La colazione di oggi: 7 tipi di cioccolato con cui deliziare il palato in Inverno

 

In Inverno, assaporarlo è una delizia: la classica cioccolata calda sorbita davanti al caminetto rappresenta una scena quasi iconica, la pausa più golosa dei pomeriggi in cui la neve impazza. Ma c’è da dire che il cioccolato è un alimento ghiotto sotto qualsiasi forma si presenti. In questa rubrica ne ho parlato spesso, oggi voglio approfondirne altre particolarità. E poi, con le temperature polari che il Meteo ci annuncia, iniziare la giornata con “il cibo degli Dei” (così lo chiamavano i Maya) sarà un piacere allo stato puro! I Maya coltivavano il Theobroma Cacao, questo il nome scientifico della pianta del cacao, nella zona che attualmente comprende il Guatemala, lo Yucatàn e il Chiapas. I semi di cacao possedevano una forte carica simbolica: venivano considerati preziosi e utilizzati per il pagamento delle merci, in più si attribuiva loro una valenza divina. La definizione “cibo degli Dei” riferita al cioccolato aveva un significato ben preciso, tant’è che consumare questo alimento era permesso solo a determinate classi sociali (nello specifico i sovrani, i guerrieri più valorosi e gli aristocratici). Nel 1502, anno in cui visitò l’ Honduras e le sue isole, Cristoforo Colombo ebbe l’ opportunità di gustare il cacao e fu quasi sicuramente il primo europeo a scoprirne la squisitezza. Intorno alla metà del XVI secolo, il “cibo degli Dei” arrivò nel Vecchio Continente proprio grazie all’ esploratore genovese: al suo ritorno in Europa, infatti, Colombo donò dei semi di cacao a Ferdinando II d’Aragona e a sua moglie Isabella I di Castiglia. Da allora, per i “semi delle Americhe” iniziò una vera e propria escalation di popolarità e nel 1585 un consistente carico di cioccolato salpò dal porto di Veracruz, in Messico, per approdare a Siviglia.

 

 

Oggi, il Theobroma Cacao viene coltivato in svariate parti del mondo: paesi come la Costa d’Avorio, la Nigeria, il Ghana, il Camerun, l’Indonesia, la Papua Nuova Guinea, la Malesia, l’ Ecuador e il Brasile si contraddistinguono per la massiccia produzione di semi di cacao. In questo articolo ci focalizzeremo sulle numerose varietà di cioccolato che abbiamo a disposizione. Ai nostri giorni, possiamo contare su un’ampia scelta di tipologie associate a diversi fattori: il Paese di produzione, la forma, la tostatura e la lavorazione dei semi di cacao sono solo alcuni degli elementi che contribuiscono a “differenziare” il cioccolato. Un cioccolato propriamente detto, innanzitutto, si contraddistingue per la percentuale di cacao in esso contenuto. Può essere presente sotto forma di polvere, granelli, saccarosio, burro di cacao o cacao magro, ed esiste una regolamentazione ben precisa riguardo alla quantità da includere in ogni prodotto. Tutte le tipologie di cioccolato, come vedremo, sono fortemente influenzate da questi requisiti. Andiamo subito a scoprire le principali.

 

1. Cioccolato Fondente

 

 

Si chiama così perchè ha un gusto inconfondibile che “fonde” in bocca; è leggermente amaro, ma proprio qui risiede la sua delizia. Deve contenere almeno il 45% di cacao e il 28% di burro di cacao. Viene consumato soprattutto sotto forma di tavolette, torte e dolci al cioccolato.

 

2. Cioccolato Extrafondente

 

 

E’ un cioccolato pregiato che deve contenere almeno il 70% di cacao, e supera in molti casi questa percentuale. Raggiunge livelli di golosità assoluta declinato in tavolette o scacchi di cioccolato.

 

3. Cioccolato Amaro

 

 

“Amaro” di nome e di fatto, si realizza amalgamando la pasta di cacao con il burro di cacao ed è totalmente privo di zuccheri e di aromi. Il risultato è un cioccolato dal sapore molto intenso, utilizzato soprattutto in pasticceria: per i prodotti da forno si rivela l’ideale.

 

4. Cioccolato al Latte

 

 

Viene ottenuto grazie all’ aggiunta di latte in polvere pari al 14% del peso; altri ingredienti sono il saccarosio in una percentuale massima del 55% e almeno il 25% di cacao. Ha un gusto invitante, decisamente dolce. L’esigua quantità di cacao che contiene, tuttavia, non lo rende adatto alla preparazione dei prodotti da forno. Viene principalmente gustato in tavolette o cioccolatini, ma anche le uova di Pasqua, ad esempio, sono perlopiù a base di cioccolato al latte.

 

5. Cioccolato Bianco

 

 

Se per “cioccolato” si intende un prodotto che contiene una data percentuale di cacao, il cioccolato bianco – in teoria – non andrebbe considerato cioccolato vero e proprio. Per realizzarlo vengono miscelati infatti burro di cacao in una percentuale del 20%, latte al 14% e saccarosio pari a non oltre il 55%. Il suo colore è un bianco sporco, il suo gusto è cremoso grazie alla quantità di burro di cacao che contiene. Rispetto al cioccolato fondente la sua consistenza è più grassa, perciò lo ritroviamo specialmente sotto forma di glassa per dolci oppure di creme, mousse e dessert. E’ comunque golosissimo anche nella versione in tavolette, dove si sposa spesso ad ingredienti come i frutti di bosco, il riso soffiato e le nocciole.

 

6. Cioccolato Gianduia

 

 

E’ nato a Torino nel 1806. All’ epoca, il cacao aveva costi tutto fuorchè abbordabili e il blocco disposto da Napoleone I rendeva molto complicato reperirlo. I cioccolatieri torinesi, quindi, escogitarono una soluzione: una ricetta a base di cacao e nocciole piemontesi polverizzate. Il cioccolato originato da questa mistura, oltre ad essere più economico, aveva un gusto inedito e caratteristico che ottenne subito un enorme successo. Per prepararlo, si mescolano cacao in una percentuale del 32% e circa 40 grammi di nocciole polverizzate da distribuire per ogni 100 grammi del prodotto totale.  Il cioccolato Gianduia, rinomatissimo, si assapora in tavolette o nei caratteristici cioccolatini. Viene di frequente usato, inoltre, per farcire o guarnire prelibatezze dolciarie.

 

7. Cioccolato Aromatizzato

 

 

Proviene direttamente dal Messico. A lanciarlo sono stati i Maya: erano soliti mescolare il cacao con svariate tipologie di fiori, come i fiori d’arancio, la rosa, il gelsomino, oppure con spezie che ne esaltavano il sapore. Qualche esempio? Innanzitutto il peperoncino, seguito poi dalla cannella, dalla vaniglia e dal cardamomo. E’ sicuramente un cioccolato dal gusto intenso, originale, e conquista all’ istante.

 

 

Per quanto riguarda i benefici del cioccolato, nello specifico del cioccolato fondente, vi rimando a questo articolo di VALIUM. Volendo fare una sintesi delle proprietà del cioccolato “scuro”, comunque, eccone alcune: a livello nutrizionale è l’optimum, contiene fibre e minerali tra cui il ferro, il potassio, il magnesio, il fosforo e lo zinco. Migliora il flusso sanguigno e contribuisce ad abbassare la pressione, scongiura le patologie cardiache anche grazie alla presenza dell’acido oleico, un grasso che è un toccasana per il cuore. Contiene antiossidanti in dosi massicce, contrasta il colesterolo “cattivo” e incrementa quello “buono”, potenzia le funzioni cerebrali. Non dimentichiamo poi la sua funzione energetica, che lo rende l’ideale per la prima colazione. Consumato in quantità modica, insomma, il cioccolato fondente è un’autentica miniera di benessere per l’organismo. E quello bianco? Tra le sue doti troviamo un’ elevata concentrazione di calcio, la presenza della Vitamina B2 (riboflavina) e della Vitamina A (retinolo), molto importante per la vista e per la salute delle ossa e dei denti. La Vitamina A è anche un buon rinforzante del sistema immunitario e pare che abbia delle discrete proprietà antitumorali.

 

 

 

 

La colazione di oggi: il mais, dalla civiltà Azteca ai nostri giorni

 

Si chiama mais, ma il suo nome scientifico è Zea Mays L. ed appartiene alla famiglia delle Graminacee. Cresce nei climi tropicali o temperati e in molte aree del globo, soprattutto in America Latina, costituisce l’alimento base dei pasti giornalieri: in Messico, dove affonda le sue radici, gli Aztechi lo elessero a ingrediente principale della loro cucina. Prende il nome dallo spagnolo “maiz”, ma è stato ribattezzato granturco – vale a dire “grano turco” – per conferirgli un tocco esotico e differenziarlo dal grano tenero. Come consumarlo a colazione? In svariati modi: sotto forma di torte, muffin, pannocchie alla griglia o arrostite, chicchi tostati, focacce di mais, corn flakes da mettere nel latte, popcorn… L’Autunno è la stagione migliore per gustarlo: la raccolta del mais avviene tra Agosto e Settembre, perciò rappresenta uno degli alimenti clou di questo periodo dell’ anno. Anche perchè è ricco di proprietà salutari; basti pensare che condivide la sua famiglia di appartenenza, le Graminacee, con cereali come l’ orzo, il riso, l’avena, il frumento e la segale, tutti alimenti decisamente benefici. Essendo una pianta monoica, il mais è composto da due distinte infiorescenze: quella femminile, conosciuta come “pannocchia”, in realtà è una spiga (botanicamente detta “spadice”) su cui sono fissate le cariossidi (ovvero i chicchi). Quella maschile è posizionata in cima al fusto e viene spesso indicata come “spiga” a causa del suo aspetto. La fecondazione ha luogo tramite il vento, che disperdendo il polline dà origine alle cariossidi; i chicchi del mais, fissati su un asso cilindrico centrale chiamato tutolo, hanno differenti colorazioni: la tipica tonalità giallo-arancione è dovuta alla produzione dei carotenoidi, mentre le antocianine determinano cromie che spaziano dal rosso al nero.

 

 

L’ appartenenza alle Graminacee e i semi abbondanti di amido rendono il mais un cereale a pieno titolo. Con il granturco si producono farine, olio, bevande alcoliche…è un alimento versatile e ottimo a livello nutrizionale. Innanzitutto, ha proprietà altamente energizzanti. Contiene macronutrienti come i carboidrati in gran quantità, fibre, minerali quali il potassio, il sodio, il calcio, il ferro, il magnesio, il selenio, vitamina A e vitamine del gruppo B in dosi massicce. Le virtù antiossidanti di molti dei suoi sali minerali, unite al betacarotene che l’organismo converte in vitamina A, contrastano i nefasti effetti dei radicali liberi prevenendo l’ invecchiamento cellulare e lo sviluppo di patologie neurologiche e tumorali. Anche l’acido ferulico contenuto nel mais svolge un’ efficace azione anticancro. Il granturco possiede poi spiccate virtù antinfiammatorie, regolarizza l’ intestino, è un buon antidiuretico e cicatrizzante. La presenza del ferro, unitamente a quella dell’ acido folico e delle vitamine del gruppo B, contribuisce a combattere l’anemia. Le antocianine che determinano la colorazione rossa, viola e nera del mais sono flavonoidi, quindi dei potenti antiossidanti: oltre a mettere KO i radicali liberi, svolgono un’azione protettiva nei confronti delle cellule, dei tessuti e di tutto l’organismo. I carboidrati forniscono energia, l’assenza di lipidi e colesterolo lo rendono un toccasana. Gli acidi fenolici calibrano il rilascio dell’ insulina e sono un valido aiuto per i diabetici. Il mais, inoltre, viene digerito molto facilmente. Essendo privo di glutine è un alimento perfetto per chi è affetto da celiachia; anche l’amido di mais, una farina detta maizena, risulta l’ideale per i celiaci e può sostituire la farina di grano. Il selenio contenuto nel granturco è benefico ad ampio spettro: protegge l’apparato cardiovascolare ed è un eccellente antiossidante, mentre l’acido folico è in grado di abbassare i livelli di colesterolo contrastando l’ arteriosclerosi e le patologie cardiache. Ultimo ma non ultimo, minerali quali il ferro e il fosforo sono efficacissimi per mantenere la mente e la memoria in costante allenamento.

 

 

Passiamo ora a qualche cenno sulla storia del mais. Il granturco vanta origini antichissime: nel Mesoamerica veniva coltivato da diversi millenni prima della nascita di Cristo. I Maya e gli Olmechi si dedicarono alla coltura di un gran numero di varietà, che dal 2500 a.C. in poi vennero diffuse nel continente americano. In Europa il mais arrivò nel 1493: era uno dei prodotti che Cristoforo Colombo portò con sè dopo aver scoperto l’America. Inizialmente fu coltivato soprattutto in Spagna, nella Francia del Sud, in Italia e nei Balcani, ma la massiccia espansione del cereale si verificò a partire dal 1700. A quell’ epoca, la crescita demografica e il proliferare delle carestie spinsero a considerare la coltivazione del mais più proficua rispetto a quella del miglio e dell’ orzo. Intorno alla metà del XVIII secolo, era già diventata la coltura principale. Nelle campagne la sua diffusione fu tale da tramurarsi nell’ alimento attorno al quale ruotava tutta la dieta. Ciò determinò conseguenze nefande: il popolo si nutriva esclusivamente di mais e di polenta (che si prepara con la farina del mais), ma diete di questo tipo, completamente prive di niacina assimilabile, causano una malattia chiamata pellagra. La pellagra continuò a imperversare fino ai primi anni del 1900 rimarcando quel grave deficit nutrizionale.

 

 

Ho già accennato a inizio articolo cosa potete preparare utilizzando il mais. Per la prima colazione il focus è sulla sua farina: con essa si realizza la polenta, ma anche il pane e innumerevoli tipologie di dolci, biscotti e dolcetti, addirittura delle speciali torte di polenta. Se volete celebrare le origini dell’ alimento, cercate in rete la ricetta del champurrado, la tipica cioccolata calda messicana. Oppure, sempre a colazione, potete degustare il granturco sotto forma di corn flakes, chicchi lessati o tostati da consumare da soli o insieme ad ogni genere di spuntino. Chi ama il salato a inizio giornata potrà concedersi dei tocchetti di pannocchia al forno insaporita di burro, sale e pepe: negli Stati Uniti, le pannocchie al burro sono la norma. Oggi si condiscono addirittura con il ketchup, la senape o la maionese; tutte idee che fanno gola, ma…attenzione a non esagerare!

 

 

 

 

La colazione di oggi: sapore di Tropici con l’ananas

 

L’ estate è ormai entrata nel vivo. Non è un caso che il protagonista della colazione di oggi sia un frutto che, più di ogni altro, è sinonimo di Tropici, climi torridi e paesi esotici: signore e signori, diamo il benvenuto all’ ananas! Originario dell’ America Latina e trapiantato nelle isole del Caribe, correva l’ anno 1493 quando Cristoforo Colombo lo notò a Guadalupa. Non molto tempo dopo venne trasportato in Europa, dove sia gli spagnoli che gli inglesi contribuirono a diffonderlo in tutto il continente . Possiamo dire che sia stata un’ ottima idea, dato che l’ ananas è ricco di proprietà benefiche. Questo frutto della famiglia delle Bromeliaceae ha un aspetto inconfondibile e un sapore dolce, succoso, invitante. Le sue innumerevoli virtù curative, inoltre, lo hanno reso popolarissimo presso molte tribù indigene del Sudamerica. L’ ananas ha il vantaggio di poter essere consumato nei modi più disparati, quindi è facilmente fruibile: tagliato a fette viene adoperato per preparare o per guarnire i dolci, il pane, lo yogurt e i pasticcini, è un ottimo ingrediente da inserire nei frullati e dal succo ricavato dal frutto si ottengono bevande squisite.

 

 

Passiamo subito alle proprietà: l’ ananas è un frutto dolce, ma ipocalorico. Annovera, infatti, pochissime calorie. La sua polpa (e soprattutto il suo gambo) contengono dosi massicce di bromelina, un gruppo di enzimi dalle potenti virtù digestive,  antinfiammatorie, antiossidanti e anticoagulanti. Essendo molto ricco di acqua, l’ ananas contrasta la ritenzione idrica; tra i carboidrati presenti nel frutto si segnalano zuccheri quali il fruttosio, il glucosio e il saccarosio. Pur essendo privo di un’ elevata quantità di fibre, l’ ananas è un vero e proprio scrigno di micronutrienti: contiene vitamina C, vitamina E, minerali come il potassio e il magnesio, ma anche il ferro, il calcio, lo zinco e il fosforo, sebbene in dosi minori. Nello specifico, i vantaggi che si ricavano da questi elementi sono molteplici: il magnesio è un toccasana per il sistema nervoso, per il benessere delle ossa (insieme al calcio) e per il metabolismo. La vitamina C rafforza il sistema immunitario, contribuisce alla sintesi del collagene risultando un efficace antiossidante e favorisce l’assorbimento del ferro nei globuli rossi. Il potassio, dal canto suo, è una miniera di benefici per la muscolatura e per l’equilibrio della pressione arteriosa. Il più importante punto di forza dell’ ananas, comunque, rimane la bromelina: se volete godere appieno delle sue proprietà,  cercate di evitare l’ ananas sottovuoto (soggetto a dei processi che la azzerano) e privilegiate il frutto fresco.

 

 

Riassumendo le doti dell’ ananas, possiamo affermare che è un frutto salutare a tutti gli effetti. La bromelina, in particolare, si rivela portentosa sotto molteplici aspetti: viene addirittura utilizzata nel settore della cosmesi per realizzare prodotti che nutrono la pelle. E’ inoltre un valido antitumorale, agisce a sostegno del sistema immunitario, combatte la cellulite e la ritenzione idrica. Per l’ esecuzione di molti preparati (ad esempio, diversi prodotti erboristici) si utilizza in gran parte il gambo dell’ananas, che come abbiamo già accennato è straordinariamente ricco di bromelina. Il gruppo di enzimi che compone questa sostanza possiede spiccate proprietà antinfiammatorie ed è indicato, quindi, nei confronti di tutta una serie di patologie. Qualche esempio?  L’ asma, l’atrite, le ferite, le ustioni…Non va trascurata, poi, la funzione principale della bromelina: quella di incrementare il metabolismo.

 

 

Siamo arrivati al tema “curiosità”, e bisogna dire che l’ ananas ne vanta parecchie. Scientificamente il suo nome è “Ananas Comosus”, ma venne battezzato “nana” dagli indios Tupi Guaranì del Brasile. Il significato del termine? “Delizioso”. I portoghesi si ispirarono a quell’ appellativo mutandolo in “ananaz”, mentre gli spagnoli gli diedero il nome di “piña”, da cui deriva l’ anglosassone “pineapple”. A proposito di spagnoli, pare che il re Carlo V non osò mai mangiare un ananas perchè temeva che nascondesse qualche insidia al suo interno. Non la pensavano così gli inglesi, per i quali il frutto divenne un simbolo di festa e di buone notizie. Ad esempio, quando le navi ritornavano dalle Americhe, i capitani solevano far penzolare un ananas dai loro portoni per comunicare alla città che erano di nuovo a casa. La particolare forma del frutto, considerata originale e bellissima, fece sì che l’ ananas fosse considerato di buon auspicio. Ecco perchè è un elemento ornamentale ricorrente di certi antichi palazzi patrizi, delle loro cancellate e persino del loro home decor. In Scozia, a titolo esemplificativo, la dimora di Dunmore Pineapple (datata 1761) è diventata celebre per la sua torretta con un tetto che riproduce un ananas in cemento.

 

 

 

 

Sirene

 

” Le sirene esistono? O forse non sono altro che il sogno di inchiostro di un polpo geniale che si diverte a disegnarle nell’acqua e a farle apparire ai marinai inconsapevoli? Questo polpo ha il talento di un pittore e nessuno lo sa.”
(Fabrizio Caramagna)

Quella delle Sirene è una storia antica: affonda le radici nella mitologia greca, che le raffigurava come donne dal viso umano su un corpo piumato di uccello. La loro voce, però, era talmente affascinante che riusciva ad ammaliare chiunque. Nel Medioevo, la rappresentazione di queste incantate creature mutò completamente e cominciarono ad assumere l’aspetto di giovani donne con una coda di pesce invece delle gambe. Intorno all’ VIII secolo d.C., ibridi metà donna e metà pesce erano già stati catalogati in un volume, il Liber Monstrorum de Diversis Generibus, una sorta di inventario di tutti gli esseri viventi “portentosi” – non conformi, cioè, agli standard fisici dell’ epoca. L’ italiano “sirena” deriva dal greco “siren”. Ricorderete bene il ruolo delle Sirene nell’ “Odissea” di Omero: anche allora (tra il 700 e l’800 a.C.) venivano descritte come delle incantatrici, abitanti di un’ isola che alcuni studiosi collocarono a sud della penisola di Sorrento, altri tra Scilla e Cariddi, avvezze ad attirare i marinai con il loro canto per poi divorarli ed ammassarne le ossa sulla scogliera. Omero narra che tentarono Ulisse senza riuscire, però, ad ingannarlo. Grazie all’ aiuto della maga Circe, infatti, il suo equipaggio superò l’ insidiosa isola con dei tappi di cera nelle orecchie; Ulisse, non smentendo il proprio spirito avventuroso, fece a meno dei tappi ma chiese di essere incatenato all’ albero della nave. Udì il seducente canto delle sirene, tuttavia resistette e non cadde in trappola. Le doti ammalianti delle Sirene, a differenza del loro aspetto che variò nel tempo, rimasero una costante. Nel Medioevo le “donne-pesce” erano considerate il simbolo della vanità e della lussuria, non a caso appaiono di frequente nei bestiari che adornano le chiese romaniche. Scolpite sui capitelli o sulle facciate, le Sirene, con il busto voluttuoso e il magnetismo nello sguardo, incarnavano la quintessenza del peccato: l’ ambiguità della seduzione che prima attira a sè e poi sopprime, la parvenza maliarda che nasconde l’ inganno. Non c’è bisogno di dire, quindi, che la loro presenza nella chiese era un monito a tenersi alla larga dalle tentazioni. In quasi tutte le culture antiche, le Sirene venivano dipinte come creature infidamente seduttive. Fu probabilmente Hans Christian Andersen, nel 1837, a ribaltare quel canone: ne “La Sirenetta”, la protagonista della fiaba si dà la morte affranta dall’ impossibilità di coronare il suo amore per il Principe. Ma le Sirene sono sempre e solo state figure mitologiche tout court?

 

 

Era il 1493 quando nientemeno che Cristoforo Colombo dichiarò di averne viste tre mentre emergevano dalle profondità del mare. Anche alcuni uomini dell’ equipaggio di Henry Hudson, nel 1608, sostennero di aver scorto una sirena dai lunghi capelli neri durante un viaggio di esplorazione nell’ Oceano Artico. Altri avvistamenti risalgono alla seconda metà dell’ Ottocento e al 1967: entrambi riguardano la costa pacifica del Canada. In questi giorni che molti di noi si apprestano a vivere in vacanza, magari al mare, che ne dite?, imbattersi in una mitologica creatura acquatica potrebbe essere un’ eventualità possibile?