Omaggio ad Arthur Rackham, illustratore di fiabe ma non solo

 

“Fabula Docet”

(Esopo)

 

Le illustrazioni delle fiabe hanno un ruolo importantissimo: aggiungono pathos e coinvolgimento a un genere altamente evocativo già di per sè. Prova ne è il fatto che quasi mai, neppure dopo anni, riusciamo a dimenticare le immagini associate alle fiabe della nostra infanzia. Ricordiamo con esattezza il libro da cui erano tratte, la copertina, i disegni che accompagnavano il testo. E insieme a tutto questo, lo stile dell’ illustratore. Perchè – fateci caso – non esistono due disegnatori che abbiano un tratto simile; ognuno vanta caratteristiche del tutto proprie e inconfondibili. Partendo da un simile presupposto, viene spontaneo approfondire l’ iconografia fiabesca di un’epoca in cui l’ interesse per il racconto fantastico (sia a livello filologico che simbolico, morale e artistico) raggiunse il suo culmine: l’età vittoriana. A quei tempi, Arthur Rackham si affermò come nome di punta dell’ illustrazione. Nato nel quartiere londinese di Lambeth nel 1867, Rackham crebbe in una casa di fronte al giardino botanico creato da John Tradescant il Vecchio e il Giovane due secoli prima: uno scenario ideale per il piccolo Arthur, che eccellendo nel disegno si dilettava a riprodurre i dettagli del corpo umano e i reperti esposti al British Museum e al Museo di Storia Naturale di Londra. Nel frattempo si era iscritto alla City of London School, dove i suoi elaborati artistici gli valsero svariati premi. Ma a scuola non rimase a lungo. A 16 anni fu costretto ad abbandonarla in seguito a dei problemi di salute, e decise di imbarcarsi per l’ Australia insieme alle sue zie.  Durante il viaggio non fece altro che disegnare, adorava immortalare tutto ciò che lo colpiva della realtà circostante. Tornato a Londra, all’ età di 18 anni pensò di ripetere l’ esperienza scolastica: iniziò a frequentare la Lambeth School of Art e, parallelamente, a lavorare come addetto alle vendite. Il suo talento per il disegno, in quel periodo, gli fruttò le prime collaborazioni nel campo dell’ illustrazione. Debuttò nelle vesti di freelance, e dopo un anno fu assunto dal Westminster Budget nel doppio ruolo di giornalista e illustratore. Era il 1892. Nel 1893 uscì “To the Other Side” di Thomas Rhodes, il primo libro che conteneva le sue immagini, mentre nel 1894 i lavori di Rackham apparvero in “The Dolly Dialogues” e “The Prisoner of Zenda” di Anthony Hope.

 

 

L’ attività di Arthur Rackham si svolse sempre all’ insegna dell’ eclettismo: oltre alle fiabe, illustrò romanzi per adulti e per ragazzi. Le sue opere, citando qualche titolo esemplificativo, impreziosiscono libri come “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll, “Canto di Natale” di Charles Dickens, “Peter Pan nei Giardini di Kensington” di James Barrie, raccolte di fiabe di Esopo, di Hans Christian Andersen e dei Fratelli Grimm, ma anche volumi immaginifici del calibro di “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, “Sigfrido e il crepuscolo degli dei” di Richard Wagner, “Il re del fiume dorato” di John Ruskin, “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare. Solo la morte, sopravvenuta nel 1939 a causa di un male incurabile, interruppe la carriera di Rackham, che venne più volte omaggiato con premi e mostre (tra i quali ricordiamo una medaglia d’oro all’ Esposizione Internazionale di Milano del 1906 e un’ esposizione al Museo del Louvre nel 1914). Lo stile del grande illustratore rimane inimitabile: l’ impronta dell’ Art Nouveau è palese, accentuata da atmosfere oniriche ad alto tasso di magnetismo. Il colore riveste una funzione predominante, evoca e suggerisce, si sfuma in magici giochi cromatici o esalta dettagli conferendo loro un impatto visivo straordinario. Scenari, cose e personaggi sono tratteggiati con linee di contorno accuratissime, la fantasia che impregna le illustrazioni stimola potentemente l’ immaginazione del lettore. Tra gli artisti che ispirarono Rackham figurano nomi quali quello di John Tenniel, Aubrey Beardsley e Albrecht Durer. Il successo ottenuto dal disegnatore fu tale da sedurre persino la Disney, che assurse il suo stile a punto di riferimento quando, nel 1937, realizzò il film d’animazione “Biancaneve e i sette nani”.