Omaggio ad Arthur Rackham, illustratore di fiabe ma non solo

 

“Fabula Docet”

(Esopo)

 

Le illustrazioni delle fiabe hanno un ruolo importantissimo: aggiungono pathos e coinvolgimento a un genere altamente evocativo già di per sè. Prova ne è il fatto che quasi mai, neppure dopo anni, riusciamo a dimenticare le immagini associate alle fiabe della nostra infanzia. Ricordiamo con esattezza il libro da cui erano tratte, la copertina, i disegni che accompagnavano il testo. E insieme a tutto questo, lo stile dell’ illustratore. Perchè – fateci caso – non esistono due disegnatori che abbiano un tratto simile; ognuno vanta caratteristiche del tutto proprie e inconfondibili. Partendo da un simile presupposto, viene spontaneo approfondire l’ iconografia fiabesca di un’epoca in cui l’ interesse per il racconto fantastico (sia a livello filologico che simbolico, morale e artistico) raggiunse il suo culmine: l’età vittoriana. A quei tempi, Arthur Rackham si affermò come nome di punta dell’ illustrazione. Nato nel quartiere londinese di Lambeth nel 1867, Rackham crebbe in una casa di fronte al giardino botanico creato da John Tradescant il Vecchio e il Giovane due secoli prima: uno scenario ideale per il piccolo Arthur, che eccellendo nel disegno si dilettava a riprodurre i dettagli del corpo umano e i reperti esposti al British Museum e al Museo di Storia Naturale di Londra. Nel frattempo si era iscritto alla City of London School, dove i suoi elaborati artistici gli valsero svariati premi. Ma a scuola non rimase a lungo. A 16 anni fu costretto ad abbandonarla in seguito a dei problemi di salute, e decise di imbarcarsi per l’ Australia insieme alle sue zie.  Durante il viaggio non fece altro che disegnare, adorava immortalare tutto ciò che lo colpiva della realtà circostante. Tornato a Londra, all’ età di 18 anni pensò di ripetere l’ esperienza scolastica: iniziò a frequentare la Lambeth School of Art e, parallelamente, a lavorare come addetto alle vendite. Il suo talento per il disegno, in quel periodo, gli fruttò le prime collaborazioni nel campo dell’ illustrazione. Debuttò nelle vesti di freelance, e dopo un anno fu assunto dal Westminster Budget nel doppio ruolo di giornalista e illustratore. Era il 1892. Nel 1893 uscì “To the Other Side” di Thomas Rhodes, il primo libro che conteneva le sue immagini, mentre nel 1894 i lavori di Rackham apparvero in “The Dolly Dialogues” e “The Prisoner of Zenda” di Anthony Hope.

 

 

L’ attività di Arthur Rackham si svolse sempre all’ insegna dell’ eclettismo: oltre alle fiabe, illustrò romanzi per adulti e per ragazzi. Le sue opere, citando qualche titolo esemplificativo, impreziosiscono libri come “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll, “Canto di Natale” di Charles Dickens, “Peter Pan nei Giardini di Kensington” di James Barrie, raccolte di fiabe di Esopo, di Hans Christian Andersen e dei Fratelli Grimm, ma anche volumi immaginifici del calibro di “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, “Sigfrido e il crepuscolo degli dei” di Richard Wagner, “Il re del fiume dorato” di John Ruskin, “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare. Solo la morte, sopravvenuta nel 1939 a causa di un male incurabile, interruppe la carriera di Rackham, che venne più volte omaggiato con premi e mostre (tra i quali ricordiamo una medaglia d’oro all’ Esposizione Internazionale di Milano del 1906 e un’ esposizione al Museo del Louvre nel 1914). Lo stile del grande illustratore rimane inimitabile: l’ impronta dell’ Art Nouveau è palese, accentuata da atmosfere oniriche ad alto tasso di magnetismo. Il colore riveste una funzione predominante, evoca e suggerisce, si sfuma in magici giochi cromatici o esalta dettagli conferendo loro un impatto visivo straordinario. Scenari, cose e personaggi sono tratteggiati con linee di contorno accuratissime, la fantasia che impregna le illustrazioni stimola potentemente l’ immaginazione del lettore. Tra gli artisti che ispirarono Rackham figurano nomi quali quello di John Tenniel, Aubrey Beardsley e Albrecht Durer. Il successo ottenuto dal disegnatore fu tale da sedurre persino la Disney, che assurse il suo stile a punto di riferimento quando, nel 1937, realizzò il film d’animazione “Biancaneve e i sette nani”.

 

 

Raffaello Bellavista e l'”intervista della svolta”: storia di un sogno diventato realtà

 

Nel ricco calendario di eventi dedicati ai 1600 anni di Venezia, una performance del pianista, baritono e compositore Raffaello Bellavista non poteva mancare. Innanzitutto per l’ amore viscerale che l’ artista nutre nei confronti della Serenissima, e poi perchè il suo genere musicale, che spazia dalle sonorità classiche al crossover, si incastra a meraviglia con le atmosfere veneziane e con le loro innumerevoli sfumature. Incontro Raffaello in un momento clou della sua carriera; l’ ultima intervista che ha rilasciato a VALIUM risale al Maggio scorso (rileggila qui), ma sembrano passati anni per il fitto susseguirsi di concerti, progetti e riconoscimenti che, da allora, hanno costellato il suo percorso artistico. Di novità da raccontarci ne ha a bizzeffe, a cominciare dalla decisione di iniziare ad esibirsi come solista dopo le esperienze in duo: un ruolo che gli calza a pennello, il blocco di partenza per un successo in continua ascesa. Tra i prestigiosi traguardi raggiunti dal Maestro Bellavista spiccano la candidatura al Premio Eccellenza Italiana Washington D.C. 2022, l’apertura del Premio Guidarello per il Giornalismo d’Autore, l’ elezione a Value Ambassador del World Protection Forum (un forum permanente a tutela della vita umana e degli ecosistemi). Acclamato e richiestissimo, Raffaello è in procinto di abbracciare una carriera internazionale che lo porterà in vari angoli del mondo. Per un ragazzo partito da Brisighella con un sogno e la fortissima volontà di realizzarlo, non si può certo dire che sia una meta da poco! Ancor più perchè ogni tappa del suo iter trionfale è frutto del merito: il talento, la passione, la disciplina, l’eclettismo del Maestro Bellavista si abbinano a una dialettica innata, a una straordinaria presenza scenica e, last but not least, a un savoir faire squisito. La sua padronanza del repertorio classico non l’ha mai indotto a rivolgersi esclusivamente a un pubblico d’élite. Raffaello punta ad introdurre una sferzata d’aria nuova nella musica da camera: combina differenti generi, sul palco instaura un dialogo (verbale ed emozionale a un tempo) con il parterre. In attesa di volare a Parigi per il prossimo appuntamento – fissato al 10 Marzo – del World Protection Forum, l’artista è concentratissimo sull’imminente performance veneziana.

 

La composizione scritta dal Maestro Bellavista in onore del 1600simo anniversario di Venezia, che ha già avuto modo di presentare nel corso di altri concerti

Si tratterà di un evento esclusivo, un concerto per il 1600simo anniversario della Serenissima negli spazi dello splendido Salone di Ca’ Sagredo, sul Canal Grande. La data? Il 26 Febbraio. Organizzata dall’ Associazione Internazionale per il Carnevale di Venezia  e patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero degli Affari Esteri e dal Comune di Venezia, l’ esibizione sarà incentrata su un mix di musica classica e composizioni note al grande pubblico all’ insegna della contaminazione. Per l’ occasione, il Maestro Bellavista verrà affiancato dal marimbista Gianmaria Tombari. Ma non vi anticipo di più. E’ il momento di lasciar spazio all’ intervista, un’ intervista che Raffaello ha definito “l’ intervista della svolta”: mai parole furono più vere!

L’ ultima intervista in cui sei apparso su VALIUM risale al docu-concerto “Viaggio musicale verso i luoghi di Dante”, che hai realizzato in coppia con Serena Gentilini. Da allora, la tua carriera è in continua ascesa e stai tagliando traguardi sempre più importanti…Una domanda a bruciapelo: fin dove ti proponi di arrivare?

Una bella domanda che ha una risposta che è divenuta nel corso di questi anni un mantra per me. Andare sempre più in alto senza fermarsi mai in un continuo processo di labor limae su se stessi e di ferrea disciplina associata però ad una visione “spensierata” della propria arte, che sennò rischia di divenire troppo ingessata. La voglia di innovarsi e di mettersi in continua discussione è fondamentale per progredire nella propria disciplina. Parallelamente a quest’aspetto vi è anche la voglia di andare su palcoscenici sempre più importanti e al cospetto di platee sempre più grandi, uscendo dall’etichetta totalizzante della musica colta, per creare un proprio spettacolo ideale che congiunga più generi musicali in un’ottica di musica universale che possa parlare a tutti.

 

Raffaello al Premio Guidarello di Ravenna con (da sinistra) Giuseppe Rossi, il Presidente di Confindustria Romagna Roberto Bozzi e Genseric Cantournet

Come hai maturato la decisione di intraprendere un percorso da solista?

Fin da quando iniziai lo studio della musica il mio sogno era quello di essere un solista. Poi nel mio percorso artistico ci sono state alcune parentesi e collaborazioni con altri artisti. Oggi invece ho scelto di rendere il percorso solistico quello principale e preponderante al quale poi saranno affiancate alcune collaborazioni con artisti celebri e talenti emergenti. L’emozione del solismo è difficile da descrivere, ma una similitudine che mi piace sempre citare, visto che amo la montagna, è quella della progressione su una parete rocciosa verticale in solitaria: occorre trovare all’interno di se stessi la forza spirituale e materiale per progredire, per l’ascesi. Allo stesso modo devi affrontare l’abisso di un teatro pieno di pubblico che vuole emozionarsi e vivere un’esperienza unica. Sembra quasi un percorso iniziatico e lo vedo come una grande palestra per il corpo e la mente.

Il Festival “Suoni e Parole” di Brisighella, di cui sei Direttore Artistico, ha raggiunto livelli di eccellenza straordinari: nomi del calibro di Alessandro Cecchi Paone, Enrico Zucca, Ivano Marescotti, Franco Costantini ed Eraldo Baldini hanno apportato ulteriore prestigio all’evento. Cosa ci racconti della terza edizione della rassegna “tra le pietre di luna”? Come vedremo tra poco, si è arricchita sia riguardo ai suoi ospiti che alle sue location…

Il Festival, partito dalla voglia di stimolare il panorama artistico nel mio territorio ricco di paesaggi bucolici, ma a volte troppo ingessato (ti ricordo che vivo all’interno del Parco della Vena del Gesso Romagnola), nel corso degli anni si è fortemente evoluto coinvolgendo importanti sponsor e sempre più persone. Dopo i rallentamenti causati dalla prima ondata della pandemia, nel 2021 abbiamo voluto fare le cose in grande per dare un messaggio molto forte: La cultura non si deve fermare. E così abbiamo portato il Festival nell’anfiteatro di Brisighella e nel Parco del Convento dell’Osservanza, animando spazi ameni e molto grandi, in modo che il pubblico sempre più numeroso, nel rispetto di tutte le normative di sicurezza, potesse vivere un’esperienza di alto valore estetico a tutti i livelli: paesaggistico, musicale, sensoriale… Visto il successo della manifestazione, a fine estate 2021, abbiamo “esportato” un’ edizione del Festival nel magnifico e dinamico territorio di Rimini in un auditorium di grande prestigio: l’ Arena Francesca da Rimini e l’Anfiteatro di Rimini Terme. E’ stata un’esperienza molto interessante, perché Rimini è una location di richiamo internazionale: la “capitale” cosmopolita della Romagna. Tutti gli eventi sono stati sold out con spettatori provenienti da varie parti del mondo. Una sfida che ci ha molto stimolato, in quanto portare l’alta cultura in una dimensione così vasta e riscuotere un grande successo non è cosa semplice. Questo risultato ci ha resi consapevoli della grande voglia che c’è nel pubblico di tornare a sognare con la cultura. In entrambi i Festival gli ospiti sono stati di primo piano con Diego Fusaro, Alessandro Cecchi Paone, Giordano Sangiorgi, Federico Moccia, Eraldo Baldini, Enrico Zucca, Ivano Marescotti… Per l’anno 2022 stiamo lavorando a qualcosa che possa davvero lasciare il segno e stiamo coinvolgendo anche altre realtà dell’Emilia-Romagna.

 

Il Maestro Bellavista e il filosofo Diego Fusaro. Ringrazio entrambi per la gentilezza e la simpatia dimostrate nel girare questo video! Sono onorata, inoltre, di ricevere i saluti di Fusaro che contraccambio vivamente.

Lo scorso Agosto hai preso parte alle celebrazioni per il 700simo della morte di Dante con un concerto ravennate, peraltro inserito nella programmazione del Festival, tenutosi nella Basilica di San Francesco. In quell’ occasione, dopo esserti esibito in opere quali la “Dante Sonata” di Liszt, hai presentato brani da te scritti in omaggio all’ autore della “Divina Commedia”. Sei intenzionato a incrementare la tua attività compositiva?

In occasione dei 700 anni della morte di Dante ho avuto modo di essere protagonista di eventi di grande spessore come il concerto nella suggestiva Basilica di San Francesco a Ravenna, dove peraltro si svolsero i funerali proprio del Sommo Poeta, o l’apertura della Cinquantesima edizione del Premio Guidarello condotto da Bruno Vespa nel magnifico Teatro Alighieri di Ravenna. Proprio in questi contesti è maturata la voglia di presentare, oltre al repertorio classico, anche delle mie composizioni. Una scelta ponderata e maturata dopo un lungo percorso che mi ha portato a definire un mio stile personale nel comporre. A partire da questi concerti ho avviato il mio filone compositivo che affianco al pianoforte ed al canto lirico. In futuro poi intendo presentare anche diversi brani arrangiati nel mio stile che possono essere definiti come canzoni leggere colte, ricollegandomi così ad una tradizione italiana non troppo lontana che a mio avviso deve essere assolutamente ripresa. Pensiamo per esempio alla cosiddetta canzone napoletana colta oppure ad alcuni grandi esponenti della scuola genovese come Umberto Bindi, che ci ha lasciato delle canzoni che sono un perfetto anello di congiunzione tra la musica leggera e quella colta. Ecco, il mio obiettivo è presentare composizioni classiche, ma in uno stile fruibile che possa essere colto da tutti ed essere universale, accostate a composizioni “leggere” contenenti anche diversi stilemi e caratteristiche della musica seria.

 

Raffaello Bellavista insieme a Federico Moccia nel Convento dell’ Osservanza a Brisighella

Il Festival, inoltre, a Rimini ha incluso tre tappe d’eccezione. Dopo l’inaugurazione con Filippo Giacomoni, insieme al quale hai riproposto il duo “pianoforte e marimba”, la kermesse ti ha visto protagonista accanto al filosofo Diego Fusaro per un nuovo tributo a Dante, e al giornalista (nonché melomane) Pietro Caruso, tuo autorevole interlocutore in un dialogo sulla musica d’autore. Che bilancio fai di questa edizione costiera di “Suoni e Parole”?

Come anticipato precedentemente il bilancio sicuramente è stato positivo e soprattutto ci permette di dare al Festival una dimensione più internazionale, forti anche della città di Rimini che, grazie alla nuove infrastrutture, può davvero scommettere molto sulla cultura. Nelle tre serate abbiamo avuto moltissime presenze ed abbiamo presentato tre diversi spettacoli. Il primo è stato caratterizzato dal duo pianoforte e marimba in uno scenografico concerto all’alba nel magnifico anfiteatro delle Terme di Rimini a pochi metri dal mare: una musica altamente evocativa ha sottolineato il passaggio dalle tenebre all’aurora ed ha salutato un’alba di sole e good vibrations. Il secondo è stato un dialogo tra musica e parole tra me e Diego Fusaro. Un simposio totalmente incentrato su Dante Alighieri. Anche in questo caso è stato incredibile vedere come molte persone siano accorse da varie parti d’Italia, grazie a una massiccia campagna di comunicazione dell’evento, coniugando un fine settimana tra cultura e mare con importanti ricadute sull’economia cittadina. La terza ed ultima serata mi ha visto dialogare tra musica e parole con il Patron del MEI (manifestazione musicale tra le più importanti in Italia), in un incontro che è partito da alcune arie d’opera fino alla canzone d’autore colta e a brani di David Bowie e dei Depeche Mode arrangiati dal sottoscritto.

A conclusione del Festival sei approdato a Milano dove, insieme al Maestro Enrico Zucca, il 16 Settembre hai inaugurato con un vernissage musicale il 64simo Congresso Nazionale della Federpol. In chiusura del simposio hai intonato “Heroes” di David Bowie; ispirata da questa performance, ti chiedo: chi sono i tuoi eroi? Hai dei modelli di riferimento, dei mentori di cui ti piacerebbe ricalcare le orme?

L’evento per il convegno nazionale della Federpol a Milano è stato davvero qualcosa di sublime. E’ stata una grande occasione per presentarsi di fronte ad un pubblico internazionale, composto anche da diverse autorità dello Stato Italiano. E proprio per coronare il finale di questo evento ho scelto Heroes di David Bowie. A mio avviso la figura dell’eroe è da sempre un riferimento per gli uomini, perché ci presenta davanti agli occhi le potenzialità della nostra natura e in un mondo sempre più complesso e pieno di difficoltà tutti hanno bisogno di un Virgilio al proprio fianco. Anch’io mi identifico in questa realtà, in quanto per emergere è richiesto uno sforzo davvero titanico, paragonabile a quello di un eroe. Su chi sono i miei eroi preferiti e a chi mi ispiro, devo dire che nel corso degli anni ho cambiato la risposta. Se infatti fino al periodo pre pandemia avevo in testa grandi artisti come Pavarotti, che ha saputo coniugare l’ alta cultura con un pubblico immenso ed eterogeneo, oppure pianisti come Lang Lang che spaziano dalle sale da concerto più importanti del mondo agli stadi assieme alle pop star…oggi mi ritrovo ad analizzare le composizioni, non solo musicali, dei grandi artisti che hanno saputo contaminare l’arte: da Salvador Dalì a Miles Davis, da Friedrich Goulda a Banksy. Pochi giorni fa ho visto che hai condiviso sui social una frase che spesso mi piace citare: “I sogni cominciano di notte e si completano di giorno” di Svevo. Ecco, penso che questa frase possa davvero sintetizzare il mio pensiero.

 

Raffaello in concerto presso la Società Umanitaria di Milano

 

“Parlami d’amore Mariù”: un classico della canzone napoletana colta che Raffaello ha interpretato al Congresso Federpol accompagnato dal celebre pianista delle star della lirica Enrico Zucca

Uno scatto della performance al Congresso Federpol. Raffaello è con Enrico Zucca

Il 15 Ottobre per te è stata una data cruciale, la data della svolta: hai avuto l’onore di esibirti nel corso di un prestigioso evento, il “Premio Eccellenza Italiana” 2021, dove sei stato anche candidato, grazie al tuo talento artistico, al Premio Eccellenza Italiana Washington D.C. 2022. La tua carriera diventerà internazionale. Quali emozioni hai provato nel ricevere un simile riconoscimento?

E’ stata un’ emozione immensa. Per un duplice motivo: Il primo è la possibilità di toccare con mano il raggiungimento di obiettivi perseguiti da anni, ai quali ho dedicato gli sforzi di una vita intera. Il secondo motivo è stata la possibilità di esibirmi nella Santa Sede , un luogo prestigioso nel tempo e nello spazio. La coesistenza di grandi sacrifici affiancati però da questi lampi di luce, danno slancio e motivazione per proseguire un percorso davvero titanico…in un sottile equilibrio fatto di sacrifici, ma anche di gioie e soddisfazioni.

 

Premio Eccellenza Italiana 2021: il Maestro Bellavista in Vaticano insieme al giornalista Massimo Lucidi

La location è sempre il Vaticano. Con Raffaello e il Prof. Lucidi c’è Padre Franco Ciccimarra

Raffaello mentre si esibisce in “Mattinata”, un altro esempio di canzone napoletana colta. L’ ha interpretata durante il concerto tenuto in Vaticano alla presenza del direttore di RAI 1 Stefano Coletta oltre che delle principali figure istituzionali italiane e della Santa Sede

E’ pressoché impossibile citare tutti gli appuntamenti che ti hanno visto protagonista durante l’Autunno. Proverò ad elencare (non in ordine cronologico) alcuni tra i più salienti: il ritorno alla Tenuta Mara di San Clemente con un concerto introdotto dal noto giornalista Massimo Lucidi (ideatore del “Premio Eccellenza Italiana” e direttore editoriale di “The Map Report”), l’esibizione alla Camera dei Deputati in occasione dell’ Innovation Day e quella alla Casa del Cinema di Villa Borghese, sempre a Roma, durante la presentazione di un corto interpretato da attori quali Roul Bova, Gianmarco Tognazzi e Vittoria Belvedere. A proposito di cinema, ti piacerebbe diversificare la tua carriera nella settima arte? 

Sicuramente un aspetto molto interessante per quanto riguarda i concerti del 2021 è stato quello di essere protagonista di recital in forma canonica in teatro, ma anche di eventi trasversali con grandi personaggi del cinema come per esempio la presentazione del cortometraggio con Arisa, Raoul Bova… nella magnifica Casa del Cinema a Villa Borghese a Roma o l’evento con il giornalista Massimo Lucidi nella prestigiosa Sala della Musica della Tenuta Biodinamica Mara . Tornando alla tua domanda mi sono state fatte alcune proposte a riguardo e le sto valutando attentamente, perché mi piace molto essere eclettico e sono convinto che ciò che conta per l’artista è comunicare con forza e con qualsiasi forma un messaggio personale. Poi ovviamente la musica sarà sempre la colonna portante della mia esistenza, ma di certo non mi precludo esperienze che possono arricchirmi.

 

“Heroes” di David Bowie in un’ inedita versione per pianoforte. Raffaello l’ ha eseguita alla Casa del Cinema di Villa Borghese in occasione della presentazione di un corto con alcuni tra i più importanti attori italiani

Sui social hai scritto: “Mai smettere di credere nei propri sogni.”. E uno dei tuoi più grandi sogni, aprire musicalmente il Premio Guidarello per il Giornalismo d’autore, si è realizzato il 13 Novembre scorso al Teatro Alighieri di Ravenna. A presentare la serata  è stato un professionista di alta caratura come Bruno Vespa. Potresti dirci qualcosa di più su questo evento e sui sogni che diventano realtà? Qual è, a tal scopo, la ricetta vincente?

L’apertura della Cinquantesima Edizione del Premio Guidarello è stato qualcosa che davvero ha lasciato il segno. Si tratta infatti di un premio giornalistico di grande prestigio organizzato da Confindustria  Romagna che vede ogni anno i principali esponenti della cultura e del mondo giornalistico arrivare da tutta Italia al Teatro Alighieri di Ravenna sede della manifestazione. Quest’anno il Premio coincideva con i 700 anni della morte di Dante, che è sepolto a Ravenna, ed è stato deciso di omaggiarlo con la mia esibizione della Dante Sonata di Liszt: una delle composizioni più impegnative per pianoforte. L’emozione è stata davvero grande e mi ha richiesto un impegno e uno studio davvero intenso per preparare al meglio questa composizione; come ho detto precedentemente, certe pareti ci mettono alla prova, ma nello stesso tempo ci forgiano. L’esibizione è stata molto apprezzata. Quando sono rientrato dietro le quinte mi sono trattenuto a parlare con Bruno Vespa, che da grande cultore della musica ha elogiato l’originalità della mia esecuzione e le mie doti artistiche. Questa esperienza, sommata a tutte le altre, mi fa credere più che mai che l’importante è non smettere di credere nei propri sogni. Sembra una frase banale, ma non è assolutamente così. La ricetta è credere in maniera totale e con abnegazione in quello che si fa e nella propria arte.

 

Raffaello esegue la “Dante Sonata” di Liszt in apertura del Premio Guidarello condotto da Bruno Vespa. Nella foto sopra, un’ altra immagine dell’ evento

Un’ altra importante tappa del tuo percorso si è svolta il 26 Novembre a Sanremo, in occasione dell’Annual Summit del World Protection Forum. Al Forum, un catalizzatore di iniziative a tutela dell’uomo e degli ecosistemi, sei stato eletto Value Ambassador: la tua performance musicale è stata seguita da un breve discorso sul valore della musica e sull’ Italia in quanto patria dell’arte dei suoni. Ti va di farci un sunto di questa relazione?

L’elezione a Value Ambassador del World Protection Forum è stato un altro importante tassello per la mia carriera. A fine Febbraio, infatti, all’interno della stessa giornata ho tenuto un discorso ed un breve concerto nel magnifico Teatro Ariston di Sanremo e un secondo intervento musicale nel rooftop del Casinò di Sanremo. Il discorso era incentrato sull’importanza della cultura come valore cardine di uno stato come il nostro, quanto sia necessaria una sua valorizzazione e come andrebbero preservati certi valori oggi troppo spesso dimenticati. Basti pensare che l’Italia ha dato i natali al pianoforte con Bartolomeo Cristofori nel 1698, all’opera lirica verso la fine del ‘500 ed anche alla notazione musicale con Guido d’Arezzo, vissuto tra il X ed XI secolo.

 

L’ intervento del Maestro Bellavista al prestigioso World Protection Forum che si tiene annualmente nel Teatro Ariston di Sanremo

Il World Protection Forum si è tenuto al Teatro Ariston di Sanremo, la location del famosissimo Festival. A quando una tua apparizione in quel frangente?

Il palco del Teatro Ariston è qualcosa di unico ed ha un’acustica davvero incredibile. Si sente nell’aria che in quel luogo è passata la storia della canzone italiana. Il 2021 è stato un anno di svolta rispetto al passato e sono pronto a concludere un accordo con due importanti manager nel settore musicale. Non è assolutamente esclusa una partecipazione al Festival, perché come detto anche in precedenza vorrei portare la musica colta nella canzone italiana come era stato fatto in passato.

 

 

Al Circolo Ravennate e dei Forestieri, invece, il 3 Dicembre hai ritrovato Diego Fusaro durante un evento dedicato a Dante e al suo pensiero…

Diego Fusaro è un caro amico ed un grande filosofo con il quale abbiamo dato vita a dei magnifici simposi tra parole e musica. Ha moltissimo seguito anche tra i giovani ed assieme abbiamo creato delle serate di alta cultura legate alla figura del Sommo Poeta. All’ evento di Rimini hanno partecipato diverse centinaia di persone nel massimo rispetto delle norme sanitarie grazie anche ad un magnifico e capiente auditorium all’aperto. Mentre a Ravenna, nello splendido Circolo Ravennate e dei Forestieri, l’ evento era solamente su invito e sembrava di rivivere l’atmosfera dei salotti culturali del ‘700.

 

Raffaello con Diego Fusaro e Giuseppe Rossi, Presidente del Circolo Ravennate e dei Forestieri

Un’ ultima domanda per concludere la nostra conversazione: come definiresti il successo e quale valore aggiunto pensi che apporterà al sogno che hai concretizzato?

Il successo è nella mia concezione la capacità di plasmare un sogno in realtà. E questo non avviene mai per caso, ma è il risultato ogni volta di una sorta di viaggio iniziatico che deve essere portato a termine a qualsiasi costo. Infatti, in un processo eterno dove non ci si può mai sentire arrivati e in un continuo processo di labor limae conosciamo sempre di più noi stessi e progrediamo nel nostro sviluppo sia su un piano spirituale che materiale. Un elemento fondamentale deve essere quello dello slancio titanico che ci permette di superare le difficoltà con spirito di avventura e con successo, e di poterci affermare come piccoli e grandi eroi su questa terra.

 

Il Maestro Bellavista esegue “Heroes” nella Sala Verdi di Milano, uno dei templi internazionali della musica classica

 

Photos courtesy of Raffaello Bellavista

 

“Fashion Confidential”: dietro le quinte della moda con Mariella Milani

Un ritratto fotografico di Mariella Milani (foto © Simona Filippini)

In TV, al Tg2, incastonati tra le notizie di cronaca, sport ed economia, spiccavano i servizi dedicati alla moda: erano piacevoli parentesi, preziose oasi di evasione dove una voce fuori campo commentava, con garbo unito a una sottile arguzia, le creazioni più sublimi proposte dai couturier e i look di volta in volta chic, minimal o eccentrici che sfilavano in passerella. Quella voce, inconfondibile, apparteneva a Mariella Milani, giornalista e critica di moda che vanta una carriera di ben 33 anni in RAI. Per me, televisivamente parlando, dire “fashion world” e dire “Mariella Milani” sono ancora oggi un tutt’uno. Adoravo il suo eloquio, la sua narrazione; il suo modo di raccontare la moda che risultava coinvolgente per qualsiasi tipologia di spettatore, dall’ “archetipa” casalinga di Voghera ai più quotati esperti del fashion system. Con lei, quel mondo spesso considerato effimero, esclusivo, distante dalle esigenze della gente comune, si calava felicemente nella realtà quotidiana. La Milani era in grado di esaltare l’ eccellenza sartoriale di un abito e, al tempo stesso, di illustrare con bonaria ironia certe eclatanti stravaganze. Inutile dire che il pubblico televisivo, perlopiù ancorato al concetto di portabilità dei capi, la venerasse. Questo suo tipo di approccio, che contribuiva senza dubbio ad avvicinare la moda alle masse, probabilmente scaturiva da un background professionale che aveva incluso ruoli di conduttrice del Tg2, cronista d’assalto, inviato speciale, capo redattore, autrice di reportage…Settori molto lontani dalla moda ma quanto mai contigui alle problematiche sociali, agli umori della gente. Un’ esperienza culminata con “Diogene”, la sua, rubrica quotidiana che la vedeva nelle vesti di paladina dei diritti dei consumatori. Al “fashion”, la Milani è approdata nel ’94 e sarà lei stessa, nella conversazione che segue, a raccontarci in che modo. Va detto che, da allora, il suo amore per la moda (seppure mantenendo sempre un occhio critico) si è elevato a livello esponenziale. Oggi del “regno delle passerelle” parla su Instagram, dove organizza dirette, dialoghi virtuali con i protagonisti del Made in Italy e con le influencer più significative, cura speciali rubriche incentrate sui capi cult, su mitici designer e sulle icone di stile. Ma oltre ad occuparsi di moda sul suo feed, Mariella Milani ha deciso di approfondirne il mondo: ce lo presenta in un volume, “Fashion Confidential“, pubblicato per i tipi di Sperling & Kupfer nel Febbraio scorso. La passione per il cinema dell’ autrice si riflette in tutti i capitoli, i cui titoli citano quelli di film pertinenti con l’argomento trattato; nelle pagine del libro, tuttavia, sono la moda e soprattutto il suo universo il nucleo portante. Perchè in “Fashion Confidential”, con estrema competenza e il consueto tono  tra l’ironico e il disincantato, di moda si parla a tutto campo: personaggi, eventi irripetibili (un esempio? La leggendaria sfilata di Fendi lungo la Grande Muraglia cinese), talenti eccelsi e mai dimenticati, ricordi personali e aneddoti, ma anche atmosfere, zone d’ombra, mood e modelli comportamentali si alternano in un pot-pourri ricco di sfaccettature. Ampio spazio, naturalmente, è dedicato al profondo mutamento che l’ avvento del Covid-19 ha imposto al settore. E’ un mondo in continuo divenire, il fashion world, e oggi lo è più che mai; gli influencer la fanno da padroni e la digitalizzazione si estende a macchia d’olio. Cosa pensa Mariella Milani di tutto questo? Lo scopriremo leggendo il suo libro o ascoltandolo, in versione podcast, ogni lunedì su Spotify Italy (qui trovate il link) e sulle principali piattaforme di podcast hosting. Intanto, però, godetevi questa brillante intervista che mi ha fatto l’ onore di concedermi.

Ha iniziato a raccontare la moda nel 1994, con la RAI, ma il suo background annoverava settori totalmente differenti: si è occupata di cronaca, di dossier, di difesa dei diritti del cittadino, e ha esplorato universi, come quello della criminalità organizzata, ben distanti dal glamour delle passerelle. Come ha vissuto questo totale cambio di rotta?

Ho iniziato quasi per caso, per una proposta che ironicamente definisco “indecente”. Mi occupavo di tutt’altro ma, come spesso accade in RAI, la mia redazione era stata chiusa e l’allora direttore del Tg2 Clemente Mimun volle affidarmi la moda perché la raccontassi con un tono dissacrante e ironico, adatto a un pubblico generalista. Confesso che inizialmente mi sembrava riduttivo, avendo affrontato mondi ben più insidiosi, ma con la curiosità di una bambina – che mi appartiene ancora oggi – mi sono buttata a capofitto in un’avventura assolutamente nuova.

La moda, comunque, non le era indifferente…Penso agli impeccabili tailleur Armani che amava indossare, di cui peraltro parla nel suo libro. Come e quando è scoccata la scintilla con il pianeta dello stile?

È iniziata esattamente quando, negli anni Ottanta, mi è stata affidata la conduzione dell’edizione delle 13 del Tg. Volevo apparire come una giornalista seria e affidabile e niente come una giacca o un tailleur di Armani, simbolo indiscusso del power dress, avrebbero potuto darmi l’autorevolezza che cercavo. Devo confessare che dilapidavo fortune nelle sue boutique…

 

L’ immagine che Mariella Milani ha scelto per il suo profilo Instagram e per il podcast di “Fashion Confidential”

Il suo debutto come giornalista di moda e di costume risale agli anni ’90, l’epoca d’oro degli stilisti-superstar, del boom del Made in Italy e delle top model. Com’è stato immergersi in quel mondo ambitissimo dove il lusso, il sogno e la fantasia a briglia sciolta (basti pensare alle favolose creazioni di John Galliano per Dior Haute Couture) rappresentavano i vessilli supremi?

Non posso nascondere che all’inizio mi sentivo un’aliena catapultata in un universo sconosciuto. Mi chiedevo come avrei potuto catturare l’attenzione del pubblico del telegiornale, generalista per definizione… al professore universitario o alla “famosa” casalinga di Voghera non sarebbe certo importato nulla della lunghezza degli orli delle gonne ma, con ironia e un pizzico di irriverenza, sono riuscita a trovare il mio stile e il mio posto in quell’universo patinato e accattivante.

Quali eventi, personaggi o situazioni ricorda, di quel periodo, a titolo emblematico del suo splendore? Nel libro che ha scritto ne cita molti; ce ne menzioni qualcuno per chi non l’ha letto ancora.

Sicuramente la sfilata di John Galliano per Dior nel Foyer de l’Opera di Parigi nel 1998 è uno dei momenti più belli che ho vissuto nella moda. Eleganza e sontuosità senza eguali… e non a caso è anche uno dei prossimi racconti che farò nel Podcast di “Fashion Confidential”. Altra esperienza meravigliosa è stata la sfilata di Fendi sulla Grande Muraglia cinese nel 2007: ottanta metri di passerella per il primo – e unico credo – show visibile anche dalla Luna.

A proposito del suo libro, uscito di recente: “Fashion Confidential” ha come sottotitolo “Quello che nessuno vi ha mai raccontato sul mondo della moda”. Come è nata l’idea di esplorare un universo – che conosce ormai a menadito – da un’angolazione diversa, potremmo dire “da dietro le quinte”?

Per vocazione – e scelta – sono sempre stata una giornalista senza peli sulla lingua e il mio libro non poteva certo avere un approccio diverso… Volevo raccontare il mio punto di vista perché sono consapevole di aver vissuto anni che non torneranno più e se non avessi messo la mia esperienza nero su bianco, sarebbe andata perduta.

 

La copertina di “Fashion Confidential”, edito da Sperling & Kupfer

Pensa che il pianeta moda venga a tutt’ oggi mitizzato? E a suo parere, per quale motivo?

Assolutamente sì. La moda viene vista come un sogno, un mondo aspirazionale ma credo che questo succeda perché, in realtà, pochi sanno cosa ci sia davvero dietro le quinte. Non è tutto party e bling-bling, è prima di tutto un lavoro per milioni di persone e spesso ci si dimentica di questo aspetto.

L’ avvento del web, e soprattutto della pandemia di Covid, hanno stravolto radicalmente le coordinate del fashion system. Cosa ci aspetta in tal senso? La moda continuerà a mantenere il suo appeal o la digitalizzazione dilagante e le nuove priorità esistenziali lo ridimensioneranno definitivamente?

Panta rei, tutto scorre, diceva Eraclito… e, anche se gli anni che ho vissuto non torneranno , credo che nulla sia definitivo. Il mondo della moda è stato messo a dura prova negli ultimi anni e nell’ultimo periodo in particolar modo, ma spero – soprattutto per i giovani – che ci sarà un nuovo Rinascimento.

Nell’introduzione di “Fashion Confidential” scrive: “La vera moda è eccessiva, geniale, carismatica, ironica, sempre capace di reinventarsi, in bilico tra sogno e realtà”. Quali designer o Maison dell’era pre-pandemica assurgerebbe ad esempi di questa sua opinione?

Sicuramente Yves Saint Laurent, Valentino Garavani, Azzedine Alaïa, Cristobal Balenciaga, Rei Kawakubo… ma sono tanti per citarli tutti.

La sostenibilità e il concetto del “buy less, buy better” saranno i cardini della moda post-Covid?

Assolutamente sì, la sostenibilità è una priorità per la moda – e la società in generale. Non a caso ho dedicato a questo tema due capitoli del libro…

Cito ancora dal suo libro: “se sei una persona di valore ma non hai un potere reale o virtuale, hai poche speranze”, dichiara, rivolgendosi ai tanti giovani che vorrebbero dedicarsi alla comunicazione della moda. Eppure la moda è anche cultura, genialità creativa, fenomeno di costume, espressione. Privilegiare la visibilità a discapito del valore non rischia di relegarla allo stereotipo che la associa unicamente all’ apparenza, all’effimero?

Al di là di rischi e stereotipi, purtroppo questa è la realtà e non si può fingere di non vederla. Posso dire, però, che negli ultimi tempi si stanno riscoprendo il valore della qualità e della competenza e questo non può che essere un bene anche se, al primo posto, per emergere nella moda è fondamentale avere le relazioni giuste.

 

 

La moda è una geniale combinazione di arte e marketing. Oggi, tuttavia, i vari influencer hanno pressoché soppiantato la figura del giornalista, il web ha spodestato la carta stampata e molte riviste si vedono costrette a chiudere i battenti. Cosa pensa di questo fenomeno?

Analizzando il grande successo raggiunto, attraverso i social, da influencer e blogger – diventati i nuovi brand ambassador – ho riflettuto su una parola: democratizzazione. Credo siano da ritrovarsi in questo bisogno, che era evidentemente impellente, le ragioni un tale cambiamento. Il digitale è stato una sorta di “tana libera tutti” e l’informazione classica non ha tenuto il passo con l’evoluzione degli ultimi anni. È rimasta pressoché immobile, ancorata a un linguaggio e a strumenti quasi obsoleti e questo ha fatto sì che perdesse terreno.

Che consiglio darebbe a un giovane che sogna un futuro nel giornalismo di moda?

Spesso mi viene chiesto come poter fare il mio mestiere ma la verità è che nemmeno io so rispondere. È un lavoro che si è fortemente evoluto e, come dicevamo, il digitale ha avuto un impatto non indifferente. Sicuramente un’esperienza all’estero potrebbe essere molto utile per capire da che parte sta andando il mondo e cosa aspettarci dal futuro e soprattutto avere uno sguardo più cosmopolita.

Nel suo libro non risparmia critiche, sempre benevole e ironiche, al cosiddetto “circo della moda”. Lo definisce “un universo (…) popolato da designer spesso isterici e narcisisti, modelle dive o trattate come numeri, buyer considerati star, star, stylist, influencer, giornalisti, fotografi e PR (…) occupati in funamboliche capriole per dimostrare di essere il perno della giostra. Non è tutt’oro quel che luccica?

Ebbene no. È ora di sfatare questo mito. (sorride, ndr)

 

 

Tra pandemia, cambiamenti climatici e emergenza ambientale, si preannuncia un futuro contrassegnato dall’ incertezza. Crede che un nuovo Rinascimento sia possibile, che la moda possa tornare ai suoi proverbiali fasti, o vede più impellente un mutamento radicale del sistema?

L’ultimo capitolo del mio libro si chiama “Il sipario strappato”, dal famoso film di Hitchcock. Ho scelto questo titolo perché, anche se non c’è futuro senza passato, gli anni d’oro che ho vissuto non torneranno e siamo difronte a un momento di grande cambiamento. Concludo con la frase di un visionario come Steve Jobs: “think different”, perché penso che la moda debba davvero iniziare a pensare in modo diverso.

Vorrei concludere questa intervista con una riflessione. La moda è, da sempre, espressione dei tempi: lo stile hippie, ad esempio, incarnava la nascita di un mondo nuovo e di nuovi ideali. Oggi, l’attenzione dei giovani si concentra prevalentemente sul marchio e sui modelli di sneakers che è imprescindibile avere. Dove finisce la moda e dove comincia l’omologazione? Non a caso, lei ha concluso il suo libro citando appunto lo slogan “Think different” di Steve Jobs…

Senza sapere quale fosse l’ultima domanda l’ho preceduta… credo che l’omologazione sia una delle cause della disaffezione dei consumatori a cui la moda doveva far fronte anche prima che scoppiasse la pandemia. Finché l’imperativo sarà esclusivamente vendere, continuerà a esserci sicuramente più omologazione che moda.

 

 

 

 

Samantha

 

Ero seduta accanto a una ragazza con un abito di gomma; sembrava che l’avessero pitturata di lattice. Il segnaposto diceva: Samantha Binghamton e ogni due secondi le scattavano una foto. Aveva una selvaggia chioma nera (forse una parrucca) e un collo lungo e magro, (…) molto elegante (…). Aveva conosciuto il marito – seduto accanto a lei – in seconda elementare. Lui veniva da una famiglia favolosamente ricca e ora aveva una delle gallerie più famose del mondo. Lei era stata una celebre agente cinematografica, amicissima di Dustin Hoffman e John Houston, e uno dei suoi clienti era in un film che aveva fatto piazza pulita degli Oscar l’anno precedente. Eppure, nonostante avesse solo 28 anni e fosse quasi all’apice della carriera, aveva deciso che non era felice. Dato che suo marito la poteva mantenere e lei non aveva bisogno di lavorare, aveva mollato il lavoro due settimane prima per diventare una rock star. Quello era il suo sogno. Al momento non aveva ancora trovato un manager, ma sembrava dovesse succedere da un momento all’altro. (…) Nella toilette ci applicammo vari strati di make up cavati dalla trousse di Samantha. “Il tipo seduto vicino a te”, disse incipriandosi il naso, “stai con lui, vero?Viviamo insieme”, risposi. E’ Stash”. Proprio questo volevo chiederti “, ricominciò lei. E’ Stash Stosz, vero? Quello a cui hanno appena fatto una recensione terribile?  “Già”. Tirò fuori uno spinello dalla borsetta. “E’ ricco?” chiese accendendo lo spinello e passandomelo. “No”. “E tu?” “Neanche”. “E allora, perché stai con lui?” “Beh, io….” Balbettai. Ero sbalordita.

 

Tama Janowitz, da “Schiavi di New York”

 

 

Franco Zeffirelli e il “mosaico” dell’esistenza

Franco Zeffirelli con Olivia Hussey durante le riprese di “Romeo e Giulietta” (1968)

Addio al Maestro Franco Zeffirelli, leggendario regista cinematografico, televisivo, teatrale (sue le messe in scena, tra l’altro, di innumerevoli opere liriche) oltre che scenografo, attore e sceneggiatore. Zeffirelli si è spento a Roma due giorni fa, ma i suoi funerali si terranno il 18 Giugno nella natia Firenze. Voglio ricordare il suo genio, la sua sensibilità, l’ intenso pathos che sprigionano i capolavori che ha diretto attraverso alcuni paragrafi tratti da “Autobiografia” (ed. Mondadori, 2006), il volume in cui, in prima persona, mette a nudo l’ anima e traccia il percorso di una straordinaria carriera. Un “grazie” dal profondo del cuore, Maestro Zeffirelli, per le vibranti emozioni che ha saputo donarci.

” Fu in quelle estati con la balia che scoprii il teatro. Strani personaggi, ben noti e amati da tutti, venivano a trovarci quasi ogni settimana. Si piazzavano attorno al fuoco la sera (…) a raccontare storie, storie fantastiche, tragiche, classiche, cui mescolavano fatti autentici e notizie del giorno. (…) Sapevano catturare la nostra immaginazione, il cuore batteva forte e gli occhi si riempivano di lacrime, ma poi si scoppiava a ridere con le storie comiche che chiudevano regolarmente quelle serate; per farci andare a letto rasserenati e senza il pericolo di fare brutti sogni. (…) Quando le estati finivano e si tornava a Firenze, portavo con me il ricordo delle magiche gesta di quei poveri girovaghi. Fu così che incominciai a popolare la mia fantasia con “teatrini” che fabbricavo con le mie stesse mani. “

” Il cinema ha sempre avuto un potere vulnerante su di me: ancor oggi rido e piango senza pudore, e credo appassionatamente a tutto quello che succede sullo schermo.”

” La vita è una rete di storie misteriosamente connesse fra loro. Tutto quello che succede, a pensarci bene, è la conseguenza di qualcos’altro, che poi dà frutti imprevisti e impensati. Quando oggi rivisito i miei diari degli anni andati, tutte quelle idee, tutti quei progetti ancora disordinati sembrano tessere di un mosaico che aspettavano di trovare il loro posto per “accadere”. Ho lavorato col mosaico quando studiavo all’ Accademia di Belle Arti, ed era sorprendente vedere come, alla fine, riuscivamo a formulare e a definire un’idea precisa con tutti quei frammenti colorati e disordinati; come il nostro cervello sapeva scegliere quelli che ci servivano. La vita è sempre colma di tessere sparse: elementi disuniti che hanno bisogno dell’ intervento preciso del nostro intelletto per organizzarsi. Ma la vita è anche seminata di svolte, di incontri all’apparenza senza un significato preciso, ma che poi hanno avuto il potere di dare una sterzata decisiva al corso della nostra esistenza. “

” Poco prima di incominciare le prove per “Romeo e Giulietta”, a maggio mi spostai dal mio caro quinto piano al centro di Roma a una bella villa in mezzo al verde, non lontano dall’ Appia Antica. Quando mi trasferii portai con me non solo zia Lide, Vige e tutto il mio circo, ma volli che venissero ad abitare con noi anche i protagonisti del film. Era una maniera un po’ inconsueta per preparare un film ma funzionò a meraviglia. Olivia (Hussey, ndr.) e Leonard (Whiting, ndr.) si sentirono subito in famiglia e provavano in giardino, Nino Rota componeva la musica in salotto, Robert Stephens e Natasha Perry studiavano le loro parti o nuotavano in piscina. Ogni tanto dovevo lasciare questo mondo di sogni per cercare gli esterni dove avrei girato il film, oppure controllare le costruzioni dei set a Cinecittà. Iniziammo le riprese il 29 giugno nella bella cittadina di Tuscania, poi ci spostammo a Pienza e a Gubbio (…) “

” Il dramma e la gioia della mia esistenza sono sempre stati di essere una persona capace di molteplici attività. Il che ha spesso creato problemi a chi vorrebbe a ogni costo catalogare ed etichettare il prossimo. Ma io, pirandellianamente, riuscivo a essere “uno, nessuno, centomila”. E anche con un certo successo. Potevo disegnare, dirigere, recitare, ed è sempre stato per me un piacere quasi perverso il saper fare tante cose, e riuscire a farle anche abbastanza bene, saltando dall’una all’altra. Ma questo ha avuto anche delle implicazioni negative sul complesso della mia carriera. “

” (…) come Shakespeare fa dire ad Amleto: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. E, alla fine, dobbiamo sempre tenere ben chiara davanti a noi la summa, la conclusione di tutto, come rivelò con semplici parole Madre Teresa: “La vita non è una corsa verso la morte. E’ la morte, invece, sorgente di vita. “

 

(Estratti da “Autobiografia” di Franco Zeffirelli, ed. Mondadori, 2006)

 

Photo: Emilio Lari (Q5371893) [Public domain], via Wikimedia Commons

 

 

 

Tra moda, cinema… ed eclettismo: incontro con Eleonora Albrecht

(Foto di Andrea Ciccalè)

“Altezza 1,74 m, capelli biondi, occhi azzurri”, riporta il suo composit. Segni particolari, una grazia innata: l’eleganza sembra incisa nel patrimonio genetico di Eleonora Albrecht. Romana di origini tedesche e russe, proveniente da una famiglia di artisti, Eleonora ha riversato il suo talento nella moda e nella recitazione, due passioni che la animano da sempre. Quel che più colpisce in lei – oltre ai grandi occhi blu, al corpo slanciato e alla cascata di capelli biondi – è il viso dalle molteplici potenzialità espressive: come una tela bianca plasmata da pennellate di colore, Eleonora può tramutarsi indifferentemente in una dea ultra-chic o in una scanzonata “comedian”, incarnando innumerevoli tipologie di personalità femminili. Il suo CV annovera esperienze prestigiose sia nelle vesti di modella, che di attrice. John Galliano, Calvin Klein, L’Oréal, Giada Curti, Aspesi, Gentucca Bini, Wella, BMW e Jean-Louis David sono solo alcuni dei brand per i quali ha posato o fatto da testimonial. Sul set, dopo un iter di studi che include (tra l’altro) il Lee Strasberg Institute di Los Angeles, Les Cours Florent di Parigi, il Conservatorio Teatrale Giovan Battista Diotaiuti e l’ Accademia del Comico dei Morini Bros di Roma, l’abbiamo vista in un gran numero di film e serie TV. Qualche titolo? “Un giorno speciale” di Francesca Comencini, “Se sei così ti dico sì” di Eugenio Cappuccio, “Un altro mondo” di Silvio Muccino parlando di cinema, “Che Dio ci aiuti 2”, “Don Matteo 8″, “Provaci ancora Prof.! 4” per quanto riguarda le sue apparizioni sul piccolo schermo. Ma gli interessi di Eleonora Albrecht spaziano oltre la moda e la settima arte, diramandosi in svariate direzioni. Influencer con il blog “The Fashion Screen”, Youtuber che vanta ben due canali all’attivo, designer e imprenditrice grazie alla creazione di Confetta – la borsa a forma di cuore già diventata un accessorio cult – la sua è una carriera più che mai eclettica e multiforme. E’ Eleonora stessa ad approfondirla insieme a noi, senza tralasciare un ruolo del tutto speciale: quello di compagna dell’ attore Flavio Parenti e di mamma della piccola Elettra, che lo scorso Marzo ha compiuto due anni.

Eleonora Albrecht: attrice, modella, blogger, influencer, creativa e imprenditrice con “Confetta”, la minaudière che hai ideato insieme al tuo compagno, l’attore Flavio Parenti…Quale definizione scegli, per presentarti?

Sono una persona estremamente curiosa, che ama viaggiare ed esprimersi in molti modi. Amo la Bellezza e tutto ciò che ne deriva.

A casa tua, il talento artistico si respirava nell’ aria: una madre prima ballerina al Teatro dell’Opera di Roma, nonni e zii pittori…Quando hai preso coscienza, per la prima volta, che l’Arte era nel tuo DNA?

Mio padre anche era ballerino classico, sono nata in un ambiente devoto alla danza e all’arte. Non ho mai pensato di fare qualcosa non relativo ad un processo artistico. Da bambina desideravo fare la cantante, poi la poetessa, poi la stilista. Semplicemente non mi è mai passato per la mente di dedicarmi ad un percorso non artistico. Per me vivere significa esprimere cosa si ha da dire nel modo in cui ci è più vicino e questo modo può evolversi negli anni, perché amo avere sempre stimoli diversi e ricercare qualcosa di nuovo, mettermi alla prova. Ovviamente c’è sempre un filo conduttore nelle mie ricerche personali che negli anni sarà sempre più definito.

 

(Foto di Claudio Amato)

A Parigi, appena diciannovenne, hai avuto l’opportunità di svolgere uno stage presso la Lagerfeld Gallery e di vedere il leggendario Karl Lagerfeld all’ opera. Che ricordo hai di lui?

Una persona molto cordiale e precisa, gentile con tutti. Attento ai dettagli, molto sicuro delle sue idee. Visionario ma concreto, un signore di altri tempi ma con un’energia contemporanea.

Qualche anno fa, su You Tube hai aperto due canali che definirei agli antipodi l’uno dall’altro: in “Sugar Barbarella” ironizzi sui tic sociali e sui fenomeni di costume del nostro tempo, mentre in “Eleonora Moda” proponi haul, tutorial e, soprattutto, dai consigli alle ragazze che vorrebbero diventare modelle. Come nasce questa tua “doppia anima”?

Le mie passioni sono la recitazione, il cinema, e la moda. Youtube ti permette di fare quello che vuoi e così ho sperimentato. Come attrice mi sono dedicata al cabaret per un periodo e quindi Sugar Barbarella era un mio personaggio comico. Attualmente non realizzo video però da anni, ma alcuni sono diventati molto famosi. Diversamente, Eleonora Moda è un canale che alla sua nascita mirava ad aiutare le centinaia di ragazze che mi scrivevano quotidianamente per avere consigli, pareri, ecc. Quindi ho raggruppato tutto in alcuni video che hanno ancora molto successo su YouTube e che spiegano come fare per affrontare una carriera da modella.

 

(Foto di Raffaello Balzo)

A proposito: cosa suggeriresti alle lettrici di VALIUM che sognano una carriera davanti all’ obiettivo? Il fashion world evolve alla velocità della luce. Quali sono, a tuo parere, i requisiti – aggiornati al 2019 – per intraprendere una carriera da modella?

I requisiti li richiedono le agenzie e consiglio sempre di contattare le agenzie serie di moda a Milano. In ogni caso l’altezza è sempre il filo conduttore della carriera delle modelle. Ma magari ora con Instagram ci possono essere delle evoluzioni. Dipende anche cosa si intende per modella. Fino a qualche anno fa, la modella era una ragazza alta e magra, che andava a fare i casting e veniva selezionata per sfilate e servizi fotografici, nessun problema per viaggiare, mangiare sano e ad andare via di casa presto per intraprendere una carriera. Molte ragazze ora pensano che basti avere un canale Instagram con vari followers, mettere foto mezze nude o molto provocanti ed essere contattate da marchi che le pagano. Sicuramente esiste anche quello, ma è un altro tipo di modella che va al di fuori di un giro di agenzie, ecc. di cui parlo nei miei video.

Dopo aver esordito come modella, sei stata rapita dal sacro fuoco della recitazione e sei volata a Los Angeles per studiare nientemeno che al Lee Strasberg Institute. Che puoi raccontarci di quegli anni?

Ho iniziato a fare la modella a 13 anni. A 17 abitavo a Milano, poi mi sono trasferita a Parigi per 4 anni, dove ho studiato stilismo in una scuola molto importante, l’Ecole de la Chambre syndicale de la Couture Parisienne, ho fatto stage da Dior e Lagerfeld e lavorato come assistente stylist in campagne pubblicitarie importanti. Al contempo lavoravo come modella e poi ho iniziato un corso serale di recitazione al Cours Florent. A questo punto ho messo da parte la moda, per studiare recitazione quotidianamente e dopo un anno sono andata a vivere e studiare a Los Angeles al The Lee Strasberg Institute. ) Los Angeles è una città molto dispersiva in cui è difficile orientarsi, fortunatamente ho uno spirito molto estroverso e ho fatto amicizia velocemente, riuscendo a vivere la città in un modo molto interessante. Ci sono attori ovunque, registi, sceneggiatori, lavorare nel cinema e in tv è normale. Ma è difficile avviare una carriera da zero se non sei anglofono. Io l’ho vissuta benissimo, mi sono divertita, ho conosciuto persone fantastiche, ho avuto così tante esperienze che starei le ore a parlarne.

 

 

Moda e cinema, due passioni che vivi con pari intensità (ricordo, peraltro, che di recente sei passata dietro la macchina da presa per dirigere due corti da te scritti): ma quale delle due ti permette di esprimerti “a tutto tondo”?  

L’aspetto estetico, il vissuto, le storie, la ricerca. Sono aspetti che il cinema e la moda hanno in comune. In realtà il cinema porta la parola, che la moda non ha. Quando penso ad una collezione di moda mi immagino come poter dare alla donna un oggetto bello, soprattutto, ma anche mettibile. Anche se non mi piace pensare ad accessori pratici perché non lo trovo divertente (la mia linea Confetta fa solo accessori al momento). Quando penso ad una storia da raccontare, mi baso su un’emozione personale, qualcosa che mi ha colpito particolarmente negli anni e che ho approfondito emotivamente e vorrei poi far uscire al di fuori. Per questo ho un’altra storia da anni nel cassetto, sto aspettando il momento giusto.

Nel 2013 hai preso parte alla serie TV “Che Dio ci aiuti”, una fiction a cui sono parecchio affezionata in quanto due sue edizioni hanno avuto come location Fabriano, la città dove risiedo. Come rievocheresti la tua esperienza nel ruolo di Camilla, e com’è stato lavorare a fianco dell’attrice Premio David di Donatello Elena Sofia Ricci?

La fiction è molto curata e sono stata contenta di averne fatto parte, tutti gli attori sono bravi e anche il cast tecnico.

Passiamo alla tua vita privata. Da tempo hai una relazione con Flavio Parenti e dal vostro amore è nata Elettra, che oggi ha due anni. Come vivete, tu e Flavio, il fatto di condividere la stessa professione?

Bene, perché facciamo anche molte cose insieme. Abbiamo, però, anche varie passioni non condivise che nutrono altre parti delle nostre personalità. Per il resto, lavorare nello stesso campo ti permette di avere più comprensione dell’attività e dei momenti up e down che ne conseguono.

 

Eleonora con la borsa Confetta

Vorrei chiederti ora qualche anticipazione sui tuoi progetti più imminenti ed un consiglio per concludere in bellezza questa intervista: qual è il must primaverile a tema fashion che non dovrebbe mancare nel guardaroba delle lettrici di VALIUM?

Il mio progetto imminente è lanciare la nuova collezione di borse Confetta. A breve lanceremo la collezione estiva, dopo il successo internazionale della borsa a forma di cuore in vetroresina. Per il must primaverile, ormai nella moda si vede di tutto e di più. Io non consiglio un “must”, ma di trovare quello che ci piace di più secondo il nostro gusto e non secondo delle tendenze. Se amate vestirvi come negli anni Cinquanta, per esempio, ben venga! Per me, l’unico must è di guardarsi allo specchio e piacersi. Se non ci si piace, e non si è capace di capire cosa potrebbe andar bene indosso, magari affidarsi a qualcuno oppure fare ricerche su internet, affinare il proprio gusto non solo nella moda ma a livello culturale in generale. Cercare stimoli, per capire come siamo.

 

 

 

 

 

A tu per tu con Emma Nitti, l’ altro volto di Grace Hall

(Photo Effemmedi)

Attrice, Burlesque performer, conduttrice e, da qualche mese, anche regista e produttrice: non si può certo negare che Emma Nitti sia uno spirito eclettico. Nata e cresciuta a Roma, ha debuttato a teatro giovanissima nell’ “Ippolito” di Euripide e si è suddivisa, da allora, tra palcoscenico e set cinematografico senza disdegnare la TV. Prossimamente apparirà sul grande schermo ne “La banda dei tre” di Francesco Maria Dominedò, ultima prova recitativa in ordine di tempo di una carriera che l’ha vista lavorare al fianco di registi e attori del calibro di Abel Ferrara, Lamberto Bava, Paolo Virzì, Gabriele Muccino, Gigi Proietti, Juliette Binoche, Luciano Melchionna e Luca Miniero, per citarne solo alcuni. Sempre diretta da Dominedò, nel 2010 ha vinto il premio come migliore attrice al Circeo Film Festival per la sua interpretazione di Paola in “5 (Cinque)”, un ruolo che le è valso un ulteriore riconoscimento per la Versatilità Artistica al Mompeo Film Fest. L’ ascesa di Emma Nitti è proseguita inarrestabile fino all’ esordio nella regia e nella produzione con “Burlesque Extravaganza”, il documentario sul Burlesque che ha girato tra Stati Uniti e Europa. Che c’entra, con Emma, l’arte del teasing? C’entra eccome: il grande pubblico la conosce infatti nelle vesti di Grace Hall, l’ammaliante Burlesque Queen che ha condotto, per ben tre volte, il Summer Jamboree di Senigallia. Adesso che il suo “road movie” è procinto di uscire in DVD, la poliedrica star romana si avvia a consolidare l’avventura come produttrice con la ZED Film Srl. Ma dove “inizia” Emma, e dove “finisce” Grace? Soprattutto, cosa le unisce? La risposta arriva semplicemente osservandola: caschetto castano scuro dello stesso colore degli occhi, vivaci e intensi, un entusiasmo travolgente che è il suo maggiore atout. E’ proprio quell’ entusiasmo a fare da trait d’union tra Emma e Grace, denominatore comune di tutte le imprese in cui si lancia, ogni volta, con la stessa sfolgorante passione.

Quando e come si è rivelato il tuo talento per la recitazione?

Fin da piccola ho sempre avuto la passione di travestirmi, “di entrare nei panni di un altro”. Passavo i pomeriggi davanti allo specchio a ballare e a  cantare… Poi, a 19 anni ho debuttato con il primo spettacolo che era una tragedia di Euripide, l’“Ippolito”, ad Ostia Antica e da lì è partito tutto. Contemporaneamente ho frequentato il Conservatorio Teatrale dove ho avuto la possibilità di avere degli ottimi maestri tra cui Tonino Pierfederici che è stato un grande del teatro italiano, e con lui ho avuto il privilegio di fare anche altri lavori. Ho frequentato il Conservatorio Teatrale Giovan Battista Diotajiuti, e contemporaneamente ho fatto l’ Università (La Sapienza) laureandomi poi in Lettere Moderne, nello specifico in Storia e critica del cinema, con una tesi su su Fellini. Ho avuto la fortuna di frequentare dei laboratori , corsi e  workshop organizzati dal mio professore del corso di Storia del Teatro all’Ateneo dell’Università e anche in quel caso ho avuto il grandissimo privilegio di studiare con dei grandi, di approfondire diversi tipi di insegnamento: la Commedia dell’Arte con Carlo Boso, l’Euritmia di Rudolf Steiner, le Danze Sacre di  Georges Ivanovic Gurdjieff, il Metodo Mimico  di  Orazio Costa, il Living Theatre con Judith Malina e Cathy Marchand e Il Teatro della spontaneità con Ferruccio Di Cori. Successivamente ho  studiato anche con Doris Hicks, membro dell’Actor Studio e allieva di Susan Batson.La  mia formazione ha spaziato dallo studio dei grandi del teatro come Stanislavskj e Strasberg alla biomeccanica di Mejerch’old e Artaud.  Parallelamente, ho sempre studiato canto e  danza.

 

(Photo Effemmedi)

Teatro o cinema? Preferisci esprimerti sul palco oppure su un set? E quale personaggio femminile da te interpretato è riuscito a lasciarti qualcosa “dentro”?

Teatro e cinema sono completamente diversi. Amo interagire con un pubblico vivo davanti a me e la “sacralità” del  palcoscenico che ti mette a nudo e non nasconde nulla. Il cinema non offre la stessa immediatezza che ti dà il teatro , almeno per un attore.Mentre reciti devi tenere conto di tanti aspetti tecnici di cui “devi essere a servizio”. Sì, un personaggio c’è ma non è femminile, bensì maschile. Ho interpretato, in una rivisitazione molto stravagante di “Racconto d’inverno” di Shakespeare per la regia di Roberto Pacini, il ruolo del re Leonte. E’stato il personaggio che ho amato di più perché era molto ricco di sfumature e con una grande evoluzione. Dolcezza, gelosia, pazzia. Mi ha consentito di usare tanti registri, tante emozioni. Ero per 2 ore e mezza sempre in scena, questo mi ha consentito di lavorare sull’energia che doveva essere sempre trainante, e mai scemare. Per quanto riguarda il cinema citerei, anche se può sembrare a prima vista un personaggio marginale, quello  di Joanna che ho interpretato nel film “Mary” di Abel Ferrara. Joanna era una discepola  di Maria Maddalena, impersonata da Juliette Binoche, ed ero sempre al suo fianco. Ho avuto l’opportunità di recitare con lei e di guardare, di “assorbire”, di imparare molto. La Binoche è una persona molto generosa, come lo  sono sempre i grandi attori,  ed è stata una bellissima esperienza perché ho appreso moltissimo. Mi consigliava, mi indirizzava, mi teneva per mano.Per non parlare del resto del cast : 3 premi Oscar!E stato un percorso formativo accellerato.  Sicuramente, questi due sono i personaggi che ho amato maggiormente del mio percorso attoriale.

 

Una scena del film “Mary” di Abel Ferrara

(Photo Effemmedi)

Sartre ha detto: “Non si recita per guadagnarsi la vita: si recita per mentire, per essere quello che non si può essere, e perché si è stufi di essere quello che si è.” Come commenteresti queste parole?

Più che mentire , direi evadere. Un’evasione preziosa che ti consente di riconnetterti con te stesso. Attraverso la ricerca di un personaggio, in realtà, trovi molte parti di te e puoi conoscerti. E’ un mestiere che ti offre un grande privilegio.

Poi, nel 2009, la svolta Burlesque. Come ha preso vita l’idea di diventare una performer?

Ho sempre amato essere indipendente e avere libertà di esprimermi. Il Burlesque è una branca del mio lavoro e mi ha dato l’opportunità di crearmi un mondo a 360° che gestisco ed amministro con le mie modalità. Infatti sono io a curare la regia, la coreografia, i costumi, le musiche, le luci . Sono sempre  io ad organizzare i miei tour, i miei spettacoli. Sono manager di me stessa. E poi posso cantare , ballare, recitare. Insomma, una libertà a tutto tondo.

 

Grace Hall (photo by Piergiorgio Pirrone)

Emma Nitti l’attrice, Grace Hall la regina del Burlesque. Due nomi per due carriere diverse, ma con un’unica interprete: te stessa. Perché questa “demarcazione netta”? Cos’hanno in comune e cosa, invece, separa Emma e Grace?

Emma e Grace sono due facce della stessa medaglia. L’una è il motore dell’altra. Grace si nutre dell’esperienza ventennale di Emma, ed Emma della consapevolezza di Grace.

Nei panni di Grace Hall appari di frequente in passerella: ricordo, ad esempio, quando hai preso parte alla spettacolare sfilata-performance Le Theatre des Funambules di Giada Falstaffi per AltaRoma. Che rapporto hai con la moda?

Credo assolutamente equilibrato. Mi ritengo piuttosto ossessionata dallo stile. Lo stile trascende il tempo e come un archetipo, comunica a tutti. Anche a culture molto diverse. La moda ha bisogno di sovrastrutture. Di comprensione. Lo stile no. E’ immediato.

 

(Photo by Piergiorgio Pirrone)

L’ anno scorso hai debuttato come regista e produttrice con “Burlesque Extravaganza”, un documentario sul Burlesque. Che mi racconti di questa esperienza?

E’ stata una bella prova per me.  “Burlesque Extravaganza” è il diario di un viaggio, un road movie rocambolesco nello scintillante mondo del Burlesque  – dove la fantasia si miscela alla realtà – da me raccontato, scoperto e vissuto. Una tournèe partita da Roma passando per molte città d’Europa per poi toccare buona parte degli Stati Uniti. Il film vuole essere, come il vero Burlesque suggerisce, un contenitore di fantasticherie e abilità varie che passano dal ballo, al canto, al circo, alla magia, al trasformismo e a tutto ciò che esalta l’unicità che ogni interprete incarna. Il progetto vuole rendere ed estendere anche una riflessione sul mondo contemporaneo e sulla figura della donna in particolare, sempre più vittima di stereotipi. Il Burlesque è la celebrazione del corpo in tutte le sue forme, taglie e misure; diviene dunque una speciale terapia per cominciare ad accettarsi e ad amarsi. Per molte, è un vero e proprio viaggio alla scoperta di sé e del proprio potenziale. Fra circa un mese uscirà il DVD e ci saranno proiezioni con spettacoli live nelle grandi città italiane.

 

La locandina di “Burlesque Extravaganza”

Per lavoro ti capita spesso di fare la spola tra Roma e Los Angeles. Che differenze noti oltreoceano, rispetto al Bel Paese, nella percezione della figura dell’attore?

All’attore negli Stati Uniti si dà più opportunità di crescita, di preparazione e studio.  I tempi di produzione sono infatti più dilatati rispetto ai nostri.Si hanno molte più opportunità di casting e di fare audizioni. A Los Angeles puoi fare anche 5 provini al giorno. In Italia, se sei fortunato, li fai nell’arco di un anno. Sono realtà imparagonabili.

Prevedi di spostarti di nuovo dietro la macchina da presa, magari per dirigere un vero e proprio film? In quali avventure ti lancerai con la tua ZED Film Srl?

Siamo già a lavoro, stiamo producendo una storia molto bella. Il film sarà diretto da Francesco Maria Dominedò. Non posso, per il momento, dire nulla di più. Stiamo inoltre valutando moltissimi progetti tra film, documentari e videoclip.La Zed Film vuole essere una factory a capitale intellettuale, siamo convinti che le idee e le sinergie siano la nuova moneta del futuro.Per quanto mi riguarda, sto scrivendo un altro documentario ma anche su questo non posso dirti nulla.

La moda come linguaggio: incontro con Sara Schiavo

Sara in un ritratto di Nelum Francesca Caramini

Se creare, come Camus disse, è “vivere due volte”, Sara Schiavo (leggi qui l’ articolo che VALIUM ha dedicato al suo editoriale “Persinette”) si è assicurata esistenze molteplici grazie alla sua inventiva. Il senso artistico nel sangue, geniale e intuitiva, la giovane creativa romana ha messo in gioco il suo talento a 360°: l’ eclettismo è uno dei tratti che più la identifica. Un eclettismo che nel connubio tra idee e ricerca, nel continuo divenire del flusso ispirativo, nella necessità di esprimersi tramite un’ iconografia potente trova la sua linfa principale. Art director, stylist, designer, consulente, Sara, sostanzialmente, “racconta storie”. E lo fa attingendo all’ immensa forza evocativa veicolata dall’ immagine, dall’ impatto visivo.  La moda rappresenta il cardine su cui poggia la sua intera visione creativa,  un fil rouge che si snoda in un viavai di contaminazioni costanti: fotografia, arte, cinema, riferimenti storici, fiabe, personaggi, “fotogrammi” di vita quotidiana, tutto diventa prezioso materiale che alle suggestioni dona forma e concretezza. Ma non pensate ad una “moda” come pura espressione del gusto del momento; per Sara Schiavo la moda è un linguaggio che ingloba passato, futuro e presente, li mette in dialogo e non viene mai meno al suo valore comunicativo. E’ lei stessa a spiegarcelo in una torrida serata estiva, mentre a Roma l’ afa poco a poco sfuma nel rigenerante Ponentino.

La tua carriera ruota attorno al concetto di “moda”. Com’è cominciato, tutto?

Ho fatto studi artistici, ero portata per il disegno e mi è venuto naturale. Dopo il diploma in grafica pubblicitaria e la laurea in Scienze della Moda e del Costume all’ Università della Sapienza, mi sono iscritta all’ Accademia di Costume e Moda. Ho subito capito che quella sarebbe stata la mia strada. Il mio primo photo shoot risale al progetto di scouting “Final Work – Talents 2011” a conclusione dell’Accademia: contestualizzare i 5 oufit da me creati, che mi sono valsi il 3° posto e hanno sfilato ad Altaroma, è stato il cuore del lavoro. Con dei miei amici fotografi (Paula Ling yi Sun, Nelum Francesca.Caramini, Alessandro Cantarini e Martina Scorcucchi, per una volta nelle vesti di modella) abbiamo scattato alle Cave di Marmo di Carrara, perché la lavorazione della pelle degli abiti era tutto un richiamo alle forme delle rocce e alle loro venature. E’ stata una bellissima avventura, il progetto ha ottenuto molta visibilità e hanno cominciato a contattarmi diverse persone interessate a me non solo come designer, ma anche come art director e stylist. Dopo l’Accademia ho lavorato per due anni all’ Ufficio Stile di Valentino e ho collaborato con un magazine indipendente, FAMO, dove mi occupavo di moda. Dopodiché, tra consulenze e campagne pubblicitarie, ho lavorato essenzialmente come freelance. Dall’ anno scorso insegno Senso Estetico all’ Accademia delle Arti e delle Nuove Tecnologie di Roma, da giugno allo IED di Roma Styling per la moda e a tutt’ oggi, tra l’altro, faccio cool hunting per due brand: ricerco tendenze e immagini che siano di spunto per le collezioni. Mi piace molto perché la curiosità è una mia caratteristica.

Dall’ editoriale “Oh, Ophelia!” (published on Sticks and Stones agency) –  Photo by Marco Valerio Nati

Che cosa rappresenta, per te, la moda?

Un veicolo per comunicare sentimenti, per esprimere esperienza, un modo di vedere il mondo. Per me la moda non è soltanto l’abito, la tendenza del momento. E’ il linguaggio attuale, può riguardare qualsiasi contesto e qualsiasi settore: anticipa i linguaggi futuri, rimanda al passato e ti spinge a comunicarlo in modo più attuale…La moda è il mezzo di espressione più potente che esista, e per esprimersi ha infiniti modi: il design ne rappresenta solo uno.

Come hai vissuto il periodo dei tuoi studi all’ Accademia di Costume e Moda, “vivaio” di talenti illustri come – solo per citarne alcuni – Alessandro Michele, Frida Giannini e Tommaso Aquilani?

Dell’ Accademia ho un ricordo bellissimo anche perché è stato bellissimo relazionarmi con gli altri studenti. Da loro ho imparato tanto, la creatività era alle stelle e la voglia di fare altissima rispetto a quello che ci veniva proposto dall’ Accademia stessa. Abbiamo cominciato a creare delle cose tra di noi spontaneamente, per il puro piacere della sperimentazione: i costumi per le feste che organizzavamo in Accademia, gli allestimenti… E’ stato forse uno dei periodi più belli che io ricordi, perché eravamo completamente liberi e “artistoidi”!

Da “Oh, Ophelia!” – Photo by Marco Valerio Nati

Da “Oh, Ophelia!” – Photo by Marco Valerio Nati

Hai esordito come “junior designer” nel team di Valentino: un ottimo inizio, non c’è che dire. Cosa ci racconti al riguardo?

E’ stato molto costruttivo perché l’entrare subito a contatto con un’azienda così strutturata ha sicuramente accelerato la mia crescita professionale. Se oggi sono molto organizzata è perché ho lavorato da Valentino, dove tutto funzionava alla perfezione. Ho una base solida alle spalle. Mi è un po’ mancato l’aspetto della ‘libertà’: in fondo sono una “free spirit” e la vita d’ufficio non fa per me. Ma ne è valsa la pena per capire cosa volevo veramente fare. Pur lavorando tantissimo, io sentivo sempre il bisogno di stare sul set fotografico…

Che valore ha rivestito, per te, quell’ esperienza?

Quando lavoravo da Valentino, Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli erano già direttori creativi dal 2008. L’azienda, con loro, è cresciuta moltissimo. Hanno fatto un ottimo lavoro. Era bellissimo anche solo vedere quando gli abiti venivano realizzati, le vendeuse che ricevevano le ospiti nei salon Haute Couture…Ho avuto la fortuna di calarmi nelle atmosfere di una delle Maison più importanti al mondo, con un Dna fortissimo. E’ stata un’esperienza molto intensa, ma il bisogno di sperimentare fa parte di me stessa…Preferisco mettermi in gioco in realtà molteplici.

Da “The Dreamers” (published on Book Moda) – Photo by Ursu

Da “The Dreamers” – Photo by Ursu

Oggi crei nelle vesti di Art Director, Fashion Editor, designer e Fashion stylist. Qual è il ruolo che ti calza più a pennello?

La direzione artistica è il ruolo che più mi compete, perché le mie capacità organizzative mi consentono di gestirlo perfettamente. La ricerca è un’altra cosa che mi appassiona moltissimo, l’arrivare a partorire un’idea. Per me è un modo molto forte di esprimermi. Mi piace condividere e costruire le mie visioni insieme ad altri professionisti, è bellissimo così come lo è individuare i personaggi più adatti a raccontare una storia: il fotografo, la modella, la make up artist, l’hairstylist, la location, lo studio della luce e dell’atmosfera…Il gioco di squadra conduce a risultati sempre nuovi. Ho avuto anche esperienze come regista di fashion film.

A quali ispirazioni attinge la tua visione creativa?

Magari vado in macchina, per strada vedo un posto e immagino una storia. Tutto può essere fonte di ispirazione: a volte è la natura, altre l’arte, altre ancora il cinema oppure un personaggio, che sia esistente o meno. A volte delle specie di visioni che mi diverto a interpretare. Cerco sempre, dopo aver avuto un’idea, di far ricerca, di approfondire, di trovare spunti per descrivere la storia che via via si sviluppa…Per me è essenziale.

PARAKIAN Paris SS 2017 adv campaign – Photo by  Paolo Santambrogio

Esistono leitmotiv che ricorrono nel tuo immaginario artistico?

Il personaggio femminile in generale: fanciulla, donna romantica, madre, figlia. La figura femminile è per me spesso fonte di ispirazione, forse perché riesco ad immedesimarmi maggiormente. In generale, comunque, penso che i miei progetti siano tutti molto diversi tra loro perché mi piace fare cose nuove, collaborare con fotografi con stili completamente dissimili. Anche i miei fotografi preferiti hanno un’estetica personalissima, molto riconoscibile: penso ad Harley Weir, a Michal Pudelka, a Tim Walker

In che direzione evolvono i tuoi progetti futuri?

Per scaramanzia, preferirei non parlarne ancora. Sicuramente non mi fermerò!

Da “Daughters” (published on Mia Le Journal n. 2) – Photo by Sara Mautone

Da “Daughters” – Photo by Sara Mautone

Da “Devozione” (published on Liike Magazine Issue One) – Photo by Cristiano Pedrocco

Da “Devozione” – Photo by Cristiano Pedrocco

Da “Devozione” – Photo by Cristiano Pedrocco

Da “Persinette” (published on Paperonfire) – Photo by Daria Paladino

Da “Somnia Naturae” (published on Switch Magazine October Issue) – Photo by Marco Valerio Nati

Da “Somnia Naturae” – Photo by Marco Valerio Nati

CREDITS

Oh, Ophelia!” published on Sticks and Stones agency
art direction & styling Sara Schiavo
photography Marco Valerio Nati
model Alice Pagani
mua Mariangela Palatini
styling assistant Noemi Clarizio
The Dreamers” published on Book Moda
art direction & styling Sara Schiavo
 photography Ursu
models Cecile @iconmodels, Christina @iconmodels and Vittorio @iconmodels
mua & hair Claudio Ferri using Lancôme, Nars and Artego
styling assistant Giulia Mantovani and Angelo De Luca
photography assistant Franco Sassara
mua & hair assistant David Ciorba and Elena Florentina
special thanks to C.o.h.o. Loft, Rome
PARAKIAN Paris SS17 adv campaign
art direction & styling Sara Schiavo
photography Paolo Santambrogio
model Claire De Regge
mua & hair Luciano Chiarello 
styling assistant Gianluca Francese
with Chiara Giannoni, Luca Parrini and Riccardo Oggionni
special thanks for jewels Bernard Delettrez
Daughters” published on Mia Le Journal N°2
art direction Sara Schiavo
photography Sara Mautone
models Caitlin Marie @iconmodels, Patrycja Gacka & Jennifer Distaso
styling Alexia Mingarelli & Sarah Venturini
mua & hair Guia Bianchi
Devozione” published on Liike Magazine Issue One
art direction & styling Sara Schiavo
photography Cristiano Pedrocco
model Valentina Oteri
mua & hair Eleonora Juglair
styling assistant Angelo De Luca
photography assistant Taieb Ksiksi
Persinette” published on Paperonfire
art direction & styling Sara Schiavo
photography Daria Paladino
model Serena Ihnatiuc
mua Micaela Baruffa
hair Salvino Palmieri
styling assistant Noemi Clarizio
photo retouching Laura Gianetti
special thanks to Gold Fever Hair Extensions, Olga Teksheva and Coup de Théâtre
Somnia Naturae” published on Switch Magazine October Issue
art direction Sara Schiavo
photography Marco Valerio Nati
model Anna Bihas
styling Alexia Mingarelli
mua & hair Eleonora Juglair
styling assistant Gianluca Francese