Baci, Sospiri e voluttà: i dolci di San Valentino della tradizione italiana

 

In Italia non esistono dolci tipici associati alla ricorrenza di San Valentino, ma sono molti i prodotti di pasticceria che, in un modo o nell’altro, rimandano all’amore. A volte solo per il nome, o grazie a un aspetto che rievoca i simboli della voluttà. Questi dolci, preparati dal Nord al Sud dello Stivale, sono sempre stati reputati un regalo perfetto per dichiararsi alla persona amata. Per risalire alle loro origini, bisogna andare a ritroso nel tempo: la data di nascita di alcuni di essi si colloca nientemeno che tra il XV e il XVI secolo. Andiamo subito a scoprire i più rappresentativi.

 

I Baci di Dama

 

Sono originari di Tortona, in provincia di Alessandria, dove vennero preparati per la prima volta nel XIX secolo. Hanno un nome romantico di cui non si conosce la storia; quel che è certo, è che possono essere considerati una vera e propria eccellenza pasticcera. La loro forma sferica e la farcitura al cioccolato li rendono inconfondibili. Prepararli è molto semplice. La ricetta dei Baci di Dama  include ingredienti come il burro, lo zucchero, le nocciole, la farina e il cioccolato fondente.

 

I Baci di Giulietta e Romeo

 

Provengono da Verona, la città della sfortunata coppia che ispirò la tragedia (“Romeo e Giulietta”, appunto) di William Shakespeare. E con Romeo e Giulietta, questi squisiti biscotti condividono il nome; ideati dal pasticcere veronese Enzo Perlini nel 1950, li caratterizza un “impasto meringa” con farina di mandorle e nocciole e una farcitura di ganache al cioccolato bianco o fondente. Nei biscotti di Romeo viene aggiunto del cacao, mentre quelli di Giulietta deliziano il palato grazie al cocco. La tradizione vuole che, a San Valentino, le donne regalino i  Baci di Romeo (al cioccolato fondente) e gli uomini i Baci di Giulietta (bianchi) ai propri partner.

 

I Baci di Assisi

 

A metà tra biscotti e pasticcini, sono tipici di Assisi, città natale di San Francesco. Hanno una forma tondeggiante, la consistenza soffice della pasta di mandorle. E le mandorle, stavolta sotto forma di fette sottilissime, li ricoprono completamente. Il sapore dei Baci è irresistibile: non è un caso che ne esistano molteplici varianti. I dolcetti storici, tuttavia, sono composti di farina, uova, lievito, burro, zucchero e mandorle, rigorosamente tritate e a fette.

 

I maritozzi

 

Anche Roma ha i suoi dolci della tradizione amorosa. Uno di questi è il maritozzo, che le ragazze, in tempo di Quaresima, solevano regalare ai loro promessi sposi. Quei maritozzi, senza panna ma ricchi di uvetta, canditi e pinoli, contenevano anelli o minuscoli monili d’oro nell’impasto: oggetti dalla forte valenza simbolica che si associavano a un amore destinato ad essere coronato dal matrimonio. Secondo una leggenda, le giovani donne donavano i maritozzi che loro stesse preparavano all’uomo più attraente della comunità. Costui avrebbe poi impalmato la “pasticcera” più brava.

 

I Sospiri

 

Un nome che è tutto un programma, rimanda alle dolci (in tutti i sensi) tribolazioni amorose. Creati a Bisceglie, in Puglia, vantano una storia romantica che si dirama in due differenti versioni: secondo la prima, furono ideati dalle monache in occasione del matrimonio tra Lucrezia Borgia e il Conte di Conversano. Poichè le nozze non furono mai celebrate, le religiose si inventarono questi dolcetti per alleviare l’uggia degli invitati durante l’interminabile attesa degli sposi. Quando vennero serviti, il sorriso tornò a splendere sul volto di tutti: la pasta soffice, la farcitura di crema e la copertura di glassa rendono i Sospiri invitanti al solo sguardo. Ma fu soprattutto la forma a togliere il fiato ai presenti; i Sospiri rievocano inequivocabilmente il seno di una donna. La seconda versione dell’origine dei dolcetti ha per protagonista un giovane pasticcere. Pare che, quando venne abbandonato dalla donna che amava, tra lacrime e sospiri preparò questi pasticcini ispirandosi al suo seno. Dei Sospiri esiste anche una variante senza glassa, curiosamente battezzata “tette delle monache”.

Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash.

Foto del maritozzo di Andy Li, CC0, da Wikimedia Commons

 

La cucina lappone: prodotti, sapori e piatti tradizionali della terra dei Sami

 

Conoscere la cucina lappone è conoscere la cucina Sami, i suoi piatti tipici e la sua arte culinaria. I Sami, dei quali il 6 Febbraio si celebrerà la Giornata Nazionale, hanno da sempre guardato alla renna come a una risorsa suprema, basilare per la loro sopravvivenza. Ne abbiamo già parlato; oggi ci soffermeremo sulla grande importanza che questo animale riveste, sotto l’aspetto gastronomico, per l’unico popolo indigeno riconosciuto d’Europa, ma scopriremo anche quali sono i cibi, i prodotti e le pietanze tradizionali delle lande della Lapponia.

 

La carne di renna

 

La carne di renna rappresenta il cardine della tradizione culinaria Sami: viene preparata in svariati modi e sottoposta alle più disparate lavorazioni. Può essere essiccata, affumicata, marinata e consumata sotto forma di succulenti zuppe o stufati. La cottura richiede diverse ore, basti pensare che per la preparazione del suovas (uno dei piatti più conosciuti anche al di fuori delle regioni lapponi) ne occorrono otto. La carne, tagliata in fette molto sottili, viene salata e affumicata direttamente sul fuoco; poi viene condita con pepe nero, verdure, mirtilli rossi, funghi in agrodolce e panna acida. Il suo sapore è unico: coniuga gli accenti selvatici con il gusto intenso conferito dall’essiccatura. Non è un caso che con il suovas si preparino anche dei deliziosi panini.  Sempre a base di carne di renna, il gurpi è un salame che i Sami arricchiscono con il grasso dell’animale e accompagnano a diversi alimenti: confettura ai frutti di bosco, insalata, puré di verdure e via dicendo.

 

Il pesce

 

Siamo nel Grande Nord, e il salmone è il re del pescato. Nei corsi e negli specchi d’acqua lapponi se ne trova in quantità, insieme alle trote e ai salmerini. La pesca, in Inverno, costituisce un vero e proprio rituale: quando il ghiaccio ricopre i laghi e i fiumi, nessuno vuole rinunciare al piacere di questo sport. Così, accanto a chi approfitta delle superfici ghiacciate per pattinare, è possibile scorgere un gran numero di persone che praticano la pesca sul ghiaccio: basta creare un foro dove verrà inserita la canna da pesca. I piatti tipici a base di pesce includono il salmone con salsa alla panna acida, le aringhe affumicate con cipolle, la lampreda cucinata alla griglia, i timballi con pesce e piselli e una speciale torta, la kalakukko, composta da un involucro di pane azzimo farcito con pesce e pancetta.

 

I formaggi

 

Essendo ricca di capre, la Lapponia abbonda di latte caprino da cui si ricavano golosissimi formaggi. Sono soffici e hanno un gusto irresistibile, tant’è che i Lapponi non esitano ad abbinarli al pane e alla carne. Esistono formaggi annoverati tra le eccellenze gastronomiche della terra dei Sami: ad esempio il munajuusto, a base di uovo, o il kutunjuusto, un tipico caprino. Ma il formaggio più sorprendente è senza dubbio quello incluso nel kaffeost. Si degusta nella kuksa, la tradizionale tazza intagliata nel legno di betulla che i Sami crearono secoli orsono. La kuksa viene riempita di caffè bollente senza dolcificante; nella bevanda si immerge poi un formaggio duro, il Leipäjuusto, che viene “ammordibito” dal calore del caffè. La bontà di questa miscela è tale da aver promosso il kaffeost a ricetta di tendenza.

 

 

I frutti di bosco

 

Dal sottobosco lappone si originano tutti quei sapori che impreziosiscono la cucina Sami di note uniche. I funghi e i frutti di bosco svolgono un ruolo di primaria importanza al riguardo. A proposito di frutti di bosco, citare il lingon è tassativo: questo mirtillo rosso selvatico è celebre in tutto il mondo. Ha un gusto dolce, un pizzico amarognolo, e contiene acido benzoico naturale; si tratta di una pianta altamente benefica, dalle notevoli proprietà antiossidanti. Con il lingon, in Lapponia (ma anche in Svezia) vengono prodotte salse e confetture in grande quantità. Altri frutti di bosco molto diffusi sono il camemoro (detto altresì mora artica o cloudberry, che è poi il suo nome in inglese), con le sue inconfondibili bacche arancioni, e il mirtillo nero. Durante l’Inverno, i frutti di bosco in polvere sono presenti in svariate ricette lapponi.

 

 

Il pane

 

Che tipo di pane si mangia in Lapponia? Ne esistono due. Il mjukkaka è una sorta di focaccia tondeggiante, grande più o meno come un piatto, molto comune nella Lapponia svedese. Si prepara con ingredienti quali la segale, il lievito, la margarina, l’acqua, il sale e il latte, a cui vengono aggiunti il cumino e altre spezie del luogo. Il knäckebröd è invece un pane croccante tradizionale svedese, molto sottile, composto di farina di segale, sale e acqua; i Lapponi hanno aggiunto a questo tipo di pane semi di senape e ravizzone.

 

I dolci

 

In questo settore, le contaminazioni prevalgono. Nella Lapponia svedese, ad esempio, dolcetti come i kanelbullar (girelle alla cannella) e i chokladbollar (palline al cocco e cioccolato) regnano incontrastati. Da segnalare anche le caratteristiche caramelle alla liquirizia salata dei paesi nordici, le salmiakki: ricche di cloruro di ammonio, hanno un gusto quasi piccante scaturito dal mix tra il sapore salato del cloruro e la dolcezza dello zucchero.

 

 

Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash

Foto del kaffeost di Mia is a Geek via Flickr, CC BY-NC-SA 2.0

Foto delle salmiakki di Marcin Floryan, CC BY-SA 2.5 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5>, via Wikimedia Commons

 

La colazione di oggi: la delizia del panettone e del pandoro in saldo (o riciclati)

 

Il pandoro: una trama di zucchero, farina e luce.
(Fabrizio Caramagna)

 

La colazione di Gennaio? Ecco un’idea all’insegna del risparmio: panettoni e pandori acquistati lo scorso Natale, magari nell’euforia dell’accumulo tipica delle feste di fine anno, oppure ricevuti in regalo, possono diventare i dolci perfetti con cui iniziare la giornata. Un altro spunto a tema? I panettoni e i pandori in saldo, che in questo periodo si trovano a prezzi stracciati. Vi dirò di più: Gennaio è il mese giusto per sbizzarrirsi tra le varie offerte, soprattutto nei supermercati. Il costo delle due golosità natalizie più amate arriva a dimezzarsi e si associa a svariati format di convenienza, uno su tutti il celebre “prendi tre paghi due”; vale la pena di approfittarne al volo, anche perchè gli sconti non hanno nulla a che vedere con pandori e panettoni di minore qualità. Via libera, dunque, all’acquisto, o al consumo, dei dolci emblematici del Natale sebbene fuori tempo massimo. Una colazione del genere, inoltre, si ricollega a tutta una serie di vantaggi. La parola d’ordine, in questo caso, è “riciclo”.

 

 

Un panettone o un pandoro delle festività appena trascorse possono essere convertiti in una miriade di dolci differenti: muffin, crostate, torte, zuppe inglesi, budini, girelle, tiramisù…c’è solo l’imbarazzo della scelta. Se ne è avanzata qualche fetta, basta mettere in moto la creatività per dar loro un nuovo volto e combattere gli sprechi. I sapori da sperimentare sono innumerevoli, uno più ghiotto dell’altro. Basti pensare al pandoro tagliato a fette e poi farcito con della crema deliziosa e frutti di bosco, oppure al panettone ricoperto con una ganache da leccarsi i baffi e un tripudio di barrette di cioccolata.

 

 

La trasformazione di un pandoro o un panettone, tuttavia, non si limita solo agli esemplari da riciclare: può essere applicata anche a quelli che abbiamo acquistato in saldo. Soprattutto se abbiamo usufruito delle offerte. In questo caso, infatti, avremo un maggior numero di dolci a nostra disposizione. Gli spunti sono moltissimi, gli ingredienti da aggiungere incalcolabili a dir poco. Qualche esempio? Il cioccolato fondente, la crema al mascarpone, inglese o pasticcera, lo yogurt, il burro, i frutti di bosco, il liquore, la vaniglia, il cacao, il caffè, la frutta secca, la panna montata…l’elenco è interminabile come le ricette che vedono protagonisti, di volta in volta, questi prodotti e tanti altri ancora.

 

 

A dispetto del termine delle festività natalizie – ma in fondo proprio grazie ad esse – Gennaio si configura, dunque, come il mese delle colazioni ad alto tasso di golosità. Cogliamo l’occasione finchè siamo in tempo; e se siete in cerca di qualche sfiziosa ricetta a cui far riferimento, vi segnalo subito questo link: su Cookist potete trovare mille e più idee su come riciclare, o rendere ancora più squisiti, il pandoro e il panettone.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

I dolci dell’Avvento: viaggio in Nord Europa

 

Quest’anno, durante l’Avvento, viaggiamo in Europa anche per quanto riguarda le delizie dolciarie. Ma quali sono i più famosi dolci dell’Avvento, nei paesi europei? Per rimanere in linea con gli ultimi articoli apparsi su VALIUM, oggi andremo alla ricerca delle specialità natalizie del Nord Europa. Noteremo che hanno in comune molti ingredienti, ad esempio le spezie e la frutta secca, e che sono rappresentate da prodotti da forno sotto molteplici forme: dalla torta ai biscotti, dalla brioche al pan dolce. Con un’eccezione che potrete scoprire leggendo l’articolo qui di seguito…

 

Germania: i Lebkuchen

Diffusi anche in Austria, Boemia, Polonia, nel Trentino Alto-Adige e nella Svizzera tedesca, sono biscotti a base di spezie non di rado ricoperti di glassa o cioccolato.

 

Danimarca: il risalamande

Servito come dessert, questo dolce danese è un budino che si prepara combinando il riso al latte con ingredienti quali la vaniglia, lo zucchero, la panna e le mandorle tritate. Viene gustato freddo dopo essere stato arricchito di una deliziosa salsa alle ciliegie.

 

Estonia: il Kringel

Si tratta di una brioche intrecciata a base di cannella guarnita con crema al cioccolato, frutta secca (soprattutto noci) e, a volte, mele: ne esistono varie versioni, una più squisita dell’altra.

 

Finlandia: la Joulutorttu

Conosciuti anche in Svezia, sono dolcetti natalizi dalla tradizionale forma di stella. Si preparano con la pasta sfoglia e una marmellata di prugne da leccarsi i baffi.

 

Lussemburgo: il Boxemännercher

Simile ai noti e amatissimi omini al pan di zenzero, il Boxemännercher è un dolce lussemburghese tipico della ricorrenza di San Nicola. Non è un caso, infatti, che sia molto diffuso in tutti i paesi in cui il Santo, la notte tra il 5 e il 6 Dicembre, si reca di casa in casa per portare regali ai bambini. L’omino plasmato su questa golosa brioche rappresenta proprio San Nicola, e solitamente viene guarnito con zucchero al velo, pasta di zucchero o uvette.

 

Paesi Bassi: il Kerststol

Nei Paesi Bassi il Natale si festeggia con un dolce che somiglia parecchio allo Stollen, il soffice pane tedesco ricco di spezie e di canditi. L’impasto è composto, tra gli altri ingredienti, di noce moscata, cardamomo, uva passa, canditi, brandy, mandorle, vaniglia e un tocco di pasta di mandorle che lo rende ancora più invitante.

 

Belgio: il Kerststronk

E’ un tronchetto di Natale preparato con pasta biscotto al cioccolato, farcito di crema e rivestito di crema al burro; in Francia prende il nome di Bûche de Noël. Si ispira alla tradizione millenaria del ceppo di Natale – o ceppo di Yule – di cui VALIUM ha parlato qualche tempo fa (rileggi qui l’articolo).

 

Austria: i Vanillekipferl

Questi squisiti biscotti alla vaniglia hanno la forma di un ferro di cavallo e sono abbondantemente ricoperti di zucchero a velo. Durante l’Avvento, vengono perlopiù degustati in occasioni come i brindisi in compagnia. Piacciono molto anche ai tedeschi e agli ungheresi…non è difficile capire il perchè.

Foto del risalamande di Pille from Tallinn, Estonia, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Il lato oscuro del Natale: gli aiutanti di San Nicola e altre figure orrorifiche

 

“Molte sono le tradizioni popolari sorte attorno al periodo natalizio: i mesi più oscuri dell’anno, che vanno dal tardo autunno fino a inverno inoltrato, e in particolare le Dodici Notti, tra Natale e l’Epifania, sono teatro di leggende e apparizioni numinose che hanno impressionato i popoli europei, tanto da dare luogo a usanze probabilmente di origine antichissima, risalenti al periodo pre-cristiano. Non possiamo parlare tuttavia di una continuità che attraversi così tanti secoli, quanto piuttosto di un continuo scomparire e riapparire di motivi che si ripropongono sempre concettualmente simili, e che hanno dato luogo ad espressioni riconoscibili nel corso delle varie epoche storiche.”

(Alberto Paganini, da “Yule. Riti, tradizioni e spiriti del Natale”, a cura di Davide Marré, di Alessandro Azzoni et al., Phanes Publishing)

 

Il Natale ha anche un lato oscuro? La risposta è sì. Ed è facilmente comprensibile: nel giorno del Solstizio d’Inverno, buio e luce coesistono immancabilmente. Il buio, che coincide con la “morte” temporanea della natura, il gelo e il riposo stagionale, torna a lasciar spazio alla luce, quindi alla fertilità e alla rinascita, a poco a poco. Ma il predominio delle tenebre, sebbene sia in procinto di cedere innanzi al ritorno della luce, persiste ancora, e nel corso dei secoli si è incarnato in figure cupe e altamente simboliche la cui origine affonda nella notte dei tempi. Molti di questi personaggi sono legati a San Nicola, il Santo che ispirò il mito di Babbo Natale (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), rappresentando una sorta di dualismo tra il bene e il male. Se San Nicola era un protettore dei fanciulli, e nella notte tra il 5 e il 6 Dicembre si prodigava a distribuire doni ai bimbi buoni, i suoi aiutanti impersonavano la sua controparte oscura: si incaricavano di castigare i bambini che non si erano comportati bene e lo facevano in modo cruento, servendosi di punizioni corporali e fustigazioni. Lo stesso aspetto di questi aiutanti era assai inquietante. Le leggende li descrivono come demoni spaventosi, flagellatori incappucciati, briganti infidi e malvagi. Tali personaggi prendono vita prevalentemente nella tradizione germanica, scandinava e mitteleuropea, passando per la Francia orientale e i paesi dell’area alpina. Oggi andremo a conoscerne qualcuno, ma scopriremo anche figure che non hanno nulla a che vedere con San Nicola.

 

Krampus

 

In Trentino Alto-Adige, Austria e nel sud della Germania, lo conoscono molto bene: in quelle zone, la notte tra il 5 e il 6 Dicembre, si organizza ancora oggi la corsa dei Krampus (Krampuslauf), durante la quale un branco di questi terrificanti personaggi sfila tra il pubblico minacciandolo e reagendo aggressivamente alle provocazioni. Il Krampus ha l’aspetto orripilante di un demone; è munito di lunghe corna, zampe caprine e ricoperto di un vello abbondante. Il suo volto è spaventoso, contratto in un eterno ghigno, gli abiti laceri che indossa sono assemblaggi di pelli animali. C’è un’antica leggenda che lo riguarda. Si narra che, secoli orsono, dei giovani avessero escogitato un metodo per combattere la carestia che affliggeva l’area alpina: organizzavano scorribande di gruppo cammuffati da demoni. Pellicce, corna, piume e quant’altro servivano a renderli irriconoscibili durante le loro incursioni nelle case dei villaggi, che saccheggiavano per nutrirsi. Il diavolo in persona, anche lui alla ricerca di cibo, cominciò a unirsi alle scorribande, ma un bel giorno il suo stratagemma fu scoperto. I giovani si accorsero degli zoccoli caprini che esibiva e chiamarono in soccorso San Nicola. Il Santo, dopo aver sconfitto il Diavolo, decise di relegarlo al ruolo di suo aiutante: l’avrebbe accompagnato nella consegna dei doni ai bambini buoni. Krampus approfittò subito dell’occasione per punire i bimbi cattivi fustigandoli con dei fasci di rami di betulla. La leggenda di Krampus, come abbiamo già visto, ha attraversato indenne i secoli fino ad arrivare ai nostri giorni.

 

Krampus e San Nicola in un’illustrazione austriaca del 1896

 

Knecht Ruprecht

Ruprecht in un’illustrazione tedesca risalente al 1863

L’immagine che vedete qui sopra, evidentemente, è una libera interpretazione del personaggio: in realtà Knecht Ruprecht (“servo Ruprecht” tradotto dal tedesco), un altro aiutante di San Nicola, viene raffigurato come un monaco incappucciato che sfoggia un lungo mantello e una barba interminabile. Non è raro che cammini zoppicando; inoltre, non dimentica mai di portare con sè una frusta con cui castiga i bambini che si sono comportati male. Esistono diverse credenze sull’impietoso Knecht Ruprecht, una figura ricorrente nel folklore di Natale della Germania centro-nord: a volte, pare che chieda ai bambini di recitare preghiere per espiare i loro peccati. Se acconsentono, li premia con doni a base di dolci e frutti succosi; se rifiutano, li fustiga o scaglia loro addosso il suo sacco ricolmo di cenere.

 

Père Fouettard

Lo abbiamo già incontrato, ricordate? E’ il macellaio citato nell’articolo che ho dedicato a San Nicola. Père Fouettard proviene dalla Lorena, una regione della Francia orientale che confina con il Belgio, il Lussemburgo e la Germania. Fisicamente è alto e sottile, ha il viso cupo e una barba incolta. Indossa un lungo abito nero corredato di cappuccio, e agita continuamente le catene e i campanelli con cui sottolinea le sue minacce. Secondo la leggenda, Père Fouettard (dal francese “fouet”, frusta, e “fouetter”, frustare) è il macellaio che, nel 1150, attirò nella sua casa tre bambini di una vicina scuola e li fece a pezzi prima di metterli sotto sale: si proponeva di vendere la loro carne ai clienti della sua macelleria. Ma quando San Nicola venne a conoscenza di questa atrocità, resuscitò i bambini e costrinse Père Fouettard a diventare il suo aiutante. Da allora, l’ex macellaio lo segue eternamente ed è una sorta di suo alter ego oscuro. Punisce i bambini cattivi fustigandoli, ma si vocifera anche che lanci contro di loro una raffica di arance.

 

Frau Perchta

La rappresentazione di un perchtenlauf tirolese del 1892, una caccia agli spiriti maligni dell’inverno

Perchta, ovvero “La Splendente”, è una delle divinità da cui ha origine il mito della Befana (rileggi qui il mio articolo). La sua figura è ricorrente nelle tradizioni della regione alpina, dove viene rappresentata con un duplice aspetto: può essere una donna giovane, avvenente e luminosa come la neve, ma anche una terrificante strega con molti anni sulle spalle. Perchta, così come la dea germanica Holda, è detta “la Signora delle Bestie” poichè svolge una funzione protettrice sul mondo animale. Fa la sua apparizione nelle dodici notti, il periodo compreso tra il 25 Dicembre e il 6 Gennaio. Dicono che bussi di porta in porta per accertarsi che le famiglie si riuniscano come vuole la tradizione, ma è tassativo che le abitazioni risultino perfettamente in ordine: in tal caso, Perchta dona monete d’argento ai servitori. In caso contrario, invece, squarcia il loro ventre con un coltello molto affilato e al posto delle viscere inserisce una buona quantità di paglia, cavoli, pietre o spazzatura. La stessa sorte tocca ai membri della famiglia che non si sono comportati bene. In più, Perchta non è mai sola: un folto gruppo di demoni la accompagna nelle sue incursioni. A costoro spetta il compito di torturare le persone cattive, mentre la dea si incarica di salvaguardare dagli stessi le persone buone. A queste ultime, così come ai bambini diligenti, lascia sonanti monete d’argento nelle calzature. Per propiziarsi i favori di Perchta, le famiglie sono solite offrirle il porridge che hanno preparato in occasione della sua visita.

 

 

Belsnickel

Quella di Belsnickel è una figura medievale diffusasi nella Germania sud-occidentale (e successivamente in Pennsylvania, dove si è verificata una massiccia immigrazione tedesca). Belsnickel comincia ad apparire circa dieci giorni prima di Natale, e chi lo ha visto non potrà mai dimenticarlo: indossa abiti consunti, composti da toppe di pelliccia a cui sono cuciti innumerevoli campanellini, e ha il volto celato da una maschera. Porta con sè un sacco pieno zeppo di giocattoli e dolcetti per i bambini buoni e una frusta per castigare quelli cattivi. Il suo arrivo è tutto fuorchè silenzioso: Belsnickel viene preannunciato dai campanelli che tintinnano a ogni passo, poi bussa rumorosamente alle finestre e ai portoni per non passare inosservato. La leggenda vuole che imponga ai bambini di recitare alcuni versi, risolvere problemi matematici o citare determinati passi biblici. Se lo fanno correttamente, versa i dolci e i giocattoli sul pavimento, ma esiste una regola anche per raccoglierli: i bambini non devono dimostrarsi troppo bramosi di impossessarsene, o verranno puniti con la sua frusta.

Grýla

 

Appartiene al folklore natalizio islandese ed è una mostruosa donna troll: ha tredici code e zampe bestiali che sostituiscono le gambe. Tra i personaggi oscuri del Natale, è senza dubbio il più agghiacciante. Si dice che il 25 Dicembre esca dalla sua caverna alla ricerca di bambini che non si sono comportati bene durante l’anno; dopo averli attirati nelle sue grinfie, li utilizza per preparare lo stufato di carne. La dimora di Grýla, chiamata Fortezza Oscura perchè composta da una serie di grotte laviche, è situata nel nord dell’Islanda. Lì la gigantessa vive con tredici figli simili a gnomi dispettosi: ciascuno di loro è contraddistinto da una peculiarità ben precisa. A partire dal 12 Dicembre fino al 6 Gennaio, i figli di Grýla, uno dopo l’altro, raggiungono i villaggi dei dintorni per portare il caos. E’ anche possibile che vadano a trovare dei bambini; in questo caso, premieranno quelli buoni con un regalino mentre ai cattivi destineranno una patata andata a male. La famiglia di Grýla possiede un gatto, ma non pensate a qualche similitudine con i nostri dolcissimi amici felini: il ciclopico Jólakötturinn, questo il suo nome, nel periodo natalizio vaga per strada in cerca di umani da divorare.In Islanda, la gigantessa Grýla è talmente famosa da essere stata inclusa persino nell’“Edda”, i due importanti volumi di mitologia norrena che Snorri Sturluson scrisse nel XIII secolo.

Immagini: Public Domain via Pixels, Unsplash e Wikimedia Commons.

Père Fouettard via Etienne Mahler from Flickr, CC0 1.0 Universal

Grýla: illustrazione dell’artista islandese Tryggvi Magnússon pubblicata da Thorsteinn1996, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

L’Hygge: una filosofia di vita che viene dalla Danimarca

 

“Hygge”: un termine che racchiude tutta una filosofia di vita. Lo conoscete? E’ un sostantivo danese (la cui pronuncia è esattamente “ugga”) che in italiano potrebbe essere tradotto con “intimità”, “accoglienza”, “calore”, “comfort”. Tirare in ballo le parole, tuttavia, non rende l’idea: dire “hygge” è definire un concetto, un’atmosfera. Diverse lingue germaniche includono un vocabolo molto simile; per i tedeschi è Gemütlichkeit, per gli svedesi Mys, per gli olandesi Gezelligheid. In Norvegia, anticamente, “Hygge” aveva lo stesso significato che ha tuttora. Quando questo termine apparve in Danimarca all’inizio dell’Ottocento, conquistò subito i danesi, che lo adottarono senza se e senza ma. L’Hygge è direttamente associato alla vita quotidiana, ai piccoli piaceri che l’esistenza offre giorno dopo giorno. La casa, accogliente e confortevole,  è il suo regno. Attività molto Hygge sono, ad esempio, trascorrere dei magici momenti con gli amici, con gli affetti più cari; sorseggiare un buon gløgg  (il vin brulé scandinavo), un caffé, una cioccolata calda, davanti al focolare; preparare dolci, biscotti, piatti tradizionali; godersi il tepore familiare in tutto relax; combinare la perlacea luce nordica con il bagliore soffuso delle candele. Ne esistono molte altre ancora, naturalmente, che potrebbero essere riassunte in una frase: “cercare la gioia nelle piccole cose”. D’altronde, non è un caso che la Danimarca abbia occupato per oltre 40 anni il primo posto nella classifica dei paesi più felici del mondo.

 

 

L’ HYGGE IN PILLOLE

La casa

E’ un rifugio, un’oasi accogliente in cui assaporare momenti di pura felicità. I colori delle pareti sono chiari, luminosi, per riflettere il più possibile la luce del giorno. L’arredamento è composto da un mobilio in materiali rigorosamente naturali, come ad esempio il legno. L’oggettistica e le decorazioni ricoprono un ruolo chiave, poichè personalizzano l’ambiente rendendolo ancora più ospitale. Divani e cuscini, emblemi di comodità, abbondano. Le stanze principali sono la camera, all’insegna del massimo relax, ma soprattutto la cucina: è il luogo dove si prepara il cibo e in cui ci si riunisce la sera, condividendo pasti, chiacchiere e piacevoli racconti. L’illuminazione della casa è molto importante; le lampade vengono preferite ai lampadari giacchè diffondono una luce più intima; il camino (imprescindibile) e le candele a profusione rappresentano i must dello stile Hygge. Le candele, in particolare, vengono utilizzate ampiamente da tutti i danesi. Osservare il baluginio della loro fiamma è come compiere una meditazione che induce un profondo rilassamento.

 

 

Il cibo

E’ alla base della convivialità Hygge. Cucinare insieme agli amici e ai familiari è condividere momenti di totale intimità. Vengono privilegiati piatti tipicamente danesi come le polpette in salsa al curry, lo Snobrød (un pane il cui impasto viene avvolto attorno ad un bastone e cotto sul fuoco), e lo Skipperlabskovs, petto di manzo condito con patate, pepe nero, cipolle e foglie di alloro. Tra i dolci Hygge rientra il rote Grütze, realizzato con gelatina alla frutta e fecola di patate, e il Gammeldags æblekage, un dolce a tre strati a base di mele. Sul podio delle bevande troviamo il gløgg, seguito dalla cioccolata calda, dal caffè e dallo sciroppo di sambuco.

 

 

La convivialità

Trascorrere del tempo di qualità con gli amici è un altro cardine dell’ Hygge. Le parole d’ordine, ancora una volta, sono “convivialità”, “condivisione”, “armonia”. Il piacere di stare insieme prevale su tutto; l’atmosfera è rilassata, ognuno deve sentirsi a proprio agio. Lo spirito di gruppo predomina sull’ego dei singoli componenti: essere sè stessi è un imperativo, corroborato dall’amenità dei racconti e dei ricordi evocati. Ritrovarsi è un rituale che coincide con una pausa rigenerante, assaporando del buon cibo e staccando completamente la spina dal mondo virtuale. Fondamentale è cogliere l’attimo, la gioia del qui e ora.

 

 

Il Natale

Le feste natalizie, in Danimarca, rappresentano il periodo Hygge per eccellenza: il buio dell’Inverno viene contrastato da miriadi di candele, ma anche per strada e nei luoghi tipicamente turistici sfavilla un tripudio di luci. Basti pensare ai Giardini Tivoli di Copenaghen, classe 1843, il parco di divertimenti più antico al mondo. Durante l’Avvento, attività Hygge come lo stare insieme, il condividere i pasti e il preparare piatti tipici si susseguono a spron battuto. Anche addobbare la casa è molto Hygge. Le decorazioni sono realizzate a mano, il presepe trionfa accanto all’albero di Natale e gli ornamenti più elaborati vengono tramandati alle nuove generazioni. Elfi in miniatura proliferano sui portoni delle case o alle finestre; in cima all’abete troneggia una stella d’oro o argento, mentre i suoi rami sono impreziositi da noci, biscotti, piccole bandiere danesi e meravigliosi oggetti. Le candele, un basic dello stile Hygge, abbondano anche sull’albero e nelle composizioni che abbelliscono la tavola del Natale. Una nota tradizione danese, inoltre, prevede l’accensione di una candela dell’ Avvento tutti i giorni nel periodo compreso tra l’ 1 e il 31 Dicembre (clicca qui se vuoi saperne di più sul Natale a Copenaghen).

 

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La colazione di oggi: la feta, il formaggio epico che compare nell’Odissea di Omero

 

La feta, un tradizionale formaggio greco dalla tipica forma a blocchi rettangolari, è ormai diffusissima anche in tutti i supermercati e i negozi italiani. La sua pasta è morbida ma non troppo, compatta, la crosta è completamente assente. Sulla superficie, il formaggio è costellato di piccoli fori. Generalmente, dato che la feta viene fatta maturare in salamoia, il suo sapore risulta parecchio salato; tuttavia, si presenta più o meno piccante a seconda che venga suddivisa nella varietà “soft” o “firm”. La variante soft, dal gusto delicato, è talmente morbida da poter essere spalmata come una crema: non è un caso che si utilizzi anche per la preparazione dei dolci. La variante firm vanta invece un aroma salato e vagamente acido (ma non privo di un tocco di dolcezza) che viene descritto come un incrocio tra il burro, lo yogurt e il latte di pecora – anche se, in realtà, la feta contiene latte di capra che può raggiungere una percentuale del 30%. Ad intensificare il suo sapore sono accenti speziati simili al pepe e allo zenzero. Il nome “feta”, che affonda le radici nel XVII secolo, in greco significa “fetta”; ciò potrebbe riferirsi alla rottura della cagliata una volta che il latte si è coagulato oppure alla forma del formaggio. Una curiosità: la feta era già presente ai tempi di Omero e viene inclusa persino nell’Odissea, il leggendario poema epico che il poeta greco scrisse tra l’VIII e il VI secolo a.C.

 

 

Nella Grecia antica, i formaggi erano un cardine della gastronomia. La feta veniva prodotta soprattutto a Creta e in Tessaglia; verso la fine del 1400 l’italiano Pietro Casola rimase talmente colpito da questo saporito formaggio da descriverne dettagliatamente la lavorazione e il “riposo” in salamoia per almeno 65 giorni. E’ molto importante dire che, dal 2022, la feta ha ricevuto la Denominazione di Origine Protetta (DOP): ciò significa che l’utilizzo del suo nome spetta solo alla Grecia e al di fuori di questo paese è proibito assegnarlo a prodotti che presentino caratteristiche simili.

 

 

La feta è un formaggio piuttosto denso di lipidi; contiene anche proteine in quantità e una buona dose di carboidrati.  Abbonda di acqua mentre è poco ricca di lattosio, una bella notizia per gli intolleranti. Chi è affetto da ipercolesterolemia, invece, dovrebbe consumarla con cautela: la feta si ricava dal latte intero e presenta una notevole concentrazione di colesterolo. Le vitamine maggiormente incluse in questo formaggio greco sono la vitamina A e la vitamina B, mentre tra i sali minerali prevalgono il calcio, il sodio e il fosforo.

 

 

Tipicamente inclusa tra gli stuzzichini dell’aperitivo, la feta viene utilizzata come ingrediente base dell’insalata greca e nelle ricette dei dolci. Con la feta, inoltre, i greci farciscono i panini, insaporiscono le frittate e preparano gustosi antipasti. Ma questo formaggio può essere consumato anche durante la prima colazione: ad esempio abbinandolo alle fragole, uno dei più golosi frutti di stagione. Oppure, rendendolo il must di un pasto nutriente ed altamente proteico. Potete accompagnare la feta con il pane ai cereali, con l’avocado, con delle fette o dei cubetti di pomodoro. Il connubio con la frutta, tuttavia, risulta sempre vincente: insieme all’arancia tagliata a fette la feta è una vera e propria delizia, così come con i cubetti di anguria. Esistono mille modi, insomma, di gustare la feta…e vi consiglio vivamente di provarli tutti.

 

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La torta di mele: origini e varianti nel mondo di un dolce senza tempo

 

La torta di mele è un dolce senza tempo, una delizia consumata principalmente nei mesi freddi. Non ha bisogno di presentazioni.  In Italia la prepariamo includendo dei pezzi di mela a un impasto contenente uova, lievito, burro, olio d’oliva, farina, latte, una buccia grattugiata di limone e un po’ di sale; a volte aggiungiamo delle noci, la cannella e qualche uvetta. Nel caso in cui le mele rappresentino solo una guarnizione, la torta viene definita “crostata” senza nulla da invidiarle in quanto a golosità. Ma come si prepara la torta di mele negli altri paesi del mondo e soprattutto, dove nasce questa intramontabile ricetta? Lo scopriremo subito.

 

 

In Inghilterra

E’ qui che è stata rinvenuta la ricetta di torta di mele più antica del mondo: risale nientemeno che al 1381, quando Geoffrey Chaucer (il padre della letteratura inglese) era ancora vivo e vegeto. L’ “apple pie” inglese era ricoperta di pasta e includeva ingredienti, oltre alle mele, come le pere, i fichi, il ricino, le spezie e lo zafferano per la colorazione del dolce. Oggi, nel Regno Unito è in auge una versione doppiamente golosa della torta: è possibile servirla con il gelato, la panna montata e la crema pasticcera. Generalmente assume la forma di una ciambella spruzzata di zucchero a velo con il buco ripieno di mele a cubetti, oppure somiglia a una crostata.

 

 

In Francia

Ideata dalle sorelle Stéphanie e Caroline Tatin nella seconda metà dell’800, la tarte Tatin è una torta di mele tipicamente francese. Pare che una delle sorelle Tatin, che gestivano un ristorante a Lamotte-Beuvron (nei Paesi della Loira), fece caramellare le mele in burro e zucchero per errore e così le ricoprì con l’impasto prima di capovolgere la torta in un piatto. Il risultato fu un dolce “capovolto” tuttora molto in voga: il suo carattere distintivo sono, appunto, le mele caramellate a parte precedentemente alla cottura.

 

 

In Olanda

La torta di mele nasce nel Medioevo. Le ricette più antiche evidenziano l’utilizzo di numerose spezie: le principali erano costituite dal cardamomo, la noce moscata, i chiodi di garofano, la cannella, lo zenzero. Solitamente, la torta presentava un foro centrale dove venivano inserite le mele. Ai nostri giorni, in Olanda esistono due varianti di torte di mele: una decisamente soffice, l’altra più simile alla crostata. La cannella, il succo di limone, lo zucchero e la pasta di mandorle sono gli ingredienti maggiormente usati per insaporire il dolce, che viene servito con del gelato alla vaniglia; la torta di mele olandese, infatti, può essere degustata calda ma anche fredda.

 

 

Negli Stati Uniti

La torta di mele, oggi un emblema dell’ americanità, tra il 1600 e il 1700 era il dolce “d’importazione” più comune: gli immigrati svedesi, inglesi e olandesi lo preparavano abitualmente nelle rispettive colonie.  All’inizio, essendo la varietà di mele diffusa in America eccessivamente aspra, questo frutto veniva utilizzato sotto forma di sidro. Tempo dopo, tra innesti e meli d’importazione, le varietà cominciarono a moltiplicarsi permettendo la creazione di svariate versioni del famoso dolce. Nel 1700, non a caso, le ricette delle torte di mele “made in USA” erano già numerosissime. Il primo paese in cui la torta divenne celebre fu il Delaware; la possibilità di poter consumare il dessert in ogni stagione dell’ anno costituiva il suo principale punto di forza. Un secolo dopo, a partire dal 1800 e per tutto il 1900, la torta di mele si tramutò in una vera e propria icona, l’incarnazione del benessere a stelle e strisce. Veniva arricchita, e viene tuttora, di ingredienti quali il succo di limone, la noce moscata, la cannella, e servita con il gelato o il cheddar, un tipico formaggio anglosassone dalla consistenza dura e dal colore che spazia dal giallo all’arancio: nel New England, la torta di mele con il cheddar è diventata una specialità nazionale.

 

 

In Svezia

La ricetta si discosta molto da quella della torta di mele classica: nell’ impasto sono inclusi ingredienti come l’avena o pane grattugiato in abbondanza. Il sapore viene esaltato dalla cannella e per servirla si utilizzano il gelato o la crema pasticcera. Esiste poi una variante, la äppelkaka, dalla pasta estremamente soffice che somiglia al pan di Spagna. Insaporita con pasta di mandorle, noci, limone, vaniglia, cardamomo, cannella e pane grattugiato, si accompagna alla panna montata o alla crema alla vaniglia: può essere considerata una versione nordica (ma non meno golosa) dello storico dolce.

 

 

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La torta d’Inverno, un dolce che è un’ode ai sapori invernali

 

Conoscevate già la torta d’Inverno? Io l’ho scoperta solo di recente ma, come recita un noto proverbio, “Non è mai troppo tardi”. E’ una torta molto soffice, completamente spolverata di zucchero a velo, arricchita di uvetta e spezie quali la cannella, il coriandolo o l’anice stellato, i chiodi di garofano e la noce moscata. Altri ingredienti sono costituiti dalla frutta secca, fondamentale per questo tipo di torta: mandorle, nocciole, gherigli di noci. Mele, pere e cioccolato fondente concludono la lista dei componenti tipici del dolce. Ma come si prepara, la torta d’Inverno? Innanzitutto la frutta secca viene tritata e l’uvetta messa a bagno in una ciotola piena d’acqua. Subito dopo, le uova si montano con la frusta insieme allo zucchero. Continuando a mescolare, si aggiungono il latte, l’olio d’oliva, una bustina di lievito per dolci e la farina.

 

 

Quando l’impasto risulterà sufficientemente denso, verranno incorporate l’uvetta, la frutta secca tritata, le spezie, scaglie di delizioso cioccolato fondente e mele e pere tagliate a cubetti. Il tutto va lasciato cuocere in forno per circa un’ora, dopodichè la torta si spolvera con dell’abbondante zucchero a velo ed è possibile guarnirla, a proprio piacimento, con l’uvetta, la frutta secca tritata e/o le scaglie di cioccolato.

 

 

Il risultato? Una ricetta semplice per un dolce golosissimo, perfetto da gustare a colazione o nei vari break della giornata.

 

 

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La colazione di oggi: il mandarino, la star dell’Inverno

 

Quando arriva l’Inverno, il mandarino è il frutto onnipresente sulla nostra tavola. Il suo nome si ispira a quello dei notabili della Cina imperiale, che erano soliti indossare un mantello color arancio; la pianta del mandarino, infatti, proviene dalla Cina del Sud. In Europa, nel XV secolo, la sua coltivazione si è estesa a partire da paesi dal clima mite quali la Spagna e il Portogallo. Oggi, i frutteti di mandarini sono diffusissimi anche in Italia: in regioni come la Sicilia, la Campania, la Calabria e la Liguria abbondano. Questo frutto della famiglia delle Rutacee, contraddistinto da una forma sferica leggermente appiattita, si declina in varietà molteplici; la Citrus Reticulata,  la Citrus Nobilis e la Citrus Clementina rappresentano le più note. In Sicilia spicca il mandarino tardivo di Ciaculli, un Presidio Slow Food, utilizzatissimo per la preparazione di gelatine, marmellate, liquori, gelati e granite. Il mandarino è un frutto tipico dei mesi freddi, si degusta da Dicembre a Marzo. Il suo colore è identico a quello del mantello sfoggiato dai notabili dell’ Impero Cinese; la buccia, porosa, racchiude un tripudio di spicchi succosi e ricchi di semi. Il gusto è dolcissimo: il mandarino è l’agrume che contiene la maggiore quantità di zuccheri. Non risulta eccessivamente calorico, ma la presenza di fruttosio in dosi massicce richiede che venga consumato con moderazione. C’è da dire, però, che il mandarino è estremamente ricco di proprietà e benefici. Scopriamoli insieme.

 

 

Il mandarino abbonda di vitamine, acqua, sali minerali, acqua e zuccheri solubili. Predomina la vitamina C (o acido ascorbico), di cui è una vera e propria miniera, affiancata dalle vitamine del gruppo B, A e P e dall’acido folico; tra i minerali presenti in grandi quantità figurano il potassio (benefico per i muscoli),  il magnesio, il ferro e il calcio. Il bromo, particolarmente copioso nel mandarino, svolge un’azione rilassante nei confronti del sistema nervoso centrale e concilia il sonno. La vitamina C, un potente antiossidante e micronutriente, neutralizza i radicali liberi mantenendo in salute i tessuti e le cellule; inoltre, rafforza il sistema immunitario e previene i malanni da raffreddamento. Il fruttosio garantisce un notevole apporto energetico, mentre le fibre, di cui il mandarino è ricco, dotano il frutto di un’alta digeribilità e regolarizzano l’intestino. Anche la buccia del mandarino contiene un antiossidante dalle molte proprietà, il suo nome è limonene: oltre ad essere un valido disintossicante per il fegato, favorisce la produzione di serotonina e dopamina svolgendo un’azione ansiolitica e antidepressiva. Dalla buccia del mandarino viene estratto l’olio essenziale di mandarino, molto utilizzato in aromaterapia ma anche per favorire il rilassamento e la digestione.

 

 

A colazione, i mandarini possono essere consumati sotto forma di frutta, anche candita, e deliziose marmellate. Ma a base di mandarino è possibile preparare un numero illimitato di torte, dolci e biscotti ad alto tasso di golosità: cercate le ricette in rete, non avrete che l’imbarazzo della scelta.

 

 

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