Le Frasi

 

“Beato chi dimentica la ragione del viaggio e nella stella, nel fiore, nelle nuvole, lascia la sua anima.”

(Antonio Machado)

 

 

Verso Santiago

 

“Il giorno passa, musei, strade, negozi, giornali, cala una sera con la luna e nubi veloci, non sai chi è il fuggiasco e chi l’inseguitore. E di nuovo suonano le campane, prima tre brevi rintocchi, metallo contro metallo, rumore secco, senza melodia, poi dodici rintocchi sonori che scagliano le ore sulla strada e spezzano la notte a metà: l’ora dei fantasmi. La piazza è avvolta alternatamente di luce e di oscurità, tanto che sembra anch’essa in movimento, diventa un mare e la chiesa è un rimorchiatore diretto a Occidente, un’imbarcazione che si trascina dietro un paese, un paese come una nave che è grande come un paese. Una volta Antonio Machado chiese al Duero (il poeta chiede al fiume): la Castiglia non corre sempre verso il mare, proprio come lo stesso Duero, e cioè verso la morte e quello che viene dopo? Se è vero, è a quest’ora che lo si può vedere: a Puigcerdà, a Somport, a Irùn non soltanto la Castiglia, ma tutta la Spagna si stacca ancora una volta dall’ Europa, Santiago è il capitano sul rimorchiatore, la forma nera della cattedrale traina la nave di Aragona e di Castiglia e di tutte le regioni della Spagna fino all’oceano, e, appoggiato al parapetto, tra preghiere, brindisi e gran segni di commiato, il Grande Teatro della Spagna, Alfonso il Saggio e Filippo II, Teresa di Avila e san Giovanni della Croce, El Cid e Sancho Panza, Averroè e Seneca, l’Hadjib di Còrdoba e Abraham Benveniste, Gàrgoris e Habidis, Calderòn de la Barca, gli ebrei e i mori scacciati, i roghi dell’ Inquisizione e le suore esumate della guerra civile, Velàsquez e il duca di Alba, Francisco de Zurbaràn, Pizarro e Jovellanos, Gaudì e Baroja, i poeti del ’27, le marionette di Valle-Inclàn e il cagnolino di Goya, anarchici e vescovi mitrati, il piccolo dittatore e la regina ninfomane, il castello di Peñafiel sulla sua collina color zolfo, l’Alhambra rosata e la Valle dei Morti, amici e nemici, vivi e morti. La zona in cui un tempo si estendeva la meseta ora è un mare in tempesta, il frastuono è assordante, e poi, d’un tratto, come se il tempo stesso si fermasse, tutto è finito, il viaggiatore sente i propri passi sulle grandi lastre di pietra, vede il chiaro di luna sulle torri e sui palazzi severi e sa che dietro quelle fortificazioni del passato dev’esserci un’altra Spagna che forse non vuole più conoscere la sua, oppure non sa riconoscerla. Le sue deviazioni, le sue disgressioni sono giunte al termine. Il suo viaggio in Spagna è finito.”

Cees Nooteboom, da “Verso Santiago. Disgressioni sulle strade di Spagna”

 

 

1 Luglio

 

Non sederti ad aspettare. Esci, senti la vita. Tocca il sole e immergiti nel mare.
(Gialal al-Din Rumi)

 

C’è un segmento di percorso, lungo la linea ferroviaria che collega Ancona con il Nord Italia, dove sembra che il treno sfrecci direttamente sopra il mare. Guardi attraverso il finestrino e vedi solo un’immensa massa d’acqua dello stesso colore del cielo. Potremmo immortalare quell’immagine, assurgendola ad emblema di Luglio: un mese che coniuga perfettamente il tema del viaggio con la sconfinata vastità del mare. Luglio per me è questo, insieme a molti altri fotogrammi ancora. Le stoppie che ardevano nei campi, per esempio, il cui odore di bruciato ci assaliva nottetempo mentre con i miei, quando ero piccola, ci accingevamo a raggiungere la località costiera dove andavamo in villeggiatura. Oppure le luci intermittenti delle lucciole che volavano nel nostro giardinetto. Oppure, ancora, il lungomare percorso instancabilmente alle nove di sera, quando la luna faceva capolino nel cielo del crepuscolo, insieme all’ amica del cuore: mai potrò dimenticare quel tragitto dell’adolescenza, le pazze risate, i primi approcci con il sesso opposto. A Luglio cominciano i mesi vacanzieri, quelli della spensieratezza, che per me sono sempre stati “fronte mare”. Il caos agostano è distante, le mete turistiche sono vivibilissime e permettono un relax ancora immune dalla baraonda estiva. Abbiamo tutto il tempo di formulare i nostri “buoni propositi” (perchè è così che funziona) e organizzarci affinchè a Settembre diventino reali…Luglio, il settimo mese dell’ anno per il calendario gregoriano, dura 31 giorni. Nell’antica Roma era dedicato a Giulio Cesare (nato il 12 o il 13 del mese), da cui prende il nome. Per il calendario romano di Romolo era “Quintilis”, “cinque” in latino, poichè rappresentava il quinto mese dell’anno. Quando Cesare morì, Marco Antonio volle omaggiarlo intitolandogli il suo mese di nascita: “Quintilis” divenne così “Iulius”, l’attuale Luglio. Ed è proprio da Iulius che derivano le varianti neolatine e germaniche “Julio” (in spagnolo), “Juillet” (in francese), “July” (in inglese) e “Juli” (in tedesco). Non esistono particolari ricorrenze italiche legate al mese di Luglio. A livello internazionale, invece, si ricordano l’Indipendence Day, festeggiato il 4 Luglio negli Stati Uniti d’America, la commemorazione della presa della Bastiglia che i francesi celebrano il 14 Luglio, e il primo sbarco sulla luna risalente al 20 Luglio del 1969. Il colore di Luglio è il bianco, un tripudio di luminosità, la pietra il rubino, simbolo di lunga vita. I segni zodiacali che dominano questo mese sono il Cancro (22 Giugno-22 Luglio) e il Leone (23 Luglio-23 Agosto).

 

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Cosmic Sky di Anna Sui: un viaggio olfattivo nella magia del cielo stellato

 

Avete presente il cielo del crepuscolo in Primavera inoltrata? Se ci fate caso, predomina un azzurro intenso ma freddo, diluito nel viola. Bene: Anna Sui ha catturato quella nuance e l’ha trasposta in Cosmic Sky, la nuova fragranza femminile della collezione Sky. Il mood è celestiale, calato nel tipico alone bohémien di Anna Sui; la magia impregna l’atmosfera. Non è un caso che l’iconico flacone a mongolfiera si tinga di cromie iridescenti dove l’azzurro, etereo, a tratti vira a un mistico viola. Le preziose rifiniture metalliche, declinate in un argento con sfumature champagne, esaltano la raffinatezza della bottiglia. Salire a bordo del fatato aerostato significa lasciarsi trasportare in un immenso parco giochi disseminato nel cielo stellato: è proprio a un cielo punteggiato di stelle, alla sua meraviglia eterea, che il noto profumiere Jerome Epinette si è ispirato al momento di creare questa Eau de Toilette.

 

 

Ed ecco che l’ammaliante scia olfattiva di Cosmic Sky comincia a espandersi, a trascinarci nel sogno. La fragranza, uno scintillante jus floreal-fruttato, si apre con le note di testa del bergamotto e della pera succosa: è un esordio goloso, intrigante, che assume accenti giocosi nell’ intreccio con il cuore a base di iris, fiori di melo e semi di ambretta. Il fondo, un amalgama di ambra croccante, zucchero cristallizzato e legni biondi, sottolinea l’etereo incanto di Cosmic Sky. Siamo pronti a librarci nello spazio siderale per assaporare tutta la sua magia.

 

 

I temi del sogno e della fantasia rimangono i capisaldi di Anna Sui. L’estetica bohémienne fa da fil rouge ad ogni sua creazione, sia che riguardi la moda che la sfera del make up e dei profumi. Sui ci invita a scoprire la nostra magia interiore. A questa potente energia dobbiamo attingere, con perseveranza e fiducia, affinchè i sogni si tramutino in realtà: è il messaggio che Cosmic Sky ci lancia mentre ci accingiamo ad esplorare il parco giochi sospeso tra le stelle.

Cosmic Sky è disponibile, in versione Eau de Toilette, nei formati da 30, 50 e 75 ml.

 

 

 

 

Le Frasi

 

“Beato chi dimentica la ragione del viaggio e nella stella, nel fiore, nelle nuvole, lascia la sua anima.”

(Antonio Machado)

 

 

Neve

 

” Subito dopo la partenza del pullman, mentre il passeggero seduto accanto al finestrino, pensando di poter vedere qualche cosa di nuovo, guardava con occhi attenti i quartieri della periferia di Erzurum, le minuscole e misere drogherie, i panifici e i caffè fatiscenti, aveva ripreso a nevicare. Adesso era più forte: i fiocchi erano più grandi di quelli del tragitto da Instanbul a Erzurum. Se il passeggero non fosse stato stanco per il viaggio e avesse prestato un po’ più di attenzione ai grandi fiocchi di neve che scendevano dal cielo come piume di uccelli, avrebbe potuto percepire che si stava avvicinando una violenta tormenta di neve e, forse, avrebbe potuto capire immediatamente di aver intrapreso un viaggio destinato a cambiare tutta la sua vita, e sarebbe potuto tornare indietro. Ma di tornare indietro adesso non gli passava proprio per la testa. Mentre la sera scendeva, guardava fisso il cielo che sembrava più luminoso della terra: contemplava i fiocchi di neve che man mano si facevano più grandi e si disperdevano nel vento, non come presagi di una prossima sventura ma, finalmente, come indizi del ritorno della felicità e dell’ innocenza della sua infanzia. (…) Sentiva che quella neve di una bellezza sovrannaturale lo rendeva persino più felice della Instanbul che aveva potuto rivedere dopo tanti anni. Era un poeta, e in una sua poesia di qualche anno prima, una poesia poco nota ai lettori turchi, aveva scritto che anche nei nostri sogni nevica, ma una sola volta nella vita. Mentre la neve scendeva fitta e silenziosa come nei sogni, il passeggero provò quella sensazione di innocenza e ingenuità che cercava appassionatamente da anni e, in un impeto di ottimismo, pensò di potersi sentire a proprio agio in questo mondo. Dopo un po’ fece una cosa che non faceva da tanto tempo: si addormentò nel suo sedile. “

Orhan Pamuk, da “Neve” 

 

 

Il pastore d’Islanda

 

“Quando una festa si avvicina, gli uomini si preparano a celebrarla, ognuno a modo suo. Ce ne sono molti e anche Benedikt aveva il proprio, che consisteva in questo: quando iniziava il digiuno natalizio, o meglio, se il tempo lo permetteva, la prima domenica d’Avvento, si metteva in viaggio. (…) In questo suo pellegrinaggio d’ Avvento Benedikt era sempre solo. Davvero solo? Meglio dire senza compagnia umana. Perchè era ogni volta scortato dal suo cane e spesso anche dal suo montone guida. (…) E ora camminava nella neve, intorno a lui tutto bianco fin dove l’occhio arrivava, bianco e grigio il cielo invernale, perfino il ghiaccio sul lago era coperto di brina o da un leggero strato di neve. Solo i crateri bassi che emergevano qua e là disegnavano anelli neri grandi e piccoli, simili a segni premonitori nel deserto di neve. Ma che cosa annunciavano? Si potevano interpretare? Forse le bocche di quei crateri dicevano: “Anche se tutto ghiaccia, se si rapprendono le pietre e l’acqua, se l’aria gela e cade giù in fiocchi bianchi e si posa come un velo nuziale, come un sudario sulla terra, anche se il fiato gela sulle labbra e la speranza nel cuore, e nella morte il sangue nelle vene – sempre, nel centro della terra, vive il fuoco. ” Forse parlavano così. (…) E, come nata da tutto quel bianco, con gli anelli scuri dei crateri e qualche colonna di lava che sorgeva spettrale qua e là, c’era in quella domenica nel distretto di montagna una solennità che stringeva il cuore. Una festosità grande e immacolata esalava nel quieto fumo domenicale dei casali bassi, rari e quasi sepolti sotto la neve. Un silenzio inesplicabile e promettente – l’Avvento. Sì…Benedikt pronunciò con cautela quella parola grande, mite, così esotica e al tempo stesso familiare. Forse, per Benedikt, la più familiare di tutte. (…) Negli anni quella parola era arrivata a racchiudere tutta la sua vita. Perchè cos’era la sua vita, la vita degli uomini sulla terra, se non un servizio imperfetto che tuttavia è sostenuto dall’ attesa, dalla speranza, dalla preparazione? “

Gunnar Gunnarsson, da “Il pastore d’Islanda”

 

 

Il luogo: la Valle della Loira, tra maestosi castelli, vini pregiati e delizie gastronomiche

 

Per iniziare l’ Autunno con un viaggio iper suggestivo, puntate sulla Valle della Loira: situata nel nord ovest della Francia, è stata decretata Patrimonio dell’ Umanità Unesco nel 2000 ed è cosparsa di incantevoli castelli, borghi caratteristici e splendide città storiche. Il fiume Loira (con i suoi 1006 km il più lungo della Francia), fiancheggiato da distese sconfinate di vigneti, attraversa l’ intera Valle fino a sfociare nell’ Oceano Atlantico. Questo favoloso territorio, denominato “Paesaggio Culturale” dall’ Unesco, combina la straordinaria bellezza dei suoi scenari con una serie di vini e pietanze tipiche a dir poco prelibati; i mesi di Settembre e Ottobre sono gli ideali per degustarli e per lasciarsi ammaliare dallo splendore del foliage del territorio. In realtà, la Valle della Loira è composta da due regioni: nel Centro-Valle della Loira, non lontano da Parigi, sorgono le città di Orléans, Chartres, Bourges, Tours e Blois, mentre i Paesi della Loira, nei paraggi dell’ Oceano Atlantico, ospitano centri abitati come Nantes e Angers. La particolarità più nota della Valle della Loira è senz’altro rappresentata dai Castelli che, superbi e maestosi, si succedono l’uno dopo l’altro. Edificati a partire dal X secolo, complessivamente sono oltre trecento. La natura verdeggiante, la terra fertile e il clima temperato della Valle spronarono i Re di Francia a far costruire lì i propri castelli, e un gran numero di aristocratici seguì il loro esempio. A progettarli venivano chiamati i più prestigiosi architetti e le eccellenze del sapere dell’ epoca (basti pensare che Leonardo Da Vinci lavorò per molto tempo al Castello di Ambois): vivere in un castello sulle rive della Loira o di uno dei suoi affluenti era una sorta di status symbol.

 

 

Nel XVI secolo, quando il Re Francesco I si trasferì a Parigi decretandola centro nevralgico del potere, la nobiltà non abbandonò la Valle della Loira. Nuovi castelli furono costruiti durante tutto il Rinascimento, e molti di quelli già esistenti vennero restaurati. Se all’ inizio i manieri erano semplici fortezze, con il passar del tempo raggiunsero l’ apice della magnificenza architettonica; tra i più celebri risaltano il lussuoso Castello di Chambord, con una monumentale scala a doppia spirale, il Castello di Villandry e i suoi giardini a terrazze, il Castello di Chenonceau o “giardino delle donne”, in quanto gli spazi verdi che lo circondano furono sempre ideati dalle gran dame che lì dimoravano, e il Castello di Cheverny, a cui il fumettista Hergé si ispirò per una delle “Avventure di Tintin”. Nel Castello di Angers, un’ antica fortezza medievale ornata da torri alte 50 metri l’una, viene custodito uno scenografico Arazzo dell’ Apocalisse che sfiora i 104 metri di lunghezza, mentre nel parco del Castello di Valençay si può ammirare il labirinto più vasto di tutta la Francia. Ancora oggi, il riflesso delle pietre di tufo e di ardesia sulle acque della Loira rimanda immagini oniriche, senza tempo. Questa magia è diffusa nella totalità della Valle: per esplorare il territorio al meglio ci si sposta a piedi, in bicicletta o in bagarre, la caratteristica barchetta piatta che solca il “fiume dei Re”.

 

 

La natura rigogliosa e le delizie del gusto, nella Valle della Loira, costituiscono un connubio indissolubile. Qui i vigneti sono a perdita d’occhio e le tipicità enologiche si assaporano in caratteristiche caverne trogloditiche scavate nella roccia. Lungo la Strada dei Vigneti, le porte delle case vinicole sono sempre aperte per i turisti: visite ai laboratori e degustazioni sono all’ ordine del giorno. Questo percorso di ben 1000 km è un assoluto must. I vini della Loria sono eccellenze che i viticoltori vi invitano ad assaggiare e a conoscere anche in virtù della loro storia e della rinomata tradizione vinicola della regione. Il Bourgueil, lo Cheverny, lo Chinon, il Sancerre, il Vouvray, rappresentano solo alcuni dei vini più pregiati della Loira. Rossi pastosi e intensi, bianchi inebrianti, rinfrescanti rosé e vibranti bollicine convivono in un’ armoniosa sinfonia alcolica che comprende un buon numero di “Grand Crus”.

 

 

E la cucina? Un tripudio di leccornie che spaziano dalle andouillettes (caratteristiche salcicce) alle lenticchie verdi, dal pesce della Loira a una squisita selvaggina, da formaggi tipici come il crottin, la pyramide e il formaggio di capra alle tarte Tatin e Pithiviers, con ripieno di mandorle. Gustatele nei pittoreschi bistrot dei villaggi disseminati nella Valle o nei centri storici delle città più famose della regione. Eccone qualcuna da non perdere. A Orléans, dove visse Giovanna D’Arco, la Santa viene omaggiata ogni anno con una sfarzosa festa in stile medievale; imprescindibile anche una visita ai musei e ai suggestivi quartieri antichi della città. Bourges vanta, parimenti, un incantevole intreccio di vicoli su cui si affacciano le tipiche case a graticcio (con la caratteristica intelaiatura in legno, cioè, sulla facciata) risalenti al Medioevo. Tours si contraddistingue per i suoi molti boulevard fiancheggiati da Café di stampo parigino, mentre a Blois sembra che il tempo si sia fermato: sul centro abitato, affacciato sulla Loira ed esaltato dalla magnificenza del suo castello reale, aleggia un’ atmosfera fatata. Ad Amboise Leonardo Da Vinci trascorse i suoi ultimi anni di vita. Chi ama i cavalli adorerà Saumur, patria della Scuola Nazionale di Equitazione Cadre Noir; Angers, la culla degli Angioini, è ricca di monumenti storici e manifestazioni culturali: ospita rinomati festival dedicati al cinema e al teatro. Chinon abbonda invece di vigneti collocati in una cornice idilliaca. Sia Bourges che Chartres, Tours e Orléans, inoltre, sfoggiano le cattedrali gotiche più sublimi dell’ intera Francia.

 

 

Dulcis in fundo, sapevate che dire “Valle della Loira” equivale a dire “jazz”? Se quest’area della Francia potesse avere un sottofondo, sarebbe a base del suddetto genere musicale. I Festival inneggianti all’ arte dei suoni proliferano, in particolare quelli dedicati al Jazz come Jazz en Touraine e Jazz en Val de Cher. Nella zona dei Castelli e laddove svettano le splendide cattedrali gotiche, predominano invece le sonorità classiche: da segnalare manifestazioni di altissimo livello quali il Festival Internazionale d’Organo di Chartres, il Festival di Sully e del Loiret (ma i concerti spaziano anche nel jazz) e il Festival di Musica Rinascimentale del Clos Lucé, un omaggio all’ ultima dimora di Leonardo Da Vinci.

 

 

 

 

Omaggio ad Arthur Rackham, illustratore di fiabe ma non solo

 

“Fabula Docet”

(Esopo)

 

Le illustrazioni delle fiabe hanno un ruolo importantissimo: aggiungono pathos e coinvolgimento a un genere altamente evocativo già di per sè. Prova ne è il fatto che quasi mai, neppure dopo anni, riusciamo a dimenticare le immagini associate alle fiabe della nostra infanzia. Ricordiamo con esattezza il libro da cui erano tratte, la copertina, i disegni che accompagnavano il testo. E insieme a tutto questo, lo stile dell’ illustratore. Perchè – fateci caso – non esistono due disegnatori che abbiano un tratto simile; ognuno vanta caratteristiche del tutto proprie e inconfondibili. Partendo da un simile presupposto, viene spontaneo approfondire l’ iconografia fiabesca di un’epoca in cui l’ interesse per il racconto fantastico (sia a livello filologico che simbolico, morale e artistico) raggiunse il suo culmine: l’età vittoriana. A quei tempi, Arthur Rackham si affermò come nome di punta dell’ illustrazione. Nato nel quartiere londinese di Lambeth nel 1867, Rackham crebbe in una casa di fronte al giardino botanico creato da John Tradescant il Vecchio e il Giovane due secoli prima: uno scenario ideale per il piccolo Arthur, che eccellendo nel disegno si dilettava a riprodurre i dettagli del corpo umano e i reperti esposti al British Museum e al Museo di Storia Naturale di Londra. Nel frattempo si era iscritto alla City of London School, dove i suoi elaborati artistici gli valsero svariati premi. Ma a scuola non rimase a lungo. A 16 anni fu costretto ad abbandonarla in seguito a dei problemi di salute, e decise di imbarcarsi per l’ Australia insieme alle sue zie.  Durante il viaggio non fece altro che disegnare, adorava immortalare tutto ciò che lo colpiva della realtà circostante. Tornato a Londra, all’ età di 18 anni pensò di ripetere l’ esperienza scolastica: iniziò a frequentare la Lambeth School of Art e, parallelamente, a lavorare come addetto alle vendite. Il suo talento per il disegno, in quel periodo, gli fruttò le prime collaborazioni nel campo dell’ illustrazione. Debuttò nelle vesti di freelance, e dopo un anno fu assunto dal Westminster Budget nel doppio ruolo di giornalista e illustratore. Era il 1892. Nel 1893 uscì “To the Other Side” di Thomas Rhodes, il primo libro che conteneva le sue immagini, mentre nel 1894 i lavori di Rackham apparvero in “The Dolly Dialogues” e “The Prisoner of Zenda” di Anthony Hope.

 

 

L’ attività di Arthur Rackham si svolse sempre all’ insegna dell’ eclettismo: oltre alle fiabe, illustrò romanzi per adulti e per ragazzi. Le sue opere, citando qualche titolo esemplificativo, impreziosiscono libri come “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll, “Canto di Natale” di Charles Dickens, “Peter Pan nei Giardini di Kensington” di James Barrie, raccolte di fiabe di Esopo, di Hans Christian Andersen e dei Fratelli Grimm, ma anche volumi immaginifici del calibro di “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, “Sigfrido e il crepuscolo degli dei” di Richard Wagner, “Il re del fiume dorato” di John Ruskin, “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare. Solo la morte, sopravvenuta nel 1939 a causa di un male incurabile, interruppe la carriera di Rackham, che venne più volte omaggiato con premi e mostre (tra i quali ricordiamo una medaglia d’oro all’ Esposizione Internazionale di Milano del 1906 e un’ esposizione al Museo del Louvre nel 1914). Lo stile del grande illustratore rimane inimitabile: l’ impronta dell’ Art Nouveau è palese, accentuata da atmosfere oniriche ad alto tasso di magnetismo. Il colore riveste una funzione predominante, evoca e suggerisce, si sfuma in magici giochi cromatici o esalta dettagli conferendo loro un impatto visivo straordinario. Scenari, cose e personaggi sono tratteggiati con linee di contorno accuratissime, la fantasia che impregna le illustrazioni stimola potentemente l’ immaginazione del lettore. Tra gli artisti che ispirarono Rackham figurano nomi quali quello di John Tenniel, Aubrey Beardsley e Albrecht Durer. Il successo ottenuto dal disegnatore fu tale da sedurre persino la Disney, che assurse il suo stile a punto di riferimento quando, nel 1937, realizzò il film d’animazione “Biancaneve e i sette nani”.

 

Il viaggio

 

” Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito. “

José Saramago, da “Viaggio in Portogallo”