Concierto de Moda Internacional de Venecia: nella Serenissima torna l’esclusivo evento che celebra la moda e la cultura latinoamericana

 

Oggi, a Venezia, prenderà il via la seconda edizione di una kermesse molto esclusiva: il Concierto de Moda Internacional de Venecia. Il Gala di Moda Latino Americana, ideato e diretto dall’ organizzatrice di eventi dominicana Antonia Jean, si svolgerà dal 9 all’11 Giugno nella splendida location dell’ Hotel Ca’ Sagredo. Inserito nel programma ufficiale de Le Città in Festa 2023, il CMIV si avvale del sostegno dello Studio Legale Branchicella di Roma e anche quest’anno stupirà la Serenissima con l’opulenza di creazioni nate sotto il sole dei Caraibi e nel variegato territorio dell’ America Latina.  La tre giorni, esaltando il talento degli stilisti ispano-americani, riannoda al tempo stesso l’antichissimo legame tra la perla lagunare e la parte meridionale del Nuovo Mondo: un legame instaurato molti secoli orsono in occasione dell’approdo in America dei veneziani. In tal senso, la moda funge da perfetto trait d’union grazie alle suggestioni, alle emozioni e alle atmosfere che è in grado di evocare. Il ricco programma del CMIV 2023 include iniziative finalizzate a divulgare la creatività e il savoir faire artigianale dei fashion designer sudamericani e caraibici, ma mira anche a promuovere uno scambio tra la cultura latinoamericana e quella veneziana; prova ne è il fatto che alle sfilate, agli incontri e agli aperitivi con gli stilisti si alterneranno eventi come la Noche de Cristal di Murano, un omaggio ai capolavori in vetro realizzati dagli artigiani dell’ isola più grande della laguna.

 

 

Non solo moda, insomma, come dimostrano anche gli appuntamenti previsti per la giornata di domenica: la cultura ispano-americana sarà celebrata con la mostra dedicata a Frida Kahlo della Fondazione Leo Matiz, il fotografo che immortalò in scatti memorabili la celebre pittrice messicana; verranno inoltre esposte svariate creazioni di moda presentate in passerella tra venerdì e sabato. Il CMIV 2023 si concluderà con l’ esplosione di ritmi e suoni della Fiesta Blanca Latina (dress code rigorosamente in total white) che si terrà al Blue Moon del Lido di Venezia, un evento perfetto per lasciarsi conquistare dal mood sudamericano e caraibico in tutta la sua esuberanza. Potete leggere il programma completo della tre giorni cliccando qui.

 

Uno scatto del CMIV 2022

Antonia Jean

Il CMIV nasce grazie a un’ intuizione di Antonia Jean, imprenditrice dominicana attivissima nell’ organizzazione di eventi in tutto il mondo ispanico. La affianca l’Avv. Maurizio Branchicella, CEO e Presidente dello Studio Legale Branchicella, che ha sostenuto il progetto sin dagli esordi condividendone appieno le finalità. Attualmente residente a Venezia, Antonia Jean è da sempre impegnata nella promozione dei talenti latini in tutto il mondo. Tramite il CMIV, una kermesse di richiamo internazionale, si è prefissata di divulgare la creatività degli stilisti originari dei Caraibi e dell’ America del Sud, un estro fortemente permeato dalla storia e dalla cultura di quei paesi. “Non si tratta di una semplice sfilata di moda”, dice dell’evento, “ma di condividere la nostra essenza, di unire due mondi lontani ma che storicamente si trovano ad essere vicini. Il “Concierto de Moda Internacional de Venecia” è una celebrazione della diversità, dei sentimenti della gente e del genio dei nostri stilisti”.

 

Antonia Jean, l’ideatrice del Concierto de Moda Internacional de Venecia

Giannina Azar, una stilista adorata da star del calibro di Beyoncé e Jennifer Lopez

Alcune immagini tratte dalle sfilate del CMIV 2022

 

 

L’ accessorio che ci piace

 

Oggi vi presento una deliziosa novità firmata Valentino: la ballerina Rockstud in raso. E’ un piccolo gioiello che fonde grinta e preziosità, rendendo i contrasti un suo punto di forza. Innanzitutto, il termine “ballerina” le calza a pennello; nasce ispirandosi alla tipica scarpetta da danza classica, ma non a una scarpetta da punta. Le sue, di punte, sono infatti decisamente arrotondate. Il tacco è rasoterra, misura solo 5 mm, e la tomaia viene impreziosita da un piccolo fiocco in tessuto. Il caratteristico motivo a borchie Rockstud, in questo caso laccate e ton sur ton, decora la bordatura posta sullo scollo della scarpa e il cinturino intrecciato, che si allaccia intorno alla caviglia.

 

 

L’ effetto d’insieme? Una calzatura super chic, femminilissima ma arricchita da un motivo ornamentale “strong” come le borchie Rockstud. Ci piace perchè è piena di stile, una meravigliosa rivisitazione della ballerina, e l’amore con cui è stata realizzata – completamente a mano – risulta palpabile. Godetevi qui il video del suo processo di creazione: un tributo allo straordinario savoir faire degli artigiani della Maison Valentino. E la palette cromatica? La ballerina Rockstud in raso è disponibile in vari colori: Nero, Water Lilac (un lilla chiarissimo) e Crystal (con cristalli argentati applicati su nappa), ma la nostra scelta è caduta sul vibrante e iconico Pink PP (la nuance di fucsia che Pierpaolo Piccioli ha celebrato nella collezione Autunno Inverno 2022/23 del brand). Esiste, poi, una particolare versione della scarpa che ostenta lacci borchiati intrecciati fino all’ altezza del ginocchio. Questo modello è declinato in due diversi colori, Nero e Rose Cannelle (una gradazione a metà tra il nude e il rosa antico). Insomma, non c’è che l’ imbarazzo della scelta. Il denominatore comune di tutte le varianti rimane, in ogni caso, l’ altissimo tasso di fascino emanato dalla ballerina Rockstud in raso.

 

 

 

Dicembre

Dior

 

“Il freddo dicembre porta il nevischio, il fuoco ardente e il regalo di Natale.”
(Sara Coleridge)

 

Arriva Dicembre e l’Inverno entra in pompa magna. E’ il mese più magico dell’anno, fitto di ricorrenze: l’8 celebreremo l’ Immacolata Concezione, il 13 Santa Lucia, il 21 il Solstizio d’Inverno…per poi finire in bellezza con la notte di vigilia, Natale e Capodanno. A Dicembre anche le città si vestono a festa. Le luminarie scintillano nelle vie, nelle piazze affollate di mercatini natalizi. Le suggestive atmosfere dell’ Avvento alleggeriscono l’animo e risvegliano lo stupore. Cade la prima neve, il mondo si trasforma: tutto sembra più bello, quel manto candido trasforma ogni scenario in un’autentica fiaba. Dove ci piace pensare che i sogni diventino realtà mentre sorseggiamo una cioccolata calda davanti al focolare. Dicembre, dal latino “decem”(dieci), per il calendario romano – che faceva iniziare l’anno a Marzo – era il decimo mese. Le suggestioni a cui si associa sono molteplici, tutte affascinanti. Il buio avanza e predomina, lo sottolineano gli antichi proverbi: “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”. Eppure, anche quel buio viene acceso dalle luci del Natale e di miriadi di candele, basti pensare a come viene celebrata la Santa protettrice della vista in terra svedese. Il Solstizio d’Inverno è una data fondamentale. L’ oscurità la fa da padrona, ma dal 21 Dicembre le ore di luce aumentano progressivamente. Il Sole, dopo aver sostato allo zenit del Tropico del Capricorno, prosegue il suo percorso verso l’Equatore (che raggiungerà all’ Equinozio di Primavera). La rinascita del Sole, festeggiata anticamente da molti popoli del Nord Europa, viene associata al rosso dalla notte dei tempi; oggi, non a caso, è il colore del Natale, una ricorrenza ricca di elementi simbolici. L’ abete addobbato affonda le radici nella tradizione celtica: essendo un sempreverde, resisteva ai rigori dell’ Inverno ed era considerato un emblema di lunga vita. Con l’arrivo della stagione fredda, i Celti adornavano gli abeti di campanelle e fiaccole per conquistarsi la benevolenza degli spiriti. Nel Cristianesimo l’abete rappresenta la vita, il Cristo stesso. Il primo presepe, invece, fu realizzato nel 1223 da San Francesco in una grotta di Greccio. Da allora, la rappresentazione della nascita di Gesù ha dato origine a dei veri e propri capolavori artistici e artigianali. Oltre ad essere il mese della “festa di tutte le feste”, Dicembre si conclude tra la baldoria dei balli, dei fuochi d’artificio e dei brindisi di Capodanno, quando le speranze e i desideri affidati all’anno nuovo si incrociano con i saluti di commiato del dodicesimo mese.

Il look del mese. Dicembre è il mese delle fiabe: non è un caso che io abbia scelto un prezioso abito rosso da dama Rinascimentale. Lo firma Maria Grazia Chiuri per Dior, ha maniche a palloncino che arrivano al polso e una lunga gonna plissettata e fluttuante.

L’ accessorio del mese. Optare ancora per Dior è stato naturale, data l’estrema raffinatezza della linea D-Renaissance: queste creazioni di alta gioielleria mozzano letteralmente il fiato. E se fiaba dev’essere, che fiaba fino in fondo sia. Vi propongo una meravigliosa collana a colletto, frutto del savoir faire artigianale più squisito. Avvolge il collo ricreando la soavità del pizzo tramite una rigida struttura dorata, così finemente lavorata da sembrare filigrana. Un tripudio di perline in resina e di strass (applicati a mano uno ad uno) esalta la sua superba pregiatezza.

 

Dior, dalla collezione di alta gioielleria D-Renaissance

 

 

 

 

Martedì Grasso: Venezia, le maschere e i “mascareri”

 

“Spesso una maschera ci dice più di un volto.”
(Oscar Wilde)

 

E’ una storia antichissima, quella del Carnevale veneziano. Un documento del Doge Vitale Falier attesta la sua esistenza già nel 1094, ma solo nel 1296 venne dichiarato festa pubblica con un editto del Senato della Repubblica di Venezia. A quei tempi il Carnevale iniziava il mese di Ottobre, a volte il giorno di Santo Stefano, per poi protrarsi (in entrambi i casi) fino al mercoledì delle Ceneri. Un tripudio di maschere e costumi favoriva il divertimento più sfrenato: nell’ anonimato, scatenarsi in balli, burle e satire non provocava alcun imbarazzo. La Serenissima, anzi, incoraggiava simili comportamenti. Non è un caso che il Carnevale fosse stato istituito in base al principio “panem et circensem”, garantendo una valvola di sfogo per il malcontento del popolo nei confronti del governo. La maschera, in particolare, divenne un elemento fondante del Carnevale lagunare. Lo scopo con cui veniva indossata era ben preciso: assicurava il livellamento sociale eliminando ogni differenza rispetto al sesso, all’ età, alla religione, al ceto di appartenenza. Tutti potevano sbizzarrirsi nel tramutarsi in qualcun altro, l’ identità assumeva le sembianze di un mero travestimento. Lungo le calli e i campi, il saluto che ci si scambiava era solo uno: “Buongiorno, siora maschera!”. Celare il volto donava un’ indicibile sensazione di libertà; ci si allontanava dal proprio io e dal proprio quotidiano, alimentando la fantasia con la creazione di sempre nuovi personaggi. La gioia, la giocosità e la licenziosità spadroneggiavano, sul grande palcoscenico veneziano. Una folla mascherata e variopinta dava vita ad una sorta di spettacolo permanente. La maschera, che nella preistoria si indossava durante i rituali religiosi, a Carnevale diventava una complice, una fedele alleata che permetteva di dedicarsi a frizzi e lazzi di ogni tipo.

 

 

Dal 1271 in poi, di conseguenza, a Venezia si sviluppò un fiorente artigianato delle maschere. Sorsero scuole e botteghe, vennero ideate nuove tecniche di lavorazione. I materiali utilizzati erano l’argilla, il gesso, la cartapesta, la garza, modellati grazie a strumenti sempre più specifici. Gli ornamenti delle maschere veneziane divennero celebri: i “mascareri” le impreziosivano con un trionfo di arabeschi, piume e perline accentuandone la sontuosità straordinaria. A poco a poco, si moltiplicarono le fogge e le decorazioni. Il savoir faire artigianale raggiunse livelli di sublime minuziosità, creando maschere che erano degli autentici capolavori. Uno statuto promulgato il 10 Aprile 1436 riconobbe ufficialmente il mestiere del mascarero; ciò favorì un ulteriore incremento nella produzione del più importante accessorio carnascialesco.

 

 

Nel periodo d’oro del Carnevale veneziano, il ‘700, si affermò la cosiddetta Baùta: un travestimento che constava di una maschera bianca detta “larva” unita ad un tricorno e ad un tabarro rigorosamente neri. Uomini e donne adottarono la Baùta all’ unanimità, anche perchè il suo utilizzo non era esclusivamente riservato al Carnevale. La si indossava a teatro, durante le feste, e garantiva uno strategico anonimato per le avventure galanti. Inoltre, la forma rialzata della maschera nella parte inferiore del volto permetteva di bere e di mangiare senza problemi. Tra le donne, anche la Moretta era molto diffusa. Si trattava di una mascherina tonda in velluto nero che si abbinava, solitamente, a un look altamente raffinato. Indossarla non era il massimo della comodità: per mantenerla sul viso si doveva stringere tra i denti un bottone interno, il che rendeva pressochè impossibile la conversazione. Ma a Carnevale ogni scherzo vale e tutto si può fare, per cui il mutismo della donna in moretta veniva equiparato a un seduttivo alone di mistero. Agli antipodi di questa figura di dark lady si colloca la maschera della Gnaga, che esibiva dei marcati lineamenti felini. Il suo nome, non a caso, deriva da “gnau”, in dialetto veneziano il “miao” del gatto. Gli uomini la adoravano: si accompagnava a un travestimento da donna che includeva un cestino contenente un micio, e favoriva una metamorfosi a tutto tondo. Le Gnaghe erano popolane irriverenti che si esprimevano con voce stridula, simile appunto al miagolio di un gatto, e di frequente sbeffeggiavano i passanti o li stupivano con scherzi al limite della trivialità. Pare che anche gli omosessuali ricorressero a questo travestimento per girare per Venezia indisturbati. Era comune, inoltre, che la Gnaga rivestisse il ruolo di una balia: nel suddetto caso, la seguiva un esilarante corteo di uomini travestiti da bambini.

 

 

Buti collezione AI 2021/22: la vibrante ad campaign firmata da Pier Fioraso

 

Come vogliamo la borsa ideale? Innanzitutto le chiediamo che sia bella, che ci soddisfi esteticamente. E poi la preferiamo stilosa, comoda, maneggevole. Desideriamo che sia capiente il più possibile, perchè in borsa infiliamo il nostro mondo, e al tempo stesso che sia minuta, aggraziata, mai ingombrante. Adoriamo le borse con il manico che, all’ occorrenza, possiamo indossare anche a tracolla. Se sono colorate, sfiziose ma eleganti e soprattutto sostenibili, è davvero il top. Queste riflessioni mi sono venute spontanee, mentre ammiravo le immagini della campagna pubblicitaria AI 2021/22 di Buti. La storica pelletteria fondata da Pilade Buti nel cuore della Toscana, un’ azienda a conduzione familiare, è attiva dal 1950 ma non ha mai sovvertito i propri valori: la creatività, la passione, un savoir faire artigianale di elevata qualità. Buti concepisce la borsa come uno squisito accessorio di design. La cura dedicata al prodotto è altissima, coinvolge l’ intero processo produttivo. I maestri artigiani prestano un’attenzione meticolosa ad ogni dettaglio della creazione, realizzando una borsa fatta a mano con amore e con la massima dedizione. Ciascun pezzo è unico, senza tempo, sfoggia materiali pregiati e una gamma di colori inesauribile; può essere personalizzato tramite accessori, finiture o pellami a scelta del cliente: l’ obiettivo è consegnargli una borsa che lo rispecchi, che esprima la sua personalità a 360 gradi.

 

La collezione Autunno Inverno 2021/22 del marchio include tre differenti linee. New Energy è un’ ode alla sostenibilità. Buti abbraccia una filosofia eco-friendly finalizzata ad instaurare la massima armonia tra l’azienda e l’ambiente. Fortemente radicato nel territorio e fautore di una politica aziendale che valorizzi il talento degli artigiani toscani, il brand si avvale di materiali innovativi come l’ Apple Marlene, un tessuto realizzato con gli scarti della lavorazione della mela, e il cuoio vegetale. Entrambi, a poco a poco, sono andati affermandosi al pari dei pellami signature di Buti, iconici e inalterabili nel tempo. Innovazione e tradizione si intrecciano sapientemente, apportando nuova linfa alla ricercatissima lavorazione artigianale. Flaw-Less si incentra invece sul patchwork: rombi di materie prime di scarto vengono cuciti l’uno accanto all’ altro per creare uno stile versatile e splendidamente sfaccettato. Regenerated Design, infine, mira a dare nuova vita ai tipici pellami del brand. Le materie prime si rigenerano attraverso cicli produttivi successivi e riducendo al minimo gli scarti, con la massima attenzione affinchè non si verifichi un impatto negativo sull’ ambiente. Per facilitare il processo, Buti ha progettato un nuovo design dei prodotti: il riutilizzo delle risorse primarie viene incentivato e coniugato con la qualità.

 

 

La advertising campaign della collezione è stata ideata da un nome prestigioso. I lettori di VALIUM lo ricorderanno molto bene: si tratta di Pier Fioraso (rileggi qui la sua intervista), Art-Creative Director e Consultant che vanta oltre dieci anni d’esperienza in progetti creativi e di forte impatto nei settori della moda, del lusso e del lifestyle. Pier ha sviluppato concept in collaborazione con brand del calibro di Alexander McQueen, Balenciaga, Emilio Cavallini, LuisaViaRoma, Max Mara, Missoni, Opening Ceremony e Stefanel, per citarne solo alcuni. A capo di WeAreCreative, agenzia creativa-digitale che si avvale di un vasto network di fotografi, storyteller, stylist e creativi ad ampio spettro, Fioraso elabora proposte visionarie e innovative. La campagna per la collezione Autunno Inverno 2021/22 di Buti ne è un pregnante esempio: scattata dal fotografo Raffaele Grosso, inneggia ai segni distintivi del brand. Uno su tutti? Il colore, che ritroviamo sia nelle borse che negli sfondi e nei look indossati dalle modelle. L’ azzurro, il lilla, il fucsia, il giallo, il turchese, l’ ottanio e l’arancio sono le nuance più ricorrenti, vivaci e molto potenti visivamente. L’ attitude è altrettanto strong. Descrive la disinvoltura, la spigliatezza, il brio della donna Buti, un marchio che ha oltrepassato il 70esimo anniversario. Come dire: “70 anni e non sentirli”! L’ energia e il dinamismo sono gli stessi del brand, lo stare al passo coi tempi pur mantenendo uno chic di base, uno stile fortemente caratterizzato, anche. La gioia di vivere pervade ogni scatto, ed è rigenerante in un periodo ancora rabbuiato dal Covid. Le immagini ci mostrano una donna indipentente, attiva, che predilige le mini borse ma non disdegna le shopping bag.

 

 

A unire le tre linee Autunno Inverno 2021/22 è un denominatore comune: il desiderio di esibire una borsa che esprima se stesse e la propria personalità. Se ci fate caso, in effetti, la borsa che scegliamo rivela molto di noi. Perchè ci accompagna in ogni momento, fa parte della nostra vita e del nostro quotidiano. La borsa, insomma, racconta chi siamo: un concetto che viene sottolineato tramite foto vibranti e con straordinaria efficacia dalla spumeggiante campagna pubblicitaria Buti firmata da Pier Fioraso.

 

 

CREDITS

Project:
Buti Bags | AW 2021-22 Collection
@buti_italia #ButiBags #AW21 #Digital #Campaign #Adv
Art Direction & Styling: @PierFioraso
Photographer: @Raffgrosso
Digital Operator: @Frneri_
Fashion Assistant: @JaqueVuelma @Gabri_Casari
Hair & Make-up: @Clo.fba at @RockandRoseAgency
Produced by: @WeAreCreative.Agency
Models:
@KorlanMadi at @FashionModel.it
@AmbersHall at @EuphoriaFashionAgency

 

 

I carillon di Villeroy & Boch, piccoli capolavori dal fascino d’altri tempi

Le sue note incantate e ipnotiche creano un sottofondo magicamente irreale: non è un caso che il carillon (anche detto “scatola musicale”) sia onnipresente in occasione delle celebrazioni più speciali. Nascite, battesimi, compleanni, ma anche il Natale, dati gli accenti fanciulleschi che impregnano questa festa. E’ un oggetto senza tempo, un cult da collezione: le sue radici sono antiche, ma il fascino che emana è sempre attuale. A Dicembre, si tramuta in un’ idea regalo tutto fuorchè scontata. Riproduce la simbologia natalizia al gran completo, e lo fa in modo eccellente: carillon a forma di angeli, giostrine, abeti addobbati, Babbo Natale e pupazzi di neve spadroneggiano, esaltati da un prezioso savoir faire artigianale.  Ma quando nasce il carillon, esattamente? Dopo l’ invenzione dell’ orologio meccanico. A quell’ epoca veniva chiamato “scatola musicale”, poichè con il termine “carillon” si indicava il meccanismo di funzionamento delle campane dei campanili e delle torri civiche. Con l’ avvento dell’ orologio meccanico, gli artigiani ebbero l’ idea di collegare al suo ingranaggio a una ruota che includeva un sistema di pioli, levette e campanelli: i pioli azionavano le leve, che a loro volta martellavano i campanelli. Dal movimento scaturiva una melodia dolcissima, quasi fatata. Fu l’ orologiaio svizzero Antoine Favre-Salomon, nel 1796, a perfezionare il meccanismo dell’ “orologio musicale”. Chiamò la sua creazione “carillon sans timbre ni marteau” e ne registrò il brevetto. La produzione su vasta scala di carillon ebbe inizio pochi anni dopo, all’ inizio dell’ ‘800. L’ estetica ricercatissima e intrisa di estro contraddistinse da subito quel poetico oggetto.

 

 

In omaggio alle antiche origini della “scatola musicale”, vi propongo la gallery che vedete in questo post: le immagini raffigurano i carillon natalizi di Villeroy & Boch, uno storico marchio tedesco. La fondazione del brand risale nientemeno che al 1748, anno in cui Jean-François Boch aprì un piccolo laboratorio di ceramica in Lorena. Nel 1836 Boch unì le forze con Nicholas Villeroy, attivo nella decorazione della ceramica a Wallerfangen, per fronteggiare la massiccia importazione dall’ Inghilterra del prodotto. Oggi, Villeroy & Boch è uno dei marchi leader nella produzione di ceramica e di articoli per la casa. I suoi carillon natalizi, dall’ aria volutamente d’altri tempi, sono dei piccoli capolavori di raffinatezza. A fare da leitmotiv è la realizzazione in porcellana, parzialmente dipinta a mano e decorata squisitamente.

Il luogo

 

Il dilagare della pandemia di Covid ci ha messo di fronte a una nuova realtà, mai sperimentata prima, dove i cambiamenti nello stile di vita sono all’ ordine del giorno. Tra lockdown e contagi in rialzo, chiusure e mascherine a oltranza, il 2020 è trascorso come un incubo a occhi aperti. In questi mesi di graduale normalizzazione dello scenario socio-sanitario, tuttavia, l’ entrata in vigore del Green Pass ha dato adito a proteste e rivolte a ruota libera. E nelle grandi città, già in preda al caos urbano, all’ inquinamento e al pericolo contagio, cortei e manifestazioni proliferano. C’è chi ha pensato da tempo, soprattutto quando la pandemia era nel suo pieno, di trasferirsi in luoghi più a misura d’uomo: magari in provincia, o nei piccoli centri. Oppure ancora in campagna, nei villaggi…dove l’aria è rimasta pura e la natura è una costante della quotidianità e dei paesaggi. Questa scelta si ricollega strettamente al tema del mutamento, alle nuove coordinate esistenziali che il Covid ci ha imposto. Avendone la possibilità (un’ attività in smart working o come freelance, l’ opportunità di raggiungere facilmente il proprio posto di lavoro in città), in molti hanno deciso di trasferirsi in un “borgo selvaggio” di leopardiana memoria. Immaginate quegli antichi e pittoreschi villaggi che abbondano nella nostra Italia, dove le strade sono ancora lastricate di ciottoli e ci si conosce tutti per nome: ecco, mi riferisco a location di questo tipo. I vantaggi del vivere in un borgo sono riassumibili in pochi punti: aria pulita, tranquillità, albe non di rado salutate dal canto del gallo, costo della vita irrisorio come le distanze, generalmente percorribili a piedi o al massimo in bicicletta. E poi, un più stretto contatto con la natura, un minor rischio assembramenti favorito dall’ esiguo numero degli abitanti, una socialità spiccata, zero criminalità. Con il valore aggiunto di poter apprendere il savoir faire artigianale di svariati settori: il gusto del “fatto a mano”, nei paesini, non è mai venuto meno. Molto spesso, inoltre, gli antichi borghi vantano angoli, scorci e vedute panoramiche senza pari. La decisione di trasferirsi in un villaggio, ciononostante, va valutata bene. Conoscere tutti ed essere conosciuto da tutti, far parte di una piccola comunità, può rappresentare un vantaggio e uno svantaggio a un tempo. La vita tranquilla, in genere, non regala troppe sorprese. Soppesare i pro e i contro di una scelta così radicale è tassativo. Entrano in gioco le attitudini, gli interessi, l’ indole individuale. Non ultima, la fase esistenziale che in quel momento si sta vivendo. La domanda principale da porre a se stessi è innanzitutto una: “Sono pronto a rinunciare alle opportunità e al fermento che mi offre una grande città?”.

 

 

 

 

Ottobre

 

Ottobre è appena arrivato, l’ estate sembra solo un ricordo. Il paesaggio muta i propri connotati, l’ aria si fa frizzante. Come le foglie, che si accendono di straordinari colori prima di staccarsi dai rami, ci accingiamo ad affrontare la nostra “metamorfosi” stagionale: Ottobre, in questo senso, è un mese chiave. Il suo nome deriva dal latino “octo”, “otto”, poichè per il calendario romano, iniziando l’ anno a Marzo, rappresentava l’ ottavo mese dell’ anno. A quali emblemi lo assocereste? I suoi simboli identificativi sono molteplici. Pensate solo alle castagne, al coloratissimo fogliame dei boschi, alle caldarroste degustate con il vino fresco di vendemmia, oppure, ancora, al focolare acceso, a Halloween e alle zucche…Per quanto mi riguarda, ho avuto l’ imbarazzo della scelta anche al momento di selezionare il look del mese. Quando mi sono imbattuta in questo splendido capo di Stella Jean, però, non ho avuto più dubbi: è un’ ampia mantella con cappuccio tinta di una sobria nuance di beige, ma ravvivata da un variopinto decoro in feltro – interamente lavorato all’ ago con tecniche tradizionali – realizzato da un gruppo di artigiane kirghise. La collezione Autunno Inverno 2021 di Stella Jean, infatti, ha preso forma grazie a un’ importante iniziativa della FAO, la “Mountain Partnership Products”, finalizzata a incrementare l’ economia delle popolazioni di montagna dei paesi meno agiati attraverso il loro savoir faire artigianale, le loro competenze, le loro tradizioni. Il progetto ha permesso a Stella Jean di lavorare alla sua collezione insieme a un team di fini conoscitrici del “fatto al mano” nella regione di Issik-Kul, in Kirghizistan. Il risultato, potete ammirarlo nella foto qui sopra: un vero e proprio capolavoro della moda etnica.  Da abbinare a un accessorio prezioso e color oro come i boschi di stagione, le double strap in pelle laminata di A.Bocca.

Sono incluse nella collezione Autunno Inverno 2021 del brand di Porto Sant’ Elpidio, e conquistano per l’ allure che coniuga sapientemente accenti naif e ispirazione rétro.  Hanno la punta quadrata, un tacco basato alto 25 mm. e due cinturini con fibbia a forma di cuore che si allacciano sul dorso del piede. Ma il loro punto di forza, oltre al design e alla qualità, è la cromia che le contraddistingue: una nuance di oro anticato che ammalia a prima vista. Perchè è insolita e, al tempo stesso, estremamente raffinata. Un total gold seducente e divinamente autunnale.

 

 

 

L’ accessorio che ci piace – Speciale Dante 700

 

Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.

La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta. “

Dante Alighieri, “Divina Commedia”, Canto V dell’ Inferno

 

Nella “Divina Commedia”, quando Dante e Virgilio entrano ne “Il Cerchio” (la zona dell’ Inferno in cui sono confinati i Lussuriosi), piombano in un luogo oscuro dove i corpi dei dannati vengono sferzati e sballottati da un’ incessante tempesta. E’ lì che i due viaggiatori incontrano Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, gli amanti tragicamente uccisi a causa della loro relazione adulterina. Francesca spiega a Dante come sia sbocciato l’ amore che la lega a Paolo, raccontandogli che tutto ebbe inizio mentre leggevano un libro su Lancillotto e Ginevra e decisero di immedesimarsi in quei personaggi. All’ improvviso, la descrizione di un bacio tra il cavaliere della Tavola Rotonda e la consorte di Re Artù li spinse a baciarsi a loro volta. Dante, profondamente sconvolto dal racconto, cade a terra svenuto. Mentre Francesca parla, la bufera non smette di imperversare. E’ impossibile sedare il vento fortissimo che tiene in pugno i due amanti, li solleva, li separa e li riunisce con una furia travolgente. L’unica cosa che possono fare è imparare a danzare nella tempesta, a muoversi in sintonia con il suo vortice. Da tutto ciò scaturisce una significativa lezione: dobbiamo essere in grado di danzare con le forze avverse che ci circondano senza arrestare il nostro percorso. E’ a questo insegnamento che la designer Rosh Mahtani, fondatrice del jewellery brand inglese Alighieri, si è ispirata per la creazione della collezione “The Dance of the Storm” (rileggi qui l’articolo che VALIUM ha dedicato alla creativa londinese). Gli Infernal Storm Earrings, appartenenti alla linea, mi hanno conquistato all’ istante e voglio parlarvene qui di seguito.

 

In bronzo placcato oro 24 carati, questi orecchini sono completamente realizzati a mano e vantano un design particolarissimo. C’è qualcosa, nella loro forma, che rimanda a una dimensione arcaica, a un’ epoca primordiale. La struttura è volutamente imperfetta, la lavorazione a mano risalta in tutta la sua purezza. Due perle barocche d’acqua dolce impreziosiscono il gioiello conferendogli un twist luxury, ma informale, in linea con la fattura handmade che lo contraddistingue. L’ unicità di ciascuna perla, inoltre, fa sì che non ne esista una uguale all’ altra; di conseguenza, ogni paio di Infernal Storm Earrings si differenzia in quanto a forme e dimensioni. Oltre a caratterizzare esteticamente l’orecchino, ciò permette alle perle di narrare ad una ad una la propria storia, peculiare e inimitabile. Gli orecchini “della tempesta infernale” misurano 5,3 cm di lunghezza e 2,2 cm di larghezza: dimensioni che non passano inosservate senza risultare troppo vistose. L’ optimum per esaltare un incredibile connubio di savoir faire artigianale, ispirazione rivolta all’ eccellenza letteraria italiana e ricercatezza sopraffina.

 

 

 

 

 

Valentino Code Temporal PE 2021: l’ Haute Couture e il concetto di tempo

 

Pierpaolo Piccioli continua a perseguire un nuovo Umanesimo, abbracciando una visione che combina il sogno, l’ intuizione, la ricerca creativa con la manualità del savoir faire artigianale. Al momento di dar vita alla collezione Valentino Haute Couture Primavera Estate 2021, si è prefissato un’ ulteriore meta: esplorare la connessione tra la Couture e il concetto di tempo. Il nome della linea, non a caso, è “Code Temporal”, laddove “temporal” sta ad indicare l’ evolversi degli istanti, il loro fluire in relazione all’ abito e al creare. L’ epoca della pandemia ha rappresentato uno spartiacque anche per la Maison Valentino: prendendo il tempo come riferimento, Piccioli ha elaborato una filosofia che lo collega sì al “qui e ora”, alla condizione sociale, esistenziale e culturale del presente, ma simultaneamente sottolinea il valore dell’ atemporalità applicandola a creazioni svincolate da qualsiasi tendenza. Pensate, appunto, come capi senza tempo. Una concezione, la sua, associata al particolare periodo che stiamo vivendo, dove durevolezza e qualità vengono assurti a must imprescindibili. Partendo da queste riflessioni di base, il designer rivoluziona felicemente la Couture griffata Valentino. Innanzitutto, manda in scena la prima sfilata co-ed e stupisce abbigliando l’ uomo in puro stile gender fluid: cappotti cosparsi di rose ornamentali in rilievo, dolcevita di paillettes e guanti in pelle che oltrepassano il gomito. Poi, si avvale di splendide lavorazioni che si tramutano nelle superfici stesse dei vari capi. Non da ultimo, dedica lo stesso spazio al daywear (naturalmente, ricercatissimo) e a un eveningwear squisitamente “di alta moda”, ma che prende le distanze da tutte le collezioni passate. A fare da cornice alla sfilata è la sontuosa Sala Grande della Galleria Colonna di Roma, ricca di ori e lampadari di cristallo. Sulle note di “Ritual Spirit (temporal)” di Robert Del Naja, leader dei Massive Attack, vanno in scena look mozzafiato intrisi di contaminazioni.

 

 

Si alternano mantelle e coat che ricordano gli origami giapponesi, affusolati abiti in colori vibranti, top tempestati di enormi paillettes abbinati a pantaloni al ginocchio in stile athleisure, scultoree gonne a corolla accompagnate da canotte sporty, jumpsuit dorate portate con un sobrio cappotto bianco, magliette “palloncino” a collo alto e con maniche inglobate, caftani dal taglio essenziale indossati a mò di soprabito, mantelline composte da una miriade di nastri circolari in radzmir, ensemble diurni in cui predominano un ampio paltò, pantaloni e tunica dalle linee nette. L’ attenzione per il dettaglio è straordinaria, la sartorialità sopraffina. Una palette cromatica che include il taupe, il bianco, il fucsia, il giallo oro, il marrone, pennellate di verde e di arancio fluo, esalta mise prive di orpelli ma di una preziosità sorprendente.  Il gran finale accende i riflettori sulle creazioni dedicate alla sera. Spiccano un coat completamente rivestito di frange oro, un fasciante long dress argentato con pettorina e cappuccio cosparsi di perle e strass, abiti drappeggiati costellati di lustrini iridescenti. Ma è l’ultimo look a lasciare a bocca aperta: uno spettacolare evening dress in organza, dalla gonna “esagerata”, che scintilla in un tripudio di paillettes color rame con riflessi perlescenti. Gli accessori, l’ hairstyle e il make up dotano ogni outfit di un’ iconicità potente. Gli “opera gloves” in pelle e i cuissardes laminati con vertiginosa zeppa fanno da fil rouge, così come le chiome lunghissime con la riga in mezzo ideate da Guido Palau e i “volti-maschera” dorati creati da Pat McGrath.

 

 

Visita il sito ufficiale della Maison Valentino per ammirare la collezione completa