8 Marzo

 

” (…) si può dire ancora che vi siano delle ‘donne’? Certo la teoria dell’eterno femminino conta numerosi adepti (…); altri sospirano: ‘La donna si perde, la donna è perduta.’. Non è più chiaro se vi siano ancora donne, se ve ne saranno sempre, se bisogna augurarselo o no, che posto occupano nel mondo, che posto dovrebbero occuparvi. ‘Dove sono le donne?’ (…). Ma innanzi tutto: cos’è una donna? ‘Tota mulier in utero: è una matrice’, dice qualcuno. Tuttavia parlando di certe donne, gli esperti decretano ‘non sono donne’, benché abbiano un utero come le altre. Tutti sono d’accordo nel riconoscere che nella specie umana sono comprese le femmine, le quali costituiscono oggi come in passato circa mezza umanità del genere umano; e tuttavia ci dicono ‘la femminilità è in pericolo’; ci esortano: ‘siate donne, restate donne, divenite donne’. Dunque non è detto che ogni essere umano di genere femminile sia una donna; bisogna che partecipi di quell’essenza velata dal mistero e dal dubbio che è la femminilità. La femminilità è una secrezione delle ovaie o sta congelata sullo sfondo di un cielo platonico? Basta una sottana per farla scendere in terra? Benché certe donne si sforzino con zelo di incarnarla, ci fa difetto un esemplare sicuro, un marchio depositato. Perciò essa viene descritta volentieri in termini vaghi e abbaglianti, che sembrano presi in prestito dal vocabolario delle veggenti. (…) le scienze biologiche e sociali non credono nell’esistenza di entità fisse e immutabili che definiscano dati caratteri (…); esse considerano il carattere una reazione secondaria a una situazione. Se oggi la femminilità è scomparsa è perché non è mai esistita. “

Simone de Beauvoir, da “Il secondo sesso”

“Burlesque Extravaganza”: l’opera prima di Grace Hall esce in DVD

 

Star del Burlesque, attrice, showgirl, conduttrice, e ora anche regista e produttrice: di Emma Nitti, alias Grace Hall, non si può certo dire che non sia uno spirito eclettico. Chi segue VALIUM la ricorderà nelle vesti di presentatrice del Summer Jamboree 2017, intervistata insieme ai colleghi (Eve La Plume e Jackson Sloan) che la affiancavano sul palco del Festival che Senigallia dedica alla Musica e alla Cultura anni ’40 e ’50 (leggi qui l’ intervista a Grace Hall e ai conduttori dell’ ultima edizione della kermesse).  Da allora, Grace non se ne è stata con le mani in mano. Proprio ieri, ad esempio, “Burlesque Extravaganza” – il documentario che ha diretto e prodotto  in coproduzione con la Zed Film – è uscito in home video con la 30 Holding ed è già acquistabile su Amazon.it: un bel traguardo per la vulcanica diva dell’ Art of Tease! Ed esplosiva è anche la pellicola in cui esplora il Burlesque nella sua dimensione più pura e autentica. “Burlesque Extravaganza” nasce “on the road”, è un diario di viaggio che Grace ha concepito durante una tournée tra Nord Europa, Stati Uniti e Canada catturando umori e suggestioni  di un mondo intriso di profondo fascino. Su tutto, spicca la magia: nel Burlesque la danza, il canto, l’ abilità, il circo si intrecciano al trasformismo e alla fantasia, coniugano talento e arte e trionfano grazie a un unico denominatore comune, la passione. Addentrarsi nel pianeta Burlesque è  aprire una magic box ricolma di lustrini, immergersi in atmosfere che scintillano di incanto.

 

La locandina del docufilm

 

Dietro ogni act si cela un febbrile fermento creativo. Spazia dalla ricerca di coreografie sempre nuove alla creazione del costume di scena, passando per l’ ideazione del make up e dell’ acconciatura. Grace racconta questi rituali attraverso le voci dei protagonisti, performer diversi per nazionalità ed etnia ma anche per tipologia fisica: perchè non dimentichiamo che il Burlesque ha anche svolto un ruolo decisivo nella lotta contro gli stereotipi di bellezza. Celebra il corpo in tutte le sue forme, taglie, dimensioni; non esiste un unico standard, qualunque donna può essere bella: l’ Arte del Tease e lì a ricordarglielo. E’ così che il film di Grace Hall, tra memoir di viaggio, interviste in backstage e rutilanti show, stimola una riflessione sulle virtù terapeutiche del Burlesque e lo elegge ad importante strumento nel percorso dell’ accettazione di sé.

 

 

Imparare a conoscere il proprio corpo, padroneggiarlo nel linguaggio gestuale è imparare ad amarsi, prendere coscienza del proprio potenziale, incentivare la fiducia in se stesse.  Coltivare l’ Arte del Tease significa riscoprire una seduttività fatta di grazia, giocosità e ironia: è diventare “soggetto” valorizzando una femminilità che si riappropria dei propri atout e prende linfa da una nuova consapevolezza. Con un pizzico di stravaganza – anzi, di “Burlesque Extravaganza” – che accentua ed esalta l’ irripetibile unicità individuale.

 

 

Grace dietro la cinepresa: Ciak, si gira!

 

Per saperne di più:

www.gracehall.it

www.zedfilm.it

www.iltempiodelburlesque.it

www.burlesquextravaganzathemovie.com

 

Photo courtesy of Emma Nitti

 

Scarpe da sogno, Manga e Barbie world: l’ universo girly-chic di Francesca Bellavita

 

Biondissima, radiosa, spumeggiante, Francesca Bellavita ti travolge con lo stesso entusiasmo che l’ ha portata a realizzare il suo sogno più grande: creare calzature dedicate alle giovani donne che, come lei, affrontano la vita con giocosità condita di un pizzico di sex  appeal. Bergamasca, un iter formativo DOC, Francesca approda allo shoe design dopo un esordio come stilista freelance per Colmar ed altri marchi leader dello sportswear chic. “Francesca Bellavita”, il brand che porta il suo stesso nome, debutta con una collezione PE 2017 che ne concentra il mood nella quintessenza: lo stile è girly, ma deluxe, e mixa le suggestioni dei manga giapponesi con il Barbie world. Non è un caso che persino il packaging delle scarpe – personalizzabili grazie a un kit di decori ad hoc –  si ispiri alla tipica confezione  color fucsia in cartone e cellophane dove è racchiusa la bambola-icona Mattel. E il claim che riporta a chiare lettere – “Dont’ call me doll” con il “don’t” coperto da una cancellatura –  è una vera e propria dichiarazione di intenti, perchè colei che calza “Francesca Bellavita” è audace, ironica e non teme certo di esibire una femminilità esplosiva. Ma al coté squisitamente estetico si affiancano la ricercatezza della lavorazione handmade e dei materiali pregiati, due indiscussi  punti di forza del brand: ogni collezione viene realizzata nel distretto di Vigevano, storica culla del savoir faire calzaturiero a cui fanno riferimento colossi del luxury del calibro di Valentino, Christian Louboutin e Manolo Blahnik. Ho incontrato Francesca per saperne di più sulle sue creazioni, sul suo universo ispirativo e sulla sua passione.

Se dovessi sintetizzare la tua bio in poche frasi, che mi racconteresti?

Ti racconto che all’inizio mi ero iscritta a Giurisprudenza, ma ho capito fin da subito che non avrei mai voluto passare la mia vita con un tailleur addosso! Confusa, ho passato qualche mese a Londra dove ho scoperto l’esistenza dell’Istituto Marangoni e tornata in Italia mi sono immediatamente iscritta.

 

 

Heartbeat

 

Prima il diploma in Fashion Design all’ Istituto Marangoni, poi la specializzazione in Shoe Design dall’ Ars Sutoria School di Milano: quando hai capito che le scarpe erano il tuo grande amore?

La prima volta che ho disegnato un paio di scarpe all’Istituto Marangoni è stato un fulmine a ciel sereno. Ho capito immediatamente che il mio futuro sarebbe stato quello!

Quali sono i punti cardine del tuo immaginario creativo?

Adoro tutto cio’ che è divertente e colorato. Dalle caramelle ai giocattoli passando per i manga giapponesi. La citta’ infatti che mi ispira di piu’ al mondo è Tokyo, ci vado almeno una volta l’anno. Le insegne luminose, le Shibuya girls e il mondo kawaii mi fanno impazzire! Da tutto questo immaginario nasce anche il mio particolare packaging!

 

Fluffy Flat

 

Crystal Pink

 

Cosa rende le tue scarpe dei pezzi iconici?

Il fatto di essere diverse da tutto cio’ che è presente sul mercato in questo momento. E’ un mondo dove tutti si prendono troppo sul serio, dove tutti si vestono di nero. In tutto cio’ arrivo io con le mie scarpe gialle e rosa, con pon pon, cristalli a cuore e tomaie che ricordano i marshmallow!

 

Bootie Goth Pink

 

Hai debuttato con la tua prima collezione pochi mesi fa e sei già acclamatissima. Cosa si prova ad essere considerata un’autentica star emergente?

Mah, intanto grazie mille! Diciamo che la cosa che mi rende davvero felice è vedere le clienti super soddisfatte delle mie calzature, sia per il look che per la comodita’ anche si tratta per lo piu’ di tacchi 10 cm. E’ in quei momenti che so di aver centrato il mio obiettivo: rendere felici le donne con le mie scarpe!

A quale donna pensi, quando crei?

A una donna sexy e ironica, che non si prende mai troppo sul serio. E’ quella donna che beve troppo champagne e ride un po’ troppo fragorosamente!

 

Dalla campagna pubblicitaria Francesca Bellavita PE 2017

 

Tre aggettivi per definire il tuo stile: quali scegli?

Sexy, ironico e divertente, proprio come la mia donna ideale!

La tua collezione esalta il valore dell’hand made, della ricercatezza, dei materiali pregiati. Come nasce la passione di Francesca Bellavita per il savoir faire artigianale?

Per me è importantissimo produrre in Italia. La nostra terra è meravigliosa, la nostra artigianalita’ non ha pari. Inutile dire che un paio di scarpe prodotte in Italia non potra’ mai essere neanche lontanamente comparato ad uno prodotto all’estero. Persino i francesi vengono a produrre qui e questo la dice lunga!

 

Il caratteristico packaging Barbie-like

 

I colori sono un elemento importante della tua cifra stilistica. Qual è quello che ti rappresenta maggiormente?

Naturalmente il rosa in tutte le sue sfumature!

Le feste natalizie sono sempre più vicine. Se dovessi indicarci un tuo modello “must” per la daily life ed uno per un’occasione speciale, su quali punteresti?

Sicuramente per il giorno una scarpa sexy, ma comoda, come Fluffy Flat, una ballerina resa molto divertente dal pon pon gigante staccabile tramite calamita, quindi puo’ essere indossata anche senza per un look piu’ sobrio o intercambiato con i pon pon a forma di coniglietto o di topolino per un outfit piu divertente! Mentre per un’ occasione elegante consiglio sicuramente Crystal, la nostra pump in serpente e vernice con fiocco e cristallo a cuore applicati sul davanti. Sia nella versione fucsia che nella versione nera per le donne piu’ classiche.

 

Pon pon coniglio

 

Puoi accennarmi qualcosa sui tuoi progetti futuri?

A parte conquistare il mondo con le mie scarpe?…Scherzo, ovviamente! Proprio perché siamo sul mercato da pochi mesi, è difficile accennare a progetti futuri! So solo che sono una ragazza con una lista infinita di sogni e spero di realizzarli tutti, prima o poi!

 

 

Crystal Black

 

Pon pon topo

 

La Petite Robe, 10 anni di “travel chic”: intervista con Chiara Boni

 

Occhi azzurro cielo, capelli tagliati in un bob platinatissimo, sorriso stampato sulle labbra: Chiara Boni irradia fascino a prima vista. La guardi e pensi che la sua allure radiosa – un mix di grazia, pragmastismo e stile – la identifichi in toto con la donna a cui ha dedicato il brand La Petite Robe. Fiorentina DOC, Chiara esordisce come designer all’ inizio degli anni ’70, quando irrompe nel settore della “moda giovane” con gli abiti griffati You Tarzan, Me Jane che crea per la boutique che ha aperto nella sua città. E’ impossibile dimenticare il mood frizzante veicolato da quel marchio: negli anni in cui il modo di vestire diventa un emblema generazionale, la ribellione eccentrica di You Tarzan, Me Jane rielabora le suggestioni sgorgate da una full immersion nella Swingin’ London della sua fondatrice. Da allora, con i tessuti stretch come iconico leitmotiv, il percorso stilistico di Chiara Boni è andato consolidandosi attraverso un iter di cui l’ ingresso nel Gruppo Finanziario Tessile nel 1985 e la creazione de La Petite Robe nel 2007 rappresentano due tappe fondamentali. Oggi La Petite Robe compie 10 anni e con You Tarzan, Me Jane condivide l’ intento rivoluzionario da cui prende vita: il suo nome evoca uno chic all’ insegna della praticità, abitini facili da lavare e non spiegazzabili che una donna sempre in giro per il mondo può agevolmente riporre in micro buste di tulle. Lo stile del brand, inconfondibile, coniuga un alto tasso di femminilità e linee essenziali, ma ricche di dettagli estrosi. I capi si modellano sul corpo assecondandolo, evidenziandolo in tutta la loro raffinata linearità ed adottando una palette che al nero affianca nuance, di volta in volta, vivaci, pastellate o intense: il fucsia, il cobalto, il rosso, il rosa baby e l’acquamarina si alternano al verde oltremare, al melanzana, al vino, tutti rigorosamente in versione monocroma. Il jersey rimane il materiale signature di La Petite Robe, che dal 2009 viene distribuito anche negli USA dove conquista fin da subito le celeb. Qualche nome? Beyoncé, Anjelica Houston, Angela Bassett, Oprah Winfrey sono solo alcune delle sue fan più sfegatate. Risale proprio al Settembre scorso l’ inaugurazione del flagship store losangelino di La Petite Robe, il primo in territorio stelle a strisce. Ho preso spunto da questa entusiasmante news per ripercorrere, insieme a Chiara Boni, la storia e gli stilemi di una carriera che dal 1971 brilla con accenti di creatività del tutto unici nel panorama del Made in Italy.

Era il 1971 quando a Firenze hai aperto la boutique “di rottura” You Tarzan me Jane. Con quale intento è nata e come descriveresti l’humus da cui ha preso forma?

Dall’irripetibile melting-pot di Londra, alla fine degli Anni ’60, prendeva vita lo spirito di You Tarzan, Me Jane: la mia risposta ribelle al formalismo della Moda Italiana che, a quei tempi, imponeva rigore ed essenzialità. Nel 1971, in via del Parione 33r a Firenze allestivo, così, insieme alla mia amica Elisabetta Ballerini, un inedito tendone da circo nel mezzo di un grande laboratorio-artigiano e iniziavo a proporre la mia Moda Giovane come alternativa all’offerta quasi esclusivamente sartoriale del mercato.

La tua passione per la moda è innata o si inserisce in un preciso background esistenziale?

Devo molto a mia madre. La mia formazione è stata frequentare per tanti anni con lei, donna di estrema eleganza, atelier e sartorie, l’osservazione mi ha svelato in modo naturale i segreti del corpo femminile e mi ha invogliata a valorizzarlo con un design cedevole alla morbida interpretazione delle forme.

Esistono immagini, suggestioni, reminiscenze a cui la tua ispirazione attinge in modo ricorrente?

Mi appassiona l’Arte in generale, di cui la Moda stessa rappresenta una forma. Da sempre fonte di ispirazione, l’Arte è diventata protagonista, insieme alla Moda, anche di alcuni dei miei eventi di presentazione.

La Petite Robe festeggia i suoi primi dieci anni. Quali sono gli step che hanno portato alla creazione del brand?

Ho fatto un percorso fatto di sperimentazioni consapevoli ma anche di rivoluzioni intuitive che solo a posteriori ho scoperto straordinariamente coerenti. Ho pensato a dei capi realizzati in tessuti stretch innovativi, progettati per incontrare le esigenze di una donna dinamica. Questo è stato il pensiero che mi ha portato alla creazione del brand.

 

 

A quale tipo di donna si rivolge Chiara Boni, e soprattutto: è la stessa donna dei suoi esordi?

Sì, è la stessa donna anche se forse un po’ meno giovane. Comunque le donne sono straordinariamente diverse, raffinate, sognatrici e divertenti, ma ciascuna a modo proprio. Ognuna è accesa da una sfumatura intensa di personalità. Le donne sono in continua evoluzione, il modo di vivere cambia e loro tengono il passo.

 

 

Per definire La Petite Robe” hai usato il termine di “travel chic”. Come approfondiresti questo concetto?

Un guardaroba flessibile, versatile e personalizzabile. La Petite Robe nasce proprio dalle esigenze di una donna moderna che non può concedersi il tempo di cambi d’abito durante la giornata, che in valigia ha poco spazio e che una volta arrivata in albergo non ha modo di farsi stirare un vestito.

Il leitmotiv della tua cifra stilistica è, senza dubbio, la femminilità. Quale valenza ricopre, la femminilità, per te?

La femminilità è dolcezza. Sboccia nell’animo di una donna e inonda di profumo tutto attorno. Una primavera permanente di sguardi, gesti e atteggiamenti.

 

 

La Petite Robe furoreggia sul mercato USA: non è un caso che proprio a Los Angeles sia stata inaugurata la vostra terza boutique monomarca.  Quali sono, a tuo parere, i motivi dell’enorme successo americano del brand?

Le clienti americane sono entusiaste. Il loro è un modo diretto di testimoniare affetto per il mio concetto di femminilità. Parlano attraverso i social e svelano passione per le linee accoglienti, giovanili e sensuali dei miei abiti. Il passaparola virale delle addicted oltreoceano è stato il vero punto di forza per la diffusione del brand in America.

 

 

I tuoi little dress, stilosi ma pratici ed essenziali, sembrano fatti su misura per una alter ego di Chiara Boni. Sbaglio, o quando crei tendi un po’ ad identificarti nella tua donna tipo?

Non sbagli, mi affido sempre all’autorità della prima persona: -Io lo indosserei?-.

Esiste una donna che vorresti fortissimamente vestire? Se sì, perché?

No. I miei vestiti sono pensati per tutte le donne. Ho una visione democratica della femminilità che non esclude nessuna taglia, forma o personalità.

 

 

In tempi di crisi, uno dei punti di forza del settore fashion sembra tradursi nell’ iconicità del prodotto. Sei d’accordo? E cosa aggiungeresti, al riguardo?

Sono assolutamente d’accordo. Infatti la cosa più difficile nella Moda è rinnovarsi rimanendo riconoscibili. È proprio qui che sta l’iconicità di un prodotto.

 

 

 

Tutti i look e gli accessori sono tratti dalla collezione “Grand Hotel” AI 2017/18 di La Petite Robe

Photo courtesy of press office

Eve La Plume, eterea diva

Photo by Bostjan Tacol

Di lei colpiscono immediatamente l’ allure sofisticata, l’ incarnato diafano a contrasto con la chioma color rame. I fiori intrecciati tra i capelli pettinati a ondine richiamano la nuance vibrante del suo lipstick: lo stile è anni ’30 DOC, con incursioni ad ampio spettro nel rétro enfatizzate da abiti scenografici e preziosi. Eterea, fascinosa, garbatamente seduttiva, Eve La Plume è una Burlesque performer che si distanzia in toto dallo stereotipo della pin up. Al Summer Jamboree – dove, per il secondo anno consecutivo, è stata confermata conduttrice – ha sfoggiato creazioni di Luisa Beccaria con una grazia innata, donando risalto ad evening dress che erano un trionfo di pizzo e tulle. Fotografatissima, al Festival senigalliese Eve è ormai una diva. Ma non perde mai di vista l’ ironia, né un entusiasmo genuino, nel raccontarsi e nel raccontare passioni, tappe e progetti che tracciano il percorso della sua poliedrica carriera.

Sei al bis come presentatrice del Summer Jamboree. Qual è il tuo bilancio di queste due edizioni?

Rimango sempre sbalordita da questo Festival, organizzato da due persone che su un grande amore personale per gli anni ’50 hanno imbastito un evento meraviglioso che attira pubblico da tutto il mondo. Venire qui è per me, ogni volta, un’ iniezione di felicità. E’ davvero impressionante! Non si può essere tristi, al Summer Jamboree. Il mio bilancio, quindi, è superpositivo.

Puoi raccontarci qualche aneddoto relativo alla kermesse?

Al Summer Jamboree girano moltissimi fotografi, ufficiali e non. Il risultato è che si è fotografati a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ci ho fatto l’abitudine, ma è impegnativo! Un giorno al mio fidanzato ho detto “Basta, oggi ci prendiamo una giornata liberatoria lontani dalle macchine fotografiche e dalle telecamere”, e siamo andati in spiaggia vicino alla Rotonda. Mi sono tolta il copricostume, mi sono slegata i capelli, sono entrata in acqua e ho sentito una signora che mi diceva ‘”Mi scusi signorina, la stanno chiamando da lassù!”: mi sono girata, ho guardato la Rotonda e ho visto tre teleobiettivi giganteschi, quattro macchine fotografiche, tutta l’organizzazione del Summer Jamboree  – che si trovava lì per caso, in realtà, ma vista Eve in acqua senza tutti i suoi artifici…Sono impazzita dal ridere, mi sentivo come le dive anni ‘50 paparazzate ovunque! E’ stato davvero comico. E gli scatti che ne son venuti fuori sono molto belli perché spontanei. Incredibile: persino in mezzo al mare sono riusciti a trovarmi!

Perché hai scelto di chiamarti Eve La Plume?

È una storia un po’ complicata, però posso semplificarla. Adoro il nome Eve perché è palindromo, cioè si legge anche al contrario. Ha tre lettere e a me piacciono i nomi brevi, e poi è il nome di una primadonna come Eva. “La Plume” perché fin da ragazzina mi hanno associata al concetto di leggerezza, quindi volevo un nome che contenesse un elemento leggero, delicato. In più, quando si pensa alla piuma, si pensa sempre alla piuma bianca, che svolazza. Nell’ immaginario collettivo la piuma è leggera e bianca. Dunque, Eve La Plume: un nome che è come una piccola poesia, molto fonetico.

Photo by Bostjan Tacol

Il tuo sofisticato stile d’antan è inconfondibile. Quali sono le tue epoche preferite?

Sono appassionata del periodo che va dalla fine dell’800 agli anni ’30 e ’40 del ‘900: il periodo della Belle Epoque, del Liberty, dell’ Art Déco. Di quell’ epoca amo l’estetica in toto: architettura, arredamento, abbigliamento…

Hai icone di riferimento a cui ti ispiri?

La Marchesa Luisa Casati è stata per me un innamoramento a prima vista, una folgorazione: era una donna coraggiosa, molto moderna, una performer di inizio ‘900. Con la cura, con lo studio, ha fatto di sé un’opera d’arte. Per un periodo mi è piaciuta Kiki de Montparnasse, una sorta di groupie di fine ‘800, e poi tante altre…Ammiro le donne audaci e “fuori dal loro tempo”, che hanno condotto una vita ben diversa rispetto a quella, costrittiva, delle donne dell’epoca.

Il Burlesque inneggia al glamour e all’ arte della seduzione. Che cos’è, per te, la femminilità?

Io non associo il Burlesque all’ arte della seduzione: per me è una ricerca estetica. Anche se, in generale, è sempre collegato alla sensualità femminile. Di sicuro la bellezza ha un suo lato sensuale. Il Burlesque va comunque alla ricerca di una bellezza del passato, dell’immagine di una donna che fu. Per me femminilità è la cura di sé, una cura estetica a 360° che comprende l’atteggiamento, la parola, il modo di muoversi, il modo di porsi…E’ questo che mi interessa. Perché oggi si guarda spesso a una bellezza molto più immediata e non alla cura che si costruisce nel tempo con i gesti, le parole, l’educazione.

Photo by Bostjan Tacol

Una domanda a bruciapelo: cosa voleva fare, da grande, Eve La Plume?

Da ragazzina, intorno agli 11 anni, volevo fare l’insegnante di pattinaggio artistico. Pattinavo tutti i giorni, era la mia missione di vita, e poi l’ ho fatto. Quando sono diventata più grande insegnavo pattinaggio artistico e mi sono resa conto che faceva così freddo, ma così freddo, che ho abbandonato l’ idea dopo 2- 3 anni! Poi volevo fare la stilista e quindi ho aperto un laboratorio di sartoria in cui si facevano abiti ed accessori per i negozi, per gli artisti che calcavano i palchi. E’ durata 10 anni. Infine, volevo diventare la regina del Burlesque! Ed è andata abbastanza bene, devo dire. Quando mi metto in testa di fare qualcosa, in qualche modo ci riesco. Non sempre con lo stesso successo, però i miei sogni li concretizzo. E riesco a non avere rimpianti.

Quali sono i tuoi progetti più immediati?

Tra i miei progetti più immediati di sicuro c’è “Ultimo Spettacolo”, uno spettacolo teatrale che gira l’ Italia da un paio d’anni e il 12 novembre prossimo sarà a Bologna: spero che decolli perché ne sono molto orgogliosa. E poi ci sarà Venezia, perché sono già 6-7 anni che faccio parte del cast del Ballo del Doge e di altri eventi del Carnevale Veneziano. In più,ho in programma tante date e feste private in giro per l’ Italia.

Photo by Bostjan Tacol (https://www.facebook.com/PhotobillyPhotography/)

L’ abito blu e l’ abito in pizzo bianco che Eve indossa sono firmati Luisa Beccaria