Il luogo

 

Il dilagare della pandemia di Covid ci ha messo di fronte a una nuova realtà, mai sperimentata prima, dove i cambiamenti nello stile di vita sono all’ ordine del giorno. Tra lockdown e contagi in rialzo, chiusure e mascherine a oltranza, il 2020 è trascorso come un incubo a occhi aperti. In questi mesi di graduale normalizzazione dello scenario socio-sanitario, tuttavia, l’ entrata in vigore del Green Pass ha dato adito a proteste e rivolte a ruota libera. E nelle grandi città, già in preda al caos urbano, all’ inquinamento e al pericolo contagio, cortei e manifestazioni proliferano. C’è chi ha pensato da tempo, soprattutto quando la pandemia era nel suo pieno, di trasferirsi in luoghi più a misura d’uomo: magari in provincia, o nei piccoli centri. Oppure ancora in campagna, nei villaggi…dove l’aria è rimasta pura e la natura è una costante della quotidianità e dei paesaggi. Questa scelta si ricollega strettamente al tema del mutamento, alle nuove coordinate esistenziali che il Covid ci ha imposto. Avendone la possibilità (un’ attività in smart working o come freelance, l’ opportunità di raggiungere facilmente il proprio posto di lavoro in città), in molti hanno deciso di trasferirsi in un “borgo selvaggio” di leopardiana memoria. Immaginate quegli antichi e pittoreschi villaggi che abbondano nella nostra Italia, dove le strade sono ancora lastricate di ciottoli e ci si conosce tutti per nome: ecco, mi riferisco a location di questo tipo. I vantaggi del vivere in un borgo sono riassumibili in pochi punti: aria pulita, tranquillità, albe non di rado salutate dal canto del gallo, costo della vita irrisorio come le distanze, generalmente percorribili a piedi o al massimo in bicicletta. E poi, un più stretto contatto con la natura, un minor rischio assembramenti favorito dall’ esiguo numero degli abitanti, una socialità spiccata, zero criminalità. Con il valore aggiunto di poter apprendere il savoir faire artigianale di svariati settori: il gusto del “fatto a mano”, nei paesini, non è mai venuto meno. Molto spesso, inoltre, gli antichi borghi vantano angoli, scorci e vedute panoramiche senza pari. La decisione di trasferirsi in un villaggio, ciononostante, va valutata bene. Conoscere tutti ed essere conosciuto da tutti, far parte di una piccola comunità, può rappresentare un vantaggio e uno svantaggio a un tempo. La vita tranquilla, in genere, non regala troppe sorprese. Soppesare i pro e i contro di una scelta così radicale è tassativo. Entrano in gioco le attitudini, gli interessi, l’ indole individuale. Non ultima, la fase esistenziale che in quel momento si sta vivendo. La domanda principale da porre a se stessi è innanzitutto una: “Sono pronto a rinunciare alle opportunità e al fermento che mi offre una grande città?”.

 

 

 

 

I vicoli, anima e cuore pulsante della città

 

C’è un labirinto nascosto, all’ interno della città aperta: “aperta”, in quanto la data di oggi sancisce la fine del lockdown e la ripartenza. La gente si riversa lungo le vie principali, incentivata anche dai bar, negozi e ristoranti che rialzano le saracinesche, trascurando il fatto che nei centri storici si celano oasi di meraviglia dove il tempo sembra eternamente sospeso. Di rado le si nota, non fanno parte dei circuiti turistici. Bisogna volerle conoscere, per scoprirle, ma ne vale la pena. Perchè il dedalo di viuzze che le compone offre scorci di vero incanto. I vicoli sono il cuore pulsante della città, custodiscono da secoli il suo spirito più profondo e autentico. In questo periodo, se deciderete di esplorarli, vi restituiranno tutto l’ appeal onirico esercitato dai paesaggi urbani ai tempi del confinamento da Coronavirus. In chiave positiva, naturalmente: non pensate ad atmosfere desolanti  o a silenzi da emergenza pandemica. Perchè i vicoli sono vibranti, pittoreschi, vivissimi. In molti casi vi sorprendono con osterie dove potete degustare piatti tipici o il vino più squisito, ma non è raro che possiate imbattervi in botteghe artigianali di ogni tipo.

 

 

Abitando nella parte antica della città, quando ero bambina li percorrevo mano nella mano con mio padre che, sempre in guerra contro lo smog, privilegiava quel tragitto per evitarlo. Allora, i vicoli erano abitati da un’ umanità varia e pittoresca, da personaggi rimasti saldamente impressi nell’ immaginario collettivo. Ognuno aveva la sua particolare storia, il suo soprannome. Molti erano arrivati da fuori in cerca di fortuna. Il boom delle case popolari non era ancora esploso e li trovavi tutti là, in quei labirinti intricati, dove si alternavano un’ osteria, un fruttivendolo, un ciabattino, persino un cinema a luci rosse. Per me era un mondo sconosciuto, folcloristico, a cui guardavo con un misto di curiosità e di timore. Oggi, invece, adoro perdermi nei vicoli e respirare le loro suggestive atmosfere. E’ lì che si concentra l’anima di un luogo, il suo patrimonio emozionale più atavico: tra i lampioni di ferro battuto, le stradine lastricate di ciottoli, le piazzette che si aprono inaspettate. Cerco i vicoli anche quando sono in viaggio, ovunque io vada, se la mia meta è antica al punto giusto. In Italia o all’ estero (penso per esempio a Barcellona), indifferentemente.

 

 

Perchè so che al di là del caos urbano, del traffico, degli “assembramenti” (che in teoria sembrano ormai appartenere alla preistoria), c’è un mondo a parte e quasi segreto che vibra nel cuore delle città. Un mondo che vive di ritmi propri, ricco di incomparabili suggestioni. Un’ oasi dove l’aria tiepida di Maggio è intrisa di sapori, odori, profumi fluttuanti in scenari senza tempo, ma carichi di tutto il pathos che un cuore millenario racchiude.

 

 

 

 

 

Nelle foto, alcuni vicoli del centro storico di Fabriano