La torta di mele: origini e varianti nel mondo di un dolce senza tempo

 

La torta di mele è un dolce senza tempo, una delizia consumata principalmente nei mesi freddi. Non ha bisogno di presentazioni.  In Italia la prepariamo includendo dei pezzi di mela a un impasto contenente uova, lievito, burro, olio d’oliva, farina, latte, una buccia grattugiata di limone e un po’ di sale; a volte aggiungiamo delle noci, la cannella e qualche uvetta. Nel caso in cui le mele rappresentino solo una guarnizione, la torta viene definita “crostata” senza nulla da invidiarle in quanto a golosità. Ma come si prepara la torta di mele negli altri paesi del mondo e soprattutto, dove nasce questa intramontabile ricetta? Lo scopriremo subito.

 

 

In Inghilterra

E’ qui che è stata rinvenuta la ricetta di torta di mele più antica del mondo: risale nientemeno che al 1381, quando Geoffrey Chaucer (il padre della letteratura inglese) era ancora vivo e vegeto. L’ “apple pie” inglese era ricoperta di pasta e includeva ingredienti, oltre alle mele, come le pere, i fichi, il ricino, le spezie e lo zafferano per la colorazione del dolce. Oggi, nel Regno Unito è in auge una versione doppiamente golosa della torta: è possibile servirla con il gelato, la panna montata e la crema pasticcera. Generalmente assume la forma di una ciambella spruzzata di zucchero a velo con il buco ripieno di mele a cubetti, oppure somiglia a una crostata.

 

 

In Francia

Ideata dalle sorelle Stéphanie e Caroline Tatin nella seconda metà dell’800, la tarte Tatin è una torta di mele tipicamente francese. Pare che una delle sorelle Tatin, che gestivano un ristorante a Lamotte-Beuvron (nei Paesi della Loira), fece caramellare le mele in burro e zucchero per errore e così le ricoprì con l’impasto prima di capovolgere la torta in un piatto. Il risultato fu un dolce “capovolto” tuttora molto in voga: il suo carattere distintivo sono, appunto, le mele caramellate a parte precedentemente alla cottura.

 

 

In Olanda

La torta di mele nasce nel Medioevo. Le ricette più antiche evidenziano l’utilizzo di numerose spezie: le principali erano costituite dal cardamomo, la noce moscata, i chiodi di garofano, la cannella, lo zenzero. Solitamente, la torta presentava un foro centrale dove venivano inserite le mele. Ai nostri giorni, in Olanda esistono due varianti di torte di mele: una decisamente soffice, l’altra più simile alla crostata. La cannella, il succo di limone, lo zucchero e la pasta di mandorle sono gli ingredienti maggiormente usati per insaporire il dolce, che viene servito con del gelato alla vaniglia; la torta di mele olandese, infatti, può essere degustata calda ma anche fredda.

 

 

Negli Stati Uniti

La torta di mele, oggi un emblema dell’ americanità, tra il 1600 e il 1700 era il dolce “d’importazione” più comune: gli immigrati svedesi, inglesi e olandesi lo preparavano abitualmente nelle rispettive colonie.  All’inizio, essendo la varietà di mele diffusa in America eccessivamente aspra, questo frutto veniva utilizzato sotto forma di sidro. Tempo dopo, tra innesti e meli d’importazione, le varietà cominciarono a moltiplicarsi permettendo la creazione di svariate versioni del famoso dolce. Nel 1700, non a caso, le ricette delle torte di mele “made in USA” erano già numerosissime. Il primo paese in cui la torta divenne celebre fu il Delaware; la possibilità di poter consumare il dessert in ogni stagione dell’ anno costituiva il suo principale punto di forza. Un secolo dopo, a partire dal 1800 e per tutto il 1900, la torta di mele si tramutò in una vera e propria icona, l’incarnazione del benessere a stelle e strisce. Veniva arricchita, e viene tuttora, di ingredienti quali il succo di limone, la noce moscata, la cannella, e servita con il gelato o il cheddar, un tipico formaggio anglosassone dalla consistenza dura e dal colore che spazia dal giallo all’arancio: nel New England, la torta di mele con il cheddar è diventata una specialità nazionale.

 

 

In Svezia

La ricetta si discosta molto da quella della torta di mele classica: nell’ impasto sono inclusi ingredienti come l’avena o pane grattugiato in abbondanza. Il sapore viene esaltato dalla cannella e per servirla si utilizzano il gelato o la crema pasticcera. Esiste poi una variante, la äppelkaka, dalla pasta estremamente soffice che somiglia al pan di Spagna. Insaporita con pasta di mandorle, noci, limone, vaniglia, cardamomo, cannella e pane grattugiato, si accompagna alla panna montata o alla crema alla vaniglia: può essere considerata una versione nordica (ma non meno golosa) dello storico dolce.

 

 

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La colazione di oggi: la casetta di pan di zenzero, tra tradizione, arte e gusto

 

Tradizione natalizia tipica della Germania e dell’ Europa del Nord, la casetta di pan di zenzero è diffusissima anche negli Stati Uniti. In tedesco si chiama  Lebkuchenhaus o Pfefferkuchenhaus  e viene considerato il dolce più goloso e conosciuto preparato con il famoso impasto speziato (“pepparkakor” il suo nome in svedese). Ho già parlato di questa pasta biscotto a base di miele, melassa e zucchero di barbabietola aromatizzati con zenzero, cannella e chiodi di garofano (rileggi l’articolo qui), stavolta voglio soffermarmi sulla casetta e sulla sua storia. Prepararla non è molto difficile, sono le decorazioni a renderla un’opera d’arte: la pasta dev’essere compatta, dopodichè si taglia in modo da formare le parti di una casa. I pannelli, una volta cotti, si assemblano delineando la struttura di un’abitazione. Per unirli vengono usati la glassa o lo zucchero fuso; la glassa, ricoperta di zucchero a velo, serve anche a creare l’effetto neve o dettagli specifici del dolce, come le tegole. Confetti, zuccherini colorati e caramelle completano l’opera, dando un aspetto oltremodo invitante alla casetta. Lo zenzero, che ha una lunga durata di conservazione, contribuisce a mantenerla integra per molto tempo.

 

 

La preparazione dell’ impasto si avvale, oltre che del pan di zenzero, di farina, uova, burro, noce moscata e cacao; al fine di rendere la pasta sufficientemente compatta, la si lascia indurire per alcune ore. Con il pan di zenzero si possono realizzare dolcetti dalle forme più disparate: alberi di Natale, stelle, cuori (basti pensare a quelli, tipici, dei mercatini natalizi tedeschi), renne, fiocchi di neve, animali, cavalieri, santi protettori sono ed erano le più diffuse. Questi dolci cominciarono ad essere prodotti in Germania sotto forma di biscotti (i Lebkuchen) tra il XIII e il XIV secolo. Norimberga, in particolare, considerata la “capitale mondiale del pan di zenzero”, divenne celebre per i capolavori artistici che i fornai realizzavano con il pan di zenzero nel 1600. Nel resto d’Europa, la golosissima pasta biscotto arrivò nel XIII secolo. In Svezia il “pepparkakor” venne diffuso dagli immigrati tedeschi, mentre pare che gli omini al pan di zenzero fossero abitualmente preparati alla corte di Elisabetta I Tudor a cavallo tra il XV e il XVI secolo.

 

 

Nel XVII secolo, produrre dolci al pan di zenzero si tramutò in una professione che rientrava in una corporazione specifica. Le creazioni erano elaboratissime, impreziosite da elementi ornamentali, e coniugavano il gusto con la pura bellezza; a Natale, venivano vendute soprattutto nei mercatini e nelle bancarelle poste in prossimità delle chiese. La produzione “artistica” di pan di zenzero, in Europa, divenne una realtà consolidata nelle città di Norimberga, Lione, Praga, Pest, Torùn e in molti altri centri sparsi tra la Germania, la Polonia e la Repubblica Ceca. Con la massiccia emigrazione tedesca negli Stati Uniti, successivamente, la tradizione invase paesi a stelle e strisce come il Maryland e la Pennsylvania. Ma come nacque l’usanza delle casette al pan di zenzero?

 

 

La loro origine viene fissata a Norimberga, dove tra il 1500 e il 1700 i mercanti erano soliti importare enormi quantità di spezie quali appunto lo zenzero, la cannella, il pepe e le mandorle, mentre l’apicoltura a cui era consacrata la foresta reale garantiva una produzione di miele continua. Secondo una leggenda, la creazione delle prime casette risalirebbe proprio a quell’epoca: un fornaio che viveva nella città tedesca cominciò a prepararle sostituendo la farina con le mandorle per destinarle a sua figlia, affetta da una patologia rara. Secondo gli studiosi, invece, la casette al pan di zenzero vennero prodotte a partire dal 1800: in seguito alla pubblicazione della fiaba “Hansel e Gretel” dei Fratelli Grimm, nel 1812, un gran numero di fornai pensò di riprodurre la casa di leccornie con cui la strega attira i due protagonisti. Inutile dire che fu il pan di zenzero a plasmare quelle casette, che prontamente andarono a ruba. Questo dolce si impose durante le festività natalizie, e a tutt’oggi nulla è cambiato.

 

 

Nel 1800, le casette “raggiunsero” anche il Regno Unito: Thomas Hardy le cita in “Jude l’oscuro”, che apparve sotto forma di romanzo nel 1895, mentre nel ricettario “Dinner With Dickens: Recipes Inspired by the Life and Work of Charles Dickens”, uscito non molti anni orsono, la casetta di pan di zenzero è inclusa tra i dolci associati alla vita e all’opera di Dickens.

 

 

Oggi, a Norimberga vengono prodotte annualmente più di 70 milioni di casette. La città tedesca può essere considerata la città simbolo di questo dolce natalizio, che ha ottenuto peraltro il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). Tuttavia, la gingerbread house rientra a pieno titolo anche tra le tradizioni natalizie del Nord Europa: il pan di zenzero, ricco di calorie, è un valido aiuto per contrastare le temperature polari della penisola scandinava. Nei paesi in cui la casetta è diffusa, inoltre, la tipicità gioca un ruolo molto importante. In famiglia, nei giorni che precedono il Natale, ci si riunisce tutti insieme per preparare il dolce; in Germania è possibile trovarlo in ogni mercatino nel periodo delle festività. In Svezia, la ricorrenza di Santa Lucia coincide con l’inizio della preparazione delle casette. In determinati luoghi vengono creati dei maestosi villaggi al pan di zenzero: il più grande a livello mondiale è Pepperkakebyen, costruito in Norvegia dagli abitanti di Bergen; notevoli e molto conosciuti sono anche Gingertown, la città di pan di zenzero realizzata a Washington, e il villaggio dell’ Hotel Marriott Marquis di New York, che contiene persino un treno.

 

 

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Tornano le Leonidi e ravvivano la notte con una pioggia di stelle cadenti

 

Stasera, tutti con gli occhi rivolti verso il cielo: tornano le Leonidi, e il loro sciame meteorico ci sorprenderà con una pioggia di stelle cadenti. L’evento proseguirà per l’intera notte. Se il cielo sarà sgombro di nuvole, potremo visualizzarle perfettamente; anche perchè la Luna, in fase crescente, non le offuscherà con il suo chiarore. Lo spettacolo si ripete ogni anno, dal 3 Novembre al 2 Dicembre: la pioggia meteorica si verifica quando la cometa 55P/Tempel-Tuttle transita nel punto più vicino al Sole (detto “perielio”). In quel momento, il ghiaccio di cui è composta sublima e da essa si stacca una scia di frammenti chiamati “meteoroidi”. Durante il suo moto di rivoluzione attorno al Sole, la Terra attraversa l’orbita della Tempel-Tuttle incontrando la scia dei meteoridi; il contatto dei frammenti cometari con l’atmosfera terrestre provoca la loro vaporizzazione e, di conseguenza, la formazione dello sciame meteorico delle Leonidi, così battezzate in quanto sembrano provenire dalla costellazione del Leone. Le stelle cadenti, che viaggiano a una velocità di ben 72 km al secondo, penetrano nell’atmosfera con un impatto potentissimo. Sono celebri per la loro brillantezza, e da piogge possono talvolta tramutarsi in tempeste meteoriche con una densità di circa 1000 meteore l’ora.

 

 

Quest’anno, il picco dello sciame avrà luogo nella notte tra il 17 e il 18 Novembre: sarà visibile dalla sera di venerdì fino all’alba di sabato, terminando più o meno alle 6 del mattino. Per ammirare il fenomeno al meglio, è opportuno scegliere un luogo privo di luci artificiali. Lo spettacolo si preannuncia indimenticabile, anche se pare che potremo osservare dalle 10 alle 15 meteore l’ora: non il massimo, secondo gli astronomi. Va considerato, tuttavia, che le tempeste meteoriche (quelle cioè che presentano una maggiore densità di stelle cadenti) si verificano ogni 33 anni, il periodo che la cometa 55P/Tempel-Tuttle impiega per concludere la sua orbita intorno al Sole; gli sciami più memorabili hanno avuto luogo nel 1799, 1833, 1866, 1966 e 2001. Nel 1833 la tempesta meteorica fu talmente intensa da terrorizzare la popolazione della East Coast: sicuri che fosse arrivata l’ Apocalisse, i cittadini corsero a rifugiarsi nelle chiese temendo il peggio. Bisognerà invece attendere il 2032 per assistere alla prossima fitta pioggia di Leonidi.

 

Un Halloween delizioso: 10 dolci e piatti tradizionali tra l’Irlanda e gli Stati Uniti

 

Abbiamo già parlato delle “torte dell’anima”, le torte tradizionali che in Irlanda e nel Regno Unito venivano donate ai questuanti in cambio di preghiere per i defunti (rileggi qui l’articolo). Ma quali altri dolci o cibi tipici sono soliti preparare gli anglosassoni per festeggiare la vigilia di Ognissanti? Ne prenderemo in esame alcuni spaziando dall’ Irlanda agli Stati Uniti: le lande celtiche dove è nato Samhain che nel XIX secolo, in America, è diventato Halloween grazie alla comunità irlandese emigrata nel paese a stelle e strisce.

 

La Pumpkin Pie

E’ la torta più famosa dell’ Autunno, protagonista principale (insieme al tacchino) sulla tavola del Thanksgiving Day americano. Ha un aspetto inconfondibile: è composta di pasta frolla e contiene un ripieno di crema di zucca aromatizzata con spezie quali i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata. La si farcisce con “riccioli” di panna montata che accentuano la sua golosità.

 

La Whoopie Pie

Ideata con molta probilità dalla comunità Amish, questa torta consta di un delizioso ripieno di crema di marshmallows, o crema al latte aromatizzata alla vaniglia, racchiuso tra due strati tondeggianti a base di cacao. Per il 31 Ottobre è gettonatissima in versione biscotto, ognuno preferibilmente riempito di crema all’arancia.

 

Le mele caramellate

VALIUM ne ha parlato già (rileggi qui l’articolo). Sono ghiotte sia per la vista che per il palato: rossissime e rivestite di un lucente strato di zucchero caramellato, possono essere decorate con un tripudio di confettini o zuccherini multicolor.

 

Le Candy Corn

Ricordano i semi del mais, un frutto tipicamente autunnale; in realtà sono chicchi di riso soffiato caramellati a cui viene data una forma conica. I colori di cui si tingono le Candy Corn sono caratteristici: bianco, arancione e giallo all’insegna di una solare giocosità.

 

La Bundt Cake

E’ un’altra specialità americana, nonostante il suo nome vanti un’origine germanica. Ha una forma a ciambella che la rende molto simile al ciambellone italiano; ne esistono varie versioni, ma per celebrare Halloween si predilige la variante al cacao ricoperta di squisita glassa al cioccolato.

 

La Divinity Candy

Sono dolcetti molto popolari nel Sud degli Stati Uniti. Somigliano a delle meringhe, oppure a dei torroncini, e tra i loro ingredienti risaltano lo zucchero bianco, l’estratto di vaniglia, gli albumi d’uovo sbattuti e lo sciroppo di mais. Per renderli ancora più deliziosi vengono guarniti con frutta secca e noci pecan, una varietà dal sapore particolarmente intenso diffusa in paesi come il Texas e la Louisiana. Oltre che ad Halloween, negli USA si gustano durante le feste natalizie.

Passiamo ora a quattro cibi tradizionali irlandesi.

Il Barmbrack

E’ il dolce di Halloween per eccellenza. Si tratta di un pane dolce (o di pagnotte) contenente uva passa e uva sultanina, ed è legato ad usanze antichissime: si dice che il bàirìn breac (questo il suo nome in irlandese) sia “chiaroveggente”. Al suo interno, infatti, si soleva inserire alcuni oggetti che avevano un significato ben preciso. Il pisello indicava che si sarebbe rimasti single fino alla fine dell’anno, il panno era foriero di povertà, la moneta di ricchezza e di un matrimonio imminente, e così via. Il medaglione con l’immagine della Madonna presagiva addirittura una vita consacrata a Dio. Oggi tutti quegli oggetti sono stati eliminati, ma ne rimane uno: l’anello, simbolo di un radioso futuro.

 

Il colcannon

Dal dolce passiamo al salato, ma sempre all’insegna della bontà. Il Colcannon è un piatto composto da latte, burro, patate e cavolo (in irlandese “càl”, da qui probabilmente il nome “colcannon”) riccio o cappuccio. A volte si aggiungono delle cipolle, erbe varie ed erba cipollina, per poi consumare il pasto con un “ensemble” di carne di maiale. Quando arriva Halloween, anche il Colcannon diventa “chiaroveggente”: al suo interno vengono inseriti un bastoncino, alcune monete, il lembo di uno straccio e un ditale. Come avveniva per il Barmbrack, lo straccio è l’emblema di un futuro di povertà; il bastoncino, invece, annuncia dei problemi nella vita di coppia.

 

I Boxty

Un’altra ricetta tipicamente irlandese: i Boxty sono frittelle di patate la cui origine risale alla grande carestia che flagellò l’isola di smeraldo durante la metà dell’800: anche le patate eccessivamente ricche di acqua dovevano essere utilizzate. I Boxty, non a caso, contengono un mix di patate bollite e crude a cui vengono aggiunti il lievito, la farina, il burro e il latte. Dopo averli uniti in un composto omogeneo, con esso si preparano delle frittelle lievemente dorate e insaporite con una cipolla tritata, erbe aromatiche o spezie e una buona dose di panna acida.

 

Il Champ

Simile al Colcannon, il Champ proviene dall’ Irlanda del Nord; più precisamente dall’ Ulster, dove è nato nelle case che costellano le verdi lande di campagna. I suoi ingredienti principali sono il purè di patate, lo scalogno tritato, il latte caldo, il burro, il sale e il pepe. Per donargli un pizzico di sapore in più, non è raro che si aggiunga una manciata di cipollotti. Nel Sud dell’ Irlanda viene spesso chiamato “Poundies”. La notte di Halloween, il Champ è associato a una magica tradizione: si usa offrirlo alle fate lasciandolo in un piatto (munito di cucchiaio) sotto a un biancospino.

 

Foto del Colcannon di TheCulinaryGeek from Chicago, USA, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Foto del Champ di Glane23, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

Countdown to Halloween: inizia la maratona di VALIUM

 

“Il vento si appollaiava tra gli alberi, poi spazzava i marciapiedi con gli artigli sottili di un gatto. Tom Skelton rabbrividì. Tutti sapevano che il vento, quella sera, era un vento insolito; anche l’oscurità era insolita perchè era Halloween, la vigilia di Ognissanti. Tutto pareva tagliato in un morbido velluto nero, dorato, arancione. Il fumo si arricciolava fuori da mille camini, come i pennacchi di un corteo funebre. Dalle cucine esalava il profumo delle zucche; quelle svuotate della polpa e quelle che cuocevano dentro il forno. Il chiasso dietro le porte chiuse delle case crebbe in maniera impossibile, mentre ombre di ragazzi si stagliavano dalle finestre. Ragazzi semisvestiti, con la faccia truccata; qua un gobbo, là un piccolo gigante. Si frugava nelle soffitte, si forzavano chiavistelli, si buttavano all’aria vecchi bauli alla ricerca dei costumi. Tom Skelton si mascherò da scheletro. Sghignazzò soddisfatto ammirando la colonna vertebrale, le costole, le rotule che spiccavano candide sulla stoffa nera. Che fortuna il mio nome! pensava. Tom Skelton. Fantastico per Halloween! Tutti ti chamano Scheletro per canzonarti! Quindi come mi travesto? Da scheletro. “

Ray Bradbury, da “L’albero di Halloween”

 

Questo brano, tratto dal romanzo “L’albero di Halloween” di Ray Bradbury, inaugura la maratona che VALIUM dedica ogni anno alla vigilia di Ognissanti. Ci aspetta una settimana (o poco più) all’ insegna di un countdown perfettamente in linea con il 31 Ottobre e i suoi temi: eventi, moda, food, tradizioni, lifestyle, leggende e molto, molto altro ancora. Il tutto, va da sé, in salsa rigorosamente halloweeniana. Omaggeremo Samhain, l’antico Capodanno Celtico, che i mutamenti socio-epocali hanno tramutato in Halloween, la festa più attesa dell’ Autunno – una stagione, peraltro, ribattezzata “spooky season” dagli americani proprio in virtù dell’influenza che Halloween esercita su questo periodo dell’anno. Nelle città a stelle e strisce, zucche intagliate e decorazioni in stile horror stazionano davanti alle case già da inizio Ottobre. Noi dedicheremo a Samhain solo otto giorni, ma sono più che sufficienti per immergerci appieno nella sua atmosfera. Stay tuned e…segui il sentiero di mattoni arancioni!

 

Le mele caramellate, il dolce più sfizioso della stagione fredda

 

Sono invitanti al solo sguardo: rosse, tondeggianti e lucide come non mai, le mele caramellate vengono considerate (soprattutto in America) uno dei dolci più tipicamente autunnali. La raccolta delle mele, infatti, ha inizio a metà Agosto e si conclude a fine Ottobre. Ecco perchè, da Halloween in poi, questi frutti la fanno da padrone su ogni tavola e come ingredienti dolciari: pensate solo alla torta, alle crostate, ai muffin e alle frittelle di mele. Ma per un ghiotto spuntino, molto facile da preparare, le mele candite sono l’ideale. La loro storia inizia nel 1908, quando un venditore di caramelle di Newark, William W. Kolb, decise di ideare una ricetta inedita per il periodo natalizio. Inizialmente pensò a delle caramelle a base di cannella rossa, e preparò subito la miscela. Poi, all’ improvviso, ebbe un’intuizione. Nella miscela immerse alcune mele e si accorse che erano diventate talmente rosse e brillanti da mozzare il fiato. Si affrettò ad esporle in vetrina, avrebbero attirato moltissimi clienti. Non sbagliava: il primo lotto andò a ruba, e tutti gli anni le mele vendute ammontavano a qualche migliaio. Nel 1948, le mele candite venivano commercializzate nelle zone turistiche, nei luoghi di intrattenimento come i circhi e i luna park e in ogni negozio di dolci degli Stati Uniti.

 

 

Oggi, in America sono il dolce-leitmotiv di ogni ricorrenza della stagione fredda. Ma non solo: alla celebrazione delle mele caramellate è stata dedicata una data, il 31 Ottobre, dichiarata ufficialmente il National Candy Apple Day – e coincide con Halloween non a caso, dato che sono una tipicità dolciaria anche di questa festa (da qui l’appellativo di “mele stregate”). Prepararle è molto semplice. Basta lasciar caramellare lo zucchero insieme all’acqua, allo sciroppo di glucosio (o di mais) e a un aromatizzante, come la vaniglia o la cannella. Quando la miscela raggiunge una temperatura di 125 gradi, si aggiunge del colorante alimentare rosso e si immergono le mele una ad una. Ogni frutto, nel frattempo, è stato munito di un lungo stecchino di legno per rendere più facile l’operazione e la successiva degustazione. Infine, si lascia indurire il caramello e il gioco è fatto. Se poi volete sbizzarrirvi a sperimentare, le opzioni sono molteplici: potete utilizzare ingredienti quali il pistacchio tritato, gli zuccherini multicolor o la frutta secca grattugiata per guarnire le mele. Esiste persino un dolcetto, la Toffee Apple, dove la mela è completamente ricoperta di caramella mou. Un’altra versione delle “mele stregate” prevede l’aggiunta di cioccolato fondente (in alternativa bianco, o al latte) e di una manciata di confettini colorati: le mele vanno sempre immerse nello zucchero caramellato, ma una volta che si sarà indurito l’operazione viene ripetuta nel cioccolato sciolto. Dopodichè, si guarniscono le mele con i confettini. Il risultato? Una vera e propria bomba di golosità.

 

 

Foto via Piqsels, Pixabay e Unsplash

 

L’albero di Pasqua, una tradizione tra sacro e profano

 

Quella dell’ albero di Pasqua è una tradizione che, a poco a poco, dal Nord Europa si è diffusa in molti paesi del mondo. Pare che nasca in Svezia svariati secoli orsono: lì, il Påskris (questo il suo nome) è a tutt’oggi un must delle usanze pasquali. Si tratta di ramoscelli di betulla ornati di uova, ma soprattutto di piume variopinte che rimandano a diversi possibili significati. Tra le varie ipotesi, anticamente le piume avrebbero rappresentato le setole di una scopa che aveva il compito di “spazzare via” l’Inverno per lasciar spazio alla Primavera. Allo scopo di raffigurare quest’ ultima, venivano quindi aggiunte le uova (supremo emblema di rinascita) e decorazioni che inneggiavano alla nuova stagione. Secondo altri studi, i ramoscelli simboleggiavano le scope utilizzate dalle streghe e le piume il loro librarsi in volo. In epoca medievale, infatti, in Svezia ebbe inizio la tradizione delle “Påskkärringar”, le “streghette di Pasqua”: tuttora, durante la Settimana Santa, i bambini usano travestirsi da streghette o da stregoni e bussano di porta in porta donando alle famiglie dei disegni augurali. Oppure chiedono dolcetti, monete sonanti. Ciò si ricollega a una leggenda secondo la quale le streghe, il Giovedì Santo, salivano a cavalcioni delle loro scope e volavano nell’arcana località di Blåkulla per partecipare a un Sabba che terminava la domenica di Pasqua. Questa tradizione, ovviamente, affonda le radici in antiche credenze pagane. Ma le piume che adornano il Påskris hanno anche una valenza di matrice cristiana: l’albero di Pasqua, in sintesi, equivarrebbe all’ Ulivo benedetto della nostra Domenica delle Palme. Le piume, secondo alcuni, potrebbero simbolizzare le palme che vengono distribuite ai fedeli. Un’ ulteriore ricerca fa risalire le piume a un’usanza del 1600. A quell’ epoca, durante la Via Crucis del Venerdì Santo, gli svedesi solevano fustigarsi l’un l’altro con dei rami, o dei bastoni, in ricordo della flagellazione di Gesù.

 

 

La tradizione dell’ albero di Pasqua, nel Medioevo era diffusissima nei paesi del Nord Europa e dell’ Europa centrale – soprattutto in Austria e in Germania. Inizialmente le decorazioni (fiori, uova e così via) celebravano il risveglio e la rinascita primaverile, dopodichè il Cristianesimo sovrappose a questi simboli quelli della risurrezione di Gesù. L’ albero di Pasqua divenne “l’albero della Vita”, emblema di rigenerazione e redenzione citato persino nella Bibbia: “Il Signore Iddio fece germogliare l’albero della vita in mezzo al giardino”, si legge in un passo della Genesi. Oggi, la tradizione di decorare alberi, cespugli e ramoscelli è molto sentita nei paesi germanici e scandinavi, ma anche in Alsazia, Lorena e negli Stati Uniti. Va al tedesco Volker Kraft, tuttavia, il merito di aver realizzato il primo albero di Pasqua “contemporaneo”. Nel 1965, Kraft ebbe l’idea di addobbare un piccolo melo che aveva piantato in giardino. Per la gioia dei suoi bimbi, lo decorò con diciotto uova in plastica coloratissima. Quando l’albero cominciò a crescere, Kraft continuò puntualmente ad addobbarlo. Lui e i suoi familiari, di anno in anno, aggiunsero una media di 600 uova, utilizzando delle uova da cucina abilmente dipinte o rivestite di tessuto all’ uncinetto. Nel 2015, dai rami del melo pendevano ben 10.000 uova! L’albero di Pasqua dei Kraft era diventato una vera e propria attrazione della città di Saalfeld.

 

L’albero di Pasqua della famiglia Kraft, in Germania

Come fare per realizzare un albero di Pasqua? Esistono delle regole, una procedura ben precisa da seguire? La risposta è sì. In primis, dovrebbero essere utilizzati dei rami di melo (Kraft docet) oppure di pesco, ciliegio o betulla. Bisognerebbe preparare l’albero prima dell’ arrivo della Quaresima, cosicchè possa essere esibito per 40 giorni ed oltre. E’ tassativo, inoltre, considerare un dettaglio fondamentale. A differenza dell’ albero di Natale, quello di Pasqua non si addobba una tantum: ogni giorno va aggiunta una decorazione.

 

Una card con l’albero pasquale

Un albero di Pasqua decorato con piume

 

Foto: seconda immagine dell’ albero dei Kraft, dall’ alto verso il basso, di Kora27, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

Il Ceppo di Yule, un’ antica e suggestiva tradizione del Solstizio d’Inverno

 

” Solstizio d’inverno.
Sembra che il mondo voglia dare le spalle alla luce.
I colori nascondono il loro volto.
La terra coltiva l’ombra
come se fosse l’unica cosa che cresce.”
(Fabrizio Caramagna)

 

21 Dicembre, Solstizio d’Inverno: è il giorno più corto dell’ anno. Le ore di buio trionfano, fagocitando quelle di luce. Il Sole, giunto al punto di declinazione minima nel suo moto apparente lungo l’eclittica, sembra arrestarsi (non è un caso che il termine “Solstizio”, in latino “Solstitium”, derivi da “sol”, sole, e “sistere”, ovvero fermarsi). L’atmosfera è sospesa, la natura e il cosmo partecipano silenziosamente a questo importante momento di transizione. Perchè quando l’oscurità raggiungerà il suo apice, la luce ricomincerà ad avanzare a poco a poco. E il Sole rinascerà, si rinnoverà, tornerà a regnare sulla notte. Nell’ era pre-cristiana, i popoli germanici battezzarono “Yule” il giorno del Solstizio: “Hjòl” designava, in norreno, la ruota dell’ anno, che si trova nel suo punto più basso quando l’ Inverno entra ufficialmente. “Hjòl” si tramutò poi nel norreno Jòl e nel tedesco Jul. Tuttora è possibile rinvenire questi termini nelle lingue scandinave, dove indicano sia il Solstizio d’Inverno che il Natale“Jul” in svedese e danese, “Jol” in norvegese, “Joulu” in finlandese (con il significato, però, esclusivamente di “Natale”).

 

 

In un’ epoca in cui la sopravvivenza era legata a doppio filo ai cicli della natura, è facile intuire l’importanza che rivestiva Yule. La resurrezione della luce era un evento ricco di magia, di rituali associati a una simbologia antichissima. Per approfondire questi aspetti, vi rimando all’ articolo “Yule” che ho pubblicato su VALIUM l’anno scorso (rileggilo qui). Oggi ci concentreremo invece su un particolarissimo cerimoniale associato al Solstizio, il Ceppo di Yule o Yule Log.

 

 

I popoli nordici dell’ età pre-cristiana solevano celebrare il Solstizio d’Inverno con  un grosso tronco beneaugurale. La notte più lunga dell’ anno il ceppo si adornava di nastri, bacche e ramoscelli d’edera, poi veniva benedetto e fatto ardere per i dodici giorni dei festeggiamenti solstiziali. Secondo la tradizione, il fuoco precedente doveva essere spento dal capofamiglia e per riaccenderlo si doveva utilizzare un tizzone del tronco bruciato durante il Solstizio dell’ anno prima. Questo rituale aveva una potente valenza emblematica: il fuoco e il suo calore simboleggiavano la nuova luce, l’ardore del Sole che quella notte rinasceva e sarebbe tornato a splendere progressivamente. Ma il fuoco era anche una metafora della vita stessa. Nelle gelide lande del Nord Europa, i focolari erano sempre accesi; il caminetto riscaldava e risultava essenziale per il nutrimento, dal momento che il fuoco si utilizzava per cucinare. Il Ceppo di Yule, dunque, era un emblema di buon auspicio associato alla luce, alla rinascita della natura, alla prosperità: i fondamenti della sopravvivenza.

 

 

Quando il Cristianesimo sostituì le celebrazioni natalizie a quelle solstiziali, lo Yule Log divenne una costante della vigilia di Natale. Le prime testimonianze relative a questa tradizione risalgono alla Germania del XII secolo: un documento del 1184 cita un ceppo di Natale che, acceso la notte di vigilia, veniva fatto bruciare fino all’ Epifania. Alla ricerca del legno adatto si dedicavano giornate intere. I tronchi dovevano essere di albero secco, idonei alla combustione, e non essere stati eletti a tana da qualche animale. In Scozia, gli antichi Celti erano soliti scolpire una figura femminile nel ceppo: raffigurava la Cailleach Nollag, una dea dell’ Inverno, il cui aspetto sinistro veniva stemperato dalle fiamme. Era un emblema della ciclicità della natura; dopo la notte del Solstizio, ogni ora di luce in più equivaleva a un passo verso la Primavera. Con l’avvento del Cristianesimo, la valenza simbolica dello Yule Log mutò completamente: il ceppo aveva la funzione di scaldare Gesù Bambino, mentre il fuoco incarnava l’emblema della Redenzione.

 

 

Dalla Germania, la tradizione dello Yule Log si diffuse in Gran Bretagna, nella penisola scandinava, in tutta la zona alpina, in Spagna, nei paesi dei Balcani e, last but not least, in regioni italiane quali la Lombardia e la Toscana. Successivamente, l’usanza sbarcò persino negli Stati Uniti. Il cerimoniale era simile ovunque: la vigilia di Natale, il ceppo veniva decorato (bacche, pigne, aghi di pino, vischio e piante rampicanti erano gli elementi più usati) e bruciato nel camino con una solenne cerimonia beneaugurale. Lo Yule Log si lasciava ardere per dodici notti di fila, fino all’ Epifania, e i suoi rimasugli, considerati magici, venivano conservati con cura. Ad essi si attribuivano benefici per la fecondità femminile, il raccolto, gli animali da allevamento, il benessere fisico, ed era d’uso utilizzarli per accendere il ceppo del Natale successivo. Ogni paese ha donato la propria impronta a questo rituale. Anche la pianta scelta per il ceppo variava da nazione a nazione: in Gran Bretagna, dove l’ usanza dello Yule Log venne adottata massicciamente, si preferivano la quercia, il pino, la betulla; i serbi optavano per la quercia, mentre i francesi puntavano sugli alberi da frutto.

 

 

Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, la tradizione del Ceppo di Natale scomparve pressochè totalmente. L’ avvento delle stufe e il minor numero di camini presenti nelle case dell’ epoca fece sì che l’usanza, a poco a poco, si perdesse. Lo Yule Log, tuttavia, continua a esistere sotto un’altra forma: il tronchetto di Natale, uno dei dolci più golosi delle feste. Si tratta di un tronchetto di Pan di Spagna ricoperto di cioccolato e farcito con svariate creme. L’ aspetto è quello di un ceppo ornato di molteplici decorazioni: provate a prepararlo in casa per un Solstizio all’ insegna del gusto. Oppure, ripristinate la tradizione dello Yule Log. Procuratevi un ceppo su cui praticherete dei fori per inserirvi alcune candele. I colori di queste ultime potranno essere tipicamente natalizi, come ad esempio il rosso, il verde, l’oro. Decorate il ceppo con piante, fiori e bacche stagionali. Le candele andranno fatte bruciare durante la notte di Yule: è una variante contemporanea del Ceppo di Natale, ma risulta sempre di grand’effetto.

 

 

Foto del Ceppo di Yule con candele di Jeremy Fulton via Flickr, CC BY-NC-ND 2.0

 

Sycomore, l’iconico Parfum di Chanel, diventa extra luxury grazie alla Maison Lesage

 

Qual è il profumo dell’ Autunno? Gabrielle Chanel, nel 1930, lo associava a un bosco di sicomori: i paesaggi della regione della sua infanzia, l’ Alvernia, le erano rimasti indelebilmente impressi nella mente. Le catene montuose, i laghi, i vulcani spenti che risalgono alla notte dei tempi, l’alternanza di foreste e verdeggianti pianure costituivano gli scenari più rappresentativi del profondo legame che Mademoiselle aveva instaurato con la natura. Quando creò Sycomore, si ispirò agli aromi che il ricordo di quei luoghi rievocava in lei. Il sicomoro, così maestoso e imponente, ne era l’ emblema: da qui il profumo potentemente legnoso che la fragranza sprigiona. Sensuale, inebriante e indimenticabile, Sycomore coniuga le vibranti note del vetiver con un cuore di iris e penetranti accordi di cuoio e vaniglia. Gli accenti speziati donano intensità al jus, in esclusiva versione Parfum: concentrato, persistente e puro, cioè, ai massimi livelli. Olivier Polge, Chanel In-House Perfume Creator, ha concepito la fragranza con l’intento di accentuarne l’iconicità: non stupisce che questo profumo unisex risulti prezioso a partire dal packaging. Il lussuoso flacone scolpito è realizzato in cristallo Baccarat e contiene 1.7 fl.oz. di essenza; per completare l’opera, la bottiglia è stata sigillata con la prestigiosa tecnica del baudruchage (un’arte risalente al 1700) che ne mantiene intatto l’aroma.

 

 

L’ eleganza del flacone viene esaltata da un cofanetto da collezione firmato dalla Maison Lesage, l’ eccellenza nel savoir faire del ricamo (è attiva sin dal 1858) che collabora alla realizzazione delle collezioni Chanel Métiers d’Art. La custodia può essere considerata un autentico capolavoro: interamente ricamata a mano, è rivestita da una fodera che rappresenta una foresta penetrata dai raggi del sole. Gli alberi sono stati minuziosamente creati con trucioli di legno e samara, un frutto secco contenente un unico seme; grazie a miriadi di perline di ametista dalla forma biconica e palline di passamaneria, che la Maison ha tinto una per una, hanno preso vita delle splendide riproduzioni di bacche di ginepro e grani di pepe rosa. Un intreccio di fili e conterie rievoca invece le venature del tabacco biondo. Il risultato finale è a dir poco straordinario, un’ opera d’arte del “fatto a mano”: non è un caso che il cofanetto sia disponibile in soli tre esemplari numerati destinati agli Stati Uniti; la sua pregiatezza, dopo aver effettuato l’ ordine on line, implica una consegna rigorosamente a mano.

 

 

Parlando di una fragranza iconica come Sycomore, è impossibile tralasciare i consigli di Coco Chanel sull’ applicazione del profumo: la leggendaria Gabrielle suggeriva di spruzzarlo laddove si desiderava esser baciati, e in generale sulle parti del corpo in cui risuona il battito del cuore. I polsi, il collo e il décolleté diventano dunque le zone ideali affinchè la fragranza si espanda all’ unisono con il ritmo cardiaco…il ritmo della passione.

 

 

 

 

La colazione di oggi: lo yogurt greco, un alto potere evocativo e nutrizionale

 

E’ gustoso, cremoso, fresco…e soprattutto salutare. Dello yogurt greco si fa un gran parlare, ultimamente. A colazione, in estate, è un alimento ideale. Scopriamo subito il perchè. Il suo sapore, la sua pastosità, sono del tutto diversi da quelli del classico yogurt. Rispetto alla produzione di quest’ultimo, infatti, si avvale di un terzo processo di filtrazione: nel liquido eliminato sono presenti grandi quantità di sodio e di lattosio non fermentati dai batteri, per cui la parte solida rimane particolarmente ricca di proteine. Lo yogurt greco, di conseguenza, viene considerato l’ optimum per gli intolleranti al lattosio e per chi necessita di diete iposodiche. L’ alta quantità di proteine lo rende nutriente, grasso e molto denso, mentre il basso contenuto di zuccheri gli dona il tipico sapore leggermente aspro. Un ulteriore metodo di raffinazione, tuttavia, riduce i grassi dello yogurt al 3%: in questo caso, si parla di yogurt greco “light”. Prenderò in esame la versione light poichè risulta meno calorica. I suoi punti di forza sono rappresentati dalle eccellenti proprietà nutrizionali. Gli amminoacidi essenziali, che contiene in abbondanza, hanno un elevato valore biologico. La notevole concentrazione di un minerale quale il calcio apporta benefici alle ossa, ai denti e muscolari, combinandosi con le virtù del fosforo, dello zinco, del potassio e del magnesio. Lo yogurt greco, inoltre, è ricco di vitamine idrosolubili del gruppo B (prevalgono la vitamina B2 e B 12) e liposolubili del gruppo A come il retinolo. Nonostante la sua cremosità, possiede una quantità d’ acqua considerevole grazie ai nutrienti idrosolubili che vengono assorbiti dalle caseine e dal siero durante la terza filtrazione.

 

 

Lo yogurt greco è un alimento assai saziante, ma si adatta perfettamente a quasi tutti i regimi dietetici. L’ esigua presenza di calorie e di grassi, unita alle massicce dosi di proteine, amminoacidi essenziali e a un cospicuo numero di carboidrati, lo rendono uno spuntino must dopo l’ esercizio fisico: tenetene conto se dedicate la mattina al running, al jogging o a qualsiasi altro allenamento. Fare colazione con questo particolare tipo di yogurt, in più, fornisce tutta l’ energia necessaria per affrontare la giornata. E’ possibile abbinarlo a della frutta fresca, ai cereali, al miele, a svariati sciroppi (qualche esempio? Di amarene, d’acero, d’agave…) per arricchirlo di dolcezza. Durante la stagione calda, lo yogurt greco spopola: degustato con le fragole o con i frutti di bosco è davvero il top, ma lo troviamo anche sotto forma di frozen, gusto di gelato, mousse, guarnizione per dessert quali le torte, i tronchetti e i plumcake.

 

 

Piace perchè oltre che risultare delizioso, è un autentico toccasana per l’ organismo. Andrebbe consumato con moderazione solo da chi è affetto da ipercolesterolemia o da obesità. Riguardo alle “curiosità”, invece, ve ne svelo una che vale per mille: lo yogurt greco, in realtà, è uno yogurt tradizionale bulgaro. E viene prodotto negli Stati Uniti in grandi quantità. Ma allora perchè questo nome? E’ presto detto. Si deve alla magia del marketing, che ribattezzando il prodotto “yogurt greco” mirava a potenziarne il fascino evocativo. Associandolo all’ azzurrità e all’ appeal turistico di un paese che ognuno di noi ha già scoperto o si accinge a scoprire…