Scegli una carta: il Sole

 

Ricordate il meraviglioso corto “Le château  du Tarot”, che Matteo Garrone ha girato per presentare la collezione Haute Couture PE 2021 di Dior ? (rileggi qui il post che gli ha dedicato VALIUM) Si apriva con la scena in cui una veggente diceva alla protagonista “Choisis une carte”. Bene: se dovessimo scegliere una carta dei Tarocchi ora, sarebbe senz’altro quella del Sole. Il sole che, sempre più torrido, è già diventato il sovrano assoluto dell’ estate. Il sole accompagnato da temperature infuocate, che temporaneamente ci danno tregua con qualche pioggia, grandinata o temporale prima di ritornare con ancora maggior impeto. Per molti di noi, in questi giorni, la carta del Sole non potrebbe che essere associata a connotazioni negative: alzi la mano chi non si ritrova a rimpiangere le estati pre-cambiamenti climatici, o magari le magiche nevicate invernali. In realtà, per i Tarocchi, il Sole – diciannovesimo degli arcani maggiori, le 21 carte più ricche di valenze esoteriche – si ricollega alla positività, alla luce, alla chiarezza.

 

 

La carta del Sole è contraddistinta dall’ illustrazione di un sole antropomorfo, che irradia lunghi raggi, nella parte superiore; la parte inferiore, invece, solitamente raffigura due gemelli o, in alternativa, un bambino a cavallo, due amanti oppure ancora un girasole. Per ricoprire un significato beneaugurale il Sole dei Tarocchi deve uscire “al dritto”, cioè non capovolto. In questo caso indica che stiamo percorrendo un tragitto su cui risplende la luce, chiaro e limpido, destinato ad essere coronato dal successo. La vittoria e il superamento degli ostacoli sono insiti nella carta stessa, dove le figure del bambino o dei gemelli denotano crescita, gioia nell’ essere baciati dai raggi del sole. Molto importante è anche il cavallo, che prosegue impavido e senza incertezze giacchè la luce rende nitido il cammino. Se esce la carta del Sole, quindi, bando ai tentennamenti e via libera a qualsiasi obiettivo intendiamo perseguire. Nel caso in cui si presentassero difficoltà lungo il percorso, verranno risolte facilmente grazie alla luminosità che lo rischiara.

 

 

Ma esistono anche valenze negative, correlate alla carta del Sole? Certamente, come vi accennavo. Se si presenta capovolta, il suo significato è molto diverso: la luce ci abbaglia e illumina il nostro tragitto solo illusoriamente. La positività che riscontreremo è apparente e nasconde problemi, insidie o ostacoli che dovremo prima o poi affrontare, oppure che ignoriamo volontariamente. Il Sole “al rovescio” può suggerirci che puntiamo troppo su noi stessi senza accorgerci degli altri, invitandoci a una maggiore umiltà. La luce solare, quindi, che sembra brillare instancabilmente, prima o poi si spegnerà lasciandoci soli…e con le nostre magagne irrisolte.

 

 

 

“Fashion Confidential”: dietro le quinte della moda con Mariella Milani

Un ritratto fotografico di Mariella Milani (foto © Simona Filippini)

In TV, al Tg2, incastonati tra le notizie di cronaca, sport ed economia, spiccavano i servizi dedicati alla moda: erano piacevoli parentesi, preziose oasi di evasione dove una voce fuori campo commentava, con garbo unito a una sottile arguzia, le creazioni più sublimi proposte dai couturier e i look di volta in volta chic, minimal o eccentrici che sfilavano in passerella. Quella voce, inconfondibile, apparteneva a Mariella Milani, giornalista e critica di moda che vanta una carriera di ben 33 anni in RAI. Per me, televisivamente parlando, dire “fashion world” e dire “Mariella Milani” sono ancora oggi un tutt’uno. Adoravo il suo eloquio, la sua narrazione; il suo modo di raccontare la moda che risultava coinvolgente per qualsiasi tipologia di spettatore, dall’ “archetipa” casalinga di Voghera ai più quotati esperti del fashion system. Con lei, quel mondo spesso considerato effimero, esclusivo, distante dalle esigenze della gente comune, si calava felicemente nella realtà quotidiana. La Milani era in grado di esaltare l’ eccellenza sartoriale di un abito e, al tempo stesso, di illustrare con bonaria ironia certe eclatanti stravaganze. Inutile dire che il pubblico televisivo, perlopiù ancorato al concetto di portabilità dei capi, la venerasse. Questo suo tipo di approccio, che contribuiva senza dubbio ad avvicinare la moda alle masse, probabilmente scaturiva da un background professionale che aveva incluso ruoli di conduttrice del Tg2, cronista d’assalto, inviato speciale, capo redattore, autrice di reportage…Settori molto lontani dalla moda ma quanto mai contigui alle problematiche sociali, agli umori della gente. Un’ esperienza culminata con “Diogene”, la sua, rubrica quotidiana che la vedeva nelle vesti di paladina dei diritti dei consumatori. Al “fashion”, la Milani è approdata nel ’94 e sarà lei stessa, nella conversazione che segue, a raccontarci in che modo. Va detto che, da allora, il suo amore per la moda (seppure mantenendo sempre un occhio critico) si è elevato a livello esponenziale. Oggi del “regno delle passerelle” parla su Instagram, dove organizza dirette, dialoghi virtuali con i protagonisti del Made in Italy e con le influencer più significative, cura speciali rubriche incentrate sui capi cult, su mitici designer e sulle icone di stile. Ma oltre ad occuparsi di moda sul suo feed, Mariella Milani ha deciso di approfondirne il mondo: ce lo presenta in un volume, “Fashion Confidential“, pubblicato per i tipi di Sperling & Kupfer nel Febbraio scorso. La passione per il cinema dell’ autrice si riflette in tutti i capitoli, i cui titoli citano quelli di film pertinenti con l’argomento trattato; nelle pagine del libro, tuttavia, sono la moda e soprattutto il suo universo il nucleo portante. Perchè in “Fashion Confidential”, con estrema competenza e il consueto tono  tra l’ironico e il disincantato, di moda si parla a tutto campo: personaggi, eventi irripetibili (un esempio? La leggendaria sfilata di Fendi lungo la Grande Muraglia cinese), talenti eccelsi e mai dimenticati, ricordi personali e aneddoti, ma anche atmosfere, zone d’ombra, mood e modelli comportamentali si alternano in un pot-pourri ricco di sfaccettature. Ampio spazio, naturalmente, è dedicato al profondo mutamento che l’ avvento del Covid-19 ha imposto al settore. E’ un mondo in continuo divenire, il fashion world, e oggi lo è più che mai; gli influencer la fanno da padroni e la digitalizzazione si estende a macchia d’olio. Cosa pensa Mariella Milani di tutto questo? Lo scopriremo leggendo il suo libro o ascoltandolo, in versione podcast, ogni lunedì su Spotify Italy (qui trovate il link) e sulle principali piattaforme di podcast hosting. Intanto, però, godetevi questa brillante intervista che mi ha fatto l’ onore di concedermi.

Ha iniziato a raccontare la moda nel 1994, con la RAI, ma il suo background annoverava settori totalmente differenti: si è occupata di cronaca, di dossier, di difesa dei diritti del cittadino, e ha esplorato universi, come quello della criminalità organizzata, ben distanti dal glamour delle passerelle. Come ha vissuto questo totale cambio di rotta?

Ho iniziato quasi per caso, per una proposta che ironicamente definisco “indecente”. Mi occupavo di tutt’altro ma, come spesso accade in RAI, la mia redazione era stata chiusa e l’allora direttore del Tg2 Clemente Mimun volle affidarmi la moda perché la raccontassi con un tono dissacrante e ironico, adatto a un pubblico generalista. Confesso che inizialmente mi sembrava riduttivo, avendo affrontato mondi ben più insidiosi, ma con la curiosità di una bambina – che mi appartiene ancora oggi – mi sono buttata a capofitto in un’avventura assolutamente nuova.

La moda, comunque, non le era indifferente…Penso agli impeccabili tailleur Armani che amava indossare, di cui peraltro parla nel suo libro. Come e quando è scoccata la scintilla con il pianeta dello stile?

È iniziata esattamente quando, negli anni Ottanta, mi è stata affidata la conduzione dell’edizione delle 13 del Tg. Volevo apparire come una giornalista seria e affidabile e niente come una giacca o un tailleur di Armani, simbolo indiscusso del power dress, avrebbero potuto darmi l’autorevolezza che cercavo. Devo confessare che dilapidavo fortune nelle sue boutique…

 

L’ immagine che Mariella Milani ha scelto per il suo profilo Instagram e per il podcast di “Fashion Confidential”

Il suo debutto come giornalista di moda e di costume risale agli anni ’90, l’epoca d’oro degli stilisti-superstar, del boom del Made in Italy e delle top model. Com’è stato immergersi in quel mondo ambitissimo dove il lusso, il sogno e la fantasia a briglia sciolta (basti pensare alle favolose creazioni di John Galliano per Dior Haute Couture) rappresentavano i vessilli supremi?

Non posso nascondere che all’inizio mi sentivo un’aliena catapultata in un universo sconosciuto. Mi chiedevo come avrei potuto catturare l’attenzione del pubblico del telegiornale, generalista per definizione… al professore universitario o alla “famosa” casalinga di Voghera non sarebbe certo importato nulla della lunghezza degli orli delle gonne ma, con ironia e un pizzico di irriverenza, sono riuscita a trovare il mio stile e il mio posto in quell’universo patinato e accattivante.

Quali eventi, personaggi o situazioni ricorda, di quel periodo, a titolo emblematico del suo splendore? Nel libro che ha scritto ne cita molti; ce ne menzioni qualcuno per chi non l’ha letto ancora.

Sicuramente la sfilata di John Galliano per Dior nel Foyer de l’Opera di Parigi nel 1998 è uno dei momenti più belli che ho vissuto nella moda. Eleganza e sontuosità senza eguali… e non a caso è anche uno dei prossimi racconti che farò nel Podcast di “Fashion Confidential”. Altra esperienza meravigliosa è stata la sfilata di Fendi sulla Grande Muraglia cinese nel 2007: ottanta metri di passerella per il primo – e unico credo – show visibile anche dalla Luna.

A proposito del suo libro, uscito di recente: “Fashion Confidential” ha come sottotitolo “Quello che nessuno vi ha mai raccontato sul mondo della moda”. Come è nata l’idea di esplorare un universo – che conosce ormai a menadito – da un’angolazione diversa, potremmo dire “da dietro le quinte”?

Per vocazione – e scelta – sono sempre stata una giornalista senza peli sulla lingua e il mio libro non poteva certo avere un approccio diverso… Volevo raccontare il mio punto di vista perché sono consapevole di aver vissuto anni che non torneranno più e se non avessi messo la mia esperienza nero su bianco, sarebbe andata perduta.

 

La copertina di “Fashion Confidential”, edito da Sperling & Kupfer

Pensa che il pianeta moda venga a tutt’ oggi mitizzato? E a suo parere, per quale motivo?

Assolutamente sì. La moda viene vista come un sogno, un mondo aspirazionale ma credo che questo succeda perché, in realtà, pochi sanno cosa ci sia davvero dietro le quinte. Non è tutto party e bling-bling, è prima di tutto un lavoro per milioni di persone e spesso ci si dimentica di questo aspetto.

L’ avvento del web, e soprattutto della pandemia di Covid, hanno stravolto radicalmente le coordinate del fashion system. Cosa ci aspetta in tal senso? La moda continuerà a mantenere il suo appeal o la digitalizzazione dilagante e le nuove priorità esistenziali lo ridimensioneranno definitivamente?

Panta rei, tutto scorre, diceva Eraclito… e, anche se gli anni che ho vissuto non torneranno , credo che nulla sia definitivo. Il mondo della moda è stato messo a dura prova negli ultimi anni e nell’ultimo periodo in particolar modo, ma spero – soprattutto per i giovani – che ci sarà un nuovo Rinascimento.

Nell’introduzione di “Fashion Confidential” scrive: “La vera moda è eccessiva, geniale, carismatica, ironica, sempre capace di reinventarsi, in bilico tra sogno e realtà”. Quali designer o Maison dell’era pre-pandemica assurgerebbe ad esempi di questa sua opinione?

Sicuramente Yves Saint Laurent, Valentino Garavani, Azzedine Alaïa, Cristobal Balenciaga, Rei Kawakubo… ma sono tanti per citarli tutti.

La sostenibilità e il concetto del “buy less, buy better” saranno i cardini della moda post-Covid?

Assolutamente sì, la sostenibilità è una priorità per la moda – e la società in generale. Non a caso ho dedicato a questo tema due capitoli del libro…

Cito ancora dal suo libro: “se sei una persona di valore ma non hai un potere reale o virtuale, hai poche speranze”, dichiara, rivolgendosi ai tanti giovani che vorrebbero dedicarsi alla comunicazione della moda. Eppure la moda è anche cultura, genialità creativa, fenomeno di costume, espressione. Privilegiare la visibilità a discapito del valore non rischia di relegarla allo stereotipo che la associa unicamente all’ apparenza, all’effimero?

Al di là di rischi e stereotipi, purtroppo questa è la realtà e non si può fingere di non vederla. Posso dire, però, che negli ultimi tempi si stanno riscoprendo il valore della qualità e della competenza e questo non può che essere un bene anche se, al primo posto, per emergere nella moda è fondamentale avere le relazioni giuste.

 

 

La moda è una geniale combinazione di arte e marketing. Oggi, tuttavia, i vari influencer hanno pressoché soppiantato la figura del giornalista, il web ha spodestato la carta stampata e molte riviste si vedono costrette a chiudere i battenti. Cosa pensa di questo fenomeno?

Analizzando il grande successo raggiunto, attraverso i social, da influencer e blogger – diventati i nuovi brand ambassador – ho riflettuto su una parola: democratizzazione. Credo siano da ritrovarsi in questo bisogno, che era evidentemente impellente, le ragioni un tale cambiamento. Il digitale è stato una sorta di “tana libera tutti” e l’informazione classica non ha tenuto il passo con l’evoluzione degli ultimi anni. È rimasta pressoché immobile, ancorata a un linguaggio e a strumenti quasi obsoleti e questo ha fatto sì che perdesse terreno.

Che consiglio darebbe a un giovane che sogna un futuro nel giornalismo di moda?

Spesso mi viene chiesto come poter fare il mio mestiere ma la verità è che nemmeno io so rispondere. È un lavoro che si è fortemente evoluto e, come dicevamo, il digitale ha avuto un impatto non indifferente. Sicuramente un’esperienza all’estero potrebbe essere molto utile per capire da che parte sta andando il mondo e cosa aspettarci dal futuro e soprattutto avere uno sguardo più cosmopolita.

Nel suo libro non risparmia critiche, sempre benevole e ironiche, al cosiddetto “circo della moda”. Lo definisce “un universo (…) popolato da designer spesso isterici e narcisisti, modelle dive o trattate come numeri, buyer considerati star, star, stylist, influencer, giornalisti, fotografi e PR (…) occupati in funamboliche capriole per dimostrare di essere il perno della giostra. Non è tutt’oro quel che luccica?

Ebbene no. È ora di sfatare questo mito. (sorride, ndr)

 

 

Tra pandemia, cambiamenti climatici e emergenza ambientale, si preannuncia un futuro contrassegnato dall’ incertezza. Crede che un nuovo Rinascimento sia possibile, che la moda possa tornare ai suoi proverbiali fasti, o vede più impellente un mutamento radicale del sistema?

L’ultimo capitolo del mio libro si chiama “Il sipario strappato”, dal famoso film di Hitchcock. Ho scelto questo titolo perché, anche se non c’è futuro senza passato, gli anni d’oro che ho vissuto non torneranno e siamo difronte a un momento di grande cambiamento. Concludo con la frase di un visionario come Steve Jobs: “think different”, perché penso che la moda debba davvero iniziare a pensare in modo diverso.

Vorrei concludere questa intervista con una riflessione. La moda è, da sempre, espressione dei tempi: lo stile hippie, ad esempio, incarnava la nascita di un mondo nuovo e di nuovi ideali. Oggi, l’attenzione dei giovani si concentra prevalentemente sul marchio e sui modelli di sneakers che è imprescindibile avere. Dove finisce la moda e dove comincia l’omologazione? Non a caso, lei ha concluso il suo libro citando appunto lo slogan “Think different” di Steve Jobs…

Senza sapere quale fosse l’ultima domanda l’ho preceduta… credo che l’omologazione sia una delle cause della disaffezione dei consumatori a cui la moda doveva far fronte anche prima che scoppiasse la pandemia. Finché l’imperativo sarà esclusivamente vendere, continuerà a esserci sicuramente più omologazione che moda.

 

 

 

 

Florence Aseult-Undomiel, una fata che risplende nella magica notte veneziana

Foto di Olivia Wolf

L’ antica ricorrenza celtica di Samhain, oggi conosciuta come Halloween, contemplava che le porte del Annwn (il Regno degli Spiriti) e quelle del Sidhe (il Mondo di Mezzo, ovvero il Regno delle Fate) si aprissero per sancire un legame tra il visibile e l’invisibile. Anche le fate, dunque, rivestono un ruolo importante nelle tradizioni di questa festa. Appartenenti al Piccolo Popolo, amano la notte perchè è portatrice di mistero e di saggezza: le si può scorgere nei boschi, mentre danzano al chiar di luna in un tripudio di bagliori scintillanti. Sono figure affascinanti e magiche, votate al bene. Ecco perchè, proseguendo il nostro cammino verso Halloween, ho pensato che vi sarebbe piaciuto conoscerne una: Florence Aseult-Undomiel ,della fata, ha sia l’aspetto che la grazia dei modi. Potrebbe benissimo essere una creatura del Regno del Sidhe, basta osservare le sue foto per rendersene conto. Danzatrice, performer, creatrice di costumi, organizzatrice di feste e raffinata miniaturista, Florence – non a caso – ha interpretato spesso il personaggio della fata negli eventi a cui ha preso parte. Un esempio su tutti? Le prestigiose soirée allestite da brand del calibro di Dior e Omega: per il primo, nella cornice di un incantato giardino parigino, ha vestito i panni di una Principessa-fata dotata di corna di cervo, per il secondo ha sbalordito gli ospiti ostentando un abito oro con quattro metri di strascico e una chioma che superava il metro e mezzo di lunghezza. Originaria di Chamonix-Mont-Blanc, Florence si suddivide tra la Francia e Venezia, dove ad ogni Carnevale organizza l’ acclamata festa “La Nuit des Rois”. Quest’ anno, però, ha aggiunto un’ importante riconoscimento al novero delle sue esperienze: dopo aver vinto un concorso apposito, ha dipinto le porte dell’ organo della Basilica di Notre Dame de L’Epine utilizzando le più squisite tecniche di miniatura medievale. Nell’ intervista qui di seguito, Florence ci parla della sua opera, del sogno che la anima da sempre e della sua eclettica carriera artistica. Non c’è bisogno di dire, naturalmente, che lo fa con tutto il garbo e il magnetismo che si convengono a una vera fata.

Florence, tu ti dedichi a varie forme di arte: danzi, crei costumi, realizzi miniature, organizzi eventi…Qual è la tua formazione e quando hai pensato di diversificare le tue competenze?

Per dieci anni ho studiato danza classica e per i successivi dieci canto lirico al Conservatorio di Musica; dopo il Conservatorio mi sono iscritta alla scuola per miniaturisti di Angers, nella Valle della Loira. Nel frattempo, a 20 anni, ho cominciato a partecipare al Carnevale di Venezia e a creare abiti. Mi piace insegnare e dipingere (attualmente organizzo laboratori sull’ arte della miniatura), ma soprattutto amo ballare, esibirmi, indossare dei meravigliosi costumi. La prima volta che sono venuta a Venezia avevo 14 anni. Durante questo viaggio mi sono innamorata della città e mi sono ripromessa di tornare per organizzare eventi, danzare, fare performances e dare feste a tema come succedeva secoli orsono. A 24 anni ho organizzato “La Nuit des Rois”, la mia prima festa. Come costumista ho una formazione da autodidatta, ho imparato a cucire da sola anche se alcuni amici, sarti professionisti, mi hanno dato degli utilissimi consigli. Per ispirarmi prendo spunti dalle antiche stampe o dai libri della storia del costume. Analizzo la fattura degli abiti ma poi, realizzandoli, li personalizzo immancabilmente. Non voglio creare costumi storici, bensì adattarli al mio personaggio: l’ho chiamato Aseult, un nome di origini medievali, e l’ho calato in un mondo di fiabe e di leggende.

 

 

Vivi tra la Francia e l’Italia, precisamente a Venezia. In quale occasione è scoccato il tuo colpo di fulmine con la Serenissima?

Avevo 14 anni ed ero in gita con la mia scuola. Sono nata a Chamonix, sul Monte Bianco, che da Venezia dista solo 4- 5 ore. La nostra era una gita di tre giorni e l’ultima sera, mentre facevamo un tour sul vaporetto, sono rimasta colpita da tutti quei palazzi illuminati dalla luce delle candele, con gli affreschi sui soffitti…Essendo appassionata da sempre di danza e canto, ho fatto una promessa a me stessa e a quella città straordinaria: “Tornerò qui per ballare per te, per omaggiare la tua arte e per continuare a far vivere la tua storia”. Dieci anni dopo ha debuttato la mia prima festa veneziana, “La Nuit des Rois”, che nel 2021 celebrerà il suo ottavo compleanno.

Ami la Venezia settecentesca, la Venezia sfarzosa di Giacomo Casanova, e riproponi quello spirito proprio ne “La Nuit des Rois”, la festa in costume che allestisci ogni anno durante il Carnevale. Vogliamo assolutamente saperne di più…

Scelgo un tema diverso ogni anno. Abbiamo celebrato Casanova, il Rinascimento con Lorenzo de’ Medici e Botticelli, Amadeus, persino Les Incroyables et les Merveilleuses, una moda sorta in Francia ai tempi del governo del Direttorio: stremata dalla Rivoluzione, la gente aveva voglia di lusso, di libertà e di stravaganza. C’era il desiderio di riprendere a vivere dopo la cupezza del Terrore! “La Nuit des Rois” si tiene a Palazzetto Pisani. E’ una festa unica nel suo genere. La classica cena non è prevista, quando gli ospiti arrivano li aspetta un aperitivo e una cena a buffet. In sottofondo, la musica classica si alterna a un sound più moderno per poter ballare. Non essere vincolati alla cena permette ai partecipanti di muoversi, di chiacchierare e di danzare senza freni. E’ la gente a fare l’evento, ognuno è un personaggio e può fare ciò che vuole. Alcuni miei amici, ad esempio, arrivano con uno strumento musicale e cominciano a suonare, altri cantano, altri ancora fanno teatro… L’ ambiente si anima così! Come nel ‘700, durante la festa si è completamente liberi di immergersi nella sua atmosfera e di diventarne i protagonisti: si può vagabondare in ogni angolo del palazzo e interpretare un ruolo a proprio piacimento. “La Nuit des Rois” riscuote sempre un enorme successo. E’ un’esperienza spettacolare, tutta da vivere.

 

Foto di Renzo Carraro

Se avessi vissuto a quell’ epoca, chi avresti voluto essere e perchè?

Non vorrei essere nessun altro se non me stessa, che sia nel Medioevo, nel ‘700 o nel Rinascimento…Amo essere la persona che sono, e non qualcun’ altra: ognuno di noi è diverso, ha la sua storia e la sua creatività. Se mi calassi nell’ epoca di Casanova, ad esempio, vorrei portarci la mia inventiva, il mio cuore, la mia anima e tutto quello che sono in grado di donare.

 

Un’ immagine dell’ evento Dior al Museo Rodin di Parigi

Anche gli abiti che crei guardano al passato: si ispirano al Medioevo, al Rinascimento…e sembrano appena usciti da una fiaba, un dettaglio rilevante. Come nasce la tua passione per tutto ciò che è d’antan?

Nasce con la danza classica, perché i suoi costumi mi affascinano sin da bambina. Quando realizzo le mie miniature medievali adoro dipingere con l’oro, curare i minimi particolari; mi piace creare i miei abiti con la stessa precisione e farli diventare preziosi, ornarli con perline ed ogni tipo di decorazione. La danza mi ha molto ispirato, ma devo dire che l’arte della miniatura ha accentuato il mio gusto del dettaglio. Tanto per farti un esempio, l’altro giorno ho incollato a mano, uno per uno, 300-400 brillantini sul mio corsetto: un lavoro che ha richiesto una grande pazienza. Adesso sto cucendo un costume nero di seta, una seta leggerissima e molto difficile da modellare, e ho cominciato a decorarlo con miriadi di perline nere del ‘900. Ti manderò delle foto non appena l’avrò terminato!

 

Dallo shooting “Underwater”,  scattato da Natalia Kovachevski

Raccontandoti, scrivi di sentirti “più vicina alle stelle che alla roccia e alle pianure” e che i sogni sono da sempre la tua guida. Parlaci del tuo universo, del tuo immaginario ispirativo.

Mi ispiro molto alle fiabe, alle leggende…Come ti dicevo, sono nata a Chamonix e ho vissuto per 20 anni in montagna, immersa nella natura. Quando andavo a camminare nel bosco, soprattutto in inverno, la mia fantasia correva a briglia sciolta. La danza classica, per me, è stata fondamentale anche a livello di immaginario: balletti come “Giselle”, “La Sylphide”, “Il lago dei cigni”, sono intrisi dello spirito romantico e fiabesco che contraddistingue la Baviera con i suoi castelli. Mi sono nutrita di fiabe, ma anche di storia. A differenza della storia, però, dove le guerre e la violenza predominano, le fiabe ti trasportano in un mondo di sogno, di libertà e di bellezza.

 

Foto di Renzo Carraro

Florence nei panni di una fata dorata durante la soirée Omega a Berlino

Eccelli nella pratica della miniatura. Come è entrata a far parte del tuo percorso artistico?

Quando ero al Conservatorio, ho seguito un corso di musica barocca e ho trovato delle miniature nel salone dove mi esercitavo. Ne sono rimasta affascinata! Alla fine del corso, una volta tornata in Francia, ho scoperto che l’unica scuola di tecniche della miniatura d’Europa – l’ ISEEM – si trova ad Angers, a due ore da Parigi. Così ho deciso che anziché proseguire gli studi di canto mi sarei iscritta a quella scuola. Ho studiato miniatura per due anni, diplomandomi con lode. A quel punto, mi sono detta che la mia vita professionale doveva prendere il via. Volevo creare i miei costumi, organizzare le mie feste, farmi conoscere. E devo dire che ci sono riuscita: da otto anni “La Nuit des Rois” è famosa internazionalmente, i miei ospiti provengono da tutte le parti del mondo.  Riguardo all’arte della miniatura, invece, ho vinto un concorso del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO e ho preso parte al restauro di un organo a L’Epine. Ho dipinto sulle sue due porte la scena dell’ Annunciazione, con Maria e l’Angelo Gabriele. Un progetto molto importante, tantevvero che moltissime TV sono venute a trovarmi per parlare dell’ opera che ho realizzato.

 

 

Due ulteriori scatti tratti dallo shooting “Underwater” di Natalia Kovachevski

Recentemente, infatti, hai dipinto le porte dell’organo della Basilica di Notre Dame de L’Epine, in Francia: un capolavoro che hai realizzato con raffinatissime tecniche di miniatura medievale. Potresti parlarcene?

L’organo risale al Rinascimento  e hanno scoperto che era abbinato a due porte, per cui è stato bandito un concorso per trovare qualcuno che le dipingesse. Sono stata scelta e ho realizzato l’Annunciazione nel mio stile più tipico: mi sono avvalsa delle tecniche medievali che utilizzo per le mie miniature, dunque dell’oro, della foglia d’oro, dei pigmenti che creo con l’uovo, il miele e la radica…Il lavoro ultimato è stato presentato il 20 settembre scorso. Tieni presente che l’organo della Basilica di Notre Dame de L’Epine è uno dei dieci organi più maestosi d’Europa. La ditta che l’ha restaurato ha eseguito un’operazione particolarissima, è riuscita a ricreare una sonorità di tipo Rinascimentale che non esiste su altri organi. Io mi sono occupata delle porte: al loro interno ho dipinto su tela, all’ esterno su legno. L’ organo è stato completamente restaurato perché non era più suonabile: è datato nientemeno che 1542.

 

Florence nella Basilica di Notre Dame de L’Epine. Alla sua sinistra e alla sua destra, le porte dell’ organo che ha dipinto con la tecnica della miniatura

L’arte è il filo conduttore della tua carriera. Ma se come miniaturista lavori in solitudine, nelle vesti di performer ti esibisci davanti a un pubblico e assorbi le sue vibrazioni. Qual è la modalità espressiva che preferisci, la dimensione che ti è più consona?

In certi momenti mi piace stare in solitudine, rinchiudermi in me stessa per creare, mentre in altri sono molto felice di uscire, di avere un pubblico, di vedere gente e di muovermi. Quindi, amo sia star sola che condividere la mia arte con il pubblico…Direi che mi sento a mio agio in entrambe le dimensioni. In questo periodo, per esempio, a causa del Covid gli eventi scarseggiano e me ne sto sola con la mia solitudine. Vedo alcuni amici, certo, ma non è la stessa cosa. E’ come se in me ci fosse una bomba pronta a esplodere, spero solo che noi artisti potremo ricominciare presto ad esibirci. Intanto, mi faccio venire delle idee: ho già pensato alle decorazioni per “La Nuit des Rois” del prossimo Carnevale, a come allestire le stanze…Ma mi chiedo se potrò far uscire tutte queste idee dalla mia mente o se dovrò tenerle chiuse lì dentro. E’ una bella frustrazione! Il prossimo tema della festa sarà “Romeo e Giulietta” e l’evento si terrà a San Valentino, il 14 febbraio, a Palazzetto Pisani.

 

L’ abito oro dell’ evento Omega in tutta la sua magnificenza

Un’ altra immagine della soirée Dior al Museo Rodin di Parigi

Quali anticipazioni puoi darci sui tuoi progetti futuri?

Non posso ancora anticipare nulla. Sto organizzando i miei prossimi eventi, tengo le dita incrociate augurandomi che si possano realizzare e che il Carnevale di Venezia non venga annullato. Sono anche impegnata in un nuovo progetto sulle miniature. Nel frattempo tengo dei laboratori di miniatura, insegno in corsi individuali e di gruppo sia in Francia che in Italia. Il prossimo avrebbe dovuto tenersi in Francia, a L’ Epine, dal 17 al 20 Novembre. Ma poi Macron ha annunciato il lockdown…Vorrei tornare in Italia. Tutto, ora, dipenderà giocoforza dalla situazione che si verrà a creare.

Per avere news e aggiornamenti sui laboratori di miniatura di Florence, seguite la sua pagina Facebook Florence-Aseult-Création d’Enluminure

 

La porta sinistra dell’ organo di Notre Dame de L’ Epine, raffigurante l’ Angelo dell’ Annunciazione.

Qui sopra e nelle immagini che seguono, alcuni dettagli del dipinto

 

 

 

 

 

 

 

La porta a destra dell’ organo, che rappresenta la Madonna dell’ Annunciazione

Un dettaglio dell’ opera

Il lato esterno delle porte dell’ organo

 

 

Photo courtesy of Florence Aseult-Undomiel

 

 

Sulle tracce del Principe Maurice: le prime tappe di un 2020 che scintilla di…”Gloss’n’Glitter”

Un impetuoso mood Punk travolge Pitti Uomo

Mentre i rigori invernali sono al loro culmine, con temperature gelide e fitte nebbie, il Principe Maurice si muove ancora sul caliente sfondo di Palma di Maiorca. Durante il nostro appuntamento telefonico è in pausa aperitivo mentre impazza la tre giorni di Sant Sebastià, patrono del capoluogo maiorchino. Musica, grigliate e festa grande sono i leitmotiv di questa ricorrenza: ed è proprio tra una grigliata e l’altra che Maurice, in vena di celebrazioni (anche) per una serie di progetti nuovi di zecca, ci parla delle ultime notizie che riguardano la sua travolgente vita. Sono cinque, le tappe attraverso cui si snoda la puntata odierna di “Sulle tracce del Principe Maurice”. Treviso, dove il 2020 del nostro eroe ha avuto inizio, è la prima. Segue Firenze, che lo ha applaudito in una sorprendente versione Punk.  Fabriano, la celebre “Città della Carta”, accoglierà invece il Principe per un’attesissimo bis (seppure con un format differente) all’ Aera Club & Place. A Palma di Maiorca si terrà la presentazione di “Gloss’n’Glitter”, un concept sfavillante come suggerisce il nome, mentre Venezia – last but least – vedrà Maurice nelle consuete vesti di Maestro di Cerimonie oltre che di un Casanova inedito. Ma non vi “spoilero” oltre, e lascio che sia lui stesso a rivelarvi di più sugli indizi di cui sopra e a raccontarvi altro, moltissimo altro ancora.

Dopo i tuoi Auguri di Natale ai lettori di VALIUM, devo dire apprezzatissimi, ci rincontriamo agli albori di un nuovo decennio. Com’è andato il Capodanno all’ Odissea di Treviso e come hai iniziato il 2020?

L’ ho iniziato benissimo. Il mio Capodanno all’ Odissea si è snodato tra due spettacoli, uno per il dinner show e l’altro nella grande sala live, dove ho indossato un “vestitone” rosso molto scenografico. Tutto è andato più che bene. La mia collaborazione con questo bellissimo locale continua: a breve ci saranno altre serate riferite soprattutto al dinner show, un genere che negli ultimi tempi sto coltivando e implementando. Tornando al Capodanno, lo definirei bello, gioioso, giocoso…Non è stato semplice, perché la produzione era abbastanza impegnativa: con me avevo circa una ventina di artisti tra ballerini, cantanti, acrobati eccetera…Ma a me questo genere di cose piace, per cui il mio approccio con il 2020 non sarebbe potuto andar meglio! Sono davvero soddisfatto.

 

Alcune immagini del Capodanno all’ Odissea di Spresiano (Treviso)

Il party di BePositive, brand di sneakers innovative fondato nel 1995 da Ubaldo Malvestiti, ti ha visto protagonista a Firenze l’8 Gennaio scorso, durante la prestigiosa kermesse di Pitti Uomo. Le foto dell’evento sono una delizia per lo sguardo…Che ci racconti di quella serata e della tua performance?

E’ stato tutto estremamente divertente, a cominciare da quando sono passato in Fortezza da Basso con il mio outfit Punk e il gruppo ristretto di modelli e performer che mi accompagnavano: ci fermavano a ogni passo! E’ stata una grande soddisfazione, c’erano fotografi da tutto il mondo, ci ha immortalati persino Vogue…Insomma, siamo piaciuti! Soprattutto perché eravamo in assoluto contrasto con tutto quello che di solito vedi a Pitti Uomo: lì sono sì stravaganti, ma in versione chic. Cappellini, barba e baffo perfetti, scarpa in un certo modo, colori tenui…Poi è arrivato questo gruppo punkeggiante di rottura, il nostro, ed è stato un autentico boom. Il party di Febos/BePositive, organizzato dal patron del marchio e dell’ evento Fabrizio Ferraro, si è rilevato stratosferico. Innanzitutto si teneva nella location impressionante, pazzesca, davvero stupenda, della Cattedrale dell’Immagine di Santo Stefano al Ponte, dove attualmente si tiene la mostra multimediale su Magritte (“Inside Magritte”, ndr.). Esiste tutto un impianto di proiezioni immersive che coinvolge le pareti e l’altare, poi c’è una stanza stranissima, la Sala degli Specchi, completamente ricoperta di specchi…Lo stesso video mapping dedicato a Magritte è stato utilizzato durante la nostra esibizione. La serata è iniziata con un cocktail ed una cena a buffet animata dai BowLand (un trio musicale iraniano che si è fatto conoscere per la sua elettronica raffinatissima con accenti etnici), dopodichè la mia performance ha stravolto il mood virandolo al Punk.

 

Il gruppo Punk capeggiato dal Principe a Firenze

Mi sono esibito sulle note di “My way” cantata da Sid Vicious dei Sex Pistols: sullo sfondo di una scenografia video mappata, ho sfoggiato una cresta di plastica nera con delle ciocche fluo e un look – curato da Flavia Cavalcanti –  ispirato al Punk, ma un Punk un po’ fashion in stile Vivienne Westwood. Il make up “à la Nina Hagen”, invece, è stato ideato da Vassy Longhi, un bravissimo truccatore che si è occupato anche delle acconciature. La festa è proseguita con il dj set di Tommy Vee, all’ insegna di una tech-house piacevolissima, mentre a fine serata (non dimentichiamo che l’8 gennaio ricorreva l’anniversario della nascita di David Bowie) ho cantato una versione punkeggiante, ma autentica, bella e soprattutto molto emozionata, di “Heroes”. Il party straripava di ospiti arrivati da tutto il mondo, soprattutto giornalisti, blogger e operatori del fashion biz. E’ stato un evento riuscitissimo perché alle feste di BePositive si può giocare, divertirsi, e questo la gente lo sa. Noia e formalità sono bandite! C’erano oltre 1000 persone, fuori la fila di chi voleva entrare (ma non poteva, perché non c’era più spazio) diventava sempre più lunga. Insomma, la mia è stata una rimpatriata a Firenze divertente e prestigiosa, perché il party di BePositive è uno dei più attesi: d’altronde, il successo di una festa dipende anche da quanto è ambita…E devo dire che non vedevo qualcosa del genere da tempo.

 

Il party di BePositive a Pitti Uomo: un vero boom

Cosa pensi della svolta della moda, che da un mood di puro glamour è approdata a tematiche sostenibili e prettamente sociali come l’inclusività?

Io trovo che sia giusto, perché la moda è un vettore straordinario di filosofia oltre che di stile. Non dimentichiamo che la stessa Vivienne Westwood, partita con il Punk e quindi con la trasgressione più assoluta, è diventata la pioniera di questa sensibilizzazione sui temi ambientali. La tua domanda, poi, mi riporta in mente le interviste che mi hanno fatto a Firenze l’8 Gennaio scorso. Mi chiedevano: “Come mai siete Punk? Siete cattivi?”, e io rispondevo “No. In una società che è cattiva di per sé, che è stata finora indolente nei confronti dei bisogni del pianeta, essere Punk significa – visto che siamo contrari a quel che accade attualmente – essere portatori di colore, di trasgressione nell’ immagine, ma anche di valori.” Sono felicissimo che la moda diffonda dei messaggi di aiuto al pianeta e a chi ne ha più bisogno, perché è un ambiente senza dubbio privilegiato e, soprattutto, ha un gran potere comunicativo. Il fatto che veicoli simili principi mi piace tantissimo e cavalco anch’io quest’ onda meravigliosa, affiancandomi a Vivienne che amo e che è mia amica.

 

La crew femminile del Principe al party di BePositive

Maurice insieme a Vivienne Westwood

Il make up artist e hairstylist Vassy Longhi e la designer/costumista Flavia Cavalcanti con il Principe in occasione dell’ evento a Pitti Uomo

Uno scatto pre-festa con il trio dei Bowland

Rimango in tema fashion perché sono molto curiosa di sapere quali sono i tuoi brand preferiti attualmente: citamene tre del presente e tre del passato, please!

Devo dirti la verità: alla fine della fiera, io vesto volentieri Zara! Però se devo essere elegante punto su Dolce & Gabbana, Valentino, mi piace molto Dior…Adoro la sua ricerca dei colori, dei tessuti. Per il classico capospalla citerei quindi Dolce & Gabbana, mentre per quanto riguarda le scelte di tendenza – ma sempre all’ insegna della raffinatezza – ti dico Christian Dior. I miei tre brand preferiti del presente sono senza dubbio Dolce & Gabbana, Vivienne Westwood e Dior, i tre del passato che adoro letteralmente sono ancora una volta Vivienne (che sempre mi è piaciuta e sempre mi piacerà) insieme a Jean-Paul Gaultier e a Thierry Mugler: ho delle giacche, dei completi stupendi con la sua griffe. Rispetto agli oufit da indossare on stage, invece, amo Issey Miyake, soprattutto la sua prima linea plissettata: crea delle geometrie stupende e occupa poco spazio nei bagagli. Miyake, come mi ha insegnato Grace Jones, è veramente l’ideale per i costumi di scena. Perchè per me la moda è anche teatro. E poi, del passato, conservo capi sartoriali di mio nonno e addirittura del mio bisnonno, avendo il loro stesso tipo di fisico. Li indosso tuttora! A proposito, sai qual è il mio sogno? Creare una linea da camera per uomo firmata Principe Maurice utilizzando tessuti veneziani tipo Fortuny e ricalcando un po’ lo stile dannunziano. Delle bellissime vestaglie, delle bellissime pantofole, però in materiali preziosi e con un design che richiama quell’ epoca. Poter ricevere come si usava un tempo, indossando vestaglie di seta, velluto, cachemire…griffate da me stesso. E’ un sogno che ho da un po’. Chissà che non riesca a realizzarlo!

 

Un selfie “Punk” del Principe in compagnia di Nina Aprodu al party di BePositive

Il mese di Gennaio per te è iniziato alla grande, ma sono sicura che Febbraio sarà altrettanto spettacolare. Basti pensare che l’8 prenderà il via il Carnevale di Venezia, del quale sarai ancora una volta l’icona. Quale sarà il tema di quest’anno e quali anticipazioni puoi darci, nelle tue vesti di Maestro di Cerimonie?

Il Carnevale di quest’ anno sarà dedicato al tema de “Il Gioco, l’ Amore e la Follia”. Sono tre elementi che convivono da sempre nella vita di ognuno di noi, perché l’amore è senza dubbio gioco, è anche follia…Chi non ha fatto follie per amore? Chi non sta alle regole del gioco dell’amore, per coltivare le proprie relazioni? Questo tema mi calza a pennello. Io sarò un Casanova nuovo, sempre in costume settecentesco ma al posto della parrucca indosserò…Non ve lo rivelo! Diciamo che la mia sarà un’interpretazione del personaggio del quale sono diventato l’incarnazione ufficiale – questo Casanova già trasformato in maschera della Commedia dell’Arte – in versione “contaminata”, più ricca di gioco e di follia. Posso anticiparvi poi che esiste un Carnevale, parallelo a quello popolare, che è il Carnevale Culturale. Quest’ anno mi è stato chiesto di produrre qualcosa che avesse a che fare con quel programma. Mi dedicherò a un progetto sui temi di amore e morte, “Eros & Thanatos”, però in chiave abbastanza grottesca: ci saranno anche le cosiddette “drama queen”. Sono partito citando la canzone “Morirò d’amore” di Giuni Russo in modo ironico, simpatico, pur portando esempi storici e drammatici come quelli di Didone, Cleopatra e così via. Sarà una performance sia recitata che musicale. Ad affiancarmi ci sarà il Duo Bellavista-Soglia e ci esibiremo a Palazzo Labia – una location ad hoc con il suo ciclo di affreschi su Antonio e Cleopatra – il 19 Febbraio.  Il Carnevale ha un nuovo direttore artistico, Massimo Checchetto. E’ il direttore delle scenografie, oltre che regista, di alcune opere del Teatro La Fenice. Sono felicissimo della sua nomina perché Checchetto è una persona preparata, professionalmente molto avanti, è un artista ed è veneziano; abbiamo un rapporto di stima reciproca, per cui è probabile che durante il Carnevale creeremo insieme delle performance non previste: preparatevi alle sorprese!

 

Un souvenir del Carnevale di Venezia 2019

Appuntamenti fondamentali come il Volo dell’Angelo, Le Marie, la chiusura, il Corteo Acqueo dell’8 Febbraio, ovviamente, mi vedranno sempre coinvolto. Inoltre anche quest’ anno – e tutte le sere – mi vedrete nei panni di Maestro di Cerimonie al Gala ufficiale di Ca’ Vendramin Calergi, il Casinò di Venezia, che sarà dedicato all’ amore ed avrà “Nutri l’amore e accresci la follia” come motto. Ma c’è di più. Con l’Associazione Internazionale per il Carnevale di Venezia (di cui sono il direttore artistico) abbiamo studiato tre eventi da inscenare in tre location pazzesche. Uno si terrà Venerdi Grasso nella preziosissima Scuola Grande San Giovanni Evangelista, ed è dedicato ai vampiri. Per me il vampiro è un amante morboso, come lo è la vamp (che deriva sempre da “vampiro”…). L’ispirazione si rifarà al romanzo e alla pellicola “Intervista con il vampiro”. Ricordi il “Teatro dei Vampiri” dove, nel film, i vampiri si fingevano attori e facevano del pubblico le loro vittime?  “Il Teatro dei Vampiri” sarà una festa molto bella, poi ce ne sarà un’altra che con occhio ironico guarderà a Oriente e sarà riferita ad Aladino: sono previste danze esotiche e l’apparizione di questo affascinantissimo, meraviglioso Genio della Lampada – che non sarò io (ride, ndr.). La terza festa, invece, avrà come tema l’amore ma affrontato nell’ opera buffa e nell’ operetta. Si terrà a Palazzo Pisani Moretta, il palazzo più suggestivo del Canal Grande, in chiusura della kermesse. Ma la novità assoluta è che il Carnevale, in teoria, sarebbe dovuto cominciare il 15 Febbraio invece inizierà il 14: con un tema come quello dell’Amore, San Valentino non poteva essere di certo lasciato fuori! Includere questa data sarà molto intrigante…Per quanto mi riguarda, quella sera stessa condurrò la speciale “Valentino’s Night, amorosi balli a San Marco” in piazza San Marco, insieme a Federica Cacciola e a Tommy Vee.

 

 

Una coppia al Carnevale di Venezia

I problemi associati all’ acqua alta determineranno mutamenti nell’ accoglienza turistica, misure precauzionali particolari?

Per ciò che riguarda l’acqua alta in particolare no, perché tutto sommato è un fenomeno abbastanza comune dell’inverno veneziano. Ci saranno però degli accorgimenti relativi alla sicurezza, mirati a non intasare la piazza: probabilmente verranno installate delle telecamere che rileveranno il numero di persone presenti e quando si raggiungerà la capienza prestabilita dalle autorità, l’accesso verrà chiuso. E’ sopraggiunta l’esigenza di limitare l’affluenza, anche per ragioni di salvaguardia della città. Venezia ha una pavimentazione secolare, fragile; la grande folla potrebbe danneggiarla. C’è quindi una nuova sensibilità che richiede delle precauzioni specifiche. I limiti posti sono stati studiati per non pregiudicare l’economia cittadina e la quantità di gente che il Carnevale attira. Per i visitatori sarà come addentrarsi in un locale chiuso: quando usciranno delle persone ne entreranno altre, il flusso sarà continuo e ben coordinato. L’invito che è stato fatto a ognuno, poi, è quello di vivere il Carnevale appieno. I veneziani vengono esortati a mascherarsi, a riappropriarsi della festa, perché tutto questo si era un po’ perso con il passar del tempo.

 

 

Tornando al prossimo Febbraio, mi giunge voce che lo inaugurerai con un grande ritorno: l’1 ti accingi nuovamente ad esibirti a Fabriano, la celebre “Città della Carta”, presso l’Aera Club & Place. Che mi dici di questo appuntamento?

Sono molto contento di tornare a Fabriano, una cittadina affascinante e antica. Mi fa piacere che questo locale abbia potuto riaprire i battenti e che abbia desiderato me e la crew, che è quella del Memorabilia  – anche se non potremo utilizzarne il nome per questioni legate al marchio. Però “The Heroes of Piramide”, gli eroi della Piramide, siamo noi e l’evento sarà sicuramente una bella replica di quella serata stupenda che venne fatta due anni fa. Io torno a Fabriano con grande simpatia, per divertirmi e cercare di far divertire gli appassionati con questo genere musicale, la techno, che è ormai un fenomeno di gran successo. Lo era già, ma lo è diventato ancor più dopo la chiusura del Cocoricò. C’è la volontà di non perdere quella memoria, per cui le serate dedicate agli anni ‘90 funzionano benissimo. Indubbiamente il nostro format è il più simile al Memorabilia e, sostanzialmente, quello di maggior qualità. La cosa più bella è che attira un pubblico di età svariate, ma tutti stanno bene insieme nel nome della musica e del divertimento!

 

Il Principe all’ Aera Club & Place nel 2018

Quali emozioni provi nel pensare di riaffrontare un pubblico che, nel Gennaio del 2018, ha letteralmente gremito il Club fabrianese?

Sono felicissimo pensando di stupire chi non mi conosce e di divertire chi mi conosce già! Io con il mio pubblico ho un rapporto straordinario, empatico: divento una sorta di amplificatore delle sue emozioni. Quello che mi interessa è essere un tutt’uno con la gente. Mi sento contento, soddisfatto, forte…Con chi assiste alle mie performance si è instaurato un feeling che non si è mai esaurito, non ho mai avuto il problema di essere fischiato o contestato. Parto con un canovaccio di quello che ho intenzione di fare, ma poi intercetto l’umore che circola in sala per improvvisare: sono al servizio del mio pubblico, e questo la gente lo percepisce. Capisce che sto dalla sua parte, che esalto ciò che desidera vivere, per cui mi ama. E’ un amore reciproco, d’altronde! Il rapporto tra me e il pubblico è magico. Gli sviluppi delle mie performance sono sempre imprevedibili, sempre improvvisati, sempre nuovi. Sfido chiunque a dire che una mia serata è stata uguale a un’altra. Faccio qualcosa di diverso ogni volta perché sono alla ricerca di quel famoso “uno, nessuno e centomila” che è nelle mie corde.

Dopo la tappa fabrianese, cosa bolle in pentola?

C’ è un nuovissimo progetto maiorchino con Francesca Faggella, una bravissima conduttrice sia radiofonica che televisiva. Ci siamo ritrovati a Maiorca e abbiamo pensato di lanciare un format che rievoca lo Studio 54, si chiama “Gloss’n’Glitter“: il 6 Febbraio verrà presentato a Palma di Maiorca con una festa riservata alla stampa, ai vip e agli operatori del settore, poi spero che girerà l’Europa e tutto il mondo. La nostra iniziativa sarà completamente dedicata alla New Disco, un genere ispirato alla musica degli anni ‘80 ma remixata in modo attualizzato sia a livello di ritmica che di sonorità. Francesca Faggella è una dj che fa New Disco da anni e ha già un programma radiofonico a tema su due radio delle Baleari. Quando ci siamo incontrati, abbiamo pensato di creare qualcosa che unisse musica e spettacolo. In “Gloss’n’Glitter” interpreterò Andy Warhol, l’anfitrione di questa festa dedicata agli anni ’80 e molto Studio 54, se vogliamo. Ci saranno 7 ballerini (tra ragazzi e ragazze) che faranno Vogueing, animazione di vario genere, ma la cosa divertente è che il progetto sarà sì destinato ai club, però vorrei che diventasse soprattutto un brunch musicale: è molto di moda e molto chic se fatto nei ristoranti giusti, nei locali giusti. Il format è abbastanza esclusivo, così come esclusivo era lo Studio 54; in seguito, diventerà un evento serale per location alternative. Sono assolutamente entusiasta di “Gloss’n’Glitter”! La presentazione si terrà in un lounge restaurant di Palma, MarChica, che abbiamo scelto come emblema dei luoghi non convenzionali in cui potrebbe svolgersi lo show. “Gloss’n’Glitter” debutterà ad Aprile e andrà in tournée nelle Baleari. Però contiamo che l’Inverno prossimo arrivi anche in Italia e se approdasse a New York, poi, sarebbe davvero il top! Specialmente se avessimo come special guest Grace Jones, che inaugurò proprio il leggendario Studio 54.

 

Il nuovo progetto in connubio con Francesca Faggella, “Gloss’n’Glitter”: molto Studio 54

Concludo con una domanda che sicuramente i lettori di VALIUM adoreranno: qual è l’Augurio che dedichi loro per il nuovo anno?

Il mio augurio vale per tutti gli anni ‘20 del 2000. Vorrei che quello appena iniziato fosse un decennio in cui verrà finalmente rivalutato il rapporto con la natura, soprattutto alla luce dei grandi drammi che hanno sconvolto interi continenti (vedi l’Australia). E poi auguro ai lettori che sia un momento di armonia personale, familiare, sociale…C’è molta confusione attualmente, anche a livello politico. Credo che vadano recuperati i valori base, persi nella fuffa del voler apparire e non del voler essere. Auspico quindi che il 2020 rappresenti l’inizio di un decennio pieno di consapevolezza, di impegno e di serenità con la propria coscienza. Bisogna riscoprire la coscienza, quella vera, quella che porta con sé i valori, per poter cominciare a dire “la mia coscienza è a posto perché sto facendo la cosa giusta per me, per la mia famiglia, per l’azienda per la quale lavoro, per la società e anche per il mondo in cui vivo”. Ecco, il mio augurio è proprio questo: ritrovare la consapevolezza, la coscienza e l’armonia tra il modo di pensare e il modo di essere. Prendere coscienza di chi siamo, di come siamo, di dove e come viviamo. Ritrovare la curiosità di scoprire i propri talenti, i talenti altrui, i propri sentimenti e quelli degli altri. Ed instaurare uno scambio a livello di coscienza a tutto tondo: nei valori, nei talenti, nei parametri…darsi un senso. La vita è temporanea, caduca, le mode cambiano. Quel che conta è l’essenza, l’anima. Auguro ad ognuno di riscoprirsi, di sentirsi più partecipe e più responsabile del tutto. Della propria vita e di quella di chi gli sta intorno. A tal proposito vorrei aggiungere che dall’ Odissea è partita una campagna, “Okkio alla vita”, dedicata alla guida prudente. La maggior parte degli incidenti in cui sono coinvolti i giovani è causata da un uso sconsiderato del telefonino, che distrae il guidatore. Io sono il testimonial di questa campagna che è patrocinata dalla Regione Veneto, ma sta diventando nazionale. Coscienza, dunque, anche nel guidare: perché si è responsabili della propria vita e della vita degli altri.

 

Qualche scatto beneaugurante tratto dal Capodanno all’ Odissea e il Principe durante un’ intervista TV

 

Photo Courtesy of Maurizio Agosti

 

 

 

 

Giulia Pivetta: la moda tra fenomenologia e cultura giovanile

 

La osservi, e pensi che Giulia Pivetta sia una perfetta incarnazione del tipo di donna che più spesso descrive: l’ età è indefinibile, l’ aspetto a metà tra la donna adulta e un’ adolescente in via di sboccio, il look vagamente rétro. In realtà Giulia ha 33 anni, cinque libri e numerosi articoli già all’ attivo ed è impegnata su più fronti, ad esempio come docente alla Domus Academy di Milano. Ma quel che salta all’ attenzione è la sua ricerca, da sempre incentrata sulla moda come fenomeno sociale e sulle culture giovanili. La moda che Giulia racconta si interseca con la “strada”, con il fermento adolescenziale, con le evoluzioni del costume, e viaggia di pari passo con il mutare delle epoche e dei loro iter di stile.  Il suo studio approfondisce il punto d’ incontro tra estetica e cultura: Lolita, il dandy, il “Pink Feminism” delle Millennials sono solo alcuni dei temi inerenti al suo universo. Su tutti, risalta un’ indagine a 360° – o sarebbe meglio dire “una passione smisurata” – che ruota attorno agli anni ’60. E’ Giulia stessa a spiegarci da dove nasce, e molto altro ancora.

Cosa mi racconti di te e del tuo percorso?

Ho sempre avuto una grandissima propensione verso tutto ciò che è visivo, che riguarda l’immagine. Non so se è una questione generazionale o più personale, del modo in cui cresci…Però sono sempre stata molto attaccata alle immagini, soprattutto alle immagini degli abiti: quello che gli abiti rappresentavano per me nella mia vita, nella mia infanzia, anche in modo inconscio. Da lì mi è venuto il desiderio di fare la stilista. Questo è stato il mio primo input, per cui i miei studi dopo le superiori sono stati orientati al Fashion and Textile Design. Mi sono diplomata al NABA, ma non ho concretizzato il mio sogno perché, in quel momento, non sentivo l’ambiente canonico della moda particolarmente adatto a me. Avevo un’idea molto romantica, molto “rétro” se vuoi, della figura dello stilista, che non combaciava con la realtà dei fatti. Nel contempo mi sono avvicinata ai temi delle avanguardie storiche, delle culture, dello stile, tutto quello che lontano dalle passerelle accadeva e che alle passerelle, poi, in realtà parlava. Per cui mi sono specializzata in modo molto naturale in quello che ora è il mio mestiere: raccontare immagini e abiti che per me hanno rappresentato la felicità per tanti anni e anche tuttora. Ho iniziato a raccontare non tanto la situazione delle passerelle, ma come gli abiti e la moda fanno parte della vita quotidiana della gente, come dalle passerelle si vada a parlare di persone vere. Della moda, cioè, intesa come qualcuno che crea ma anche come qualcosa che ha a che fare con la vita delle persone. Le subculture e le avanguardie sono state un po’ un pretesto, perché non ti parlano di fashion design ma ti parlano di ragazzi. La cultura giovanile, l’adolescenza con la sua ribellione sono gli elementi fondamentali della mia ricerca.  ll mio è un cercare di raccontare con parole facili, ma non superficiali, che cos’ è la moda reale. E poi ci sono queste benedette immagini a guidarmi, questi vestiti che sono essenzialmente immagini. La scrittura per me è un veicolo, uno strumento, non il fine principale: non voglio fare la scrittrice.

 

Il titolo e il logo della copertina di “Ladies Haircult” (2016, ed. 24 Ore Cultura)

Docente, autrice, fine conoscitrice dei fenomeni di moda e di costume. Come ti sintetizzeresti in una definizione?

A volte vivo molto male, altre molto bene il fatto di non sentirmi racchiusa in una definizione. Per sintetizzare potrei dire che sono un’autrice giornalista, poi però bisognerebbe specificare “di moda e di costume”…Non amo le definizioni strette perché secondo me semplificano, e le semplificazioni banalizzano.

 

La copertina di “Dreamers & Dissenters” (2012, ed. Vololibero)

Nei tuoi libri volgi spesso lo sguardo allo stile e alla cultura pop anni ’60: cosa ti affascina di più, di quel periodo?

Sono stati un po’ il motivo scatenante che mi ha fatto aprire il vaso di Pandora: quando li ho scoperti, mi si è aperto davanti tutto un mondo. E’ facile capire cosa affascina degli anni ’60. Negli anni ‘60 c’è stata la sintesi e allo stesso tempo l’esplosione di un’estetica, di tante estetiche…Ho scritto un libro che è, appunto, una lode spassionata a questo decennio. Si intitola “Dreamers and dissenters” ed è illustrato da Matteo Guarnaccia. Nel libro prendo in analisi un’ epoca che definisco “di dissenzienti e sognatori” e racconto tutti gli stili nati allora. Ne abbiamo inseriti forse una trentina, ma ci siamo dovuti limitare! In soli dieci anni è nata una serie di input, al di là delle passerelle, su cui ci sarebbe stato da scrivere tanto altro ancora. E’ stato un decennio davvero ipercarico, con un’energia che si è concentrata come poche volte è capitato nella storia. Un fermento che ha coinvolto le gerarchie sociali, le estetiche, l’arte, la musica…

 

 

Le copertine di “Ladies’haircult” (2016) e “Barber Couture” (2014), ed. 24 Ore Cultura

La moda è, da sempre, legata a doppio filo all’ evoluzione del costume. Qual è il rapporto che le unisce e quale delle due influenza l’ altra per prima?

Diciamo che la moda non è fatta altro che di persone che guardano quello che succede, che sentono quello che sta per succedere e lo trasferiscono negli abiti. Per cui, c’è un po’ questo: la moda ruba dalla strada, dalle subculture ma anche dalle persone, prende ispirazione da quelle che sono espressioni autentiche di stile, poi le rilegge e le fa diventare una cosa poetica anche quando non c’è poesia. Ma questo è solo un aspetto. Dall’ altro lato è anche vero che lo stilista fa un lavoro di sintesi, di input, crea qualcosa di nuovo che diventa qualcos’altro e addosso alla gente diventa un’altra cosa ancora. Quindi, secondo me, è un continuo dare e ricevere tra una parte e l’altra. Anche perché il punto di contatto è rappresentato dagli stilisti, che sono uomini nel mondo…E oltretutto, sempre di più. Oggi il fashion designer lavora con un team di persone, è come se nel suo studio avesse una microcollettività, gli input vanno e vengono. E’ una cosa normalissima, un motivo di grande orgoglio per i designer di tutti i marchi più famosi: avere un team con cui lavorare attraverso uno scambio continuo.

 

La copertina di “Lolita. Icona di stile” (2016, ed. 24 Ore Cultura)

Nel 2016 hai analizzato in un libro il fenomeno di Lolita e delle “ninfette”, su Marie Claire è uscito un tuo articolo sul “Pink Feminism” delle Millennials. Come è cambiata l’affermazione del femminile, da Lolita in poi?

Sono due argomenti molto connessi, e non solo per via del rosa! L’ affermazione del femminile con Lolita si veste di un linguaggio, diciamo, “antico”, nel senso che è qualcosa che c’era già: Lolita incarna una tipologia di femminilità ancestrale, che però tramite lei inizia a parlare un linguaggio pop. Se vuoi anche grazie al film, perché nel momento in cui qualcosa di scritto prende una forma estetica e si fa immagine, diventa veicolabile a tutti. Questo è stato il grande apporto di Lolita. E poi, il nome: un nome che fosse attuale, moderno, e lo è tuttora. Un nome che fosse unico, perfetto per il momento in cui è uscito, per la persona che stava a rappresentarlo e per il tipo di femminilità che rappresentava. Da allora è cambiato il fatto che l’infanzia, o anche il lato bambino, giocoso, è diventata un valore, qualcosa da difendere e che non va buttata via insieme al primo paio di scarpe col tacco e al primo filo di rossetto. Ed è un valore che va preservato, mentre prima si lasciava alle spalle nel momento in cui si entrava nell’ età adulta.  “Pink Feminism” perché il rosa è il colore della donna, ma è anche un colore che rimanda molto all’ infanzia, quindi ha una doppia valenza. Poi ovviamente viene chiamato così anche per via del “Millennial Pink” e del successo pazzesco che ha avuto questo colore. Ma è un tipo di messaggio, quello che passano le femministe di oggi, che – e si vede anche nelle foto dell’articolo – non fa finta di essere qualcos’altro. Si rifà all’ infanzia, a uno spirito ancora molto presente in tutte le ragazze che hanno 18, 16 anni: non è che da un momento all’ altro ti dimentichi delle penne colorate che fino a due settimane prima avevi usato per scrivere nel tuo diario.

Nell’ articolo sottolinei che il “sistema lo combatti meglio se ne fai parte integrante”. Non pensi che, essendo l’arte una delle più alte forme di espressione umana, le artiste che citi operino da un punto di vista privilegiato?

Oggi tutto è molto più connesso, non esiste un milieu intellettuale che vive lontano dalle dinamiche del mondo e che quindi può permettersi certe cose perché tanto, poi, alla fine rimane immune da tutto. C’è sempre una ricerca personale, secondo me. Un percorso di indagine condotta anche sulla base della sensibilità individuale. Il sistema lo combatti meglio dal di dentro, se sei parte di esso: queste ragazze sono delle artiste, ma al tempo stesso lavorano come fotografe, registe…Fanno tante cose. Certo, si tratta   sempre di lavori che hanno una componente creativa molto alta. Ma è una scelta personale il fatto di fare un lavoro artistico a mille livelli, dove c’è una tua espressione propria o meno. E vale anche per tutte coloro che producono lavori che possono far parte del commercio, del sistema. Non noto divisioni così nette.

Dalla celebre t-shirt che recitava “We all should be feminists” ideata da M.Grazia Chiuri a molti altri esempi attuali, anche il mondo della moda è stato contagiato dalla vena femminista: tendenza o potente elemento amplificatore?

Dipende da quale espressione della moda si tratta. Parlando ad esempio di Dior, Maria Grazia Chiuri è una donna e quindi ha molto senso che voglia far arrivare a tutte, anche a livello di mainstream, quella frase.  Io non trovo che se il femminismo passa a più livelli, attraverso cioè un capo di abbigliamento, attraverso la moda, sia negativo. Gli abiti veicolano sempre dei messaggi, e piuttosto che un messaggio di distruzione preferisco che portino un messaggio di coscienza e di autocoscienza. Penso che è nella natura della moda trasmettere messaggi. Poi, che la gente sia conscia o meno del messaggio che sta portando addosso, è un altro discorso.

 

Luca Rubinacci. Foto © Mattia Balsamini tratta dal libro “Dandy. Lo stile italiano” (2017, ed. 24 Ore Cultura)

In “Dandy. Lo stile italiano”, il tuo ultimo libro, ti occupi di questa storica figura maschile e del suo universo. Qual è l’identikit di un dandy italiano del nuovo millennio?

Nel libro esistono dei caratteri che accomunano tutti, poi ovviamente ognuno li declina a proprio modo e si vede. Ognuno ha la sua identità. A livello stilistico è il fatto di conoscere quello che si indossa, cioè sapere che alla base di un abito o alla base dell’abbigliamento c’è la cultura, e soprattutto arrivare all’ abbigliamento attraverso la cultura. Che non vuol dire una mera ricerca estetica dal punto di vista delle forme, ma è tutto quel compete la cultura tessile, la cultura della manifattura, la cultura dell’artigianalità, la storia…Questo, a mio avviso, è il leitmotiv presente nell’ identikit di un dandy italiano. Poi è ovvio che se mi chiedi dei dettagli estetici tipo “ha la pochette” piuttosto che “le scarpe verdi”, fatico a dirlo. I protagonisti del mio libro sono molto diversi tra loro ed una cosa che, a mio parere, li accomuna, è quella di riuscire a amalgamare molti mondi, di non rimanere ancorati alla sartoria artigianale. Mescolare un abito fatto a mano con qualcosa, magari, di origine militare o che arriva dagli anni ’60. Secondo me è fondamentale.

 

Luigi Presicce nella copertina di “Dandy. Lo stile italiano”. Foto © Jacopo Menzani e Tommaso Majonchi.

Chi rappresenta maggiormente, oggi, la quintessenza del dandy del Bel Paese?

In realtà lo fanno tutti. Io i “miei dandy” li ho scelti proprio perché per me tutti rappresentano – per un motivo o per l’altro – quella figura, per cui non ho preferenze. Potrebbe essere Alessio Berto come Gerardo Cavaliere, i fratelli Guardì…Oppure Luigi Presicce, l’artista in copertina. Dandy lo sono un po’ tutti, li ho selezionati con cura! Ognuno di loro è esemplificativo di un carattere ben preciso.

 

Rodolfo Valentino. Foto © Ullstein Bild / Alinari

Hai qualche progetto in serbo di cui mi vorresti parlare?

Assolutamente sì: è un progetto che si sta chiudendo in questi giorni, ma fino a un nuovo ordine non posso pronunciarmi. Ti aggiornerò appena posso!

 

Sergio. Foto © Giulia Gasparini

Barnaba Fornasetti. Foto © Mattia Balsamini

Tavolo del Maestro Liverano. Foto courtesy Liverano & Liverano

 

 

“Christian Dior, couturier du reve”: la grande mostra che celebra i 70 anni della Maison

Christian Dior, Bar suit, Haute Couture, Spring-Summer 1947, Afternoon suit, Shantung jacket , Pleated corolla skirt in wool crêpe, Musée des Arts Décoratifs, UFAC
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope

Sono trascorsi 70 anni da quando il New Look, nel secondo dopoguerra, rivoluzionò in toto la silhouette femminile. Era il 1947 e la collezione Primavera/Estate di Christian Dior, contrapponendo uno charme elegante alle austerità imperanti durante il conflitto bellico, riscosse un successo tale da far sì che Parigi fosse ribattezzata “capitale della moda internazionale”. Da allora, la Maison Dior ha conosciuto un’ epopea di invariato splendore che in occasione del suo 70mo viene celebrata da una retrospettiva parigina: “Christian Dior, couturier du reve” è appena stata inaugurata presso il Musée des Arts Décoratifs e sarà visitabile fino al 7 Gennaio 2018. La mostra approfondisce ad ampio spettro l’ universo Dior, ripercorrendo il percorso inaugurato da Monsieur Christian fino ad approdare ai suoi illustri successori; il tributo è in grande stile, forse il più maestoso mai dedicato alla Maison. Agli oltre 300 abiti di Haute Couture selezionati viene affiancato, infatti, il fitto patrimonio intangibile costituito dalle emozioni, dalle storie di vita, dalle affinità e dalle ispirazioni, un heritage insostituibile documentato attraverso documenti, tele d’atelier, fotografie, schizzi, illustrazioni e reperti pubblicitari oltre che da accessori come i cappelli, le scarpe, le borse e dagli storici profumi Dior.

Christian Dior, Opéra Bouffe gown, Haute Couture, Fall-Winter 1956, Aiman line Short evening gown in silk faille by Abraham, Paris, Dior Héritage
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

A dare il via al percorso espositivo, un approfondimento biografico sul “couturier du reve”: l’ infanzia a Grenville, gli Anni Ruggenti trascorsi in una Parigi effervescente dove inaugurò una galleria d’Arte, gli inizi nella Haute Couture come illustratore vengono evidenziati al pari delle sue passioni. L’ arte fu, senza dubbio, l’ amore principale di Christian Dior. Lo rivela il feeling che instaurò con nomi del calibro di Giacometti, Max Jacob, Dalì, Leonor Fini, Jean Cocteau e moltissimi altri habitué della galleria, ma anche la cospicua serie di dipinti, arredi, sculture, oggetti di antiquariato e d’arte esposti ad avvalorare la sua inclinazione. I curatori Florence Muller e Olivier Gabet hanno organizzato un excursus cronologico e tematico che si estende nei 3000 mq del Museo con dovizia di particolari: “raccontare” la Maison Dior significa anche, naturalmente, non tralasciare il prezioso ruolo che le creazioni fur di Frédéric Castet, i beauty look di Serge Lutens, Thyen e Peter Philips e le fragranze di François Demachy hanno rivestito nel forgiare la sua estetica. Fondamentale è poi lo spazio dedicato ai couturier che, dal 1957 (anno in cui Christian Dior morì improvvisamente) ad oggi, hanno portato avanti il suo heritage. Le creazioni di Yves Saint Laurent, Marc Bohan, Gianfranco Ferrè, John Galliano, Raf Simons e Maria Grazia Chiuri vengono omaggiate  in 6 gallerie che evidenziano le loro rispettive riletture di uno stile ormai leggendario.

Maria Grazia Chiuri for Christian Dior, Essence d’herbier cocktail dress, Haute Couture, Spring-Summer 2017, Ecru fringe cocktail dress, floral raffia and thread embroidery adomed with Swarovski crystals, derived from a Christian Dior original
© Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Quando il New Look trionfò, si impose una moda dai codici del tutto inediti: la linea a corolla, che sottolineava la vita e amplificava le gonne a dismisura, esaltava una nuova femminilità. Le spalle si arrotondavano dolcemente, il busto risaltava grazie a bar jacket aderenti e gli accessori – cappello, borsa, guanti – si tramutavano in parte integrante della mise. Al razionamento dei tessuti tipico della Seconda Guerra Mondiale venivano sostituite stoffe in metratura extra, la donna si riappropriava del gusto di abbigliarsi e di esibire glamour allo stato puro. La passione per l’arte e per l’ antiquariato divenne, per Christian Dior, sommo leitmotiv ispirativo: se ne rinvengono tracce sia nel design che nei pattern decorativi. Dal 1957 ad oggi, i couturier che gli sono succeduti hanno reinterpretato la sua cifra stilistica attingendo ai più svariati spunti. La raffinata audacia di Saint Laurent, lo chic lineare di Marc Bohan, le suggestioni architettoniche di Gianfranco Ferrè, la Punk couture teatrale di John Galliano, il rigoroso minimal di Raf Simons e il femminismo luxury di Maria Grazia Chiuri vengono analizzati, nella mostra, tramite outfit tanto splendidi quanto significativi.

John Galliano for Christian Dior, Shéhérazade ensemble, Haute Couture, Spring-Summer 1998 Evening ensemble , Ballets-Russes-inspired kimono, pyramid line with large silk velvet funnel collar, appliqué décor, embroidery and incrustation of Swarovski crystals, Long double satin sheath dress, Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

A concludere l’ esposizione, la navata centrale si tramuta in sala da ballo per accogliere un novero di evening dress spettacolari. Alcuni di essi sono stati indossati da VIP del calibro della Principessa Grace di Monaco, Lady Diana Spencer, Charlize Theron e Jennifer Lawrence, affascinanti figure chiave dell’ iconografia Dior. Altre creazioni, sono per la prima volta visibili a Parigi. Tutti gli abiti contribuiscono, mirabilmente, ad illustrare la storia mitica di una Maison che del glamour ha fatto il suo emblema più sublime.

Gianfranco Ferré for Christian Dior, Palladio dress, Haute Couture, Spring-Summer 1992, In Balmy Summer Breezes line, Long embroidered and pleated white silk georgette sheath dress Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

“CHRISTIAN DIOR, COUTURIER DU REVE”

Una mostra a cura di Florence Muller e Olivier Gabet con lo sponsor di Swarovski

Dal 5 Luglio 2017 al 7 Gennaio 2018

c/o Museé des Arts Décoratifs

107, Rue de Rivoli

Parigi

Per info: www.lesartsdecoratifs.fr

 

Raf Simons for Christian Dior, Haute Couture, Fall-Winter 2012
¾-length yellow duchess satin evening dress with Sterling Ruby SP178 shadow print, Paris, Dior Héritage, © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Yves Saint Laurent for Christian Dior, Bonne Conduite dress, Haute Couture,
Spring-Summer 1958, Trapèze line, Smock dress in speckled wool by Rodier, Paris, Pierre Bergé – Yves Saint Laurent Foundation © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Marc Bohan for Christian Dior, Gamin suit, Haute Couture, Fall-Winter 1961, Charme 62 line,Tweed suit, Short double-breasted jacket, Trapeze skirt and matching scarf Paris, Dior Héritage © Photo Les Arts Décoratifs / Nicholas Alan Cope *

Photo courtesy of Musée des Arts Décoratifs