Glitter People

 

Dimenticate ciò che è successo ieri e domani, e oggi. Stasera creeremo un mondo completamente nuovo.

(Jimi Hendrix)

 

 

 

 

Foto: Promotional photo of The Jimi Hendrix Experience, Warner/Reprise Records Uploaded by We hope at en.wikipedia, Public domain, via Wikimedia Commons

 

Una allure Rock and Royalty per le nuove muse della Medusa: la campagna pubblicitaria AI 2019/20 di Versace

 

Lo spot a cui è collegata, condensa la campagna Autunno Inverno 2019/20 di Versace in modo perfetto. C’è un locale buio e fumoso, una rock band che prova i suoi brani. La batterista, una Donatella Versace scatenatissima, scandisce il ritmo dell’ intera scena: rotea le bacchette, pesta furiosamente sul pedale della cassa, è inguainata in un total black grintoso che risalta la sua chioma platinata. Insomma, da quelle parti si fa sul serio: le vibe sono rock a 360°, coinvolgono l’ attitude e non solo il look. Se poi pensiamo che potrebbe essere proprio Rock and Royalty (dal titolo di un famoso coffee table book di Gianni Versace) lo slogan associato all’ad, è tutto dire! La direzione creativa di Ferdinando Verderi e la fotografia di Steven Meisel si uniscono in un connubio esplosivo, dove gli scatti catturano la quintessenza dell’ iconografia Versace calandola in una scenografia insolita e volutamente a contrasto. Predomina un mood urban, accentuato da una location che sembra un loft newyorchese: i muri sono spogli, con i mattoni e le tubature a vista, i pavimenti alternano il cemento alle tavole di legno. Qua e là, però, spiccano pezzi di arredo d’epoca, poltrone e sofà rivestiti di prezioso velluto che si contrappongono alle atmosfere minimal degli interni.

 

 

E’ lì che posano i modelli e le modelle, seduti od appoggiati a quei sedili: ed è incredibile come risaltino, in un contesto tale, le audaci cromie dei look Versace, i vistosi gioielli e le faux fur maculate. Senza contare che i capelli colorati, le décolleté a punta indossate sui calzini e le borse in bella vista (come l’iconica Virtus) elevano l’allure Rock and Royalty alla massima potenza. Meisel fotografa “rockstar” dall’ aria disinvolta, vagamente languida, e le immortala singolarmente per rafforzare il concetto che identifica la modella con la suprema musa di Versace. Ma come ci si sente ad essere una musa di Versace in un’ era di “voyeur” come quella odierna? E’ questo l’ interrogativo che il grande fotografo si pone. La sua risposta si traduce in scatti dal forte impatto visivo e di un’ incredibile qualità artistica. I protagonisti della campagna sono una Kaia Gerber quasi irriconoscibile, che sfoggia lunghi capelli biondi con tanto di ricrescita, oltre a Anok Yai, Bente Oort, Hang Yu, Huang Shixin, Ilja Sizov, Maike Inga, Paul Hameline e Yassine Jaajoui. A firmare il beauty look, invece, troviamo Pat McGrath e Guido Palau, due guru del make up e dell’ hairstyling.

 

 

 

 

CREDITS

Chief Creative Officer: Donatella Versace
Photographer: Steven Meisel
Campaign Creative Director: Ferdinando Verderi
Stylist: Jacob K
Casting Director: Piergiorgio Del Moro e Samuel Ellis Scheinman24
Make Up: Pat McGrath
Hair Styling: Guido Palau
Set Design: Mary Howard
Models: Kaia Gerber, Bente Oort, Maike Inga, Anok Yai, Yassine Jaajoui, Ilja Sizov, Hang Yu, Huang Shixin, Paul Hameline

 

 

Glitter People

 

” La musica ha il potere di guarire. Ha la capacità di tirar fuori le persone da se stesse per un paio d’ore. “

Sir Elton John

 

 

Photo: Publicity photo of Elton John from the Cher Show (1975) – CBS Television, uploaded by We hope at en.wikipedia [Public domain]

 

 

Tra suggestioni gotiche e “memento mori”: la Gucci Cruise 2019 sfila nella necropoli di Arles

 

Cala il buio e l’ atmosfera si fa sepolcrale, ad Alyscamps: lingue di fuoco baluginano tra i resti della necropoli, fumi di nebbia si diffondono mentre le campane scandiscono cupi rintocchi. In sottofondo, i seicenteschi “Vespri della Beata Vergine” di Claudio Monteverdi impregnano l’aria di pathos e file di ceri ardono accanto ai monumenti funebri. E’ in questo scenario che va in scena la Gucci Cruise 2019. Una cornice suggestiva, carica di una significatività profonda: citata da Dante nel IX Canto dell’ Inferno, Alyscamps rappresenta uno delle più antiche “città dei morti” dell’ era romana e si trova in Provenza, nei pressi di Arles. Alessandro Michele l’ha scelta come location di una collezione gotica, ma non solo, in cui la riflessione sulla morte si interseca a un fil rouge ispirativo che più che mai viaggia attraverso lo spazio e il tempo.

 

 

L’ ululato delle civette e dei rapaci notturni risuona, sinistro, durante tutto lo show, i modelli costeggiano una scia di fuoco che li accompagna lungo questo singolare catwalk: a sfilare sono vedove d’antan, madonne rinascimentali, giovani groupie, aspiranti rockstar con il mito di Billy Idol, e i look che sfoggiano (ben 114) mixano sacro e profano ad una straordinariamente ricca varietà di stili. Lunghe cappe in velluto si alternano a skinny pants in vinile, abiti ricamati con costati votivi, moderni pepli dalle mille plissettature, stampe check e tigrate, un tripudio di piume, ruche e frange, luccichii profusi, dress caftano e suit dotati di pantaloni a zampa. I disegni del trio creativo Antoinette Poisson si avvicendano ad un mix and match di pattern che non tralascia l’ heritage, come l’ iconica Flora print proposta in abbondanza sui foulard.

 

 

 

Accanto è un pullulare di citazioni di Dante Alighieri, lettering SEGA, scritte “Memento Mori” e “Chambres des Squelettes” ostentate – rispettivamente – sui pants affusolati e sui sandali,  che coniugano l’ universo Gucci ai motivi ispirativi della collezione. Non mancano, però, ulteriori grafismi iconici: un esempio? Il Pan stilizzato che fa da logo al leggendario Chateau Marmont, l’ Hotel forse più indiscindibile dalla storia del rock. E non è certo un caso. Alla ricerca di nuovi tipi di bellezza, di un’estetica che sfrondando ogni stereotipo sperimenta identità inedite (“Mi piacciono le cose che sembrano qualcosa ma non lo sono”, ha dichiarato Alessandro Michele), i cenni al rock world e ai suoi idoli si affiancano come una costante che ricorre tra i temi della Gucci Cruise 2019.

 

 

 

Perchè in quest’ ode spassionata alla libertà di stile e ad un nuovo senso dell’ “essere” e dell’ “apparire” non poteva venir meno il potente appeal esercitato da chi “gioca” con il suo personaggio per eccellenza, come appunto fanno i divi del rock. In linea con tale mood, anche gli accessori si tramutano in veri e propri statement: megaocchiali declinati nei più fantasiosi modi, turbanti, pillbox hat e copricapi vintage che Frankie Olive adorna di lunghe piume si abbinano a sandali di stampo “francescano” e a sneakers con maxizeppa in puro stile Spike Girls, mentre handbag con la doppia GG in multiple declinazioni vengono frequentemente sostituite da bouquet di fiori  “in memoriam”.

 

 

 

Tra i monili, accanto a sontuosi pendenti d’oro che riproducono conchiglie, la croce si tramuta in un leitmotiv e appare in bella vista in ogni variante jewel. Nel pot-pourri di epoche che la Cruise assembla risalta, inoltre, un doveroso omaggio al periodo romano: acconciature a ondine che sembrano scolpite in un busto di fine Impero evidenziano una sofisticatezza minuziosa e irresistibile.

 

 

 

Tutto intorno, il fuoco continua a sfavillare nella notte. A metà tra Inferno dantesco e simbolo sacrale, non va trascurata la sua valenza di forza che favorisce l’unione degli opposti oltre che la rigenerazione ciclica della natura: due elementi con cui l’ estetica “gender fluid” di Gucci e l’ emblema ricorrente dell’ ouroboros hanno molto in comune. Ma a concludere lo show non è una vestale, bensì una donzella biancovestita che rievoca l’ etereità spettrale di – a scelta – una creatura dell’ oltretomba o de “La sposa cadavere”. Cala il sipario su uno show che sarà ricordato a lungo, oltre che per lo splendore dei suoi abiti, per la scenografia impattante e la strepitosa potenza evocativa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Michael Putland, il fotografo delle leggende del Rock

Il libro-catalogo THE ROLLING STONES BY PUTLAND (ed. LullaBit)

 

Dalla A degli Abba alla Z di (Frank) Zappa: difficile individuare chi non sia stato immortalato da Michael Putland, in un ipotetico “alfabeto del Rock”. Classe 1947, inglese, Putland debutta come assistente fotografo quando è appena un teen. Apre il suo primo studio fotografico nel 1969, anno di transizione che vede sfumare gli Swingin’ Sixties nell’ era hippy e delle più graffianti Rock band. E’ allora che il link tra Michael Putland e la music scene si salda, indistruttibile, per tutti gli anni a venire. Il ruolo di fotografo ufficiale che ricopre per Disc & Music Echo, un magazine di musica britannico, è in questo senso fondamentale: proprio grazie alla rivista ha un primo approccio con Mick Jagger, che nel 1973 segue in tour inaugurando un pluriennale sodalizio con i Rolling Stones. Nel frattempo, prosegue indefessa la sua collaborazione con la stampa musicale e con major discografiche come CBS, Columbia Records, Warner, Polydor e EMI, per le quali ritrae le star di un’epoca straordinaria in quanto a innovazione e a fermento creativo. Nel 1977 si trasferisce a New York dove fonda Retna, agenzia fotografica rimasta attiva per quasi trent’anni. I soggetti principali del suo portfolio sono gli eroi della music scene: dagli Stones a Bowie passando per Prince, Eric Clapton, Tina Turner, Joni Mitchell e Marc Bolan – solo per citarne alcuni – Putland immortala personaggi annoverati nella music history per carisma e genialità. Ai suoi scatti vengono dedicate mostre, come l’ importante retrospettiva che la Getty Gallery di Londra ha organizzato per il suo 50mo di carriera o quelle, tutte italiane, con cui ONO Arte ha reso omaggio al suo archivio su David Bowie e sui Rolling Stones. Ed è proprio in occasione di It’s only rock’n roll (but I like it), la mostra che fino al 23 Luglio sarà visitabile nella galleria d’arte bolognese, che ho avuto il privilegio e l’ onore di scambiare quattro chiacchiere con Putland. Il libro-catalogo THE ROLLING STONES BY PUTLAND rappresenta una chicca aggiuntiva dell’ esposizione: edito da LullaBit, raccoglie oltre 200 scatti in cui il grande fotografo ha immortalato i Rolling on e off stage. Una splendida opportunità per approfondire l’ opera di Putland e per immergersi nel mood che animava (e che anima) una vera e propria leggenda del Rock.

Ha scattato la prima foto a soli 9 anni. Quale ‘molla’ ha innescato il colpo di fulmine con la fotografia?

Sì, è stato davvero un colpo di fulmine tra me e la fotografia. Ma la mia influenza principale è stato mio zio, che vedeva che questa passione stava nascendo in me e mi aiutò molto a coltivarla. Lui aveva un macchina fotografica tedesca, una Voigtländer 35 mm, e da lì partì tutto. Ho ancora una collezione di macchine fotografiche appartenute alla mia famiglia, quella di mia nonna ad esempio, con cui di fatto scattai la mia prima fotografia! Mia nonna, in seguito, mi regalò una delle prime macchine con rullino: una Kodak Crystal.

Si dice che lei abbia fotografato tutte le rockstar al top dagli anni ’70 in poi. Ha mai coltivato velleità musicali?

In realtà mi sarebbe piaciuto ma non ero per nulla portato, nonostante mia nonna – quella della macchina fotografica – fosse una pianista abbastanza famosa ai suoi tempi.

Michael Putland

Tra gli innumerevoli artisti che ha immortalato spicca David Bowie. Che ricordo ha di lui e quali atout, a suo parere, lo hanno tramutato in un’icona?

La prima volta che vidi Ziggy pensai che fosse eccezionale e diverso. Tutto quel periodo era straordinario, e l’aspetto androgino di Bowie era qualcosa che non si era mai visto. Credo che quello che lo abbia davvero reso un’icona – a parte la sua musica incredibile, perché non scordiamoci che la musica era incredibile – sia stata la sua capacità di reinventarsi costantemente. Anche il suo ultimo lavoro prima di morire, Lazarus, è stato davvero un capolavoro di citazioni e innovazioni al tempo stesso.

Il bianco e nero è un leit-motiv di tutta la sua opera. Perché?

Ovviamente sono cresciuto con il bianco e nero, e anche quando le pellicole a colori divennero disponibili, nessuno se le poteva davvero permettere – e a pensarci bene non ho mai conosciuto nessuno che ai tempi le usasse! Il mio occhio è abituato a leggere il mondo a due colori, anche quando scatto ora.

┬®Michael Putland, Mick & Keith live, Wembley 1973

La sua collaborazione con i Rolling Stones ha avuto inizio nei primissimi anni ’70. Che tipo di feeling si è instaurato tra lei e la band?

Quello che posso dire è che ci trattavamo con estremo rispetto reciproco e fiducia, ognuno del lavoro dell’altro. Il nostro rapporto era più che altro professionale, fatto di gesti e pose più che di parole, soprattutto in confronto al rapporto che avevo con altri artisti. E forse questa è sempre stata una delle cose che ho amato di più.

Nei suoi scatti, la quintessenza degli Stones si esprime al meglio nella dimensione del tour. Come se lo spiega?

Uno dei talenti che ho in assoluto come fotografo, se posso dirlo, è quello di stabilire un rapporto con il soggetto che ritraggo. La band si sentiva a proprio agio  con me e quindi ero in grado di cogliere la loro vera essenza – non un’immagine posata – che sul palco, ovviamente, era all’ennesima potenza. Oggi quando scatto in digitale ho ancora questa capacità, infatti edito pochissimo le mie foto. In realtà, se devo essere onesto, preferisco fotografare chiunque non sul palco: le restrizioni e le difficoltà tecniche sono folli. Ma con gli Stones era una simbiosi di musica e performance che sapeva trascinarti via. Per quello, essere con loro on stage era incredibile.

Bowie, 1976. The Thin White Duke

Esistono foto, tra quelle in mostra, che associa a ricordi o ad aneddoti particolari?

Senza ombra di dubbio la foto che scattai a Bob Marley, Peter Tosh e Mick Jagger al Palladium Theatre di New York. Il contrasto tra il viso di Mick esausto dalla performance sul palco è così bianco e quello di Peter Tosh così sorridente e scuro, al contempo: mi  hanno regalato uno dei miei scatti di maggior successo.

Il libro fotografico ROLLING STONES by PUTLAND è presentato in una doppia copertina raffigurante Mick Jagger e Keith Richards. Chi dei due subisce maggiormente il fascino dell’obiettivo?

Mick è sicuramente più naturale davanti all’obiettivo, ma al tempo stesso se Keith sorridesse e fosse a suo agio non sarebbe più lui. In realtà in questi ultimi anni è sempre più sorridente, lui stesso non si riconosce più – dice. In fondo, è un nonno anche lui!

Photo courtesy ONO Arte

“It’s only Rock’n Roll (but I like it)”: a Bologna una mostra dedicata ai Rolling Stones

©Iconic Images/Terry O’Neill

 

It’s only Rock’n Roll (but I like it): la celeberrima hit-manifesto dei Rolling Stones da oggi è anche il titolo di una mostra fotografica con cui, dal 16 giugno, ONO Arte Contemporanea omaggerà la leggendaria band. In esposizione, gli scatti di due prestigiosi fotografi della music scene come Terry O’ Neill e Michael Putland, che immortalano una carriera consolidata in piena Swingin’ London ed esplosa definitivamente nel decennio dei Settanta. E’ trascorso mezzo secolo da quando il TIME coniò l’ aggettivo che descriveva una Londra “dondolante”, frizzante, capitale assoluta dello “youthquake” citato da Diana Vreeland, quella stessa Swingin’ London che vede Terry O’ Neill muovere i primi passi come fotografo: nato nell’ East End, O’ Neill è un batterista jazz che sogna di volare negli USA e di unirsi alle più famose band. Per mantenersi scatta per la British Airways e diventa un fotoreporter, ma la sua passione per la musica non tarda a emergere ed è il primo a immortalare i Beatles nello studio di Abbey Road. Ben presto, però, la sua attenzione viene catturata da una band che in quegli anni inizia a spopolare, i Rolling Stones: il look del gruppo non è poi così diverso da quello dei Fab Four, ma musicalmente risalta un elemento “graffiante” e intriso di rimandi al rhythm and blues che li contraddistinguerà a titolo perenne. Le prime foto di O’Neill ritraggono la formazione di esordio della band – Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts, Bill Wyman e l’ indimenticato Brian Jones – per le strade di Londra, ancora alla ricerca di uno stile estetico identificativo, anticipando l’ evoluzione che li tramuterà in trasgressive rockstar anche nel modo di mostrarsi al pubblico.

 

 

©Iconic Images/Terry O’Neill

 

Il nuovo status coincide con una mutazione nel look che Michael Putland immortala egregiamente, congelando su pellicola una vera e propria svolta storica del gruppo.

 

 

©Michael Putland

 

Putland, fotografo ufficiale della band dai primi anni Settanta, è presente sul set del video di It’s only Rock ‘n Roll (but I like it) e documenta costantemente le performance live degli Stones. Ed è proprio nella dimensione del tour che si alimenta e si consacra il loro mito, rendendoli a tutt’ oggi esplosive leggende del rock: il ruolo privilegiato di Michel Putland fa sì che ci fornisca un dettagliato resoconto fotografico che, oltre alle esibizioni sul palco, include i backstage, gli studio recordings e i party che hanno descritto a tutto tondo un’ era. Queste immagini – unitamente a quelle in mostra – appaiono nel libro che ONO Arte cura per LullaBit, ROLLING STONES by PUTLAND. Il volume sarà nelle librerie a Settembre, ma verrà presentato in anteprima in galleria: i fan dei Rolling e di Michael Putland, infatti, il 18 Giugno (dalle ore 16) potranno farsi autografare copie del libro dal grande fotografo in persona. Un save the date decisamente da non perdere. Perchè sarà anche “only Rock’n Roll”…But We like it!

©Michael Putland

La mostra (16 Giugno – 23 Luglio), allestita a Bologna presso ONO Arte Contemporanea in via S. Margherita 10, è patrocinata dal Comune di Bologna ed è composta da circa 50 immagini in diversi formati.

Il catalogo ROLLING STONES by PUTLAND, edito da LullaBit, è il secondo titolo della collana realizzata in collaborazione con ONO Arte.

Rolling Stones cover

Photo courtesy of ONO Arte

“Bowie before Ziggy” da oggi in mostra a Bologna

©Michael Putland

A due mesi esatti dalla sua scomparsa, l’ interesse e le celebrazioni nei confronti di David Bowie si moltiplicano in modo esponenziale. Vero e proprio mito del nostro tempo, il Duca Bianco conferma l’assioma secondo il quale “le icone non muoiono mai”: talento, carisma, unicità e innovazione rappresentano un mix di doti talmente esplosivo da imprimere nell’ immaginario collettivo, a titolo perenne, chi lo possiede. Motivo per cui il genio e l’ istrionismo bowiano sono più che mai vivi presso il grande pubblico, alimentando tutta una serie di iniziative atte ad approfondirne i caratteri e le sfaccettature. Prende vita da questo concept Bowie before Ziggy. Fotografie di Michael Putland, la mostra che ONO Arte Contemporanea inaugura oggi a Bologna: un omaggio al David Bowie che, di lì a pochissimo, sarebbe diventato ufficialmente Ziggy Stardust lanciando il suo alter ego più iconografico e memorabile. Lo strumento privilegiato di questo viaggio a ritroso nel tempo sarà costituito dalle foto scattate a Bowie da Michael Putland, celebre fotografo inglese della music scene. Ventisette immagini nelle quali spicca un clou contraddistinto da precise coordinate spazio-temporali: lo shooting che ha ispirato il titolo dell’ esposizione ha come location Haddon Hall, la residenza londinese dell’ eclettica rockstar, ed è stato realizzato il 24 aprile del 1972. Una data che precede di soli quattro giorni l’ uscita di Starman, il singolo di lancio del leggendario The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, 24 ore di scatti all’ insegna di un mood tra il rilassato e il giocoso: Putland ritrae un Bowie perfettamente a suo agio tra le mura domestiche, alle prese con la tinteggiatura del soffitto e mentre flirta con l’obiettivo. E’ “la calma prima della tempesta”, il relax casalingo che precede il boom di straordinaria popolarità esploso con Ziggy, un Bowie a dimensione umana che si avvia a tramutarsi nel più famoso alieno della storia del rock. Gli indizi sono già presenti: l’ abito che indossa – creato in connubio con il designer Freddy Burretti – è lo stesso che sfoggerà sulla cover dell’ album, il suo percorso di ricerca musicale e sull’ immagine è pienamente avviato. The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars vedrà la luce due mesi dopo e sarà un successo planetario, evidenziando a tutto tondo le sue doti camaleontiche innate. ONO Arte, attraverso il “racconto” fotografico di Michael Putland, celebra questo speciale periodo di transizione affiancandolo a scatti post-Ziggy e tratti dallo Station to Station Tour. La mostra – visitabile fino al 30 Aprile –  include  inoltre il lavoro grafico di Terry Pastor, designer delle copertine di Ziggy Stardust e Hunky Dory.

 

BOWIE BEFORE ZIGGY. Fotografie di Michael Putland

Dal 12 Marzo (Opening ore 18,30) al 30 Aprile 2016

presso ONO Arte Contemporanea, via Santa Margherita 10, Bologna

 

 

 

©Michael Putland

 

 

©Michael Putland

 

 

 

©Michael Putland

 

 

©Terry Pastor

 

Photo courtesy of ONO Arte

Glitter People

” Non sono un profeta o un uomo dell’età della pietra, solo un mortale con il potenziale di un superman. “

David Bowie

 

Photo: RCA Records attraverso Wikimedia Commons

Il gold è rock

Prada

 

 Ora che la sua autobiografia – dall’ evocativo titolo di Reckless – è finalmente in libreria (anche se non ancora tradotta nell’ idioma del Bel Paese), Miss Chrissie Hynde non cessa di calamitare la nostra attenzione in quella foto di copertina dove, in un ritratto molto rock grintosamente in black and white, fa sfoggio di un paio di ankle boots il cui color oro risalta fulgido e intatto. Possiede uno straordinario impatto, quell’ immagine con ogni probabilità simbolica: il dettaglio dorato evidenziato come fosse un emblema, lo sfavillio di un’ esistenza che si è lasciata i toni neutri irrevocabilmente alle spalle. La continua ricerca dell’ unicità attraverso l’ audacia, il distacco dagli schemi della convenzionalità, le emozioni a briglia sciolta a scongiurare il banale. Non ci è dato sapere a quale griffe appartengano gli stivaletti della leader dei Pretenders, ma quel che è certo è che ha risvegliato in noi suggestioni strettamente associate all’ appeal del gold: un mix potente di fiabesco e glamour, femminilità a 24 carati dotata di sfumature bold che mai passa inosservata. Curiosare tra le proposte a tema golden shoes della stagione fredda è risultato pressochè automatico, foriero di “splendenti” scoperte contraddistinte dalla cura nei dettagli e dall’ estrosità creativa: eccone una breve ma significativa rassegna.

Bottega Veneta

Dries Van Noten

Miu Miu

Dolce & Gabbana

Michael Kors

Glitter People

 

” Ballare è un atto spirituale: è essere felici seguendo un certo ritmo, una certa musica, come facevano le tribù africane che ballavano a ritmo dei loro strumenti; questo diventava un’esperienza spirituale e comunitaria. “

Skin

 

 

Photo by Alterna2 http://www.alterna2.com (Flickr: Skunk Anansie – Razzmatazz – Febrero 2011) [CC BY 2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons