Il Focus

 

Il nero è sempre il nero, non c’è niente da fare. E dopo essersi associato alle suggestioni gotiche e “stregonesche” di Halloween, torna ad affascinare in versioni più minimal, ma rigorosamente sartoriali. Un esempio? Questo look di Luis Carvalho, il brand fondato 10 anni orsono dallo stilista omonimo. Carvalho, laureato in Fashion & Textile Design alla Scuola di Arti Applicate del Portogallo, è un giovane designer già premiatissimo nonostante i pochi anni di carriera alle spalle. Per la sua collezione Autunno Inverno 2023/24, “Touch”, si è ispirato all’ opera di Caroline Walls: guardando al corpo femminile, l’artista delinea grafismi fluidi e “in movimento” puntando su colori quali il nero, il grigio, il beige e le loro gradazioni.  Fortemente influenzata dal lavoro della pittrice australiana, “Touch” coniuga i suoi stilemi con i codici estetici del brand. La collezione, un’ode al genderless, inneggia a forme minimali ma morbide, prediligendo i volumi oversize. Il taglio impeccabile, talvolta asimmetrico, orientato alle sovrapposizioni, esalta tessuti e broccati di alta qualità; la palette cromatica privilegia il nero, il grigio, il bianco e i toni del beige con incursioni nel verde in Tartan style.

 

 

Il look che vi propongo, dal gusto vagamente anni ’60, viene arricchito da lunghi guanti decorati, gambaletti alla caviglia e una fascia per capelli: il tutto, declinato in total black. L’abito, dallo scollo a barchetta, ha maniche a tre quarti che cadono morbidamente sulle spalle; i volumi sono ampi, ma ristretti nel fondo; il tessuto spesso favorisce l’identificazione dell’ outfit con un capospalla. La fascia è l’accessorio per capelli più gettonato del momento: è stata avvistata persino alle sfilate dell’ Haute Couture (vedi alla voce Maison Schiaparelli). I guanti, con i loro decori, creano uno stiloso connubio tra lo chic e l’avantgarde. E i gambaletti? Cortissimi e indossati insieme ai sandali fanno tendenza, ma dato il freddo portato dal ciclone Cioran in questi giorni penso che sia lecito sostituirli con dei collant.

 

Le “good vibes” di Boteh, tra l’Australia e Ibiza

 

Di Boteh, brand di swimwear e resort wear fondato nel 2019 a Sydney da Amelia Mather, VALIUM ha già parlato diverse volte. Per saperne di più, ho deciso di dedicargli un approfondimento: è un marchio che nasce e cresce “sotto il sole”, con i piedi sprofondati nella sabbia o a contatto con la terra arsa dal calore estivo.  Il suo stile è inconfondibile, boho-hippie al punto tale da essere definito “nostalgico”; senza dubbio è evocativo, ricco di riferimenti che riportano a una cinquantina di anni orsono, ma risulta squisitamente contemporaneo. Il nome stesso della griffe rimanda a tutto un mondo e a tutta un’era: “boteh” è la traduzione in persiano di “Paisley”, il celebre motivo a goccia che spopolava tra i figli dei fiori. Non è un caso che le stampe e i pattern che ad esso si ispirano siano uno dei tratti distintivi del brand. Lo affiancano i valori dell’ artigianalità, della sostenibilità e dell’ attenzione per l’ambiente. Qualche esempio? Tessuti cellulosici al 100 per cento e naturali come il lino, il cotone, la viscosa e il cotone certificati, filati da ricamo riciclati o provenienti da merce invenduta, stampe digitali a ridotto impatto ambientale. E poi ci sono i colori, sempre vibranti, le forme danzanti e fluide, il mood che coniuga la vocazione tipicamente australiana per la beach life con la libertà, le good vibes, le suggestioni hippie che si respirano a Ibiza. Questo connubio si traduce in un mix di ampie maniche a sbuffo, bikini a triangolo, micro crop top, pantaloni palazzo, lunghe gonne cinte in vita da un elastico, abiti impalpabili e ricamati, slip culotte, bluse morbide, costumi monopezzo ornati di fitte stampe…Su tutto aleggia un gusto ethno-esotico, decorazioni e linee intrise di un profondo sapore orientale. Proprio come all’ epoca del Flower Power. Il motto di Boteh, in tal senso, è significativo: riverire il passato, assaporare il presente e cercare il futuro. Un concetto che sulla sua rielaborazione del tempo fonda un’estetica che lo trascende, va oltre le tendenze e si fa imperitura.

 

Omaggio ad Arthur Rackham, illustratore di fiabe ma non solo

 

“Fabula Docet”

(Esopo)

 

Le illustrazioni delle fiabe hanno un ruolo importantissimo: aggiungono pathos e coinvolgimento a un genere altamente evocativo già di per sè. Prova ne è il fatto che quasi mai, neppure dopo anni, riusciamo a dimenticare le immagini associate alle fiabe della nostra infanzia. Ricordiamo con esattezza il libro da cui erano tratte, la copertina, i disegni che accompagnavano il testo. E insieme a tutto questo, lo stile dell’ illustratore. Perchè – fateci caso – non esistono due disegnatori che abbiano un tratto simile; ognuno vanta caratteristiche del tutto proprie e inconfondibili. Partendo da un simile presupposto, viene spontaneo approfondire l’ iconografia fiabesca di un’epoca in cui l’ interesse per il racconto fantastico (sia a livello filologico che simbolico, morale e artistico) raggiunse il suo culmine: l’età vittoriana. A quei tempi, Arthur Rackham si affermò come nome di punta dell’ illustrazione. Nato nel quartiere londinese di Lambeth nel 1867, Rackham crebbe in una casa di fronte al giardino botanico creato da John Tradescant il Vecchio e il Giovane due secoli prima: uno scenario ideale per il piccolo Arthur, che eccellendo nel disegno si dilettava a riprodurre i dettagli del corpo umano e i reperti esposti al British Museum e al Museo di Storia Naturale di Londra. Nel frattempo si era iscritto alla City of London School, dove i suoi elaborati artistici gli valsero svariati premi. Ma a scuola non rimase a lungo. A 16 anni fu costretto ad abbandonarla in seguito a dei problemi di salute, e decise di imbarcarsi per l’ Australia insieme alle sue zie.  Durante il viaggio non fece altro che disegnare, adorava immortalare tutto ciò che lo colpiva della realtà circostante. Tornato a Londra, all’ età di 18 anni pensò di ripetere l’ esperienza scolastica: iniziò a frequentare la Lambeth School of Art e, parallelamente, a lavorare come addetto alle vendite. Il suo talento per il disegno, in quel periodo, gli fruttò le prime collaborazioni nel campo dell’ illustrazione. Debuttò nelle vesti di freelance, e dopo un anno fu assunto dal Westminster Budget nel doppio ruolo di giornalista e illustratore. Era il 1892. Nel 1893 uscì “To the Other Side” di Thomas Rhodes, il primo libro che conteneva le sue immagini, mentre nel 1894 i lavori di Rackham apparvero in “The Dolly Dialogues” e “The Prisoner of Zenda” di Anthony Hope.

 

 

L’ attività di Arthur Rackham si svolse sempre all’ insegna dell’ eclettismo: oltre alle fiabe, illustrò romanzi per adulti e per ragazzi. Le sue opere, citando qualche titolo esemplificativo, impreziosiscono libri come “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll, “Canto di Natale” di Charles Dickens, “Peter Pan nei Giardini di Kensington” di James Barrie, raccolte di fiabe di Esopo, di Hans Christian Andersen e dei Fratelli Grimm, ma anche volumi immaginifici del calibro di “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, “Sigfrido e il crepuscolo degli dei” di Richard Wagner, “Il re del fiume dorato” di John Ruskin, “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare. Solo la morte, sopravvenuta nel 1939 a causa di un male incurabile, interruppe la carriera di Rackham, che venne più volte omaggiato con premi e mostre (tra i quali ricordiamo una medaglia d’oro all’ Esposizione Internazionale di Milano del 1906 e un’ esposizione al Museo del Louvre nel 1914). Lo stile del grande illustratore rimane inimitabile: l’ impronta dell’ Art Nouveau è palese, accentuata da atmosfere oniriche ad alto tasso di magnetismo. Il colore riveste una funzione predominante, evoca e suggerisce, si sfuma in magici giochi cromatici o esalta dettagli conferendo loro un impatto visivo straordinario. Scenari, cose e personaggi sono tratteggiati con linee di contorno accuratissime, la fantasia che impregna le illustrazioni stimola potentemente l’ immaginazione del lettore. Tra gli artisti che ispirarono Rackham figurano nomi quali quello di John Tenniel, Aubrey Beardsley e Albrecht Durer. Il successo ottenuto dal disegnatore fu tale da sedurre persino la Disney, che assurse il suo stile a punto di riferimento quando, nel 1937, realizzò il film d’animazione “Biancaneve e i sette nani”.

 

New York Fashion Week: flash dalle sfilate delle collezioni PE 2021

1.TOM FORD

Sono molti, negli Stati Uniti, i brand che hanno rinunciato a proporre una collezione Primavera Estate 2021. La pandemia di Covid infuria, e anche se nella Grande Mela i contagi, al momento, sono più contenuti, alla New York Fashion Week svariate label hanno preferito divulgare le loro creazioni in versione digital  attraverso la piattaforma Runway360 del CFDA (Council of Fashion Designers of America). In tantissimi hanno optato per la modalità “lookbook”, evitando il défilé in passerella via video: tra questi, TOM FORD. Il Presidente del CFDA, che come tutti ha ideato la propria collezione in quarantena, guarda al passato e, al tempo stesso, a un futuro sgargiante e audace, intriso di positività nonostante il duro periodo attuale. Ford si ispira agli anni ’70 di Antonio Lòpez, al glamour delle sue illustrazioni, inneggia ad una donna sfrontatamente sensuale ma sempre sorridente e super grintosa. I look evidenziano stampe sgargianti: floreali, tigrate, zebrate, spesso fuse in un mix & match sorprendente e mai sopra le righe. I minishort troneggiano, abbinati alla giacca e al foulard, le camicie sono sbottonatissime, i pantaloni, lucidi e morbidi, ostentano una cintura con il logo del brand. Il monocolor ricorre in tonalità eleganti quali il viola, il fucsia, l’azzurro polvere, ma fa la sua comparsa anche il tie-dyed. Lo ritroviamo soprattutto sui caftani ampi e spettacolari, con lunghe frange, che rappresentano i pezzi forti – e sicuramente i più iconici – della collezione.

 

2.TOM FORD

3.TOM FORD

1.CAROLINA HERRERA

Wes Gordon, pur rimanendo fedele allo scenografico heritage di CAROLINA HERRERA, impregna questa collezione di freschezza in dosi massicce. Lo chic è al primo posto come sempre, ma privo di indizi “ladylike”: piuttosto, acquista una allure vagamente anni ’60 e si ispira alla Mia Farrow di “Rosemary’s Baby”. Accanto agli splendidi abiti da sera con maniche a sbuffo risalta una serie di minidress dalla linea ad A, essenziali o impreziositi da volants e grandi fiocchi, ma anche stretti in vita e, come nel caso di un abitino in tulle color baby pink, adornati da un vistoso “ventaglio” asimmetrico (sempre in tulle) che dalla spalla scende sul fianco. I pantaloni sono ampi, dritti e a vita alta, le silhouette alternano linee fascianti e minimali ad altre più fluttuanti e svasate nel fondo. Una camicia bianca con maniche a sbuffo abbinata a una miniskirt nera costituisce l’ apice del “dégagé”; agli antipodi, l’ abito a sirena in total black, ornato da una sfilza di fiocchi frontali, che ostenta un’ eleganza da diva. Ogni outfit viene indossato con scarpe rasoterra, siano esse  francesine o Mary Jane, il che contribuisce a donare brio all’ insieme. La palette cromatica abbandona il color block delle scorse stagioni optando per il bianco, il nero, un pallidissimo rosa e un beige altrettanto tenue, mentre le stampe si declinano in minipois e fantasie floreali.

 

2.CAROLINA HERRERA

3.CAROLINA HERRERA

1.KA WA KEY

Il brand del duo formato dai designer Ka Wa Key Chow e Jarno Leppanen ha proposto la sua collezione, “There’ s no place like home”, tramite un corto diretto da Fabrizio Eramo. L’ ispirazione prende vita dai luoghi, o meglio dalle tre città, che per KA WA KEY incarnano il concetto di “casa” – Hong Kong, Londra e la Finlandia – ed elabora l’idea iniziale alla luce dell’ attuale emergenza pandemica. I look si concentrano sulla nozione di comfort utilizzando tessuti morbidi, prevalentemente tinti in degradé di colore, e sovrapponendo i capi di frequente. La gonna svolazzante, anche in versione a salopette, fa da leitmotiv; la affiancano pantaloni comodi in lana a coste o pratici bermuda, mentre tra i top predominano i pull a dolcevita. Nonostante il tema della collezione sia incentrato sulla casa, il video di Fabrizio Eramo presenta le creazioni in un’ ambientazione outdoor: i modelli si muovono in mezzo alla natura, su un prato con una fitta vegetazione a far da sfondo e sotto un cielo striato di nuvole rosa. Il tutto rimanda ai valori eco-sostenibili del brand e crea un voluto contrasto tra l’idea di casa come spazio chiuso e la sua accezione più ampia di “territorio”, località, paesaggio dell’ anima. Non c’è traccia di restrizioni, nello stile di Ka Wa Key: “comodità” fa sempre rima con “libertà”.

 

2.KA WA KEY

3.KA WA KEY

1.ZIMMERMANN

Per Nicky Zimmermann “casa” vuol dire “Australia”, e la sua collezione “Wild Botanica” si ispira proprio alla magnificenza della flora e della fauna del Nuovissimo Continente. Il romanticismo, la femminilità che contraddistinguono le creazioni di ZIMMERMANN si arricchiscono quindi di un nuovo elemento, che tramuta la bellezza naturale in motivo decorativo tramite applicazioni e stampe: un tripudio di petali in 3D adorna colli e polsini, oppure invade gli abiti con un effetto visivo che rende i fiori simili a migliaia di ali di farfalla. Le stampe riproducono tutte le specie floreali, accostandole in una sorta di patchwork acquarellato che esalta la presenza di coloratissimi pappagalli esotici. Le nuance, di conseguenza, si moltiplicano pur rimanendo sempre molto “discrete”, eleganti, appena più vivide delle tonalità pastello. L’ abito lungo, ondeggiante e dotato di maniche a sbuffo (ormai un capo trademark della designer australiana) spadroneggia anche in versione mini, ma si alterna a molti altri modelli: con balze palloncino, scampanato e stretto in vita, dalla linea affusolata e in total crochet. Proliferano poi i look composti da crop top e gonna fluttuante, mentre tra i pantaloni risaltano i flares stampati a fiori e pappagalli proprio come la jumpsuit abbinata a una paglietta in stile anni ’20.

 

2.ZIMMERMANN

3. ZIMMERMANN

 

 

 

 

Arriva la Luna di Fragola

 

Non c’è che dire: la natura è sempre pronta a meravigliarci. E tra neppure una settimana ci offrirà uno spettacolo che, senza dubbio, custodiremo tra i ricordi più indelebili. Annotatevi la data del 5 Giugno, perchè quella sera vedere la Luna di Fragola sarà un must. L’ evento, attesissimo, è talmente eccezionale che Astronomitaly ha deciso di trasmetterlo in streaming su Facebook e su YouTube affinchè tutti gli italiani possano assistervi, e non stupisce: l’ ultimo plenilunio di Primavera, per una serie di fattori collegati alla rotazione terrestre, ci mostrerà una luna magicamente tinta di rosa. Negli Stati Uniti la chiamano “Luna di Fragola” perchè appare tra Maggio e Giugno, quando le fragole raggiungono l’apice della fioritura, mentre in Europa è più nota con l’appellativo di “Luna di Miele” o “Luna delle Rose”, in quanto coincide con i periodi associati, rispettivamente, alla celebrazione dei matrimoni e allo sboccio della “regina dei fiori”. Qualunque sia il suo nome, si tratta di un fenomeno astronomico di immensa suggestività. Il 5 Giugno, a partire dalle 19, si verificherà un’ eclissi penombrale di luna: la luna verrà occultata dalla terra, che la inghiottirà nel suo cono di penombra, e comincerà a tingersi di un’ incredibile gradazione di rosa. Quando l’ astro riemergerà dall’ oscurità, sorprenderà tutti con il suo splendido colore. Sarà possibile ammirarlo dall’ Europa, dall’ Asia, dall’ Africa e dall’ Australia, mentre in America non risulterà distinguibile.

 

 

Ma l’ evento della Luna di Fragola non sarà l’unico che il cosmo ci regalerà a breve: dal 2 Giugno, infatti, e fino al 10 dello stesso mese, resteremo ammaliati dalla cascata di stelle cadenti delle Arietidi, generate dai residui della cometa 1566 Icarus. Il fenomeno, in realtà, è già iniziato alla fine di Maggio, ma tra pochi giorni sarà pienamente visibile. Siete pronti a lasciarvi travolgere da questi sbalorditivi show siderali?

 

 

 

 

New Icons: Adut Akech Bior

Adut per Valentino Haute Couture, AI 2019/20

In Italia l’ abbiamo conosciuta meglio grazie allo spot di Born in Roma, la nuova fragranza di Valentino (rileggi qui il post che VALIUM le ha dedicato), dove sfreccia in moto ad una festa indossando uno splendido abito da sera: è difficile che qualcuno sia rimasto immune al fascino esotico di Adut Akech Bior, più conosciuta come Adut Akech, e che non voglia saperne di più su una modella che ha scalato le vette del fashion system in soli due anni di carriera. Se il suo vi sembra un volto familiare, non stupisce. Sappiate che dal 2017 sfila e posa per le Maison più altisonanti del pianeta: basta dire che il suo debutto internazionale in passerella è avvenuto a Parigi quell’ anno stesso, con un brand del calibro di  Saint Laurent. Nel 2018, lanciatissima, Adut è stata scelta da Karl Lagerfeld in persona per esibirsi in look nuziale al défilé AI 2018/19 di Chanel Haute Couture, un onore che prima di lei spettò solo a un’ altra mannequin di colore (Alek Wek). Ma la vita di Adut Akech non è sempre stata votata al glamour. Sembra una fiaba a lieto fine, certo, però è iniziata in un modo ben diverso. Ripercorrendo l’iter esistenziale della musa di Pierpaolo Piccioli, scopriamo che nasce il 25 Dicembre 1999 nel Sudan del sud e che cresce in Kenya, in un campo profughi. Quando Adut ha 8 anni  la sua famiglia decide di chiedere asilo in Australia, ad Adelaide. Parlando solo Swahili e Dinka, la futura top deve innanzitutto iscriversi ad una scuola di inglese, che frequenta insieme a bambini provenienti da ogni parte del mondo. Degli anni seguenti ricorda il bullismo subito per i suoi incisivi distanziati e per la sua altezza, ma è un bullismo non destinato a durare a lungo: a 13 anni Adut già sfila in passerella, la prima volta per il fashion show di sua zia e successivamente alla Melbourne Fashion Week. E’ proprio allora che decide di diventare modella e si iscrive ad una fashion agency. Il resto, è storia. Sedicenne, vola a Parigi convocata da Saint Laurent, che la scrittura in esclusiva per tre stagioni. Un debutto ai défilé grande stile, il suo, subito seguito da un fioccare di occasioni irripetibili: oltre a Chanel, griffe come Fendi, Valentino, Alexander McQueen, Givenchy, Prada, Miu Miu, Tom Ford, Bottega Veneta, Lanvin, Off-White, Calvin Klein, Burberry, Simone Rocha, Giambattista Valli e Versace (per citarne solo alcune) se la contendono, le campagne pubblicitarie di cui è protagonista sono sempre più numerose. Qualche esempio? Saint Laurent, Valentino, Moschino, Fendi, Zara, Bottega Veneta la scelgono come testimonial ripetutamente, consacrando la fama che nel 2018 Adut ha consolidato posando per il calendario Pirelli scattato da Tim Walker che la immortala,tra le altre, accanto a Whoopi Goldberg e a Naomi Campbell. Nello stesso anno, la top sudanese viene eletta “Model of the Year” da Models.com, mentre, sin dagli esordi, la sua carriera acquista ulteriore impulso grazie ai prestigiosi fashion magazine che la vogliono in copertina: svariate edizioni internazionali di Vogue ma anche I-D, Numéro, Elle, L’Officiel e moltissimi altri ancora.

 

Adv Valentino Born in Roma eau de parfum

Oggi, Adut Akech è richiestissima. Impossibile non ricordarla sul catwalk della collezione Primavera Estate 2019 di Valentino Haute Couture, una sfilata che ha chiamato a raccolta la “crème” delle modelle black per abbattere la discriminazione razziale a colpi di eleganza sopraffina: la prima immagine che viene in mente di lei è come una visione. Adut indossa uno spettacolare abito color corallo che la avvolge, dalla vita in su compreso il capo, in un tripudio di rose di satin. Il suo volto ebano, in quella cornice, risalta al pari di una pietra preziosa. E se il suo “black pride” non passa inosservato (recentemente si è scagliata contro Who Magazine, che in un articolo a lei dedicato aveva pubblicato la foto di un’altra modella di colore, definendo quell’ errore “inaccettabile e ingiustificabile”), è noto l’impegno della top nei confronti dei rifugiati. A questo scopo collabora con le Nazioni Unite e si prodiga per una maggiore comprensione della loro condizione. Esempio vivente del potere dei sogni, role model con fierezza, Adut incoraggia il prossimo a credere in se stesso, a realizzare obiettivi e aspirazioni. Ce l’ha fatta lei, dopotutto, proveniente da un contesto non certo fertile: il che è indicativo della sua tempra. Il sostegno dei rifugiati la coinvolge  a pieno titolo. Perchè Adut Akech, nonostante la fama e la ricchezza, sarà sempre una rifugiata nel profondo, come ha dichiarato a Marie Claire USA. Una rifugiata che ha combattuto con tutte le sue forze per cambiare il corso del proprio destino.

 

Adut per Versace, AI 2019/20

Adut per Max Mara, AI 2019/20

Adut per Alexander McQueen, AI 2019/20

David Jones Beauty Campaign

Adut per Moschino, PE 2020

Adv Missoni AI 2019/20 by Mert & Marcus

Adut per Marc Jacobs, AI 2019/20

Adut per Saint Laurent, AI 2019/20

Adv Bottega Veneta PE 2019 by Tyrone Lebon

Adut per Valentino Haute Couture, PE 2019

Adut per Victoria Beckham, PE 2020

Adut per Etro, AI 2019/20

Chanel Pre-Fall AI 2018, foto by Karl Lagerfeld

Adut per Versace, AI 2018/19

Adv H&M AI 2019/20

Adut per Marni, AI 2019/20

Adut per Miu Miu, AI 2019/20

Adut per Fendi, PE 2020

Adv Americana Manhasset, AI 2018/19

Adut per Tom Ford, AI 2018/19

Adv Moschino PE 2018 by Steven Meisel

Adut per Chanel Haute Couture, AI 2018/19

Adut per Valentino TKY, Pre-Fall 2019

Adv Coach PE 2019 by Craig McDean

Adut per Saint Laurent, PE 2019