Andaluiza, il gioiello sensoriale che J.U.S. Parfums dedica all’ Andalusia

 

Questo mese abbiamo parlato spesso dell’Andalusia. Dapprima con un articolo sul duende e poi con uno, per la serie “Il Luogo”, relativo alla Feria de Abril di Siviglia. Oggi rimaniamo nella regione più caliente di Spagna per assaporarne i profumi, gli inebrianti aromi. E lo facciamo con una fragranza che le ha dedicato J.U.S. Parfums: Andaluiza, questo il suo nome, fa parte della Collezione di Gioielli Sensoriali che la Maison francese fondata da Brigitte Wormser, Thierry de Baschmakoff e Jean-Baptiste Roux ha creato in collaborazione con illustri maestri profumieri. Il terzetto delle novità olfattive include, oltre a Andaluiza, Spritzlove e Spicydelice, tutte fragranze che ottemperano alla carta di valori del brand. L’ obiettivo è la creazione di prodotti unici, altamente sensoriali, ideati da un team di giovani profumieri nella più totale libertà. Niente vincoli nè marketing brief, soltanto audacia e inventiva: un concetto che coinvolge persino il packaging dei profumi, coloratissimi e in materiali inediti ma rigorosamente all’ insegna della sostenibilità.

 

 

Il mix tra materie prime naturali e molecole sintetiche è una costante, per J.U.S. Parfums. In Andaluiza, non a caso, predominano accordi di melograno e fiori di cisto a fianco del tonkalactone. Per afferrare appieno il mood della fragranza, è sufficiente dire che incarna  la multiculturalità della regione da cui prende il nome. Oriente e Occidente si fondono, dando vita ad un profumo seducente e dal forte imprinting sensuale. Andaluiza è stato creato dal profumiere Pierre Gueros, un globetrotter con la passione per i luoghi contraddistinti dalla commistione di culture. Ideando Andaluiza, Gueros si è ispirato ai caratteristici giardini dei patios andalusi, ampi cortili interni alle magioni: tra il verde risalta un tripudio di fiori, stagni, fontane dalla struttura ricercata; le pareti sono decorate con suggestivi affreschi mitologici. Ogni dettaglio contribuisce a evocare il Giardino del Paradiso musulmano.

 

 

In questo “giardino andaluso millenario”, come lo definisce Pierre Gueros, i profumi vibrano, travolgono, inebriano. Andaluiza, un fruttato orientale, esordisce con una sferzante essenza di scorza del mandarino del Madagascar unita a note di melograno. L’ intensità raggiunge il suo culmine in accordi ambrati di fiori di cisto e nell’ elisir del cedro di Alas, un legno “antico” e molto persistente. Il vetiver, l’ambra grigia e il tonkalactone stemperano l’aroma del jus, dotandolo di avvolgenti accenti olfattivi.

Racchiuso in un contenitore color vinaccia, dal design avveniristico e con il tappo svasato verso l’alto, Andaluiza è disponibile nei formati da 25, 100 e 200 ml. Il flacone, in linea con la filosofia eco-sostenibile di J.U.S. Parfums, è ricaricabile.

 

 

 

La colazione di oggi: la melagrana, un frutto magico e portafortuna

 

La melagrana (e non il melograno, che è il nome della pianta) è un tipico frutto autunnale; matura a Ottobre ed ha un aspetto molto particolare. Il suo nome, composto dai termini latini “melum” (ovvero “mela”) e “granatum” (“con semi”), è indicativo: a vedersi sembra una mela, alla quale lo accomunano la forma sferica e il rosso intenso della buccia, ma in realtà è una bacca – chiamata Balausta – dalla texture dura e massiccia. Sul lato opposto a quello del picciolo presenta una protuberanza circolare molto solida che altri non è che una rimanenza del suo calice floreale. All’ interno, la melagrana è suddivisa in sezioni che straripano di semi (gli arilli); la membrana che separa gli scomparti porta il nome di cica. Il melograno, l’albero dal quale la melagrana matura, in botanica è denominato Punica Granatum, appartiene alla famiglia delle Punicaceae e al genere Punica. La pianta è originaria della Persia e attualmente viene coltivata in Iran, nell’ India settentrionale, nel Caucaso e nel Mediterraneo. Per le sue proprietà e per i benefici che apportano, la melagrana è considerata un frutto miracoloso, addirittura magico: possiede potenti virtù antiossidanti e c’è chi la ritiene efficacissima persino contro il cancro.

 

 

Ma quali sono i componenti che la rendono così salutare? Innanzitutto le vitamine, in particolare la vitamina e pro-vitamina A e la vitamina C: quest’ ultima svolge un’azione rafforzante sul sistema immunitario e protegge le cellule dai nefasti effetti dello stress ossidativo; impedendo la sintesi delle sostanze cancerogene, poi, pare che contrasti l’ insorgere dei tumori, soprattutto di quello allo stomaco. Gli arilli abbondano di acqua, zuccheri, fibre, proteine, lipidi e grassi insaturi, che riducono i livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”) a favore del colesterolo HDL (il “colesterolo buono”). La melagrana è inoltre ricca di minerali come il potassio, il sodio, il fosforo, il ferro e il magnesio. Le calorie sono piuttosto contenute, tra le 52 e le 60 per ogni 100 grammi. Di conseguenza, se non soffrite di patologie come il diabete o l’obesità, gustare il frutto non ha controindicazioni di sorta. La presenza di fibre lo rende ottimo contro la stipsi, il potassio modula la pressione sanguigna, l’acqua combatte la disidratazione e reintegra i liquidi persi, ad esempio, con un’ intensa attività sportiva.  Altri benefici della melagrana possono essere riassunti in questo elenco: ha proprietà antidiarroiche, vermifughe, gastroprotettive, diuretiche, antitrombotiche e vasoprotettrici grazie a  una massiccia presenza di flavonoidi. La spremuta e il liquore di melagrana sono bevande ideali per usufruire al meglio delle sue doti salutari, ma esistono pietanze a miriadi che prevedono l’ utilizzo del frutto.

 

 

Con la Balausta, tra l’altro, si prepara una deliziosa marmellata: è decisamente perfetta per la prima colazione. La melagrana può essere mangiata al naturale oppure usata per guarnire i dolci, le torte, le crostate e la macedonia. Innumerevoli sono anche le ricette destinate ai pasti principali (il risotto, l’insalata e l’anatra alla melagrana, tanto per citarne qualcuna), ma in linea con il tema di questa rubrica daremo spazio agli alimenti del mattino. Appena alzati potete arricchire di arilli lo yogurt, le meringhe, la panna cotta, il budino, il semifreddo, il pancake, i cupcakes… Versate del succo di melagrana nel sorbetto per renderlo ancora più dolce, oppure assaporate le golose gelatine e confetture ottenute con l’ eclettico frutto. Spalmatele sul pane, utilizzatele per farcire le crostate: la bontà è assicurata.

 

 

Sapevate che la melagrana è un frutto portafortuna? Svariate culture la associano all’ abbondanza, al benessere, alla ricchezza, sin dalla notte dei tempi. Ciò è in gran parte dovuto ai suoi numerosissimi chicchi, gli arilli, incredibilmente succosi. E rossi come il sangue, che simbolizza il vigore e l’energia. Il melograno, inoltre, cresce e matura con ogni tipo di clima senza disdegnare i terreni brulli: non necessita di una quantità d’acqua particolare e resiste alle intemperie stoicamente. Queste caratteristiche lo hanno reso quasi magico presso gli antichi popoli asiatici. Nella Bibbia, il melograno viene citato spesso. Rappresenta un emblema di fertilità, è un dono di Dio molto importante; persino artisti del calibro del Botticelli e di Leonardo Da Vinci lo inserirono frequentemente nelle loro opere. L’ ebraismo sostiene che i semi della melagrana e i comandamenti della Torah siano entrambi 613. In Turchia è usanza che le spose lancino a terra una melagrana di fronte alla casa coniugale: se i semi fuoriusciti sono parecchi, sarà di buon auspicio per le finanze della famiglia e per la futura prole. Sempre in Oriente, il frutto – grazie alla gran quantità di semi racchiusi nella membrana interna – è un emblema di fratellanza e solidarietà tra i popoli. Tornando in Occidente, notiamo che la valenza beneaugurale della melagrana si è imposta anche in Italia. Qui si è soliti gustarla a Capodanno perchè, al pari delle lenticchie, i suoi arilli simboleggiano il denaro e attirano la ricchezza. Regalare questo frutto, di conseguenza, è un gesto dalla potente valenza propiziatoria.

 

 

 

Un omaggio a Venezia: la collezione da fiaba di Alberta Ferretti per i 1600 anni della Serenissima

 

Anche Alberta Ferretti è sbarcata in laguna, e ha presentato una collezione intrisa di meraviglia. La designer ha celebrato i 1600 di Venezia omaggiandola con creazioni a dir poco da fiaba, magiche e preziosissime: il tributo ideale per una città straordinaria, opulenta e decadente al tempo stesso, onirica, trait d’ union tra Oriente ed Occidente e dunque storico crocevia di culture. Persino la location della sfilata esalta il patrimonio della perla lagunare; Alberta Ferretti ha scelto Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano, inneggiando a un’ epoca che per la Serenissima fu di massimo fulgore. Non è un caso che in ogni look si intreccino arte, storia e moda dando vita a un mix sontuoso, dai livelli di sublimità quasi sacrale. La palette, metallica, è parte integrante dello sfarzo delle creazioni: l’ oro, l’ argento, il nero e il bronzo sono i colori attorno ai quali ruota l’ intera collezione, inondata di luce dai loro bagliori.

 

 

I look scultorei (la maggioranza) si alternano a quelli più eterei e fluidi, gli abiti dagli orli rasoterra ad ampi pantaloni. Le forme sono perlopiù svasate, arricchite da gonne ariose con accenni di strascico, i tessuti spaziano dall’ impalpabile damasco di seta al velluto, dal pizzo al tulle. E se frange a cascata, finissimi ricami floreali, ruches movimentate come onde, tripudi di piume e accenti rocaille fanno da leitmotiv, il plissè soleil trionfa: scolpisce gli abiti schiudendoli in ampie, sorprendenti raggiere. Le mantelle non potevano mancare, in una simile collezione. Sono importanti, drappeggiate, misteriose. Accentuano la solennità delle creazioni e vengono spesso incorporate nell’ outfit, come dimostra il look che chiude la sfilata: un long dress con mantella, una miriade di plissè argentati cinti in vita da un ricamo filigranato in 3D che riproduce la scultura delle enormi mani realizzata da Lorenzo Quinn sulla facciata di Ca’ Sagredo.

 

 

Il motivo della raggiera ricorre, e non solo negli abiti. Diventa uno spettacolare gioiello che espande i suoi raggi saldati sui collier, siano essi posizionati in orizzontale o in verticale. L’allure fiabesca delle mise viene potenziata a dismisura da queste “fiamme” che rimandano ai bagliori solari. Ai gioielli, luminosi e surreali, spetta anche il compito di sottolineare il contrasto tra una collezione che è pura luce e il mood notturno, vagamente enigmatico, che si insinua nei look. Per la realizzazione dei monili, Alberta Ferretti si è avvalsa del savoir faire di un talentuosissimo artista veneziano: Massimiliano Schiavon, discendente da una famiglia che lavora il vetro da ben sei generazioni. I bijoux che hanno sfilato in passerella, infatti, sono in vetro soffiato; oltre alle raggiere includono ramoscelli di fiori, lingue, perle lagunari, che Schiavon ha plasmato con maestria esaltandone la cangianza e la radiosità. L’ omaggio di Alberta Ferretti a Venezia ha coinvolto un altro prestigioso nome dell’ artigianato locale: quello di Rubelli, la storica impresa familiare che, dal 1889, produce tessuti rifacendosi alle più antiche tecniche di lavorazione veneziane. Un esempio? I tradizionali damaschi marezzati e i caratteristici cuoi impressi del Barocco lagunare.

Il fashion show di Alberta Ferretti ha avuto il patrocinio del Comune di Venezia, dal quale la designer ha ricevuto un invito diretto a prendere parte alle celebrazioni del 1600mo anniversario della città. Neppure la scelta di Ca’ Rezzonico è stata casuale: l’ iniziativa ha infatti l’ obiettivo di supportare la Fondazione Musei Civici di Venezia. L’ evento si è tenuto il 4 Settembre, una data cruciale in quanto coincide con lo svolgimento della Mostra Internazionale del Cinema.  Questa concomitanza con il Festival, kermesse di caratura mondiale, non ha fatto altro che accrescere il valore e il prestigio dell’ omaggio di Alberta Ferretti alla Serenissima. Un omaggio che ne coglie, esaltandolo, tutto il potente e sottilmente misterioso incanto.

 

 

 

Foto tratte dal lookbook della collezione

 

 

Addio a Kenzo Takada

 

Se ho dato un importante contributo alla moda è stato di quello di portarle un po’ di accessibilità. Ciò che feci non fu proprio basic, ma non era neanche couture, e quello era in un periodo in cui la moda francese era tutta una questione di couture.

(Kenzo Takada)

Il Covid-19 ha stroncato la vita di Kenzo Takada, che negli anni ’70 portò una sferzata di colore e di giocosità nel mondo della moda. Il designer giapponese è morto il 4 Ottobre, a Parigi. Aveva 81 anni. Nato a Himeji, in Giappone, si era trasferito nella Ville Lumière nel 1964, subito dopo essersi diplomato in una fashion school di Tokyo; sei anni dopo, la sua prima collezione – presentata al Vivienne Gallery – riscuoteva un successo oltre ogni aspettativa. In una Francia ancora dominata dalla Couture, Kenzo lanciava uno stile basato su un sorprendente mix di chic parigino e suggestioni jap. Stampe floreali (il trademark del brand), tigrate, richiami esotici, miriadi di tessuti e ricorrenti venature etniche si fondevano in un connubio esaltato da tonalità vibranti. Le collezioni degli esordi di Kenzo sono ancora perfettamente attuali: parlano di multiculturalismo, viaggiano tra Oriente ed Occidente di continuo, inneggiano alla modernità tramite un mood playful che il tempo non ha mai intaccato. A Parigi Kenzo aveva aperto una boutique, la famosa Jungle Jap. Nel 1971 già sfilava a New York e a Tokyo, dove riceveva il prestigioso premio Fashion Editors Club of Japan; a questo riconoscimento sono seguiti il Bath Museum of Costume Dress of the Year nel 1976 e l’ onorificenza di Cavaliere dell’ Ordine delle Arti e delle Lettere di Francia nel 1984.

 

Iman fotografata da Hans Feurer per una ad campaign Kenzo del 1983

L’ eleganza giocosa del designer si esprimeva anche attraverso i suoi fashion show. Per due anni di fila, nel 1978 e nel 1979, ha organizzato sfilate in un circo dove, in chiusura, si presentava sul dorso di un elefante: un gesto scevro da ogni traccia di autoglorificazione e molto ironico, forse associato a quel gusto esotico onnipresente nelle sue creazioni. L’ amore per la moda, inoltre, lo ha spronato a mettersi in gioco come costumista e a realizzare abiti di scena sia destinati al cinema che alle rappresentazioni teatrali.

 

Un look della collezione PE 1998

Nel frattempo, il brand di Kenzo si consolidava ulteriormente: il 1983 ha segnato il debutto della linea di menswear, mentre risale al 1998 il lancio dei primi profumi della griffe. Flower by Kenzo, il più celebre, è stato creato nel 2000, ma all’ epoca lo stilista era già “uscito di scena”. Sei anni dopo l’acquisizione del marchio da parte del gruppo LVMH , avvenuta nel 1993, Kenzo si è ritirato ufficialmente, rifacendo la sua comparsa nelle vesti di designer d’interni qualche tempo dopo. Oggi, il portoghese Felipe Oliveira Baptista – nominato direttore creativo del brand fondato da Takada – porta avanti l’eredità di Kenzo condividendone l’ amore per le stampe, per il colore e soprattutto l’estro eccentrico.

 

Uno scatto tratto dalla ad campaign PE 1975 realizzata da Hans Feurer, che ha sempre colto lo spirito di Kenzo nella sua quintessenza

Una ad datata 1985

 

Foto di Kenzo di Michell Zappa / CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0) via Wikimedia Commons