Tendenze AI 2023/24 – Un inverno coi fiocchi

Marie Adam-Leenaerdt

Il fiocco, elemento ornamentale per eccellenza dell’Haute Couture, si trasferisce sulle passerelle del ready to wear declinandosi nelle più disparate versioni. Le collezioni dedicate alla stagione fredda lo vedono protagonista sotto molteplici forme: diventa parte integrante dell’outfit, lo decora, sostituisce la sciarpa, la collana e la cintura. Molti look ne contengono più d’uno; questa molteplicità riguarda anche le sue dimensioni, molto grandi, medie oppure decisamente mini, ma sempre rilevanti dal punto di vista della struttura dell’abito. L’Autunno Inverno 2023/24 sancisce il suo trionfo: il fiocco è stato proposto dalle Maison storiche così come dai brand avantgarde. E voi, in quale variante lo preferite?

 

Anel Yaos

Thom Browne

Compte

Noir Kei Ninomiya

Saint Laurent

Buzina

Simorra

Balmain

AZ Factory

Dino Alves

Habey Club

Maison Margiela

Gonçalo Peixoto

Tokyo James

Nina Ricci

Ujoh

 

Castagne e marroni: quali differenze?

 

 

Castagne e marroni sono lo stesso frutto? La risposta è no, ma bisogna conoscerli bene per cogliere loro differenze. Vi ricordo innanzitutto che VALIUM ha già parlato approfonditamente della castagna: potete cliccare qui per rileggere l’articolo. Proseguo poi col dirvi che, nel 1939, venne addirittura emesso un regio decreto per sancire la diversità tra castagne e marroni. Le distinzioni riguardano principalmente l’origine, l’involucro, la forma e le dimensioni, ma anche il gusto. Scopritele tutte leggendo qui di seguito.

L’ORIGINE

La castagna proviene da un albero selvatico, il castagno (Castanea sativa è il suo nome botanico), che cresce spontaneamente nelle aree montane e submontane. I ceti indigenti del Medioevo, impossibilitati a sfamarsi, si cibavano dei suoi frutti ricchi di nutrienti e lo ribattezzarono “albero del pane”. La pianta del marrone, invece, è una pianta coltivata ottenuta tramite incroci e innesti.

L’INVOLUCRO

Il riccio delle castagne, o “cupola”, può racchiudere fino a sette frutti, quello del marrone non ne contiene più di tre.

 

 

IL PERICARPO, OVVERO LA BUCCIA

Il pericarpo della castagna è liscio, duro, di color marrone scuro. I marroni hanno la buccia di una tonalità più chiara, un marrone che vira al rossiccio e presenta delle venature beige.

L’EPISPERMA, OVVERO LA PELLICOLA

E’ la sottile pellicina che avvolge il seme, separando buccia e frutto. Le castagne possiedono un episperma spesso, che aderisce fortemente al frutto e in molti casi penetra nella sua polpa: per questi motivi non è raro che rimuoverlo sia un’operazione complicata. L’ episperma dei marroni è vellutato e compatto, perciò spellarli risulta molto più semplice.

 

 

L’ILO, OVVERO LA BASE DEL FRUTTO

Anche detta Cicatrice Ilare, è la parte più chiara delle castagne e dei marroni, quella posizionata alla loro base. Le dimensioni sono variabili, la superficie esibisce una serie di raggi a forma di stella, residui di peluria e granuli puntiformi. Le castagne hanno un ilo tondeggiante, i marroni vagamente rettangolare.

LA FORMA

La castagna, costretta a convivere con molti altri esemplari all’interno del riccio, esibisce una caratteristica parte piatta, come schiacciata. Il marrone ha una forma più tonda, non di rado paragonata a un cuore: ciò è particolarmente evidente nei marron glacés.

 

 

LE DIMENSIONI

La castagna, racchiusa nel riccio in numerosi esemplari, si presenta più piccola rispetto al marrone. Quest’ultimo è facilmente distinguibile per le sue grandi dimensioni.

IL SAPORE

Quello dei marroni è più dolce, più “croccante” e profumato. Ciò non toglie che anche la castagna abbia un gusto gradevole, tuttavia risulta meno intenso. Entrambe ricche di proprietà nutrizionali, queste due eccellenze italiane sono molto utilizzate in cucina. Ma mentre le castagne si degustano principalmente arrosto, per insaporire piatti tradizionali come le zuppe e gli arrosti o sotto forma di farine per prodotti da forno, i marroni proliferano in pasticceria: con essi si preparano i marron glacés, per fare un esempio, e moltissimi altri dolci. Anche la cucina tipica si avvale di frequente dei marroni e delle castagne, basti pensare a ricette quali il castagnaccio, le frittelle e la polenta. Le due tipologie del frutto trovano inoltre un vasto impiego nella preparazione di creme e deliziose marmellate.

 

 

Foto via Piqsels e Unsplash

 

Un Halloween da paura

 

“Halloween è il giorno in cui ci si ricorda che viviamo in un piccolo angolo di luce circondati dall’oscurità di ciò che non conosciamo. Un piccolo giro al di fuori della percezione abituata a vedere solo un certo percorso, una piccola occhiata verso quell’oscurità.”
(Stephen King)

 

Nel corso degli anni, VALIUM ha più o meno raccontato tutto su Halloween, che in origine era Samhain (in irlandese antico, “fine dell’estate”): le sue radici celtiche, la sua valenza di spartiacque tra il semestre della luce e il semestre oscuro. Per i Celti, l’anno iniziava con quest’ ultimo. A Samhain si festeggiava il Capodanno, un momento cruciale rispetto al ciclo delle stagioni; nel calendario agricolo, sanciva il passaggio dall’ ultimo raccolto alla preparazione alla semina. Ma perchè il 31 Ottobre viene da sempre associato alle tenebre, al funereo, all’ orrore? In realtà si tratta di caratteristiche che hanno enfatizzato, distorcendolo, lo spirito originale della festa. A Samhain, la mezzanotte era un’ ora fondamentale. Contrassegnando il termine di un ciclo e il principio di quello successivo, apparteneva a un livello atemporale: era un tempo che andava al di là del tempo. Il fatto che non avesse una collocazione cronologica ben definita, eliminava ogni barriera tra la realtà tangibile e le altre dimensioni. Lo scoccare della mezzanotte coincideva, quindi, con l’istante magico in cui il mondo dei vivi e il mondo dei morti si incontravano, entravano in comunicazione. L’ oltretomba, tuttavia, non era legata ad alcuna valenza orrorifica. I Celti celebravano la vita nella morte, perchè ogni morte è un nuovo inizio e una rinascita in un’altra dimensione. Il contatto con il soprannaturale si manifestava anche nella pratica della divinazione, che in questo periodo era diffusissima. Samhain veniva festeggiato con banchetti che andavano avanti per giorni: si brindava all’ultimo raccolto dell’anno, si mangiava la carne del bestiame macellato a causa della scarsità di foraggio. Il fuoco era un elemento molto importante. Simboleggiava la scintilla della nuova vita, della risurrezione primaverile. La sera del 30 Ottobre (Samhain, con ogni probabilità, si celebrava in una notte di luna piena della fine del mese) il fuoco doveva essere spento in tutte le case, dopodichè gli abitanti dei villaggi si recavano sulle colline dove attendevano che la stagione della luce lasciasse il posto alla stagione oscura. In quel preciso istante, nel silenzio generale, il buio veniva squarciato dalle fiamme del sacro fuoco che i Druidi avevano acceso.

 

 

I festeggiamenti avevano inizio, la gioia esplodeva e coinvolgeva tutti i partecipanti. Poi, all’ alba, ognuno scendeva dalla collina munito di una torcia che ardeva del sacro fuoco dei Druidi: con quella torcia avrebbe riacceso il focolare nella propria casa. Il fuoco della notte di Samhain rivestiva un ruolo specifico anche per gli spiriti dei defunti. Illuminava la strada alle anime smarrite, le aiutava a raggiungere o a ritrovare la dimora eterna. Parlando di spiriti entrano in scena i rituali, le antiche tradizioni. In Scozia, i giovani celebravano il Capodanno Celtico annerendosi il volto, velandolo o celandolo tramite maschere per impersonare i defunti. La barriera tra il regno dei vivi e quello dei morti crollava generando scompiglio, confusione: i ragazzi si vestivano da ragazze e viceversa, si ordivano scherzi come lo scambio dei cavalli o la sparizione degli aratri. Riemerge costantemente l’ambivalenza tra vita e morte, luce e oscurità. La stessa dea della Terra incarnava una forza oscura, che versa lacrime perchè il suo amante, il dio della Vegetazione, è sparito nell’ oltretomba, ma porta in grembo il seme della vita futura che fiorirà in primavera. Una delle tradizioni più note della notte di Samhain era quella di apparecchiare la tavola anche per i defunti: si lasciava loro del cibo, si sistemavano le sedie davanti al focolare in previsione di una loro visita. Le finestre e le vie venivano illuminate per guidare gli spiriti lungo il percorso, ma a questa funzione adempiva altresì la luna piena.

 

 

I falò che si accendevano su tutte le colline della Britannia e dell’ Irlanda avevano lo scopo di ridar vigore al dio morente, di portare nel nuovo anno la sua luce. L’usanza di indossare una maschera, di dipingersi il volto o vestirsi di nero, invece, era tipica delle streghe ai tempi dell’Inquisizione: quei travestimenti le aiutavano a mimetizzarsi nella notte e a terrorizzare gli inquisitori quando si spostavano da una congrega all’altra. La paura e i cammuffamenti, con il passar del tempo, sono diventati parte integrante della festa di Samhain. E a tutt’oggi rimangono intatti: dopotutto, come dice lo sceriffo Brackett nel film “Halloween – La notte delle streghe” di John Carpenter, “E’ Halloween: tutti hanno diritto a un bello spavento!”

 

 

 

Giambattista Valli Haute Couture PE 2021, volumi maestosi e sontuosità regale

 

Che cos’è l’ Haute Couture per Giambattista Valli? In primis, volume e maestose dimensioni. Come ha detto a Vogue.com: “L’ alta moda riguarda i volumi. Quando disegni prêt-à-porter, devi essere un designer. Quando crei Haute Couture, devi essere uno scultore. E’ la differenza che sussiste tra il costruire uno spazio e l’ arredarlo. ” Riporto questa citazione perchè mi sembra un’ affermazione chiave. A fare da fil rouge alla collezione di Haute Couture Primavera Estate 2021 di Giambattista Valli, infatti, è una sontuosità regale. I suoi celebri abiti di tulle ornati da un tripudio di balze e ruches vengono elevati a un ulteriore livello di opulenza, abbracciando una preziosità scultorea. I volumi (soprattutto delle gonne) si amplificano, gli strascichi regnano sovrani, le ruches si infittiscono e moltiplicano, sui capi in taffetà sembrano scolpite. Non è un caso che il mini film di presentazione della collezione sia ambientato a Siviglia, e che le immagini dei suoi monumenti, dei suoi patios spettacolari, si affianchino costantemente ai look sfoggiati dalle modelle. E’ un dialogo tra un’ architettura fastosa e delle altrettanto fastose creazioni, dove i colori che prevalgono rimandano a quelli del “traje de Flamenca” andaluso: rosso, nero e bianco, anche se non mancano il giallo, il pesca e il caratteristico rosa tenue delle nuvole di tulle griffate Valli. Gli abiti sono splendidamente teatrali, ma eterogenei. Risaltano modelli con gonna ampissima, ricca di balze impalpabili o miriadi di ruches, mise dotate di lunghe maniche piumate che rievocano la grazia di un cigno, corpetti rossi plasmati su grandi rose in tulle, gilet impreziositi da sofisticatissime applicazioni floreali, tuniche greche con tanto di strascico, soprabiti che ostentano cascate di volants eterei come zucchero filato. A predominare è una femminilità enfatizzata e potente, valorizzata dalle acconciature ideate da Odile Gilbert: le chiome, voluminose al pari degli abiti, diventano “importanti” grazie a un utilizzo massiccio dei toupet e si adornano di vistosi fiocchi e fiori. Riaffiorano alla mente gli hair look anni ’60 di top del calibro di Marisa Berenson, Isa Stoppi, Benedetta Barzini…reminiscenze che il make up firmato da Karin Westerlund, un trionfo di eyeliner per esaltare lo sguardo, rifinisce a regola d’arte.

 

 

Visita il sito di Giambattista Valli per ammirare la collezione completa

 

 

L’ accessorio che ci piace

 

Nasce all’ insegna di un mood quasi “mistico”, dove la sacralità barocca di Dolce & Gabbana viene meravigliosamente tradotta in stile. La Devotion Bag venne lanciata, infatti, durante la sfilata della collezione Autunno Inverno 2018/19: “Santa Moda”, “Fashion Devotion” e “Fashion Sinner” erano solo alcuni degli slogan che campeggiavano sugli oufit. I codici del brand si aggiornavano alla contemporaneità avvalendosi della consueta ironia e sottolineando una squisità sartorialità. Volando sulle ali di un drone, la Devotion fece la sua prima comparsa in passerella lasciando stupefatto il pubblico, che da allora non ha mai smesso – tanto per usare un verbo pertinente – di adorarla. Oggi, la celebre borsa di Dolce & Gabbana si declina in una miriade di materiali, stili e dimensioni; non c’è bisogno di dire che il suo fascino, se mai ve ne fosse stato bisogno, sia aumentato in modo esponenziale. A VALIUM piace particolarmente in versione mini (misura 19 x 13 cm) e tinta di una splendente nuance di fucsia.

 

 

Questa top handle è stata appositamente pensata per le occasioni speciali: creata in nappa mordoré, è un piccolo gioiello di preziosità. Dotata di manico e di tracolla removibile, colpisce soprattutto per la sofisticata chiusura gioiello che, ispirandosi ad una delle iconiche rivisitazioni di Dolce & Gabbana del Sacro Cuore di Gesù, riproduce un cuore dorato intarsiato di perle. Persino la tracolla rimanda al savoir faire dell’ Alta Gioielleria. L’ interno della borsa, dunque, non poteva che essere pregiatissimo, completamente realizzato in vitello ed arricchito da una tasca piatta. La Devotion Bag ci piace perchè è un perfetto connubio di “cool” e “chic”, è un cult senza tempo e la gradazione di fucsia sfoggiata da questo modello è una delle nostre preferite (ma la palette include anche l’oro, l’argento e il rosa cipria). Possiamo star certi, in sintesi e rifacendoci un po’ alla giocosità tipica di Dolce & Gabbana, che è una borsa a cui…saremo sempre devoti!