Notte di Capodanno: 5 usanze tutte italiane

 

“Festeggiate i finali dell’ anno, perchè precedono i nuovi inizi.”

(Jonathan Lockwood Huie)

 

Buon 31 Dicembre! Oggi il 2022 finisce e il 2023 arriverà proprio stanotte, a mezzanotte in punto, tra fuochi d’artificio, brindisi, balli sfrenati e champagne a fiumi. Ci piace pensare che ogni 1 Gennaio sia foriero di novità, di cambiamenti, di una gioia e una serenità che si sostituiscano alle magagne dell’ anno vecchio. Ma anche se le situazioni difficilmente mutano solo perchè ci attendono 365 giorni nuovi di zecca, la speranza è una buona cosa: predispone al pensiero positivo, alla positività degli atteggiamenti. E pensare positivo, si sa, attira la fortuna. A proposito di fortuna: non è un caso che a Capodanno i riti propiziatori si moltiplichino, che le usanze beneaugurali spadroneggino in tutti i paesi del mondo. Ho scelto di approfondirne cinque, rigorosamente made in Italy, per capire meglio come nascono e in che modo si propongono di calamitare la buona sorte.

 

 

1. I botti

La notte di Capodanno è costellata dall’esplosione di una miriade di petardi, i cosiddetti “botti”, e di fuochi d’artificio. Questa tradizione si affermò a partire dal XVII secolo, quando venne introdotta a scopo celebrativo in occasione di particolari eventi o ricorrenze. Il rumore assordante e improvviso, il “botto” appunto, è alla base dell’ usanza: da un lato, favorisce l’espulsione dell’ anno vecchio e delle sue brutture, dall’ altro spaventa i demoni e gli spiriti maligni costringendoli a fuggire a gambe levate. Oggi, a prevalere è senz’altro l’aspetto scenografico; i fuochi d’artificio sono degli autentici capolavori pirotecnici, uno spettacolare tripudio di colori e luminosità.

 

 

2. Baciarsi sotto il vischio

Pianta sacra dei Druidi, il vischio aveva il potere di curare ogni malattia ed era un simbolo di fertilità e rigenerazione. I Celti lo utilizzavano come parafulmine e lo consideravano un elemento di interconnessione con il Cielo. Secondo la mitologia norrena, le bacche di vischio furono originate dalle lacrime che la dea Freya versò per la morte del figlio Balder, e proprio le stesse bacche lo riportarono in vita. La leggenda vuole che Freya protegga gli innamorati che si baciano sotto il vischio, pianta emblema di amore e di fecondità. La tradizione, per chi si ama, è di buon auspicio: rafforza il sentimento e lo preserva dalle insidie esterne.

 

 

3. Far ardere una candela

Questa bella tradizione mi ricorda vagamente quella del “Ceppo di Yule” (rileggi qui l’articolo): la candela viene accesa un po’ prima che scocchi la mezzanotte e, mentre si consuma, ci accompagna nel passaggio dall’ anno vecchio all’ anno nuovo. Il fuoco simbolizza la purificazione, la trasformazione, la rinascita, ma anche il colore della candela assume una valenza particolare. Sceglietela bianca oppure rossa se volete che sia di buon auspicio per l’ amore e per gli affetti in generale, verde se privilegiate il benessere economico.

 

 

4. Le lenticchie

Pensare a una cena di Capodanno senza lenticchie o melagrana è pressochè impossibile. Entrambe propiziano la prosperità: sono il cibo del 31 Dicembre per antonomasia, gustosissimo oltre che beneaugurale. Le lenticchie, così come i chicchi della melagrana, hanno una forma tondeggiante che rievoca quella delle monete, mentre la carne di maiale che accompagna i legumi di Capodanno, dalla consistenza piuttosto grassa, simboleggia l’ abbondanza. I semi rossi della melagrana, dal canto loro, attirano sì la ricchezza, ma anche la fertilità. E, last but not least, sono un emblema di lunga vita.

 

 

5. Disfarsi dei vecchi oggetti

Buttare via il vecchio per fare spazio al nuovo: è il significato, in sintesi, di questa tradizione. Soprattutto nell’ Italia meridionale, si usa lanciare i piatti dalla finestra a mezzanotte; i loro cocci in frantumi allontanerebbero la mala sorte. In genere, comunque, dalla finestra o dal balcone si getta qualsiasi tipo di oggetto datato, rotto o inutilizzato, che sia di grandi o di piccole dimensioni. L’usanza permane prevalentemente nei piccoli centri, per cui occhio: il lancio di certe suppellettili potrebbe rivelarsi persino più pericoloso dello scoppio dei petardi!

 

 

 

La Toscana d’autunno

 

” La Toscana è bella d’autunno. Puoi camminare lungo sentieri che hanno il profumo dei funghi e delle ginestre, ascoltare le voci del vento che chiama dai poggi orlati di cipressi e di abeti, pescare le anguille nei borri dove il torrente rotola sui sassi scivolosi di borracina, andare a caccia di lepri e di fagiani nelle macchie di erica rossa, ed è tempo di vendemmia, l’ uva si gonfia violetta tra i pampini fitti, i fichi pendono dolci dai rami che fremono di fringuelli e di allodole, nei boschi le foglie si accendono di giallo e di arancione bruciando il monotono verde d’estate. Se ti senti stanco di te stesso e hai bisogno di ritrovare te stesso, lavarti dei dubbi, non c’è posto migliore della Toscana d’autunno: andiamo in Toscana, ti dissi. Venisti, e la vecchia casa sulla collina non era mai stata incantevole come quell’ autunno. L’ edera l’ aveva fasciata in fiammate di rosso che si arrampicavano fino alle finestre del secondo piano e ai merli della torretta, i rosai erano inaspettatamente sbocciati in un tripudio primaverile, e così il glicine che dalla ringhiera della terrazza prorompeva in cascate di tenero azzurro. Era fiorito anche il corbezzolo dinanzi alla cappella, bacche di porpora su cui i merli si gettavano ingordi, e nella vasca le ninfee galleggiavano bianche, superbe. Tu però vi gettasti un’ occhiata di indifferenza e poi ti confinasti in una reclusione che escludeva ogni interesse o curiosità. Per giorni e giorni non uscisti quasi mai. Non ti inoltrasti mai tra i filari di viti per cogliere un chicco d’uva, non ti recasti mai nel bosco per respirare l’aria odorosa di ginestre e ammirare il paesaggio dalla cima del crinale. Solo una volta ti spingesti trenta metri oltre il cancello per scoprire, sorpreso, che le castagne maturano dentro un involucro irto di aculei e le noci dentro una buccia chiamata mallo, e un’ altra scendesti in giardino per notare con raccapriccio che nella vasca delle ninfee c’erano i pesci e per chiedere se nella cappella c’erano i morti. “

 

Oriana Fallaci, da “Un uomo”