“Le Mythe Dior”, il fiabesco corto che Matteo Garrone dedica alla collezione di Haute Couture della Maison

 

Cos’è la Maison Dior, se non un mito? Non è un caso che, in questi giorni, il corto associato alla collezione di Alta Moda Autunno Inverno 2020/21 della griffe stia letteralmente spopolando (clicca qui per ammirarlo). Tutti ne parlano, tutti lo osannano e, soprattutto, tutti ne sono rimasti incantati. Diretto da Matteo Garrone, Le Mythe Dior è il suo titolo e fonde una miriade di spunti: la fiaba, la storia della moda (in particolare dell’ Haute Couture), la mitologia, il Surrealismo, la magia, il mistero…creando un amalgama dal potente fascino. E’ stata Maria Grazia Chiuri a chiedere la collaborazione del regista, ad instaurare un connubio artistico rivelatosi assolutamente vincente. Chi ha visto Pinocchio, tanto per citare l’ultimo film di Garrone, non può fare a meno di ricordare le atmosfere fatate, e al tempo stesso molto autentiche, che aleggiavano su tutta la pellicola. Lo stesso avviene per Le Mythe Dior, un racconto intriso di poesia. A cominciare dalla location, quel Giardino di Ninfa (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato) talmente ricco di meraviglie da essere decretato Monumento Naturale della Repubblica Italiana. E’ qui che Chiuri e Garrone ambientano il corto che, scena dopo scena, rievoca le suggestioni insite nella collezione Dior. L’ ispirazione di Maria Grazia Chiuri attinge ad un determinato periodo storico, il secondo dopoguerra, facendo rivivere il cosiddetto Théâtre de la Mode: tra il 1945 e il 1946, i grandi couturier francesi organizzarono un tour mondiale  dove i loro abiti venivano indossati da manichini in miniatura per promuovere lo splendore dell’ Haute Couture d’oltralpe. Le sequenze iniziali di Le Mythe Dior, infatti, si aprono su un atelier in pieno fermento; le première della Maison lavorano a ritmo serrato per portare a termine le favolose creazioni che verranno sfoggiate da manichini alti 40 cm. Sono outfit da sogno, impreziositi da balze, ricami, fitti plissè, e declinati nelle più magnetiche nuance naturali. Il che non è casuale: il viaggio che stanno per compiere si snoderà attraverso un bosco incantato.

 

 

 

Appaiono quindi due portantini, due gemelli in uniforme (che ricorda quella dei dipendenti di certi luxury hotel d’antan) intenti ad inoltrarsi nella boscaglia mentre reggono il baule colmo di vestiti. D’ora in poi, nel corto si succederanno emblemi significativi ed eventi simbolici: basti pensare al baule stesso, che riproduce la storica facciata parigina dell’ atelier Dior in avenue Montaigne. E’ un baule che, nella migliore tradizione delle fiabe, funge da scrigno fatato e calamita l’attenzione generale. Il suo involucro è talmente prezioso che ci si chiede cosa contiene, perchè si trova lì, quali meraviglie custodisce. Le creature mitologiche – o semplicemente fantastiche – del bosco ne rimangono ammaliate. Una sirena che nuota lungo un fiume smette di fluttuare quando vede i due gemelli avanzare sopra un ponte, mentre un gruppo di ninfe, che giocano tra loro immerse nell’acqua, resta a bocca aperta non appena scorge le creazioni mignon. Il baule prosegue il suo iter attirando l’ interesse di una donna chiocciola, della bellissima compagna di un fauno, di una statua “seduta” su una roccia: tutte scelgono l’abito che le conquista, a tutte vengono prese le misure. Spunta persino Narciso, intento a specchiarsi in un laghetto, ma il percorso dei portantini è inarrestabile e raggiunge le creature, forse, più magiche del corto: mimetizzata con il tronco di un albero,  le chiome zeppe di foglie e rami, una coppia di spiriti del bosco si bacia senza sosta. Ma la ragazza nota il baule e si incanta di fronte ad un abito impalbabile, con il corpetto sapientemente ricamato, dello stesso colore del tronco. La cinepresa si sposta a Parigi, dove nell’atelier Dior le première stanno già realizzando a grandezza naturale gli abiti selezionati dalle abitanti della foresta. Le sequenze successive rivelano le creazioni che hanno sedotto quelle incantate creature: la compagna del fauno corre felice tra gli alberi in un abito nero plissè composto interamente da balze, le ninfe sfoggiano un peplo che sembra plasmato sull’ oro liquido, la donna chiocciola e la statua risultano regali nelle lunghe tuniche pieghettate, color carta da zucchero per la prima, bianca per la seconda, mentre la sirena nuota in un fluido abito di tulle che richiama le gradazioni acquatiche. Le Mythe Dior concentra così, in un corto da fiaba, l’incontro di immaginari, concetti e luoghi che si compenetrano tra loro. Matteo Garrone attinge al suo background di pittore figurativo per dar vita a delle scene modulate dalla luce, dove la plasticità dei corpi e la sontuosa preziosità degli abiti evidenziano la medesima impronta artistica. Cinema e moda, peraltro, possiedono più di un elemento in comune: pongono il focus sul corpo, si avvalgono di procedimenti che alternano il lavoro individuale a quello di squadra. In questo caso, inoltre, persino l’artigianalità crea una connessione tra la settima arte e l’ Haute Couture. L’ autenticità del corto di Garrone scaturisce dalla totale assenza degli effetti speciali: le creature fantastiche del bosco diventano tali grazie alla perizia del make up artist, così come l’ Alta Moda nasce dal savoir faire del “fatto a mano”. Il regista si ispira alla fiaba e scava nelle sue radici fino ad arrivare al mito, elemento fondante della cultura occidentale; la vena surrealista che pervade il racconto fa da trait d’union con i motivi ispiratori di Maria Grazia Chiuri, affascinata dalle immagini surrealiste di artiste quali Dora Maar, Leonora Carrington, Lee Miller, Jacqueline Lamba, Dorothea Tanning. Il Surrealismo è il trionfo del magico, dell’ invisibile sul visibile, del sogno, di un’ alchimia in grado di trasformare. Ecco quindi la sirena, la statua, le ninfe, la donna chiocciola, una volta indossati gli abiti Dior, tramutarsi in icone di bellezza e meraviglia. Mitologia, fiaba e Surrealismo si intrecciano fino a formare un connubio potentemente evocativo. Ammirare questo straordinario corto dà adito ad ulteriori riflessioni, non ultima quella che ha visto nascere la collezione in tempi di quarantena. Maria Grazia Chiuri l’ha concepita a Roma, durante il lockdown dovuto all’ emergenza Coronavirus: un periodo che ha totalmente stravolto la nozione di fashion show.

 

 

Non si può fare a meno di pensare – accantonando per un attimo i riferimenti al Théâtre de la Mode – che in un momento in cui vengono chiuse le porte delle sfilate al pubblico, è la Couture ad andare incontro alle potenziali clienti: giunge a loro come se fosse un dono, un incantevole regalo, attraversando un bosco fatato perchè la magia e il sogno sono intimamente associati al concetto di Alta Moda. E se Garrone si rifà alle Metamorfosi di Ovidio, la presenza di creature mitologiche può legarsi anche al concetto di unicità. Ninfe, sirene, statue viventi sono donne speciali, inconfondibili, “irripetibili” al pari di una creazione di Alta Moda e della donna alla quale si rivolge Dior. Questa chiave di lettura alternativa potrebbe proseguire equiparando i manichini in miniatura a delle bambole: un dettaglio che rimanda all’ infanzia e dunque alla fiaba, colonna portante del corto. Se i vestiti rimanessero in dimensioni ridotte, potrebbero essere destinati a delle piccole fate dei boschi…Persino il baule, che riproduce l’atelier Dior di avenue Montaigne, ricorda una casa delle bambole. La colonna sonora di Le Mythe Dior riveste un’importanza cruciale nel sublimarne l’incanto. Composta dal Maestro Paolo Buonvino, è una melodia lunare che esordisce con le note di un carillon per farsi a poco a poco più cadenzata. Il suo mood, etereo e onirico, fa pensare a certe soundstrack felliniane. E poi, last but not least, ci sono gli abiti ideati da Maria Grazia Chiuri: un raffinatissimo omaggio all’ heritage Dior fatto di linee svasate, pepli, gonne a corolla, tailleur sagomatissimi e rétro, mantelli incorporati all’ abito e fitti plissè fino ad arrivare a un cult della tradizione Couture, l’ abito da sposa. I colori? Il rosso dei fondali corallini, il grigio luminescente, l’oro, il bronzo, il marrone della terra, il bianco, il beige, l’ottanio delle profondità marine. Per ribadire e sottolineare la necessità dell’ armonia tra uomo e natura, un concetto-leitmotiv della Maison mirabilmente espresso nel corto che accompagna questa collezione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Negli scatti qui di seguito, un “dietro le quinte” delle riprese al Giardino di Ninfa.

 

 

 

 

 

Photos courtesy of Giardino di Ninfa Press Office

 

 

Lo sfizio

Cigno bianco e cigno nero: lo stesso piumaggio sfarzoso e ricco, personalità agli antipodi. Sembrano ispirarsi a Odette e Odile de Il lago dei cigni di Tchajkovsky le due spose in passerella da Rodarte, figure chiave di una collezione Autunno/Inverno che della contrapposizione tra il nero dark e un immacolato candore fa uno dei suoi leitmotiv. Odette il Cigno Bianco, un tripudio candido di pizzi e trine. Odile il Cigno Nero, misteriosamente oscura e nerovestita. Per entrambe, il tulle increspato da una miriade di ruches è un denominatore comune: spose romantiche ma al tempo stesso gotiche, optano per lunghezze midi e un velo che ricade sul viso fino a sfiorare le spalle. Ma le accomunano anche la silhouette che accarezza il corpo, un gioco di balze che dell’ abito movimenta gonna e maniche, il pizzo finissimo cosparso di applique floral, delineando due versioni del wedding dress speculari seppur apparentemente distinte. Il bianco e il nero come concetti agli antipodi ma appartenenti ad un’ unica, medesima visione che li interfaccia in un dualismo inscindibile, emblemi  – come nello ying e nello yang del tao cinese – dell’ eterno ciclo di morte e di rinascita. Candore e oscurità custodiscono il segreto dello stesso enigma: non è un caso che nel balletto di Tchajkovsky sia una sola ballerina ad interpretare il doppio ruolo di Odette e Odile. La sposa di Rodarte riflette questi indizi nel velo che cela il volto in un “vedo non vedo” carico di mistero, gli orecchini pendenti simili a fatati fiori dei boschi. Ad accentuare le suggestioni gotiche, il make up artist James Kaliardos ha tinto labbra ed unghie di un burgundy saturo: talmente scuro da essere confuso con un nero dark.

L’ accessorio che ci piace

Una preziosa minibag appena uscita dal bosco fiabesco e incantato che ha definito i temi della collezione Autunno/Inverno 2014/15 di Dolce & Gabbana : potrebbe appartenere a una principessa o ad una fata, per il coté scintillante e la squisita femminilità associata al morbido velour. In un celeste polveroso hit di stagione, questa clutch da portare con manico o a tracolla si contraddistingue per la raffinatezza delle molteplici applicazioni di strass e cristalli che rimandano ai soggetti della collezione: rane, libellule ed eteree farfalle sono riprodotte, in splendenti dettagli gioiello, sulla sua superficie in un mix cangiante di svariati colori. La chiusura a lucchetto e il manico in pitone incarnano un tocco di ricercatezza aggiuntiva che ribadisce la qualità accuratissima e lo stile pregiato delle creazioni Dolce & Gabbana, piccoli capolavori di lavorazione ed inventiva che verrebbe spontaneo associare all’ esclusivo e immaginifico mondo dell’ Haute Couture. La minibag gioiello del geniale duo creativo ci piace perchè contribuisce a far brillare le feste di fine anno di una speciale magia, delineando i contorni di uno scenario da sogno. E fomentando in noi la rarefatta e gioiosa illusione che anche una fiaba, un giorno,  possa tramutarsi in splendida realtà.

 

L’ accessorio che ci piace

 

Un bosco incantato in cui la natura sembra animarsi in toto, in un divenire armonico orchestrato da gnomi e fate: questo lo scenario dell’ Autunno/Inverno 2014/15 di Alberta Ferretti, una collezione profusa della preziosità di pizzi “rampicanti”, piume cangianti ed etereo tulle adornati di ricami dorati. La donna Ferretti, fairy queen di magiche foreste nordiche, non trascura di certo i dettagli. E’ così che gli accessori si impregnano della raffinata suggestività che contraddistingue ogni outfit, divenendone ricercato complemento e quasi parte integrante: la collana a più giri in grosse boule di oro brunito ne è un esempio calzante. Risalta, appariscente nei sofisticati bagliori,  come prezioso ornamento dei colli di abiti e capispalla nelle nuance del bosco d’ inverno, donando a ogni look una allure di fiabesco incanto. Colpisce per lo straordinario effetto decorativo conferito dalla miriade di boule in gold “anticato”, delineando un’ eleganza dai tratti regali.

 

 

Si contraddistingue per versatilità, abbinandosi ad una vastissima varietà di outfit ed adattandosi in modo perfetto sia agli abiti da giorno, che da sera. Ci piace per tutti i motivi sopraelencati, ma non solo: in linea con il mood “fatato” dell’ intera collezione, questa collana rimanda a rarefatte atmosfere di potente suggestività. E’ quanto, personalmente, chiediamo per lasciarci coinvolgere in una fiaba di Natale dai toni contemporanei, ma pur sempre sognanti.

 

Virtuosismi di stile nel bosco incantato

Alberta Ferretti

 

Fiori di ogni tipo – come stampe e come applicazioni – tessuti che sembrano cortecce, piumaggi di volatili o dorsi di armadillo, dettagli in pelliccia e in oro. E poi, ancora, un’iconografia che include lupi, gufi, uccelli selvatici, ramoscelli, conifere e incalcolabili farfalle multicolori: uno dei trend di spicco della moda Autunno/Inverno 2014/15 ci immerge nelle suggestive atmosfere di un bosco fiabesco e incantato, popolato da novelle Cappuccetto Rosso e da eteree ninfe in chiffon adornato di esplosioni floreali. La stagione fredda è propizia ai voli fantasiosi e onirici nelle foreste del nord, da effettuare nel magico mood ricreato da un libro di fiabe letto davanti a un caminetto scoppiettante.

 

Antonio Marras

Dolce & Gabbana

John Rocha

Dries Van Noten

Valentino

Tess Giberson

Rochas

Nina Ricci

Stella Jean

 

 

Il close-up della settimana

 

E’ Cara Delevingne, unanimamente considerata unica erede di Kate Moss, la protagonista dell’ advertising campaign Mulberry per l’Autunno Inverno 2013/14. Un ennesimo brand di prestigio si aggiunge, dunque, ai precedenti ingaggi della top, già testimonial per YSL, Melissa e Burberry: “Cara è stata la prima a cui ho pensato per rappresentare questa stagione”, motiva la scelta Emma Hill, Direttore Creativo di Mulberry attualmente in procinto di lasciare (dopo sei anni)  l’incarico, e aggiunge: ” E’ bella, audace e inglese!”. L’adv, realizzata da Tim Walker e diretta da Ronnie Cooke Newhouse, è incentrata sul tema che funge da leit motiv all’ intera collezione, “ispirata alla campagna inglese e alle sue accoglienti e familiari scene rurali – prosegue Hill – che nascondono anche un lato oscuro, misterioso e seducente.” L’ ottocentesca Shotover House, nell’ Oxfordshire, si è pertanto rivelata la location ideale per risaltare questo connubio di bellezza e di mistero che il visionario Tim Walker ha ritratto in tutta la sua suggestività fiabesca e vagamente enigmatica.  Lo shooting è stato allestito all’ interno della dimora d’epoca, dove la scenografa Shona Heath ha predisposto un bosco ‘artificiale’ composto da alberi ‘incantati’ e popolato da una gran quantità d gufi, elemento che riflette il lato oscuro della vita rurale: i gufi si abbarbicano sui rami degli alberi e circondano copiosamente Cara, che porta al braccio tre borse iconiche come la Willow bag, la Primrose e la Bayswater, rivisitata in un modello double zip e disponibile in nuance prettamente autunnali quali il bordeaux, lo smeraldo, il navy e il taupe. Una campagna pubblicitaria, quella di Mulberry,  che persegue decisamente il link concettuale rivolto a evidenziare la tipicità del paesaggio inglese nei suoi aspetti più incisivi e pittoreschi, coadiuvandolo con la figura di un top, come Cara Delevingne,  che rappresenta e incarna squisitamente lo spirito e l’ English look.