L’albero di Pasqua, una tradizione tra sacro e profano

 

Quella dell’ albero di Pasqua è una tradizione che, a poco a poco, dal Nord Europa si è diffusa in molti paesi del mondo. Pare che nasca in Svezia svariati secoli orsono: lì, il Påskris (questo il suo nome) è a tutt’oggi un must delle usanze pasquali. Si tratta di ramoscelli di betulla ornati di uova, ma soprattutto di piume variopinte che rimandano a diversi possibili significati. Tra le varie ipotesi, anticamente le piume avrebbero rappresentato le setole di una scopa che aveva il compito di “spazzare via” l’Inverno per lasciar spazio alla Primavera. Allo scopo di raffigurare quest’ ultima, venivano quindi aggiunte le uova (supremo emblema di rinascita) e decorazioni che inneggiavano alla nuova stagione. Secondo altri studi, i ramoscelli simboleggiavano le scope utilizzate dalle streghe e le piume il loro librarsi in volo. In epoca medievale, infatti, in Svezia ebbe inizio la tradizione delle “Påskkärringar”, le “streghette di Pasqua”: tuttora, durante la Settimana Santa, i bambini usano travestirsi da streghette o da stregoni e bussano di porta in porta donando alle famiglie dei disegni augurali. Oppure chiedono dolcetti, monete sonanti. Ciò si ricollega a una leggenda secondo la quale le streghe, il Giovedì Santo, salivano a cavalcioni delle loro scope e volavano nell’arcana località di Blåkulla per partecipare a un Sabba che terminava la domenica di Pasqua. Questa tradizione, ovviamente, affonda le radici in antiche credenze pagane. Ma le piume che adornano il Påskris hanno anche una valenza di matrice cristiana: l’albero di Pasqua, in sintesi, equivarrebbe all’ Ulivo benedetto della nostra Domenica delle Palme. Le piume, secondo alcuni, potrebbero simbolizzare le palme che vengono distribuite ai fedeli. Un’ ulteriore ricerca fa risalire le piume a un’usanza del 1600. A quell’ epoca, durante la Via Crucis del Venerdì Santo, gli svedesi solevano fustigarsi l’un l’altro con dei rami, o dei bastoni, in ricordo della flagellazione di Gesù.

 

 

La tradizione dell’ albero di Pasqua, nel Medioevo era diffusissima nei paesi del Nord Europa e dell’ Europa centrale – soprattutto in Austria e in Germania. Inizialmente le decorazioni (fiori, uova e così via) celebravano il risveglio e la rinascita primaverile, dopodichè il Cristianesimo sovrappose a questi simboli quelli della risurrezione di Gesù. L’ albero di Pasqua divenne “l’albero della Vita”, emblema di rigenerazione e redenzione citato persino nella Bibbia: “Il Signore Iddio fece germogliare l’albero della vita in mezzo al giardino”, si legge in un passo della Genesi. Oggi, la tradizione di decorare alberi, cespugli e ramoscelli è molto sentita nei paesi germanici e scandinavi, ma anche in Alsazia, Lorena e negli Stati Uniti. Va al tedesco Volker Kraft, tuttavia, il merito di aver realizzato il primo albero di Pasqua “contemporaneo”. Nel 1965, Kraft ebbe l’idea di addobbare un piccolo melo che aveva piantato in giardino. Per la gioia dei suoi bimbi, lo decorò con diciotto uova in plastica coloratissima. Quando l’albero cominciò a crescere, Kraft continuò puntualmente ad addobbarlo. Lui e i suoi familiari, di anno in anno, aggiunsero una media di 600 uova, utilizzando delle uova da cucina abilmente dipinte o rivestite di tessuto all’ uncinetto. Nel 2015, dai rami del melo pendevano ben 10.000 uova! L’albero di Pasqua dei Kraft era diventato una vera e propria attrazione della città di Saalfeld.

 

L’albero di Pasqua della famiglia Kraft, in Germania

Come fare per realizzare un albero di Pasqua? Esistono delle regole, una procedura ben precisa da seguire? La risposta è sì. In primis, dovrebbero essere utilizzati dei rami di melo (Kraft docet) oppure di pesco, ciliegio o betulla. Bisognerebbe preparare l’albero prima dell’ arrivo della Quaresima, cosicchè possa essere esibito per 40 giorni ed oltre. E’ tassativo, inoltre, considerare un dettaglio fondamentale. A differenza dell’ albero di Natale, quello di Pasqua non si addobba una tantum: ogni giorno va aggiunta una decorazione.

 

Una card con l’albero pasquale

Un albero di Pasqua decorato con piume

 

Foto: seconda immagine dell’ albero dei Kraft, dall’ alto verso il basso, di Kora27, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

L’ Hanami, tradizione e filosofia di vita

 

” Ciliegi in fiore sul far della sera
anche quest’oggi
è diventato ieri.

(Kobayashi Issa)

 

Secondo le previsioni, in Giappone le fioriture dei ciliegi sono già iniziate. A dare il via al fenomeno sarebbe stata la città di Fukuoka, nell’ isola di Kyushu (la data fissata dai bollettini è il 17 Marzo), seguita da Tokyo (il 20 Marzo) e da Hiroshima (il 21 Marzo). Oggi dovrebbe essere la volta di Nagoya, domani di Osaka. Naturalmente, si tratta di approssimazioni: nessuno può prevedere con certezza matematica quando un ciliegio è in procinto di fiorire; l’ influenza delle condizioni meteo è decisiva. Ma i giapponesi, di anni in anno, attendono con ansia questi annunci. La Primavera per loro è tempo di Hanami, il rituale più suggestivo del paese del Sol Levante: sono disposti a raggiungere mete incredibilmente distanti e a organizzare interminabili picnic pur di ammirare le fioriture. Sotto le nuvole rosa dei Sakura – così si chiamano i fiori dei ciliegi nipponici – si chiacchiera, si beve, si pasteggia (preferibilmente con alimenti e bevande al gusto di Sakura), ma soprattutto si contempla la bellezza degli alberi in fiore. E’ uno spettacolo che dura all’ incirca due settimane, e viene vissuto ogni volta con rinnovato stupore. L’Hanami (“guardare i fiori”), una tradizione che ebbe inizio nel 700 d.C., riveste un profondo significato simbolico. Quando sboccia, il Sakura è pura meraviglia. Il suo splendore, però, ha breve durata: magnifico quanto delicato, il fiore appassisce dopo pochi giorni. Questa caratteristica lo ha reso l’emblema della caducità della vita e, secondo un concetto che ricorre nel Buddismo Zen, della natura effimera delle cose (persino di quelle durevoli in apparenza). Al tempo stesso, tuttavia, il Sakura simboleggia la rinascita e la maestosità dell’esistenza. Ogni anno continua a fiorire, ad elargire la sua magnificenza; non si cura di essere spazzato via dal vento in una manciata di giorni: una filosofia che nel corso dei secoli ha ispirato le gesta dei Samurai e dei Kamikaze della Seconda Guerra Mondiale. La dedizione profusa nella lotta, cioè, dev’essere totale e mai intaccata dalla paura della morte. Come recita un antico detto del Bushido, l’antico codice dei Samurai, “Tra i fiori, il ciliegio. Tra gli uomini, il guerriero.” E’ un motto troppo toccante per lasciarmi indifferente: non è un caso che io abbia voluto dedicare proprio all’Hanami la nuova photostory di VALIUM.

 

 

Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash

 

La colazione di oggi: le ciliegie, dalla mitologia al gusto

 

In Primavera, i suoi fiori ci lasciano senza fiato: fitti e vaporosi, si addensano in nuvole candide o tinte di un rosa delicato. Il ciliegio, non a caso, è uno degli alberi più venerati, leggendari ed emblematici sin dalla notte dei tempi. Quando il fiore diventa frutto, poi, ci attrae con la sua forma sferica color rosso fuoco, con la sua consistenza polposa e con un gusto dolcissimo. Se amate le ciliegie, e adorate degustarle anche a colazione, il post che state leggendo fa al caso vostro: scopriremo quali sono i loro benefici e qual è il ruolo che rivestono in diverse tradizioni mitologiche. Esiste un proverbio che recita: “una ciliegia tira l’altra”. Non potrebbe essere più azzeccato! Questi frutti solleticano il palato in modo tale che smettere di piluccarli sembra impossibile. Oltre ad essere deliziose, le ciliegie sono altamente salutari: abbondano di nutrienti, di vitamina C (quindi rinforzano il sistema immunitario e si rivelano un toccasana per la pelle), contengono grandi quantità di potassio (svolgendo un effetto salutare per l’ apparato muscolare, il sistema nervoso e la pressione arteriosa) e un buon numero di antiossidanti (dalle potenti virtù antietà ed antinfiammatorie). Grazie all’ azione combinata degli antiossidanti e del potassio, inoltre, contribuiscono a scongiurare le patologie cardiache. Ma le proprietà delle ciliegie ci accompagnano persino nel mondo dei sogni: ottimizzando la quantità di melatonina, infatti, favoriscono un sonno regolare e rigenerante. Ah, dimenticavo…sono povere di calorie, se ne contano solo 38 ogni 100 grammi. Per cui, via libera alle scorpacciate anche in vista della prova costume!

 

 

Grazie alla sua bontà e alle sue doti, il succoso frutto del ciliegio viene utilizzato per la preparazione di innumerevoli drink e alimenti. Per fare solo alcuni esempi: lo cherry, il maraschino, lo yogurt, la marmellata, moltissimi tipi di torte (come la crostata e la golosissima “cherry pie”) e di dessert (dai cupcakes ai croissants, passando per i cheesecakes) si avvalgono delle ciliegie sia sotto forma di ingredienti che di guarnizioni. Riguardo ai miti e alle curiosità che le riguardano, potremmo dire che sono incalcolabili almeno quanto il loro impiego culinario. Il nome “ciliegia” deriva innanzitutto dal greco “kérasos”, differenziatosi successivamente nei termini “cerasa” (in italiano), “cereza” (in spagnolo), “cherry” (in inglese) e “cerise” (in francese). Per i Greci, il ciliegio era la pianta sacra di Venere ed i suoi frutti risultavano di buon auspicio per le coppie di innamorati. Anche in Sicilia si rinviene il tema della fortuna; pare che dichiararsi sotto le fronde di un ciliegio fosse altamente beneaugurante. Secondo alcune antiche leggende Sassoni, in effetti, i tronchi dei ciliegi erano abitati da creature divine dedite alla salvaguardia dei campi. Presso altri popoli, tuttavia, alla ciliegia viene associata una valenza completamente opposta: nel folklore finlandese rappresentava un frutto peccaminoso a causa della sua nuance di rosso, mentre si narra che gli inglesi considerassero foriero di mala sorte un ciliegio visto in sogno. In Oriente, al contrario, il ciliegio assume connotazioni di meraviglia e di estrema bellezza. Se in Giappone il suo fiore è diventato addirittura un emblema nazionale, omaggiato con il rito dell’ “Hanami” (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato) nel periodo dello sboccio, la Cina lo equipara alla sensualità della donna ed alla sua beltà.

 

 

 

 

Crema al cioccolato

 

” A una base permanente di uova, di costolette, di patate, di conserve, di biscotti, che non annunziava neppure più, Françoise aggiungeva, – a seconda dei lavori dei campi e dei frutteti, delle vicende della pesca, dei casi del commercio, delle cortesie dei vicini e del suo genio, talché il nostro menu , come quei quadrifogli che nel secolo XIII si scolpivano sulla porta maggiore delle cattedrali, rifletteva un poco il ritmo delle stagioni e gli episodi della vita , – una sogliola, perché la pescivendola gliene aveva garantita la freschezza; un tacchino, perché ne aveva visto uno bello al mercato di Roussainville-Le-Pin; dei cardi con la salsa, perché non ce li aveva ancora serviti in quella maniera; del castrato arrosto, perché l’aria aperta fa un vuoto e per le sette c’era bene il tempo di mandarlo giù; spinaci, per mutare; albicocche, perché erano ancora una rarità, ribes, perché fra quindici giorni non ce ne sarebbe stato più; fragole portate apposta da Swann; ciliege, le prime che venissero dal ciliegio del giardino dopo due anni che non ne aveva più date; formaggio di panna che mi piaceva molto una volta; un dolce di mandorle, perché il giorno prima l’aveva ordinato; una focaccia, perché era il nostro turno di offrire. Quando tutto questo era finito (…) ci veniva offerta una crema al cioccolato, fuggitiva e leggera come un lavoro di occasione in cui avesse spiegato tutto il suo talento. Chi si fosse rifiutato di servirsene dicendo – Mi basta, non ho più fame – sarebbe sceso immediatamente nella categoria dei villani che, pure nel dono che l’artista fa loro di uno dei suoi lavori, guardano al peso e alla materia, dove non ha valore che l’intenzione e la forma. Lasciarne anche una sola goccia nel piatto sarebbe stata la stessa prova di scortesia che alzarsi prima del termine della sonata in faccia al compositore. “

 

Marcel Proust, da “La strada di Swann”