiti e le bluse vengono impreziositi da sofisticate pettorine in pizzo a contrasto con le linee shaped della collezione. I tacchi a spillo si alternano agli anfibi quasi a sottolineare il mood delle creazioni, che non tralascia la sensualità ma abbraccia il cambiamento senza incertezze.

 

VALENTINO 2

VALENTINO 3

ALBERTA FERRETTI 1

Avvolgente, decisa, ma anche glamour: la collezione di Alberta Ferretti esprime appieno il mood d’ oggigiorno. La voglia di protezione, cioè, coniugata con un fare deciso e volitivo, con il desiderio di ricominciare a vivere la notte e ad esibire abiti sfavillanti. La sfilata esordisce con una serie di look fluidi, dalle forme morbide e dai materiali che riscaldano e proteggono il corpo: giacche annodate in vita, dolcevita fascianti,  pantaloni comodi a cui si sovrappongono, non di rado, lunghe gonne plissettate. Cappotti, trench, mantelle, hanno volumi ampi e a volte si declinano in modelli a vestaglia per esaltare il concetto di comfort; le spalle sono squadrate o arrotondate, ma sempre importanti, come a sottolineare la forza interiore di colei che le sfoggia. La lana predomina e proprio dai maglioni in knitwear, a collo alto, fanno capolino i merletti-gorgiera della camicia sottostante: la femminilità non viene meno, ha solo variato il suo modo di esprimersi. Non scopre, copre con voluttà intrinseca. Ed esplode con audacia in outfit di chiusura all’ insegna dello scintillio e dello sfarzo. Pantaloni dorati con frange si alternano ad evening dress ricchi di ruches impalpabili, piume, paillettes e borchie color oro. Tra bagliori e tessuti eterei irrompe una allure seducente che il dramma pandemico, nonostante tutto, non sarà mai in grado di assopire.

 

ALBERTA FERRETTI  2

ALBERTA FERRETTI 3

PHILOSOPHY DI LORENZO SERAFINI 1

Ogni designer, tramite la propria collezione, si è focalizzato su un particolare aspetto dell’ emergenza sanitaria. Lorenzo Serafini ha acceso i riflettori sulla scuola ai tempi del Covid: molto spesso chiusa, vissuta in base alle norme del distanziamento, sostituita dalla didattica a distanza. A causa di ciò, evidenzia il designer, gli studenti cresceranno con dei ricordi “a metà” dell’ istituzione educativa per eccellenza e dell’ età più spensierata della nostra vita. Serafini sopperisce a tutto questo con creazioni che si ispirano ai tipici look di una High School americana: la P cubitale di Philosophy risalta sui pull in colori vivaci, sui cardigan scollati a V, sugli immancabili bomber, su giacche cromaticamente strong. Le illustrazioni dei libri di storia invadono gli abiti e i leggins, le gonnelline in stile pom pom girls sono all’ordine del giorno, le maniche a sbuffo cucite su spalline ampie rievocano l’ uniforme delle majorettes. Non mancano neppure i richiami alla divisa da baseball e al prom dress, quest’ ultimo in versione dark con collo alto e maniche a palloncino adornate di fitte ruches. I look sono completati da un baschetto e dagli anfibi neri: tocchi finali che accentuano la loro potente iconicità.

 

PHILOSOPHY DI LORENZO SERAFINI 2

PHILOSOPHY DI LORENZO SERAFINI 3

 

 

 

 

Goldie Red 25, l’icona dei Rouge à Lèvres griffati Gucci

 

Parlare di rossetto in tempi di mascherina obbligatoria?…Certo. E anzi, puntualizzo: di un rossetto di un bel rosso saturo e squillante. Per esorcizzare, appunto, l’ incubo del Covid ed augurarci che termini al più presto. Il lipstick che ho scelto, naturalmente, è un’icona dei rouges à lèvres: il suo nome è Goldie Red 25 ed è griffato Gucci. Che sia la nuance preferita di Alessandro Michele non stupisce. Si tratta di un rosso vibrante, vivace, che emana glamour a piene mani. Il “25” e la stella a cui si accompagna designano, rispettivamente, il numero fortunato del direttore creativo di Gucci e uno dei simboli- leitmotiv della Maison, due dettagli che lo rendono già di per sè un must have. E poi, Goldie Red 25 è un concentrato di preziosità a partire dal tubetto oro che lo custodisce. Ispirato al glam della Old Hollywood, coniuga una allure sgargiante con un finish soffice, vellutato, sofisticatamente matte. Il suo colore puro, enfatizzato da una formula che mixa un tripudio di pigmenti e cere gelificanti, si avvale di punti di forza quali una lunga tenuta e delle spiccate proprietà idratanti. Come tutti i lipstick Gucci, inoltre, Goldie Red 25 sprigiona un delicato sentore di violetta e di essenza fruttata.

 

 

Ogni particolare è rifinito con estrema cura. Il rossetto “più rosso” di Gucci nasce all’ insegna dell’ estetica vintage, degli anni in cui il lipstick rappresentava un autentico emblema di raffinatezza. Doveva essere bello da vedere, ornamentale, una sorta di oggetto da collezione. Per descrivere un capolavoro simile è stata pensata una campagna ad hoc: a firmarla è il regista Max Siedentopf, che ha scelto di ritrarre dieci personaggi diversissimi tra loro ma accomunati dall’ utilizzo di Goldie Red 25. Il rosso vivo che sfoggiano sulle labbra fa pendant con elementi tinti nell’ identica nuance, sia che si tratti di telefoni che di mele, di bottiglie di ketchup o di tubetti di bolle di sapone. A fare da sottofondo musicale ai cortometraggi sono dei jingles briosi, che omaggiano con refrain vagamente rétro la scoppiettante shade del lipstick Gucci, mentre i protagonisti si differenziano per etnia ed età. Ogni personaggio rimanda ai valori di inclusività di cui il brand è portatore, alla dote dell’ unicità contrapposta a quella, irrealistica, della perfezione. E’ in nome di questo principio che i cosiddetti “difetti” si tramutano in dettagli che inneggiano a una bellezza irripetibile e non scalfiscono la sicurezza di sè. Goldie Red 25 viene indossato con audacia da tutti i protagonisti della campagna; la stessa audacia ostentata dalle donne con le labbra dipinte di rosso  rimaste impresse, sin dall’ infanzia, nell’ immaginario di Alessandro Michele.

 

 

 

 

 

 

 

Vernis à Ongles: Gucci lancia una capsule di smalti che omaggia la Hollywood degli anni d’oro

 

La linea beauty di Gucci (la prima dell’ era di Alessandro Michele) sta viaggiando a pieno ritmo. Dopo l’ ampia e variegata collezione di rossetti, i prodotti per il trucco occhi (tra cui il mascara L’Obscur), la cipria e le terre effetto “viso baciato dal sole”, la Maison lancia una capsule di smalti: e ve lo dico subito, è di uno chic assoluto. Vernis à Ongles, così è stata battezzata, include cinque tonalità vibranti e perfette sia per l’ estate, che per la stagione fredda. Sono colori che stanno bene a tutte e si accordano con ogni carnagione e look. La loro lucentezza colpisce immediatamente, ma ancor prima si rimane conquistate dai flaconcini cilindrici di vetro degli smalti, eleganti e molto rétro. L’ ispirazione a cui attinge la capsule, non a caso, va a ritroso nel tempo. Rievoca la Hollywood degli anni d’oro e le sue dive, le sue pellicole più iconiche. Non è difficile immaginare i Vernis à Ongles schierati su uno di quei mobili toeletta davanti ai quali si truccavano le signore d’antan: ogni flaconcino sfoggia un tappo color cipria e il nome dello smalto è stampato su una sofisticata etichetta rettangolare nella stessa nuance.

 

 

Le caratteristiche di Vernis à Ongles lo rendono un prodotto altrettanto speciale. I toni vividi e il finish ultra lucente sono i suoi punti di forza, che la formula a lunga tenuta valorizza egregiamente. E’ sufficiente una sola passata di smalto per valutarne la coprenza: l’ unghia viene rivestita da uno strato di colore intenso, uniforme, che asciuga in tempi rapidi. La particolare forma del pennello permette una stesura ottimale e un risultato dal glamour potente. Passare il prodotto una seconda volta, oltre che assicurare una copertura impeccabile, accentua la profondità della nuance scelta. Parlando di colore, vediamo subito in quali tinte si declina Vernis à Ongles: 700 Crystal Black è un nero sofisticatissimo e versatile, 712 Melinda Green un verde brillante, 212 Annabel Rose un nude che vira vagamente al cipria, 504 Myra Crimson un seduttivo cremisi e 713 Dorothy Turquoise un turchese etereo e favoloso. Le cinque tonalità dei nuovi smalti Gucci non passano di certo inosservate; il mix di raffinatezza, vivacità e lucentezza che esibiscono sprigiona fascino in dosi massicce. Un fascino ad hoc per iniziare il mese di Settembre con stile…a cominciare dalle unghie.

 

700 Crystal Black

712 Melinda Green

 

212 Annabel Rose

504 Myra Crimson

 

713 Dorothy Turquoise