Il pagliaccetto: negli anni in cui la miniskirt mania si espandeva a macchia d’olio, questo capo cult dell’ abbigliamento per bambini veniva adattato al womanswear per la sua massima funzionalità. Il parallelismo con la tuta è calzante: entrambi appaiono in un’ epoca in cui look maschile e femminile si intrecciano indistintamente, la stessa che lancia i collant per guadagnare in praticità e che sceglie la comodità del capo unico, indossato in un batter d’ occhio, evitando abbinamenti perditempo o non azzeccati. E mentre i pantaloni a zampa si declinano nella loro versione comfortable rimodellandosi sulle linee della tuta, il pagliaccetto si ispira a un mix tra minigonna e minishorts. Evade dall’ ambito che lo vuole strettamente relegato all’ intimo e si reinventa versatilmente, si addobba di glitter, pizzi, dentellature, adattandosi mirabilmente alla silhouette sbarazzina della giovane donna dei 70. Il vero boom, il pagliaccetto, l’ aveva conosciuto negli anni ’50: il suo utilizzo si era esteso persino al beachwear, costituendo una valida alternativa al costume intero. Dopo un ritorno durante gli Swinging Sixties e nei primi anni ’70, sono dovuti passare circa tre decenni perchè riapparisse tra i capi più sfiziosamente in voga. Nel 2009, designer del calibro di Marc Jacobs e Max Azria lo reinserivano nelle proprie collezioni primaverili coniugandolo con una molteplice varietà di forme, materiali e stili. Tra le più recenti proposte troviamo quelle di American Apparel, che lo ha presentato in cotone piquè, in velluto e in tessuto chambray. Attualmente, anche se i suoi atout sono momentaneamente tornati in secondo piano, lo attendiamo comunque: consapevoli che, in virtù del suo status di classico dell’ abbigliamento, saprà giocare ancora una volta, e definitivamente, tutte le sue carte.
Buon martedì.