The conversion of St. Paolo Malfi, una delle tele esposte a Fabriano in occasione della rassegna POIESIS 2012 (foto tratta dal sito http://poiesis-fabriano.it/)
“Dipingere è come respirare, per me. E’ quel che faccio tutto il tempo. Produco arte ogni giorno, che sia dipingere, scrivere o girare un film.” (Julian Schnabel)
Nato a New York nel 1951, Julian Schnabel si trasferisce dopo pochi anni in Texas con la propria famiglia, dove si laurea all’ University of Houston prima di far ritorno a New York grazie alla partecipazione ad un programma di studio indipendente al Whitney Museum of American Art: pare che la sua application per il Whitney abbia incluso esemplari delle sue opere inserite tra due fette di pane, a mò di sandwitch. A New York, per un breve periodo lavora anche come cuoco e si dedica all’arte intervallando la sua passione alla frequentazione di ristoranti e night-club. Risale al 1975 la sua prima personale, organizzata al Contemporary Art Museum di Houston; negli anni seguenti, sono frequenti i suoi viaggi in Europa: Italia, Germania, Spagna, dove rimane fortemente colpito dall’architettura di Antoni Gaudì, da Cy Twombly e Joseph Beuys. E’ grazie alla personale esposta alla Mary Boone Gallery, nel 1979, che esplode la sua fama: Julian Schnabel inizia a ricevere un’ ampia considerazione e vasti consensi dal mondo artistico, tanto da partecipare – appena un anno dopo – alla Biennale di Venezia con i suoi lavori. A metà anni ’80 è già visto come una figura di spicco del movimento neo-espressionista; si è fatto notare grazie alla serie dei plate painting, enormi disegni su schegge di piatti di ceramica dalle grandi dimensioni,e ai Japanese paintings. Le immense tele dedicate a Jane Birkin, che oggi hanno raggiunto quotazioni altissime, rappresentano una sorta di sample’delle opere per cui Schnabel viene maggiormente conosciuto; tele dalle maxi dimensioni in cui il colore viene tracciato con pennellate decise, schizzato, impastato con le mani stesse dell’artista: Schnabel sperimenta da sempre una sorta di simbiosi con la pittura che lo spinge ad immergersi nel suo mondo, molto spesso, usando le mani per ‘sentire’ il colore e per tastarne la consistenza tra le dita. Dici Julian Schnabel e subito ti viene in mente un uomo per cui ogni cosa è concepita ‘in grande’, cosi come imponente è la sua fisicità: un illimitato loft newyorchese, location per eccellenza del suo lavoro, le ciclopiche tele issate su supporti o appese al muro, la forza con cui l’artista infierisce sulla materia quasi a provocare degli squarci di colore. Negli anni 90, incomincia a dedicarsi anche al cinema: nel 1996 esordisce con Basquiat, un film incentrato sulla vita del famoso graffitista. A David Bowie spetta il ruolo di Andy Warhol, scopritore del giovane artista newyorchese morto a soli 27 anni per un’overdose. Il secondo film lo gira nel 2000 dedicandolo a Reinaldo Arenas, scrittore cubano censurato e imprigionato dal regime di Castro. Lo interpreta lo spagnolo Javier Bardem, ricevendo anche una nomination all’ Oscar come miglior attore. Nel 2007 è la volta di Lo scafandro e la farfalla, che narra la vera storia di Jean Dominique Bauby – ex direttore di ELLE Francia – e la sua alienante convivenza con l’ictus che lo colpì: un film interpretato da Mathieu Almarit ed Emmanuelle Seigner che ha fatto il pieno di riconoscimenti, valendo a Schnabel il premio per la miglior regia al Festival di Cannes e numerosissimi, prestigiosi altri premi. I film rappresentano una diramazione importantissima del lavoro di Julian Schnabel, un processo creativo in cui si immerge a 360° curandone ogni minimo dettaglio. Sceneggiatura, regia, composizione della musica fanno capo unicamente a lui, che è spesso sul set anche nelle vesti di attore. Lou Reed’s Berlin, un documentario relativo al tour di Lou Reed del 2007, e Miral, tratto da un libro di Rula Jebreal sulla causa palestinese, sono i suoi più recenti lungometraggi. Miral, presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 2010, è stato sceneggiato da colei che è stata l’ ultima compagna, in ordine di tempo, dell’artista newyorchese, ossia la Jebreal stessa. Julian Schnabel, le cui opere sono esposte nei più prestigiosi musei di tutto il mondo (per citarne solo alcuni: il Met, il Museum of Modern Art, il Whitney, il MOCA di Los Angeles, il LA County Museum of Art e, in Europa, in gallerie quali la Reina Sofia di Madrid, la Tate di Londra e il Centre Pompidou di Parigi) vive oggi a Palazzo Chupi, un’ immensa e splendida palazzina nel West Village progettata dall’artista in persona ispirandosi allo stile – vagamente veneziano – di un palazzo italiano. Contraddistinto da una facciata color rosa brillante e da due ampie arcate a portici nei piani più alti, Palazzo Chupi conta su un interior décor singolarissimo che coniuga classicismo ed eccentricità in un mix di tonalità insolite e vivaci. Un design che è una vera e propria opera d’arte, pensato dallo stesso Schnabel e cosi denominato in onore dell ‘ex moglie e modella Olatz Lopez Garmendia, detta ‘Chupi’. L’arte si conferma, ancora una volta, come vita stessa dell’artista newyorchese, rendendosi protagonista persino dello scenario quotidiano che lo circonda: dal momento in cui apre gli occhi ogni mattino all’ istante in cui va a dormire, il suo creare gli ribadisce, costantemente e ad ogni sguardo, la sua immensa, supereclettica genialità.

Palazzo Chupi
Buon martedì.