Freedom 2023

 

“Si deve essere leggeri come l’uccello che vola, e non come la piuma.”
(Paul Valéry)

 

Dato il grande successo che ha ottenuto la photostory “Freedom”, pubblicata su VALIUM nel 2021 (clicca qui per riguardarla), ho deciso di fare il bis: un racconto per immagini della libertà che si associa all’estate e a un mood Hippie aggiornato al 2023. I tempi cambiano, l’era del “peace and love” e di leggendari raduni rock come Woodstock è ormai lontana, ma la voglia di appassionarsi rimane intatta. E anche un festival come Umbria Jazz, di cui quest’ anno si festeggia il 50esimo, ha avuto il potere di calare Perugia in un’atmosfera frizzante, cosmopolita e gioiosa dove il jazz risuona in ogni angolo da mattina a sera. Lo spirito ha molto in comune con quello di mezzo secolo fa: un’ode alla libertà e alla condivisione, riunirsi  per celebrare una musica che coniuga il suo background storico con un ritmo incalzante e travolgenti improvvisazioni.

 

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Lo spirito del duende

 

“Chi si trova sulla pelle di toro che si stende tra lo Jùcar, il Guadalfeo, il Sil o il Pisuerga (non voglio menzionare grossi corsi d’acqua vicino alle onde color criniera di leone agitate dal Plata), sente dire con relativa frequenza: “Questo ha molto duende”. Manuel Torres, grande artista del popolo andaluso, diceva a uno che cantava: “Hai voce, conosci gli stili, ma non avrai mai successo perchè non hai duende“. In tutta l’Andalusia, roccia di Jaén o conchiglia di Cadice, la gente parla costantemente del duende e lo riconosce con istinto efficace non appena compare. Il meraviglioso cantaor El Lebrijano, creatore della Debla, diceva: “I giorni in cui canto con duende, non mi supera nessuno”; un giorno sentendo Brailowsky che suonava un frammento di Bach, la vecchia ballerina gitana La Malena esclamò “Olé! Questo sì che ha duende“, e si annoiò con Gluck e con Brahams e con Darius Milhaud; e Manuel Torres, l’uomo con più cultura nel sangue che io abbia mai conosciuto, quando ascoltò Falla in persona che eseguiva il suo Nocturno de Generalife, disse questa splendida frase: “Tutto quel che ha suoni neri ha duende”. E non c’è verità più grande. Questi suoni neri sono il mistero, sono le radici che sprofondano nel limo che tutti conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da cui ci giunge quanto è sostanziale nell’arte. Suoni neri, disse l’uomo popolare di Spagna, e si trovò d’accordo con Goethe, che offre una definizione del duende quando parla di Paganini, e dice: “Potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega”. Ebbene, il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare. Ho sentito dire da un vecchio maestro di chitarra: il duende non sta nella gola; il duende monta dentro, dalla pianta dei piedi”. Vale a dire, non è questione di capacità, ma di autentico stile vivo; vale a dire, di sangue; di antichissima cultura e, al contempo, di creazione in atto. Questo “potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega è, in definitiva, lo spirito della Terra, lo stesso duende che infiammò il cuore di Nietzsche, il quale lo cercava nelle sue forme esteriori sul ponte di Rialto o nella musica di Bizet, senza trovarlo e senza sapere che il duende che egli inseguiva aveva spiccato un salto dai misteri greci alle ballerine di Cadice o al dionisiaco grido sgozzato della siguiriya di Silverio. Ebbene, non voglio che nessuno confonda il duende con il demone teologico del dubbio, contro il quale Lutero, con sentimento bacchico, scagliò una boccetta di inchiostro a Norimberga, nè con il diavolo cattolico, distruttore e poco intelligente, che si traveste da cagna per entrare nei conventi, nè con la scimmia parlante che porta con sè il Malgesì di Cervantes nella Comedia de los celos y la selva de Ardenia. No. Il duende di cui parlo, oscuro e trepidante, è un discendente di quell’ allegrissimo demone di Socrate, marmo e sale, che lo graffiò indignato il giorno in cui bevve la cicuta, e dell’altro malinconico diavoletto di Cartesio, piccolo come una mandorla verde, il quale, stufo di cerchi e linee, andava sui canali per sentir cantare i grandi marinai indistinti.”

Federico Garcìa Lorca, da “Gioco e teoria del duende”

 

 

Che cos’è il “duende”, un termine che riecheggia costantemente nella cultura andalusa? Ho lasciato ampio spazio alla definizione di Federico Garcìa Lorca, esauriente e significativa. Perchè spiegare il duende a parole non è facile. Lo si associa di frequente al flamenco: un ballo che è puro pathos, una potente quanto autentica espressione di emozioni; in grado di suscitare stati d’animo molto intensi e una vibrante partecipazione. Il duende cattura lo spettatore con una travolgente miscela di passione, evocatività, carisma, feeling in dosi massicce. Un artista che ha duende tocca le corde della tua anima ed è capace di darti i brividi, di trascinarti nel vortice della sua straordinaria, innata abilità espressiva.

 

 

Il duende, per Garcìa Lorca, è lo spirito della terra: un potere misterioso e profondo che parte dalle viscere. E’ amore e morte, tragedia e commedia, scorre nel sangue ed ha radici antichissime. Il suo legame con il folklore andaluso è inscindibile. Basti pensare che se ne rinvengono le prime tracce nel “Cante Jondo”, lo straziante canto di matrice gitana accompagnato dalla chitarra. Le influenze arabe e persiane sono molteplici, affiancate a vocalizzi ancestrali e della tradizione liturgica bizantina. D’altronde, nel corso dei secoli, in Andalusia si sono avvicendate e fuse innumerevoli culture. “Tener duende” non ha nulla a che fare con i virtuosismi, con un’ esecuzione perfetta. E’ una passione che arde dentro, una dote quasi sacrale.

 

 

Ma perchè oggi pubblico queste riflessioni sul duende? E’ molto semplice: sono l’introduzione ad un articolo che vedrà protagonista l’Andalusia, in particolare un tema specifico inerente questa affascinante regione della Spagna del Sud. Stay tuned su VALIUM per saperne di più…

 

 

Foto della “bailaora” sotto il testo di Federico Garcia Lorca: Imbi24, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

Nasce L’Officiel Ibiza e Maurizio Cattelan lo tiene a battesimo

 

Chi non conosce L’Officiel? Il prestigioso fashion magazine l’anno scorso ha festeggiato il primo secolo di vita ed è pronto a stupirci con una nuova sorpresa: il lancio di L’ Officiel Ibiza. L’ edizione dedicata alla Isla Blanca va ad aggiungersi alle oltre 33 versioni internazionali della rivista, presente in ogni angolo del globo. La nascita di L’Officiel Ibiza risulta particolarmente eclatante in quanto il magazine viene già pubblicato in Spagna: ciò non fa che rimarcare il fascino del tutto unico della vibrante isola delle Baleari. Il Global Chief Content Officer Giampietro Baudo introduce con parole entusiaste l’edizione ibizenca; il suo è un tributo a un luogo che ha sempre attratto gli “spiriti liberi”, un crocevia di culture, mode e tendenze cosmopolite. Scrive Baudo: ” Ibiza è pura creatività. Un vivace incontro di artisti e artigiani, designer e muse, musicisti, dj e attivisti. Tutti fanno parte della cultura contemporanea che ha scelto quest’isola e continua a trasformarla in uno spazio di sperimentazione, in un territorio di espressione. Un luogo dove creare l’avvenire, modellare il contemporaneo. Delineare cosa avverrà nel campo della moda, del lifestyle, della musica, dell’ arte e del design. Ibiza è lo spazio del nuovo prima che diventi mainstream.” Non possiamo che dargli ragione. Gli Hippie la scelsero per la sua natura selvaggia, per il suo spirito non convenzionale. A tutt’oggi, nonostante il ruolo di spicco che riveste nella nightlife internazionale, Ibiza è un’isola ricca di molteplici sfaccettature. Denominatore comune, un fertile connubio di saperi, estro e intuizioni che l’hanno eletta meta di tendenza pur senza tramutarla in una località patinata, alla moda ma senz’anima. Ibiza mantiene intatto il lato “wild”, però guarda sempre al futuro: potremmo definire la sua essenza uno stile di vita.

 

 

L’Officiel Ibiza è stato tenuto a battesimo da un padrino d’eccezione: l’artista Maurizio Cattelan, che ha concepito l’artwork  – dal titolo “The First Breath” – della sua prima copertina. La foto, su uno sfondo azzurro come il mare che circonda l’isola, ritrae un neonato appena venuto al mondo e incarna alla perfezione il mood del progetto. Una vita che nasce, il primo respiro. Ma anche una vita che può rinascere. Perchè Ibiza, popolata da una fauna umana all’ insegna della biodiversità, è l’isola di approdo di chi celebra l’eterogeneità e le differenze. Questo il commento dell’editore Rocco Artisani nel sito della rivista: “Il neonato capovolto, con il primo respiro si apre a una vita dove i suoni viaggiano nell’ aria: semi piantati nell’ oscurità del liquido amniotico germogliano nel potere accecante e ingannevole del giorno. E la nostra coscienza, proprio come un geco sotto il sole tra i limoni e il rosmarino, alterna stasi e azione. In questa eterna battaglia, affida il nostro ultimo respiro al gioioso abbandono di tutti i giudizi. ” Parole, le sue, che sono la chiave di lettura per comprendere l’humus da cui scaturisce l’edizione destinata alla Isla Blanca: un luogo dove si nasce e si rinasce, animato da un perenne fermento. L’isola magica dove chiunque può cominciare ad amare ed esprimere la propria unicità. L’ oasi cosmopolita che permette di sbarazzarsi di giudizi, pregiudizi e barriere per impostare un futuro votato alla libertà dell’essere e del fare.

 

 

CREDITS DELLA FOTO DI COPERTINA

Art Directon: Maurizio Cattelan

Photography: Alberto Zanetti

 

In a Coachella Mood

 

” Mi resi conto all’improvviso che mi trovavo in California. Caldo, aria balsamica – un’aria che si poteva baciare − e palme. “
(Jack Kerouac, da “On the road”)

 

Tra poco più di 10 giorni, dopo uno stand by biennale causa Covid, tornerà l’ attesissimo Coachella Valley Music and Arts Festival. Dal 15 al 17 Aprile e dal 22 al 24 Aprile, in California, un’ eccezionale line-up di artisti (che include, udite udite, anche i “nostri” Maneskin) si esibirà sui palchi dell’ Empire Polo Fields di Indio, nel cuore del deserto del Colorado. Non potrebbe esistere location più suggestiva: pensate al sole che cala sul paesaggio brullo, ma ricco di palme e Joshua Tree; all’iconica ruota panoramica, la più maestosa al mondo dopo il London Eye e La Grande Roue de Paris; alla musica che si libra magicamente nell’ aria; al tripudio di colori e di persone che rievocano l’ era dei gloriosi raduni rock. Non è un caso che al Coachella Festival abbiano preso parte i più prestigiosi performers internazionali. Qualche nome? I Gun’s and Roses, gli Oasis, i Red Hot Chili Peppers, The Cure, i Radiohead, i Coldplay, i Depeche Mode, Madonna, Prince, Beyoncè…L’ atmosfera è impregnata di un connubio di note e libertà totale. Una libertà gioiosa e rigenerante, nulla a che vedere con il caos, mirabilmente esaltata dal look dei giovani che affollano la manifestazione. Predomina lo stile Hippie, un rimando a Woodstock – il Coachella Festival è nato nel 1999, in occasione del suo trentennale – che si incastra alla perfezione con gli scenari californiani: spazi sconfinati, spettacolari, costantemente baciati dal sole e vagamente affini alla surreale Death Valley in cui Antonioni girò il film cult “Zabriskie Point” (la Death Valley, il deserto del Colorado e quello del Mojave, d’altronde, rappresentano le tre principali aree desertiche della California). Tornando al Festival, vi anticipo che Kanye West (oggi ufficialmente “Ye”), Harry Styles e gli Swedish House Mafia saranno gli headliner dell’ edizione 2022. Per visionare il calendario completo, potete consultare il sito del Coachella Valley Music and Arts Festival. Ma non dimenticate di visionare, prima, la photostory che dedico allo spirito wild & free di questa leggendaria kermesse.

 

 

 

Foto via Pexels e Unsplash

Adèle H.

 

” Come potrei spiegare cosa accade in me da qualche tempo? Talvolta ho delle violente aspirazioni verso il grande ideale, una morte pura e grandiosa, altre volte verso una vita dolcemente fastosa, dove ho solamente Auguste. Talvolta sono una vita bruciata, ardente, violenta, viva, nella quale via via Clésinger, Delacroix, Arnould si susseguono, come amanti, nella quale mi vedono come la figlia di Victor Hugo, giovane, bella, radiosa, alla moda, supremamente intelligente, supremamente bella, radiosa, supremamente civetta, che schiaccia con tutto il suo splendore le sue rivali, passate, presenti e future; intellettuale, grande musicista, applicando e facendo applicare i miei paradossi, vivendo tutte le vite, la vita dell’ amore, la vita del mondo. Ma ahimè altre volte rimpiango anche il passato, la mia purezza, la bellezza della mia anima, il mio primo amore, le mie prime emozioni, l’organo, Place-Royale, Villequier, il suo bel giardino al chiaro di luna nel 1846 (già sei anni fa), Auguste e l’estasi dei nostri primi baci, quando amante e grandiosa sacrificavo la mia serenità alla sua felicità. (…) L’ amore è Spirito e Materia. Non do il mio corpo senza la mia anima, né la mia anima senza il mio corpo. L’ uno è imprescindibile dall’ altra. “

 

Adèle Hugo

da “Pazza d’Amore”, a cura di Manuela Maddamma

 

 

 

Nella foto: Isabelle Adjani nel film “L’ Histoire d’Adèle H.” (1975) di François Truffaut. Immagine via deepskyobject from Flickr, CC BY-SA 2.0

 

La Leggenda Personale e l’ anima dell’ Universo

 

” la tua Leggenda Personale. (…) è quello che hai sempre desiderato fare. Tutti, all’inizio della gioventù, sanno qual è la propria Leggenda Personale. In quel periodo della vita tutto è chiaro, tutto è possibile, e gli uomini non hanno paura di sognare e di desiderare tutto quello che vorrebbero veder fare nella vita. Ma poi, a mano a mano che il tempo passa, una misteriosa forza comincia a tentare di dimostrare come sia impossibile realizzare la Leggenda Personale. (…) Sono le forze che sembrano negative, ma che in realtà ti insegnano a realizzare la tua Leggenda Personale. Preparano il tuo spirito e la tua volontà. Perché esiste una grande verità su questo pianeta: chiunque tu sia o qualunque cosa tu faccia, quando desideri una cosa con volontà, è perché questo desiderio è nato nell’anima dell’Universo. Quella cosa rappresenta la tua missione sulla terra. (…) l’Anima del Mondo è alimentata dalla felicità degli uomini. O dall’infelicità, dall’invidia, dalla gelosia. Realizzare la propria Leggenda Personale è il solo dovere degli uomini. Tutto è una sola cosa. E quando desideri qualcosa, tutto l’Universo cospira affinché tu realizzi il tuo desiderio. “

 

Paulo Coelho, da “L’ Alchimista”

 

 

 

La saggezza inizia con la meraviglia: lo show mozzafiato di Mary Katrantzou al Tempio di Poseidone

 

“La saggezza inizia con la meraviglia”, disse Socrate. E di meraviglia, la collezione Primavera/Estate 2020 di Mary Katrantzou ne sfoggia in abbondanza: basti dire che, osservandola, sembra di ammirare delle squisite creazioni di Haute Couture. Non a caso, è stata presentata con un evento che ha coniugato la sfilata con la celebrazione del 30esimo anniversario della nascita di ELPIDA, l’associazione fondata da Marianna V. Vardinoyannis a sostegno dei bambini malati di cancro. Uno show di tale portata non poteva che avvalersi di una location spettacolare: Mary Katrantzou ha optato per il millenario Tempio di Poseidone a Capo Sunio, in Grecia, conosciuto anche grazie ai tramonti mozzafiato che si godono dal promontorio su cui si erge. Il risultato? Memorabile, uno straordinario mix di estrosità creativa e monumentalità storica. Passato, presente e futuro si fondono in un’ alchimia che il sottofondo musicale di Vangelis rende ancor più magica. Esiste un termine ben preciso per definire il concept della sfilata: in greco moderno è ελληνικότητα, ellinikótita, ovvero “grecità”.

 

 

Perchè con questa collezione la stilista, nata ad Atene, omaggia la Grecia ad ampio spettro. Il suo è un tributo alla storia, alla cultura, allo spirito di un paese ricco di un heritage immenso. Anche nel pensiero: è nella Grecia antica che nacque la filosofia. Proprio da quell’ epoca Mary Katrantzou trae ispirazione, un’ ispirazione tradotta in abiti che ne riflettono tutto lo splendore. Il colore rappresenta il fulcro attorno al quale si concentra, prendendo in prestito i principi dei più noti filosofi. Espressione degli umori corporali e di linfa vitale, il colore nell’ antica Grecia è un emblema di potenza; Platone lo definì “una fiamma che scaturisce da ogni tipo di corpo”. Katrantzou lo profonde negli abiti realizzando creazioni monocrome, “spezzate” soltanto da dettagli ton sur ton. Risaltano il blu del mar Egeo, il viola imperiale di Tiro, il bianco e nero tipico del marmo, ma anche un prezioso verde smeraldo, l’oro, l’acquamarina, il rosa, il rosso, il fucsia. Le silhouette sono voluminose, svasate, ad anfora oppure sferiche, le ruche si moltiplicano così come le piume, le frange e le applicazioni floreali, che si affiancano a un tripudio di perline e di cristalli Swarovski. Ogni look è altamente evocativo, plasmato su un fil rouge specifico. Fitti plissè rimandano alle colonne dei templi, mantelle incorporate a long dress dorati rievocano la maestosità del dio Helios, mentre una bralette ricamata richiama la bilancia di Nemesi, dea della giustizia. I motivi decorativi attingono direttamente all’ antichità: se la costante di Archimede diventa un pattern, la rosa dei venti prolifera e il mappamondo troneggia sulle ampie gonne con crinoline. Interi abiti vengono costruiti su ruche nelle più disparate versioni, altri si rivestono di splendide composizioni floreali. L’effetto mosaico è frequente, acceso da uno scintillio costante, e origina un caleidoscopio cromatico su voluminosi abiti a sfera. Tra i materiali predominano la seta, il satin duchesse, il tulle, che dà forma a una mantella rasoterra su cui ricade una cascata di fiori: sovrapposta a un long dress altrettanto impalpabile, completamente tinta di rosa, costituisce uno dei look di punta della collezione. Ed è sempre la mantella, leitmotiv ricorrente, ad accentuare la ricercatezza degli outfit. Declinata in svariate lunghezze, dona sontuosità agli abiti che sfilano sullo sfondo di un magico crepuscolo.

 

 

Anche gli accessori, le scarpe e i gioielli partecipano a quest’ode alla grecità. Le modelle calzano sandali che gli artigiani greci realizzano a mano, servendosi di tecniche secolari. I gioielli appartengono all’archivio della Maison Bulgari, fondata nel 1884 a Roma dall’argentiere greco Sotirio Voulgaris, mentre la colonna sonora della sfilata è firmata (come già detto) dal Premio Oscar Vangelis. Il fulcro concettuale e la doppia celebrazione, dell’ heritage greco e del trentennale di ELPIDA al tempo stesso, sono il valore aggiunto di uno show che inneggia alla bellezza pura. Lo splendore dello scenario e quello degli abiti si uniscono in un connubio che sottolinea, valorizza e ribadisce la magnificenza ellenica: oggi come ieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto (cropped) del Tempio di Poseidone in chiusura dell’ articolo: Petroskaz / CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0) via Wikimedia Commons

 

 

 

I vicoli, anima e cuore pulsante della città

 

C’è un labirinto nascosto, all’ interno della città aperta: “aperta”, in quanto la data di oggi sancisce la fine del lockdown e la ripartenza. La gente si riversa lungo le vie principali, incentivata anche dai bar, negozi e ristoranti che rialzano le saracinesche, trascurando il fatto che nei centri storici si celano oasi di meraviglia dove il tempo sembra eternamente sospeso. Di rado le si nota, non fanno parte dei circuiti turistici. Bisogna volerle conoscere, per scoprirle, ma ne vale la pena. Perchè il dedalo di viuzze che le compone offre scorci di vero incanto. I vicoli sono il cuore pulsante della città, custodiscono da secoli il suo spirito più profondo e autentico. In questo periodo, se deciderete di esplorarli, vi restituiranno tutto l’ appeal onirico esercitato dai paesaggi urbani ai tempi del confinamento da Coronavirus. In chiave positiva, naturalmente: non pensate ad atmosfere desolanti  o a silenzi da emergenza pandemica. Perchè i vicoli sono vibranti, pittoreschi, vivissimi. In molti casi vi sorprendono con osterie dove potete degustare piatti tipici o il vino più squisito, ma non è raro che possiate imbattervi in botteghe artigianali di ogni tipo.

 

 

Abitando nella parte antica della città, quando ero bambina li percorrevo mano nella mano con mio padre che, sempre in guerra contro lo smog, privilegiava quel tragitto per evitarlo. Allora, i vicoli erano abitati da un’ umanità varia e pittoresca, da personaggi rimasti saldamente impressi nell’ immaginario collettivo. Ognuno aveva la sua particolare storia, il suo soprannome. Molti erano arrivati da fuori in cerca di fortuna. Il boom delle case popolari non era ancora esploso e li trovavi tutti là, in quei labirinti intricati, dove si alternavano un’ osteria, un fruttivendolo, un ciabattino, persino un cinema a luci rosse. Per me era un mondo sconosciuto, folcloristico, a cui guardavo con un misto di curiosità e di timore. Oggi, invece, adoro perdermi nei vicoli e respirare le loro suggestive atmosfere. E’ lì che si concentra l’anima di un luogo, il suo patrimonio emozionale più atavico: tra i lampioni di ferro battuto, le stradine lastricate di ciottoli, le piazzette che si aprono inaspettate. Cerco i vicoli anche quando sono in viaggio, ovunque io vada, se la mia meta è antica al punto giusto. In Italia o all’ estero (penso per esempio a Barcellona), indifferentemente.

 

 

Perchè so che al di là del caos urbano, del traffico, degli “assembramenti” (che in teoria sembrano ormai appartenere alla preistoria), c’è un mondo a parte e quasi segreto che vibra nel cuore delle città. Un mondo che vive di ritmi propri, ricco di incomparabili suggestioni. Un’ oasi dove l’aria tiepida di Maggio è intrisa di sapori, odori, profumi fluttuanti in scenari senza tempo, ma carichi di tutto il pathos che un cuore millenario racchiude.

 

 

 

 

 

Nelle foto, alcuni vicoli del centro storico di Fabriano