Where’s the party?

 

Ovunque sia il party, Georgia May Jagger è decisamente già pronta a folleggiare, splendidamente glamourous e radiosa, in ogni minuto danzante e ritmato di spumeggiante euforia alcolica della notte più lunga e luminosa dell’ anno.  Make up da manuale con tanto di ciglia finte, Georgia ha concentrato sulle carnose labbra – eredità di papà Mick – il tradizionale input che impone “qualcosa di rosso” da esibire a Capodanno, con risultati oltremodo eccellenti: un lipstick mat, cremoso, sofisticatamente satinato che riesce magistralmente a enfatizzare la sua caratteristica bocca, rendendola atout e punto di forza. Non dobbiamo dimenticare, d’altronde, che nel CV della ‘pargola’ della mitica Jerry Hall l’ esperienza di testimonial del brand Rimmel London figura tra le sue collaborazioni promozionali di punta. Nessuna meraviglia, dunque, se il 2013 di Georgia May è in procinto di iniziare proprio muovendo i passi da una sua ennesima esperienza nel settore: a partire dal nuovo anno, infatti, sarà il volto della nuova fragranza firmata Roberto Cavalli Just Cavalli – e protagonista di una campagna pubblicitaria diffusa sia via stampa, che TV, a livello internazionale. Un doppio ‘nuovo inizio’, dunque, per il 2013 della  rampolla Jagger, che includerà la sua ‘prima volta’ come testimonial di un profumo. “E’ una vivace tentatrice”, ha commentato Roberto Cavalli, “la scelta perfetta per incarnare Just Cavalli.”. La giovane tentatrice con il rock nel DNA si prepara, così, ad apparire in uno spot diretto da Jonas Akerlund e in una serie di scatti effettuati da Mario Sorrenti che lanceranno, nel febbraio 2013, la fragranza del designer fiorentino. Tornando al ‘party’ iniziale,  Georgia May ha certo di che festeggiare!

 

 

A proposito di party, avete già scelto la vostra acconciatura per le feste di stanotte? VALIUM vi suggerisce una proposta molto particolare: con il cotonato come leit motiv, la pettinatura rappresenta la versione – in chiave ‘maudit‘ e ‘finto- scapigliata’ – di uno dei classici della moda capelli di sempre. Ovvero, la treccia. Una treccia specialissima che intreccia le tre ciocche di capelli di rito su una testa già perfettamente, e totalmente, cotonata. Il risultato, lungi dal sembrare trascurato, è al contrario un inedito inno al volume e alla corposità dei capelli, gonfiandoli in modo tale da creare un originalissimo ‘effetto parrucca’ in pieno stile Barocco. Un ‘raccolto’ insolito, di forte impatto, che si distacca decisamente dalle consuete proposte in tema. Per distinguersi dalla massa anche durante i superaffollati, interminabili party di fine anno, la chance migliore si traduce nello sfoggiare una contemporanea e riattualizzata versione delle ultravoluminose parrucche che, nel ‘700, valorizzavano le capigliature di Marie Antoinette e della sua corte di Versailles. Siete pronte ad osare?

 

 

Enjoy the party!

The woman in red

Alexander McQueen

 

Per le feste di fine anno, la parola d’ordine è: ROSSO. Rosso come le tuniche dei soldati dell’ Antico Impero Romano, che le tingevano del colore del sangue rappresentando quello versato dal nemico e rendendole, dunque, simbolo di vittoria. Rosso come l’ agrifoglio, pianta benedetta e convertita in sempreverde da Odino, che tramutò in bacche scarlatte le gocce di sangue versate dal figlio assassinato. Ed è ancora una volta il rosso, con la sua valenza beneaugurale,  ad eleggersi protagonista del nostro look di Capodanno sotto forma di accessori,  intimo o di interi outfit. Si rivela d’ obbligo, di conseguenza, una panoramica di fine anno che includa le più interessanti proposte nei toni del red dei vari designer: non è stato facile scegliere, quasi ogni Maison annovera un abito da sera rosso nelle sue collezioni. Quelle che vedete sono solo alcune tra le innumerevoli interpretazioni ‘in tinta’, caratterizzate dall’ estro e dall’ originalità. E se avete invece optato per un Capodanno cromaticamente “alternativo”, non vi resta che tentare la chance declinando il rosso nell’ intimo o – perchè no?- riservandolo ad una bocca ultrared in linea con le ultimissime tendenze make up. Porterà molta fortuna alla vostra seduttività…

Buona domenica!

Cacharel

Alexis Mabille

Giorgio Armani

Agatha Ruiz de la Prada

Dolce & Gabbana

Alberta Ferretti

Blumarine

Acne

Ferragamo

Giambattista Valli

Fyodor Golan

Givenchy

Issa London

John Galliano

John Rocha

Alexander Mc Queen

Ralph Lauren

Krizia

Valentino

Valentino

Yohji Yamamoto

 

Vintage Christmas: Ava Gardner

 

“Non sa cantare, non sa recitare, non sa parlare. E’ straordinaria!” Così pare che Louis B.Mayer, head e fondatore della Metro Goldwyn Mayer, commentò il provino della diciottenne Ava Gardner dopo averlo visionato sullo schermo: Ava non sapeva far nulla di tutto ciò e il suo pesante accento del sud (era nata in North Carolina, ultima di sette fratelli, da una famiglia di coltivatori di tabacco e cotone) le rendeva quasi incomprensibile essere capita, ma un grande dirigente come Mayer seppe immediatamente cogliere l’ immenso magnetismo che emanava di fronte alla cinepresa. Trasferitasi subito a Hollywood, iniziò la sua carriera recitando in piccoli ruoli fino a porsi all’attenzione del pubblico con I gangsters (1946), dove affiancava Burt Lancaster: fu il primo di una lunga serie di film che, tra gli anni ’40 e gli anni ’70, la consacrarono una delle più grandi e venerate star di Hollywood. I ’40 la videro co-protagonista di pellicole insieme a partner di rilievo quali Clark Gable (I Trafficanti, 1947) e Gregory Peck (Il grande peccatore, 1949), e fu proprio in quel periodo che iniziò il suo fidanzamento con Frank Sinatra. Nel decennio successivo, proseguì per Ava una serie di ruoli accanto a colleghe e colleghi prestigiosi: con Robert Mitchum recitò in Voglio essere tua (1951), e per Mogambo (1953), girato accanto a Grace Kelly e a Robert Mitchum, ricevette la sua prima candidatura agli Oscar. Intanto, nel 1951, Ava aveva sposato Frank Sinatra ed era già considerata una delle donne più belle del mondo. La contessa scalza (1954), dove recita affiancata da Rossano Brazzi e Humphrey Bogart,  evidenzia una delle sue migliori interpretazioni. Nel 1956 venne scritturata da Cukor , rivelatosi poi uno dei registi che seppero meglio valorizzarla: per la sua regia girò Sangue Misto e subito dopo si fiondò in Italia, impegnata sul set del film La capannina. Il divorzio da Sinatra, intanto, impazzava sui tabloid tramutandosi  in succulente materiale per i paparazzi, che in Italia seguivano avidamente il neonato flirt di Ava con Walter Chiari. Ma il soggiorno europeo lasciò alla star anche dei brutti ricordi: in Spagna, infatti, durante una corrida venne colpita dal calcio di un toro che le lasciò in eredità un segno indelebile su una guancia. A fine anni ’50 apparve in due film: La maya desnuda (1958) e L’ ultima spiaggia (1959). Ma è nel 1964 che la sua interpretazione di alto livello ne I giorni dell’ iguana le valse una nomina ai Golden Globes. Sempre nei ’60, la Gardner prese parte al kolossal La Bibbia e, qualche anno dopo, a Il giardino della felicità (1976).  Nel 1976 recitò con Sophia Loren e Alida Valli in Cassandra Crossing. A partire dal decennio degli ’80, Ava si dedicò prevalentemente alla TV e alle soap operas, ma la sua salute cominciava a vacillare pericolosamente (fumo ed alcol i suoi nemici principali): morì nel 1990 a Londra, dove si era trasferita oltre venti anni prima, a causa di una polmonite. Di Ava Gardner – un tipo di bellezza particolare, dai canoni extra rispetto a quelli americani, vagamente esotici – sono rimaste celebri le grandi amicizie e le storie d’amore: con Sinatra, ma anche con il multimiliardario Howard Hughes, con cui ebbe una relazione di oltre vent’anni, o con Luis Miguel Dominguin, celebre torero spagnolo che le venne presentato dal suo grande amico Ernest Hemingway. Gli atout della Gardner provenivano probabilmente da un’ immensa bellezza che non incuteva soggezione: mai vamp se non sullo schermo, la consapevolezza della propria carta vincente dava ad Ava una sicurezza in sè stessa naturale, compensata da una spiccata autoironia ed arguzia. L’ immagine natalizia con cui gli Studios la ritraggono, infatti, ne riflette lo spirito ispirando simpatia: potrebbe essere una di quelle foto di propaganda in cui gli attori invitano a non abbandonare gli animali domestici durante le feste, di certo più in voga oggi che allora. Ava, mai stata madre, stimola l’empatia del pubblico natalizio familiare puntando sul sorriso e su un cucciolo che stringe tra le braccia: d’altronde, quale anglosassone non ama i pets? Una posa sentita, affatto artificiosa in stile ‘diva in mostra con il suo cagnolino’. Basta notare lo sguardo dell’attrice: non è lei a fissare l’obiettivo, ma invita il cane a farlo spingendolo in primo piano. E basterebbe questo dettaglio per far sgretolare tutte le teorie sul presunto egocentrismo delle star. Un particolare unito al fatto che, la stratosferica bellezza della Gardner, viene percepita come una bellezza ‘a portata di mano’ non perchè dozzinale, bensì perchè dai suoi lineamenti trapela umanità, una persona vera, nè algida nè irraggiungibile. Ava Gardner, la ‘donna più bella del mondo’, era una bellezza amata dal pubblico, dai tratti mediterranei del profondo sud e dagli occhi dal taglio vagamente orientale, nata da famiglia umile e tutt’altro che benestante. E si sa, i favori del pubblico vanno spesso a tutte quelle star che, stimolando l’identificazione, si sono fatte da sè, mai rinchiudendosi in una torre d’avorio con chiavistelli a tripla mandata. Il Natale ‘animalista’ della Gardner non fa altro che mettere in evidenza, dunque, un ennesimo tassello della genuina personalità della star. Con scrosciante plauso da parte dell’ audience, of course.

Felice weekend.

Vintage & contemporary trends: il glitter style

Biba

 

Negli anni ’70, il Biba look non era denotato soltanto da una palette di cosiddetti auntie colours: per l’esattezza, il tripudio di tonalità prugna, mirtillo, ruggine e mora che più di ogni altro lo caratterizzava si concedeva frequenti break, aprendosi alle nuove, swinging stravaganze. Il periodo delle feste di fine anno ne costituiva uno in cui, magicamente, ogni singolo capo – così come gli accessori – si apriva a un mood esuberante, festaiolo, dichiaratamente sparkling. Vi dice nulla la parola glitter? Bene: questo termine, attualmente così ridondante ogni volta che si parla di moda e stile, appariva per caratterizzare il  luccichio degli outfit di ogni Biba fan in un trionfo di lucentezza che coinvolgeva l’oro, il rosso, l’argento, il rosa e tutte le nuance dai toni cangianti e più marcatamente femminili. D’altronde, non va dimenticato che proprio l’oro fu eletto colore ufficiale – allo scopo di enfatizzarne i motivi art déco – del celeberrimo Biba logo. Ecco così introdursi lamé, glitter e paillettes a riempire i guardaroba di giovani donne per le quali la moda assumeva non solo meri connotati di vanità, ma un significato socio-esistenziale. Oggi, ormai da varie stagioni, lo sfavillio dei glitter si è inserito nel nostro look in pianta stabile e tramutato in un classico dello stile. Sfogandosi particolarmente su scarpe, sandali e décolletè – sarà dovuto a reminescenze di prestigiosi precedenti come quello delle scarpette di Dorothy de ‘Il mago di Oz’?- il luccichio coinvolge ogni capo di abbigliamento e inonda, puntualmente, anche gli accessori. Le feste natalizie sono, anche in questo caso, di stimolo ed incentivo a ‘scintillare’ più del solito: ricorrenze e party ne danno l’ occasione, permettendo un importante momento di pausa dedicata alla spensieratezza e alla fantasia. Per chi volesse, quindi, aggiungere un guizzo festaiolo in più al proprio look, non resta che l’ imbarazzo della scelta. Il campo va ristretto obbligatoriamente, tante sono le ‘sfavillanti’ proposte lanciate dai vari designer: di seguito, due esempi particolarmente in linea con il Biba sparkling look. Per brillare, anche a Capodanno, di una specialissima luce propria.

Buon venerdì.

 

Just Cavalli

Guy Laroche

Christian Louboutin

Miu Miu

In libreria: “Lapo. Le regole del mio stile.”

 

Nei giorni immediatamente antecedenti al Natale, per l’esattezza il 22 dicembre, è arrivato in libreria LAPO. Le regole del mio stile, un volume di 192 pagine interamente a colori pubblicato per i tipi di ADD Editore. L’ autore? Lapo Elkann, recentemente nominato Best Dressed Man da Vanity Fair Espana. Un riconoscimento che segue a numerosi altri, rigorosamente di prestigio: cinque anni fa, infatti, VOGUE America lo decretò ‘Uomo più elegante del pianeta’ , e soltanto due anni dopo – nel 2009 – venne incluso nella Hall of Fame dei Best Dressed Men da Vanity Fair USA.  Un continuum di onorificenze fashion atte a confermare la già risaputa equazione Agnelli -Elkann uguale ‘stile’: ed è proprio allo stile, al suo stile, che Lapo si ispira, raccontandosi e raccontandolo nelle pagine di questo libro – talmente recente, da poter essere inserito come ‘primizia assoluta’ nella nuova ondata di regali prevista per l’ Epifania. L’estroso fondatore (con Andrea Tessitore e Giovanni Accongiagioco) del brand Italian Independent e (con Alberto Fusignani) dell’ agenzia creativa Independent Ideas, è un imprenditore poliedrico e ricettivo che ha da sempre identificato in ‘creatività’ e ‘innovazione’ i must della sua filosofia del business, senza tralasciare l’ importantissimo valore aggiunto apportato dal made in Italy e da un concept fortemente identificato nell’ atout dell’ Indipendenza. Lo stile, che coinvolge la vita di Lapo a 360°, diventa dunque leit motiv di una riflessione in cui l’autore evita intenzionalmente di dispensare consigli a mò di ‘manuale’, privilegiando evidenziare il suo personale approccio e la sua esperienza sul tema. “Lo stile dipende da te, da quanta voglia hai di lavorare su di te, sul tuo sapere.”, spiega, diluendo nelle quasi 200 pagine del libro le sue considerazioni in prima persona senza l’arroganza o la presunzione di chi pretende di ‘insegnare qualcosa’ agli altri. La sua è una vera e propria filosofia che si snocciola pagina dopo pagina attraverso pensieri, spunti e opinioni in cui innovazione e tradizione si intersecano costantemente dando luogo a confessioni, ragionamenti da cui scaturiscono i motivi del rapporto con sè stesso, con il prossimo e con la società, disquisizioni su vasti temi e minuziosi dettagli.  Nello stile, per Lapo, si riflette il vasto amore per la vita. La sua narrazione non si prefigge di giungere a uno stop con il punto finale del volume, anzi: in continua evoluzione per definizione, il discorso sullo stile rimane aperto a future, ulteriori  elaborazioni, a sempre nuove aggiunte, senza mai ritenersi concluso. Arricchito da foto inedite e create appositamente, nel libro sono inseriti anche numerosi contenuti extra visualizzabili tramite AR-Code nel sito ufficiale dell’ ‘Uomo più elegante del pianeta’:  http://lapoelkann.com/  Un’ esperienza multimediale atta a costruire un fedele ritratto dell’ autore, che dal connubio tra creatività, velocità e cambiamento ha attinto la sua personale ricetta di esistenza.

Buon giovedì.

 

Christmas fairytale

 

“Il Natale non è un evento eterno, ma un pezzo di casa che ciascuno porta nel proprio cuore.” (Freya Stark)

Bianco imperante come l’ accecante luminosità di un paesaggio innevato, preziosità argentee e un tocco d’oro: anche questo è il Natale, colto nello strabordante scintillio di un albero fittizio, irrealmente scaturito dalla vena onirica di un fiabesco incanto. Come in un sogno, virgulti di tulle disegnano eteree vesti dai contorni impalpabili, seta finissima impregnata di candore ricopre gambe danzanti e piedi infilati in sofisticate, dorate scarpette. Tutto intorno è intermittente bagliore di perle, fiammeggiante luce di candele e luccicanti cristalli, in una continua e inarrestabile cascata luminosa ridondante di festa. Natale è appena trascorso eppure il suo magico mood permane, rutilante, in  una scia persistente che mostra, a cadenzati intervalli, tutto il suo sofisticato sfavillio. Bollicine di champagne, dimore incantate, un caleidoscopio di colori che confluisce, sfumandosi, nel bianco. Suprema luce e cangiante riflesso tratteggiato da connotati di fiaba, nell’ atmosfera flou di un sogno da cui è impossibile svegliarsi: perchè  inevitabilmente insinuato, fatato e archetipo, nel più profondo immaginario interiore.

Buon mercoledì.

 

(Photo by Tim Walker)

Buon Natale

 

Che la magia del Natale sia con voi: VALIUM augura a tutti i suoi lettori, aficionados e appassionati fans una giornata di festa serena, ma frizzante. Proprio come le bollicine dello champagne che stasera vi accingerete a stappare!  * AUGURI A TUTTI!*

Vintage Christmas: Bettie Page

 

La Regina di tutte le pin up, icona di stile provocante, ma con autoironia: Bettie Page nasce a Nashville nel 1923 e quando si iscrive al College è fermamente convinta di diventare insegnante. I corsi di arte drammatica che inizia a frequentare, però, le fanno cambiare idea e dirotta ben presto le sue ambizioni nel mondo del cinema, decisa a diventare attrice. Dopo la laurea in Arte nel 1943, si sposa e gli eventi prendono una piega differente da quella desiderata, ma il destino le viene incontro sotto le sembianze di Jerry Tibbs, un fotografo che incrocia a Coney Island e che decide di lanciarla come modella. E’ proprio di Tibbs l’idea della frangia, corta e sbarazzina, che da quel momento in poi diventerà dettaglio e simbolo di ogni pin up che si rispetti: sono gli anni ’50 e la carriera di Bettie ha una svolta fetish quando, per Irwing Klaw, posa per una serie di foto in stile bondage e sadomaso. Richiestissima, i suoi scatti foto vengono distribuiti per corrispondenza o pubblicati in riviste per soli uomini. Quando conosce Bunny Yeager (fotografa ed ex modella) Bettie è già la più famosa pin up della Big Apple e le foto in cui Bunny la ritrae, nella location del parco naturale di Boca Raton, in Florida, saranno il trampolino di lancio per una fama stellare e imperitura. Nuda o con un semplice costume animalier da lei stessa creato, Bettie lotta con due ghepardi e si fa fotogafare in una molteplici pose, protagonista assoluta di un servizio dal titolo Bettie in the jungle che viene inviato a Playboy e suscita un apprezzamento tale da parte di Hugh Hefner da farla nominare immediatamente Playmate del mese. Sarà sempre Bettie ad apparire nel central folder di Playboy in occasione del secondo anniversario della rivista. Le foto da allegra pin up, il suo lato ‘solare’ si alternano a scatti in black and white dove mostra il volto più hard, quello delle foto sadomaso, del bondage, del fetish, che la caratterizzò fortemente. Munita di frustini, bavagli, bustier ultraderenti e calze rigorosamente a rete con giarrettiera, la Bettie più ‘oscura’, sempre e comunque issata su tacchi vertiginosi, raramente dimentica il sorriso: requisito, forse, basilare per rendere più soft le scene di cui è protagonista agli occhi di una audience anni ’50 ancora affetta da serpeggiante prudérie. Capelli corvini, ondulati e lunghi fino alle spalle, lipstick rosso fuoco, stilettos e ammiccamenti, Bettie l’ icona è rimasta così impressa, a titolo indelebile, nell’ immaginario collettivo. Abbandonò la sua carriera nel 1957 per motivi non chiariti e morì nel 1985, a Los Angeles, dopo essere stata a lungo malata: ma chi pensa a lei la ricorda come la spumeggiante pin up di un’epoca ormai quasi archetipa, e negli intriganti siparietti burlesque in technicolor girati in coppia con Tempest Storm: sensuale ma maliziosa, fresca, sbarazzina. Imitatissima nel look, Bettie ha ispirato diverse serie di fumetti, due biopic e varie pièce per il teatro, in una delle quali viene messo in evidenza il suo coinvolgimento in un processo per la moralizzazione del 1954 a cui alcuni attribuiscono la sua uscita di scena. Bettie Page non poteva non lasciare ai posteri i suoi scatti natalizi di prassi, e lo fa con la spontanea naturalezza che la contraddistingue: facendosi immortalare nuda, essendo la pelle l’abito con cui si sente – come ha più volte dichiarato – maggiormente a suo agio. Un fisico tonico, forme perfette, la sua chioma folta di un nero lucente e la carnagione imacolata la fanno quasi somigliare a una Biancaneve “d’annata” in versione sexy-soft. Ammiccante, Bettie strizza l’occhio mentre è intenta ad addobbare un candido albero di Natale vestita solo di un berretto da Santa Klaus. L’ ambiente è confortevole: moquette bianca a pelo lungo che fa pendant con il colore dell’abete – un fake – nella più pura tradizione dei rinnovati agi anni ’50. Unico elemento ‘primordiale’ e nature, la nudità di Bettie che, contestualizzata nell’ atmosfera natalizia, sembra ribadire l’ assoluta naturalezza del sesso inserendo il concetto nella festa ‘familiare’ per eccellenza. Un’alta interpretazione, forse più pepata, potrebbe rintracciare in questa foto uno ‘sdoganamento’ dell’ immagine stereotipata del Natale, donandogli quel pizzico di salutare (sex) appeal in più che fa la differenza e che distrae l’attenzione maschile dal cenone in famiglia, dall’ operazione regali per i pargoli e dalle interminabili partite a tombola, dirottandone l’ interesse verso più intriganti lidi…Una versione più che probabile e verosimilmente abbastanza appropriata, se pensiamo ai trascorsi di playmate di Bettie: Hugh Hefner docet

Buon lunedì.

Bijoux del Natale: il trend barocco

 

Per i bijoux, il trend di fine anno sceglie forme e volumi importanti, vistosi, arabescati: la linea di maggior impatto è firmata Dolce & Gabbana e rivisita temi e motivi del Barocco adattandoli a una contemporaneità opulenta ma mai ridondante. Il Barocco di Dolce & Gabbana è profondamente mediterraneo, squisitamente siculo, e definisce le sue coordinate di eleganza nelle appariscenti dimensioni, nella sofisticatezza e minuzia delle decorazioni, nella profusione di oro e di argento accostati quasi esclusivamente al nero. Piccole rose accuratamente modellate, perle, angioletti in minatura che pendono dai lobi, coroncine, enormi pendenti dalla forma tondeggiante, arabescata o rombale si tramutano in leit motiv di un’ eleganza rigorosamente identificata con una barocca magnificenza che dal minimal si distanzia, ponendosi agli antipodi. La collezione presentata per l’Autunno Inverno da Domenico Dolce e Stefano Gabbana è un inno al profondo sud di epoche che furono, quando sfarzo, passionalità e misticismo si unirono in un connubio indissolubile che segnava i dettami di una nuova estetica. La femminilità viene esaltata da bijoux che, nell’ enfasi, trovano l’espressione di un lusso sublime e particolare, atto a risaltare una donna a metà tra una  Madonna e la Venere del Botticelli per la sua affezione agli addobbi e agli elementi floreali. Una collezione tutta da adottare, in queste sere di festa. Magari, spezzando il total look barocco per favorire sperimentazioni e personalizzazioni.

 

 

 

 

Vintage Christmas: Elizabeth Taylor

 

Dame Elizabeth Rosemond Taylor viene ad aggiungersi alla speciale gallery natalizia che presenta i ritratti, in versione Christmas Time, dei divi di una Hollywood al suo massimo fulgore. Di origini statunitensi ma nata a Londra, Liz -che detestava quest’abbreviazione del suo nome – ha un background di ‘bambina prodigio’ che la vede calcare le scene a soli nove anni per poi diventare famosa ad undici, con Torna a casa Lassie (1943), grazie ad un contratto in esclusiva con la Metro-Goldwyn-Mayer. Da allora, lo sviluppo della sua carriera coincide con un progresso inarrestabile che inaugurerà la sua prima interpretazione di successo ‘da adulta’ con Il padre della sposa (1950), in cui affianca Spencer Tracy. Elizabeth è appena diciottenne, ma possiede già tutta la grazia e l’ avvenenza di una donna adulta. Il resto, è noto al mondo intero: il decennio dei ’50, con interpretazioni di rilievo e come attrice protagonista a partire da Il gigante (1956), la lanciano nell’ Olimpo degli Oscar con ben tre candidature, e nel 1961 la giovane star riceve la sua prima ‘statuetta’ per il film drammatico Venere in visone. A quell’ epoca, la Taylor, dopo aver firmato un contratto con la 20th Century Fox per interpretare Cleopatra nell’ omonima pellicola del 1960, è già la diva più quotata e pagata di Hollywood. Sul set conosce Richard Burton, con il quale intreccia una relazione che sarà la gioia di stampa e paparazzi, voracemente attratti dall’ alternanza di passione, litigi furibondi e rotture eclatanti che avrebbe caratterizzato per anni ed anni la storia d’amore dei due divi (quando esplose, d’altronde, erano entrambi sposati e lei già al suo quarto matrimonio). Bellissima, intensa, uno sguardo intelligente che resterà nella storia per il celebrato colore ‘viola’ dell’ iride, la Taylor ‘buca’ letteralmente lo schermo con la sua presenza magnetica, ed è da subito l’attrice pù fotografata di Hollywood. Nel 1966, per l’ interpretazione di Martha in Chi ha paura di Virginia Wolf?, ottiene il suo secondo Oscar. Versatile, superba attrice, passa con facilità dai ruoli di commedia a quelli drammatici, in cui non esita ad imbruttirsi o ad apparire invecchiata per entrare in sintonia con il personaggio. Negli anni ’60, Liz alterna film in coppia con Richard Burton – diverrà notissimo La bisbetica domata (1967), riadattamento shakespereano di Franco Zeffirelli – ad altri in cui il marito non la affianca, come il celebre Riflessi in un occhio d’oro (1967) dove è co-protagonista con Marlon Brando. La sua fama, mai oggetto di cedimenti di interesse da parte del pubblico, viene costantemente alimentata dai numerosi matrimoni (in tutto, furono otto), dalla passione per i gioielli e dall’ adesione a cause umanitarie per le quali la Taylor si impegna con immensa energia, come nel caso della lotta all’ Aids che porterà avanti per tutta la vita, attivandosi nella raccolta di fondi per la ricerca. Al cinema, gli anni ’70 ed ’80 vedono diradare leggermente le sue interpretazioni che restano, sempre e comunque, degne di nota. Tra i suoi film del periodo, Il giardino della felicità (1976), il musical Gigi (1978), Assassinio allo specchio (1980) e Il giovane Toscanini (1988). Risale al 1994 la sua ultima apparizione cinematografica, un cameo nel ruolo della suocera di Fred ne I Flinstones. Una carriera, quella di Liz, che non si limita al cinema ma spazia costantemente tra teatro e TV, diversificandosi persino nel ruolo di doppiatrice quando presta la voce ad alcuni personaggi del cartoon I Simpson. E mentre anche dopo la sua morte (avvenuta nel 2011), controversi film per la TV come il dibattutissimo Liz & Dick (in cui è Lindsay Lohan a prestare il volto alla diva dagli occhi viola) contribuiscono incessantemente a far parlare di lei, Elizabeth Taylor ha sicuramente rappresentato l’ esempio di una diva carismatica, intensa, dalla forte personalità. Nell’ ostentazione degli ultimi anni – tra appariscenti gioielli, cotonature e minuscoli cagnolini maltesi -, forse, incarnando perfettamente il prototipo della diva, ma con una sostanziale caratteristica: quella di una profonda intelligenza unita all’ umiltà che, sul set, la vedeva trattare con la stessa gentilezza sia l’elettricista che il regista più osannato. Il suo impegno sociale, d’altronde, sentito e mai ‘di facciata’, non fa che confermarci la sua viva empatia nei confronti del genere umano. Il ritratto natalizio di Liz potrebbe essere definito un ritratto ‘consumistico’: in abito da cocktail e con un paio di décolletè cangianti, la Taylor viene immortalata circondata da regali e ancora regali. L’ambiente è quello domestico, i pacchi enormi (si intuisce) racchiudono tutto quanto può essere utile per la casa in un contesto da pieno ‘boom’ economico del dopoguerra e, soprattutto, inneggiano ai nuovi elettrodomestici: spiccano una enorme TV, una bilancia, una radio, un frullatore…Regali ‘pratici’, nessuna civetteria nè cedimento alla vanità. Un contorno di omaggi natalizi degno di La fabbrica delle mogli, il libro scritto da Ira Levin nel 1975 che riportava a un concetto di ‘moglie perfetta’ molto in voga negli anni ’50, gli anni in cui – guarda caso – è stata scattata la foto. Eppure, non si rinviene alcuna traccia da ‘massaia’ in Liz, nessun atteggiamento da ‘girl next door‘ in procinto di andare in brodo di giuggiole per il nuovo frullatore: anzi, al contrario, la sua posa sembra suggerire che stia per sistemarsi al lobo un secondo orecchino, già pronta per uscire. Una moglie perfetta a 360°: che non rinuncia, cioè, pur circondata da una serie di elettrodomestici e suppellettili di ultima generazione, ad una sana vita mondana. Negli anni ’50, dopotutto, la TV non imbeveva di virtualità le vite umane…Ed anche una semplice lavastoviglie poteva contribuire alla causa dell’ emancipazione femminile!

Felice weekend.