Fosse per me, il Festival di Sanremo l’avrebbe vinto lei in coppia con Gigi D’Alessio: giusta ricompensa per una carriera che, negli ultimi anni, le ha riservato periodi altalenanti e ha mancato, forse, di decretarla a tutto tondo Regina del rock italiano come merita e ha sempre meritato. Una grinta unica, prescenza scenica di fortissimo impatto, un vero “animale da palcoscenico”, Loredana Bertè è sicuramente la protagonista numero uno della scena pop rock nostrana: D’Alessio ha dichiarato recentemente che non avrebbe mai pensato a un’altra interprete se non a lei, per il brano Respirare, aggiungendo che, in assenza di Loredana, solo un’artista del calibro di Tina Turner avrebbe potuto egregiamente sostituirla. Io la Bertè la ricordo in un live strepitoso realizzato molti anni fa nella mia città: un concerto tenuto all’apice del suo successo, quando, rivelando un gusto e un estro non comuni, alternava ad ogni disco un cambio di look. Fu lei a lanciare lo stile new romantic in Italia, interpretando la sua Ninna Nanna in tenuta da pirata che includeva bluse di pizzi e merletti, pantaloni ad ampie striscie e cappelli da bucaniere, reinterpretando la tendenza lanciata oltremanica dai vari Spandau Ballet e Adam & the Ants. Provocatoria, bellissima, una cascata di capelli ricci e colori tipicamente mediterranei, sul palco non si risparmiava e di quel concerto, della Bertè, ricordo l’energia, la vitalità, l’aggressività pura che altro non era che una rielaborazione della sua immensa grinta. Il pubblico rimaneva ipnotizzato dal suo fascino istintivo e dal feeling ‘di pelle’ che riusciva a creare con i suoi musicisti. Un mito, Loredana: erano gli anni ’70 e lei appariva in minishorts glitterati, stivaloni star & stripes, top minimale nelle pagine patinate delle riviste, fotografata sullo sfondo di una Grande Mela che nel ’78 accoglieva il primo Fiorucci Store incoronando la Bertè sua madrina. Fu l’inizio di quel periodo newyorchese che la legò a tutto il mondo artistico underground dell’epoca, immergendola nel fermento della Factory e permettendole di intrecciare rapporti di amicizia e professionali con Andy Warhol, che nell ’81 volle girare il videoclip di Movie – dove Loredana canta circondata da avenue e grattacieli grazie alla tenica del chroma key – e con Christopher Makos, artista della Factory che scattò le foto di copertina dello stesso disco: un primo piano intenso, che gioca con luci ed ombre del suo volto ‘riassunte’ in un bianco e nero elegante. Anni creativamente effervescenti in cui, tra Studio 54 ed evoluzione della pop art, Loredana declinò la sua italianità a livello internazionale in un mix che incentivava la sua ispirazione, e promuoveva lei come fonte d’ispirazione, al tempo stesso. Oggi, la nostra “madrina del rock” merita a tutti gli effetti di tornare a ruggire come un tempo e con tutti i dovuti riconoscimenti: è il minimo che spetta, e di diritto, a chi il rock, e il palcoscenico, scorrono nel sangue.
Loredana a New York, insieme a Andy Warhol
Buona domenica.
Bel post che condivido in pieno.
Che grinta Loredana!!! 🙂