Capodanno Cinese: 3 tributi fashion all’ anno del Topo

 

Il 25 Gennaio, per il calendario cinese, sancirà l’ inizio dell’ anno del Topo. Già ci si prepara ai festeggiamenti, che in un tripudio di rosso (colore beneaugurale), lanterne illuminate e danze del Leone (ispirate alla leggenda del mostro Niàn, figura mitica del Capodanno) si snoderanno per ben 15 giorni in tutta la Cina, nelle comunità cinesi sparse per il mondo e in buona parte dei paesi orientali. La moda, il beauty, il design e l’home decor internazionali non sono mai rimasti immuni al fascino di quelle celebrazioni: non è un caso che ci sorprendano ogni volta con collezioni inneggianti al segno zodiacale associato al nuovo anno cinese. Il 2020 non fa eccezione ed evidenzia innumerevoli tributi al Topo, primo segno dello Zodiaco dell’ ex Celeste Impero. A proposito, sapete in che modo guadagnò la top position il roditore? Secondo un’ antica leggenda, l’ Imperatore di Giada coinvolse tutti gli animali del globo in una gara: avrebbe dato il nome dei primi dodici arrivati agli altrettanti cicli lunari del calendario cinese. Il Topo arrivò primo (seguito, nell’ ordine, dal Bue, dalla Tigre, dal Coniglio, dal Drago, dal Serpente, dal Cavallo, dalla Capra, dalla Scimmia, dal Gallo, dal Cane e dal Maiale) perchè attraversò il Fiume Celeste in groppa al Bue, per poi saltare a terra e correre più veloce che poteva quando furono vicini al traguardo. Ebbe quindi l’onore di aprire lo Zodiaco cinese. Il fashion world si è sbizzarrito in svariate interpretazioni del Topo, giocando soprattutto sull’ iconografia proposta, nel tempo, dai comics e dai cartoon: ecco così, ad esempio, il Topolino di Gucci, onnipresente in una capsule dedicata al celebre eroe Disney. Oppure, il topo dai tratti stilizzati e giocosi che Marni ha eletto come protagonista della sua mini linea. Burberry, dal canto suo, punta sul rosso – colore per eccellenza del Capodanno Cinese – e ne accentua la valenza propiziatoria: emblema di gioia, ricchezza e fortuna, fa da leitmotiv agli outfit ed agli accessori firmati da Riccardo Tisci in una collezione a tema. Nella gallery che segue, un breve sunto degli omaggi che i tre brand hanno pensato per il Lunar Year. Domani, invece, ci occuperemo di make up con una triade altrettanto d’eccezione. Stay tuned!

MARNI

Camicia in popeline di cotone con ruche frontale rosso fuoco

Orecchini in metallo dorato con pendenti-tributo all’ anno del Topo

Pantaloni larghi in denim con profilatura e tasche esterne di color rosso

 

BURBERRY

Bomber in lana con monogramma Thomas Burberry e maniche bianche a contrasto

Scarpe in pelle in total red con listino a T e platform a carrarmato

Mini borsa Lola in pelle trapuntata e color block rosso-burgundy

 

GUCCI

Felpa oversize in jersey di cotone con logo Gucci e un’immagine di Topolino, entrambi in versione vintage

Trench reversibile in tessuto GG con finiture in pelle e pattern Topolino all over

Sciarpa in seta con stampa Flora, bordatura nera e un raggiante Topolino vintage al centro

 

 

 

Winter Wonderland

 

L’ Inverno, stagione dell’arte serena, il lucido Inverno.”

  (Stéphane Mallarmé)

 

Il bianco, il grigio, i rumori attutiti da una coltre di neve ovattata: sono questi i colori e i suoni che prevalgono in Inverno. Perchè, nonostante il buco dell’ ozono e i cambiamenti climatici, vogliamo continuare a pensare così alla stagione fredda. Paesaggi candidi, fiocchi di neve che, silenziosi e fitti, spargono magia ovunque si posino. Baite che spuntano qua e là sulle montagne, tra i boschi immacolati. E poi, gli odori: quello dell’ anice, della cannella, della cioccolata calda…Lo zenzero dei biscotti ricoperti di perline e glassa, i mandarini appena sbucciati. Provate a immaginarli davanti al caminetto acceso, mentre il fuoco diffonde il suo tepore. E’ Inverno, il tempo dell’ intimità e della riflessione. La stagione in cui ogni suggestione si trasforma in puro incanto.

 

 

 

Lo scintillio dei cristalli per un hairstyle gioiello: il backstage beauty & hair AI 2019/20 di Area NYC

 

Brillare per respirare tutto l’ anno aria di festa, non solo a Natale: ormai è un leitmotiv di VALIUM. Sfavillare, abbagliare, sfolgorare sono degli imperativi, i must che ci donano luce H24, quando il grigiore predomina e viene rischiarato unicamente dal biancore della neve. Se a tale scopo cercate un’ alternativa all’ outfit o al make up “sparkling”, date un’ occhiata all’ hair look di Area NYC: il défilé della collezione Autunno Inverno 2019/2020 è stato tutto un rilucere di cristalli, di bagliori profusi e rigorosamente in pendant con i decori degli abiti. Ma attenzione, questo splendore non somiglia a nulla di quanto abbiate mai visto prima. E’ associato a qualcosa di raro, a un lusso principesco e d’altri tempi: l’ hairstylist Jawara ha concentrato sul capo i suoi punti luce, adornando la scriminatura e il resto della chioma, raccolta, con fili in maglie di cristalli simili a diademi esotici. I capelli, legati in una coda bassa che potremmo definire “minimal”,  evidenziano una allure ethno sulla scriminatura, sottolineata da una treccina che la percorre in tutta la sua lunghezza. Jawara ha esaltato accenti quasi tribali, intrecciando perle e cristalli intorno ai “bantu knots” che esibiscono alcune modelle ed ottenendo, inoltre, effetti di grande spettacolarità grazie alle maschere scintillanti che coprono il loro volto. La luminosità opulenta, non associata al make up in quanto appena accennato, scaturisce piuttosto dagli hair jewels e dai monili che, molteplici e vistosi, adornano collo, braccia e orecchie delle top in passerella. Le nuance, tutte abbinate tra loro, spaziano dall’ oro all’ argento passando per il platino e il multicolor. Il risultato finale? Un look affascinante, evocativo di terre e di epoche lontane. Un capolavoro luxury che coniuga preziosismi e hairstyle, avvalendosi della valenza simbolica – oltre che decorativa – che il gioiello ha sempre rivestito nella storia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tendenze AI 2019/20 – Tra faux fur e Teddy Bear

VIVETTA

Il boom del Teddy Bear coat di Max Mara ha dato nuova linfa al trend della faux fur, ormai gettonatissima: super calda, declinata in modelli innumerevoli, il full color è il suo punto di forza. Nonostante le collezioni Autunno Inverno 2019/20 introducano nuance sempre più simili a quelle delle pellicce naturali, infatti, l’eco fur ama esaltare la propria atipicità attraverso colori vibranti e unconventional. Ecco allora il fucsia, il giallo, il rosso, il Classic Blue Pantone, il teal…Oppure un bianco che li “azzera” tutti con il suo iconico candore. Nella foto di apertura dell’ articolo, la faux fur di Vivetta: un inno al Teddy Bear vero e proprio,  inteso cioè come orsacchiotto, ma anche alla soffice e variopinta giocosità che ogni peluche porta con sè. Laddove “peluche” potrebbe essere sostituito con “pelliccia eco”.

 

AREA NYC

STELLA MCCARTNEY

BALENCIAGA

OFF-WHITE

PHILOSOPHY DI LORENZO SERAFINI

CELINE

MAX MARA

SHRIMPS

MICHAEL KORS

EACH X OTHER

 

 

Glitter People

 

” Io trovo che è artista solo chi trasmette emozioni, altrimenti non è un artista, è solo una persona che sa ballare. Ma per trasmettere un’emozione tu devi avere la padronanza della tecnica, quindi non solo la perfezione, di più. La perfezione però non deve essere un fine, ma solo il punto di partenza: da lì puoi fare quello che vuoi se sei un’artista, altrimenti sei solo qualcuno che padroneggia benissimo una tecnica.”

Alessandra Ferri

(dall’intervista di Rosaria Amato, L’ultima volta di Alessandra Ferri Voglio finire con un sorriso”, La Repubblica 22 luglio 2007)

 

 

 

 

Photo by Fabrizio Ferri via Deb from Flickr, CC BY 2.0

 

See-quins Glam Glitter Liquid Eyeshadow di Marc Jacobs Beauty: bagliori ad alto tasso di fascino

 

Le luminarie natalizie si sono spente ovunque, ma scintillii, bagliori e iridescenze non cesseranno mai di impreziosire il make up: brillare è diventato un must per tutte le stagioni. Non è un caso, dunque, che Marc Jacobs Beauty abbia lanciato proprio ora la rivisitazione di uno dei suoi bestseller, See-quins Glam Glitter Eyeshadow. A fare da trait d’union tra l’ ombretto appena uscito e il suo predecessore, sono i glitter di cui sono pervasi entrambi; per il resto, il nuovo See-quins Glam Glitter Liquid Eyeshadow vanta una texture liquida, a lunghissima durata, che rimane intatta per 24 ore scongiurando grinze, sbavature e grumi. La sua formula impalpabile fa sì che scivoli sulle palpebre con un tocco leggero, ma garantisce una coprenza straordinaria. L’ applicatore di cui è dotato, inoltre, lo rende perfetto per i ritocchi “on the go” in qualsiasi momento e situazione. Puntando al massimo della lucentezza, Marc Jacobs declina See-quins Glam Glitter Liquid Eyeshadow in sei tonalità magnetiche che alternano le nuance più calde ed avvolgenti a quelle etereamente lunari: si chiamano 86 Copperazzi (un rame intenso con glitter oro), 82 Gleam Girl (un oro rosa con glitter argento), 76 Moonstoned (un tono iridescente con glitter oro chiarissimo), 78 Shimmy Dip (un oro scintillante con glitter oro bianco), 84 Smoked Glass (un bronzo caldo con glitter multicolor) e 90 Topaz Flash (un bronzo freddo con glitter multicolor). Cromie dal finish superbamente metallico si fanno cangianti grazie al connubio con i glitter, e permettono allo sguardo di risplendere da mattina a sera. Il loro è un fulgore che non passa inosservato, di forte impatto: avvolge l’occhio in un alone di luce ad alto, anzi altissimo, tasso di fascino. Provare per credere!

 

 

86 COPPERAZZI

82 GLEAM GIRL

 

76 MOONSTONED

 

78 SHIMMY DIP

84 SMOKED GLASS

90 TOPAZ FLASH

Il fulgore a 24 carati di 78 SHIMMY DIP

 

 

 

Alle origini della Befana: Frau Holle, Berchta e Frigg

 

“L’ Epifania tutte le feste porta via”, dice il proverbio. Vale quindi la pena di assaporare appieno questa ricorrenza e di accentuarne la magia puntando i riflettori sulla sua protagonista: in pochi sanno infatti che la vecchina che ogni 6 Gennaio, a cavallo di una scopa, si cala nei camini per riempirli di doni, si ispira a tre figure mitologiche che ricoprivano ruoli fondamentali presso le antiche popolazioni celtiche. La Befana affonda le sue origini nelle divinità generatrici, nelle forze propiziatrici della natura, in quella “Dea Madre” che la cultura Pagana rappresentava sotto molteplici sembianze. Queste divinità erano essenzialmente tre e portavano i nomi di  Holla (anche detta Frau Holle), Berchta e Frigg.

 

Frau Holle in un dipinto di Wilhelm Stumpf

Holla, Signora dell’ Inverno, era la Dea dei fenomeni naturali oltre che la protettrice del focolare domestico e degli animali. Berchta era associata invece alla fertilità della natura, degli esseri umani e del bestiame. Frigg, moglie di Odino (supremo Dio della mitologia norrena) e Grande Madre di tutte le divinità, degli spiriti e delle creature naturali, era la “Donatrice” e Signora delle Acque. Le tre Dee, nei 12 giorni che succedevano al Solstizio d’Inverno, sorvolavano i campi portando le loro benedizioni. Sostavano poi di tetto in tetto e, calandosi dai comignoli, donavano luce, fortuna e buoni auspici agli abitanti delle case in cui regnavano l’ armonia e la laboriosità. Al contrario, maledicevano le dimore in cui trascuratezza, pigrizia e caos proliferavano. Per attirarsi i favori delle Dee, dunque, le famiglie erano solite depositare offerte di latte, cibo o dolci sui tetti e nei caminetti, pronti ad accoglierle.

 

Berchta

Frigg – prima Filatrice e fautrice dell’ arte della filatura – era accompagnata da Fulla, sua devota ancella, impersonificatrice dell’abbondanza e della ricchezza della natura. La consorte di Odino vagava nelle case, nelle cantine e nelle stalle, assaggiava i cibi che le venivano offerti, e dove riceveva una buona accoglienza donava le sue benedizioni. Holla, Berchta e Frigg:  le tre Dee erano dotate di una bellezza talmente accecante e luminosa che era impossibile guardarle senza rimanerne abbagliati. Tuttavia il loro aspetto mutava costantemente, arrivando a trasformarle in anziane ripugnanti per simboleggiare la fine che, con il Solstizio d’ Inverno, portava a una rinascita, a un nuovo ciclo naturale.

 

“Frigga and the Beldame”: un dipinto di Harry George Theaker che potrebbe anche raffigurare la doppia iconografia di Frigg

Fu proprio su questa bruttezza estrema che il Cristianesimo fece leva, descrivendole come streghe o malvagie rapitrici di bambini (soprattutto Berchta, della quale girava voce che li uccidesse infilzandoli con il naso adunco) ai fini di scoraggiare il loro culto e le usanze pagane delle offerte in cibo che il popolo era solito compiere. In realtà, le tre Dee incarnavano qualità altamente positive: amavano l’ infanzia in quanto frutto della procreazione, proteggevano le filatrici per l’ analogia esoterica  che esisteva tra la lavorazione del fuso ed il destino, e propiziavano la rigogliosità della natura e del raccolto. Erano Dee che elargivano doni e benedizioni di casa in casa, assumendo solo temporaneamente l’ aspetto di tre ottuagenarie.

 

Frigg e Odino in un dipinto di Harry George Theaker

La (transitoria) parvenza decrepita, che le tre Dee nordiche coniugavano con una profonda bontà interiore, è un elemento fondante della leggenda della Befana: una sorta di “strega buona” che premia con bei regali i bravi bambini donando carbone a quelli che si sono comportati male. Con il passare dei secoli e con l’avvento del Cristianesimo, evolvette così la tradizione delle tre Dee. Un’ altra leggenda – stavolta di matrice cristiana – narra che i Re Magi chiesero come raggiungere Betlemme ad un’anziana che non volle dar loro direttive. In seguito la donna, pentita del suo gesto, si mise in viaggio e, vagando di casa in casa in cerca di Gesù Bambino, lasciò doni a tutti i bimbi incontrati sul suo cammino: tanto basta per ribadire la valenza bonaria che assume da sempre la figura della Befana.

 

Frau Holle in un dipinto contemporaneo di Mauro Breda

 

 

 

Il fiabesco universo di Paolo Domeniconi

Gli Auguri di Buone Feste di Paolo Domeniconi

VALIUM ha celebrato molto spesso le atmosfere che impregnano le festività natalizie. La voglia di fiaba, di magia, di un ritorno all’ infanzia per riscoprire la meraviglia delle cose, sono il fil rouge di settimane che ogni anno si concludono con l’arrivo della Befana. E il tema della fiaba torna anche oggi, di certo senza risultare ridondante: le illustrazioni che vedete qui di seguito ne sono una prova. Si tratta di un bestiario incantato, dalle dimensioni enormi, calato in paesaggi onirici e fatati. Neve, stelle, fitti boschi, ninfee galleggianti predominano, facendo da sfondo a quei giganteschi animali e ai bambini che li affiancano di frequente. E’ questo, il poetico universo di Paolo Domeniconi. Un universo fatto di immagini che tutto il mondo conosce e apprezza: basta osservare il numero delle loro condivisioni sui social. Sono gli anni ’90 quando Domeniconi debutta nella pubblicità: si occupa di campagne, packaging e grafica. Successivamente, rimane conquistato dalla letteratura per l’ infanzia e comincia ad illustrare le fiabe più celebri. A tutt’oggi oltre 40 libri – senza contare le raccolte di fiabe, i volumi scolastici e le copertine – includono le sue iconiche illustrazioni; vanta collaborazioni con case editrici del calibro di Grimm Press, Mondadori, Houghton Mifflin Harcourt, The Creative Company (solo per citarne alcune), e i suoi lavori sono presenti, oltre che in Italia, in paesi come  gli Stati Uniti, la Spagna, il Regno Unito, la Cina, la Corea e Taiwan. Per saperne di più sull’ immaginario sognante e fantastico di Paolo Domeniconi, ho pensato di rivolgergli alcune domande.

Cominciamo dai suoi studi. Si è focalizzato sin dall’ inizio sul mondo della grafica e dell’illustrazione?

Quando mi sono trovato a dover scegliere un indirizzo di studi non ero ancora in grado di fare la scelta giusta. Ho passato un anno piuttosto spaesato in un istituto tecnico. Non ci ho messo tanto a rendermi conto di essere fuori strada e sono quindi ripartito da zero in un istituto d’arte.

 

Paolo Domeniconi circondato da alcuni dei libri che ha illustrato

Com’è nata questa sua passione?

Inizia nell’infanzia, è un approccio alle cose che mi ha sempre portato a fare stranezze rispetto alla maggior parte dei miei coetanei, a vivere in un mondo a parte, in un certo senso. A 10 anni passavo ore a fare disegni animati e stop-motion col vecchio 8mm, hackeravo cineprese, pellicole, organi elettronici, un armamentario di strumenti creativi che oggi un bambino può trovare in un tablet. Col tempo mi sono sempre più focalizzato sul disegno cominciando a vagheggiare, chissà in che modo, che un giorno potesse diventare il mio lavoro.

 

 

Nei primi anni ’90 si è dedicato alla pubblicità e al visual merchandising, occupandosi anche di stampe e di packaging. Quanto è determinante, a suo parere, la comunicazione visiva di un prodotto e in che percentuale riesce ad orientare i gusti del pubblico?

L’immagine è tutto. Il “pubblico” mi sembra piuttosto acritico nei confronti della comunicazione ma devo ammettere che ormai questi temi mi appassionano poco.

 

 

Esistono dei motivi grafici che a quell’ epoca prediligeva utilizzare?

Il mio era comunque un lavoro da illustratore o da visualizer. Si lavorava tanto sul packaging di prodotti alimentari e si trattava di rendere accattivanti le immagini del prodotto, la fragranza di una merendina come la freschezza di uno yogurt alle fragole. Photoshop era ancora poco usato e toccava a noi illustratori trovare il lato glamour in un mazzo di spinaci. Fortunatamente qualche volta l’immagine aveva una funzione più evocativa o addirittura metaforica, erano i tempi in cui giravano le immagini di Folon e di alcuni illustratori americani che hanno caratterizzato fortemente la comunicazione istituzionale, Brad Holland, per esempio.

Com’è avvenuto il suo passaggio all’illustrazione di libri per bambini come le fiabe?

Per tanti motivi mi sentivo sempre più fuori posto in quell’ambiente e in generale la pubblicità non mi interessava più. In quegli anni mi ero riappassionato alla lettura e un po’ per gioco inventavo copertine immaginarie, studiandomi tecniche e stili diversi. Alla Children’s Book Fair di Bologna ho toccato con mano le meraviglie che si pubblicavano all’estero e alla fine ho deciso di rimettermi in gioco. Ho seguito quattro corsi brevi ma intensi nelle due migliori scuole di illustrazione e nell’arco di qualche anno sono passato gradualmente dalla pubblicità all’editoria.

 

 

In questo settore ha lavorato per case editrici di tutto il mondo. Da quanto ha potuto riscontrare, è un universo che conosce diverse sfumature a seconda della latitudine e delle culture o piuttosto omogeneo nell’ intero pianeta?

Il linguaggio del libro illustrato può essere molto diverso da un paese all’altro. Cambiano i contenuti, lo stile grafico, la scelta di un certo tipo di illustrazione piuttosto che altri. Ciononostante, alcuni libri particolarmente riusciti vengono tradotti in tante lingue e fanno il giro del mondo. Un dato positivo per gli editori italiani è che le vendite dei diritti per la pubblicazione all’estero sono in aumento.

Cosa la affascina, del mondo delle fiabe?

Forse il fatto stesso che raccontandoci le fiabe siamo vicini, ci riconosciamo. Contengono elementi così universali e archetipici che creano un grande momento di empatia tra le persone, adulti o bambini che siano.

 

 

Uno dei leitmotiv delle sue illustrazioni sono gli animali umanizzati, i bambini e soprattutto la notte, intesa – credo – come parentesi magica e del sogno…Potrebbe approfondire per noi questi temi?

Le favole ci hanno abituati alla presenza degli animali antropomorfi nelle illustrazioni. Maestri come Wolf Erlbruch li hanno introdotti anche in contesti più contemporanei e nelle storie del quotidiano, io copio un po’ da lì. L’effetto è di spaesamento surreale, a volte divertente perché vediamo nell’animale aspetti caricaturali dell’umano. In un altro tipo di illustrazione (e di narrazione) più vicina al “fiabesco”, mi interessa l’animale come portatore di mistero, contatto con una natura inconoscibile. Detesto il magico della letteratura fantasy e allo stesso tempo il documentarismo che si interessa solo alla meccanica dei comportamenti animali. Cerco lo stupore di chi ancora sta scoprendo il mondo, per questo i miei bambini si ritrovano spesso in atmosfere notturne, tra sogno e realtà.

 

 

I suoi progetti più imminenti sono top secret o potrebbe darci qualche anticipazione al riguardo?

Posso dire che sto lavorando per un editore russo su un albo illustrato molto impegnativo. Si tratta di una fiaba classica molto nota in Russia ma praticamente sconosciuta da noi. Qualche copertina di romanzi per ragazzi e a seguire tornerò finalmente a pubblicare in Italia con tre titoli di autori contemporanei.

 

 

Qual è il sogno più grande che – professionalmente parlando – vorrebbe ancora realizzare o che ha già realizzato?

Ho tante cose da imparare ancora. Ogni nuovo libro è per me quasi un ripartire da capo e costituisce la più grande sfida in quel particolare momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

La giostra magica

 

Così come l’albero, il presepe, le luci e le corone dell’ avvento, la giostra è un tipico emblema natalizio. L’ aria gioiosa e fanciullesca che sprigiona rimanda a quell’ infanzia che le feste di fine anno vedono protagonista: quale bambino, seppur cresciuto nell’ era digital, non sogna un giro sul cavalluccio o sul cigno di legno della giostrina di Natale? Voglio rinnovarvi i miei Auguri di Buon Anno prendendo in prestito questo simbolo dell’ iconografia festiva. Per rivalutare il sogno, la magia, lo stupore nell’ affrontare l’esistenza giorno dopo giorno,  a prescindere dall’ età e da una quotidianità non sempre spensierata. Avete presente i villaggi natalizi, quei borghi in miniatura che riproducono degli incantevoli scenari innevati? Sono ricchi di casette, abeti, pattinatori sul ghiaccio, Babbi Natale, pupazzi di neve, che un tripudio di luci colorate ravviva meravigliosamente. La giostra, se ci fate caso, non manca mai. Forse perchè rappresenta un link tra la consapevolezza adulta e la giocosità infantile: una dote, quest’ ultima, che va rivalutata, abbandonando di tanto in tanto qualsiasi sovrastruttura mentale. La ricerca del bello anche nella banalità apparente, la fantasia, la leggerezza, l’ affidarsi alle emozioni positive, sono dei must che dovrebbero rientrare tra i buoni propositi per l’ Anno Nuovo di chiunque. In più, come disse la sagace (oltre che procace) Mae West, “La vita è solo una giostra. Sali su. Potresti vincere qualcosa.”. Osate: la fortuna è davvero degli audaci, e vale sempre la pena di salire su quella giostra magica. Buon 2020 a tutti!

 

 

Immagine by Prayitno via Flickr, CC BY 2.0

 

Felice Anno Nuovo

 

Passeggere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore.
Speriamo.

Giacomo Leopardi, da “Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere” (“Le Operette Morali”)