“Il Giardino dei Tarocchi”: le iconiche opere di Niki de Saint Phalle in mostra a Torino

Niki de Saint Phalle

Pittrice, scultrice, regista, attrice, modella e musa (come lo fu di Marc Bohan  ai tempi di Dior e dello scultore Jean Tinguely, che sposò), Niki de Saint Phalle è uno dei nomi di maggior spicco del Nouveau Réalisme. Viene a tutt’ oggi ricordata come un’artista che alla libertà creativa acquisita con una formazione autodidatta coniuga una potente consapevolezza critica: la stessa che la portò ad affrontare, nelle sue opere, molteplici temi di impegno sociale: la condizione femminile, la guerra, la violenza, l’ abuso di potere e le discriminazioni razziali sono solo alcune delle problematiche che caratterizzano un iter artistico iniziato nel 1953, quando de Saint Phalle sperimentò il valore terapeutico della pittura dopo una crisi nervosa. Le sue nozze con Jean Tinguely, di questo percorso rappresentano una tappa fondamentale. Da allora, tra i due ebbe inizio un sodalizio che intersecava carriera e vita personale a più livelli, spaziando dall’ arte alla politica. Era il 1971 e la loro unione paritaria, la loro partnership creativa divenne il simbolo di tutta un’ epoca. Alle gigantesche strutture meccaniche create da Tinguely si contrapponevano le enormi sculture ispirate al corpo femminile che Niki de Saint Phalle battezzò Nanas e tinse di variopinte nuance. Lo spunto riapparve, tradotto in variante esoterica, nel Giardino dei Tarocchi che l’ artista realizzò a Capalbio, in Toscana:  uno straordinario mix di arte e architettura ispirato al Parc Guell barcellonese di Antoni Gaudì.

 

Mi-femme mi-ange (1992), serigrafia

Proprio al Giardino dei Tarocchi il Museo Ettore Fico di Torino dedica una mostra che espone opere e progetti inerenti a quello che la sua ideatrice concepì come un testamento artistico e monumentale. Inaugurata il 4 Ottobre, la mostra sarà visitabile fino al 14 Gennaio prossimo e il suo tema, una rilettura in chiave personale degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, non stona con l’ alone divinatorio di cui Halloween ha intriso la sua scia: seppur profuso di elementi simbolici e occulti, però, il viaggio iniziatico a cui Niki de Saint Phalle ci invita a prender parte è pervaso di un mood giocoso.

 

Il giardino dei Tarocchi – L’ Imperatrice-Sfinge

Temperance (1997), litografia

La poliedrica artista era appena diciannovenne quando rimase talmente colpita dal Parc Guell di Gaudì da pensare di creare un  luogo che ospitasse opere simili. Il suo sogno diventò realtà nel 1979 e richiese ben 17 anni di lavorazione. Al progetto, costato circa 10 miliardi delle vecchie lire, collaborarono – tra gli altri – Jean Tinguely, Rico Weber, Ricardo Menon, Mario Botta, Roberto Aureli, e per finanziarlo Niki de Saint Phalle lanciò una linea di profumi. A popolare il parco sono 22 sculture monumentali in cemento armato o poliestere rivestite da un tripudio di specchi scintillanti, vetri e maioliche multicolor, enormi statue antropomorfe che fondono l’ opera d’arte  con la natura. Molte di loro sono visitabili, addirittura abitabili, concepite come una vera e propria dimora: basti pensare all’ Imperatrice-Sfinge dove de Saint Phalle risiedette a lungo mentre la sua idea prendeva vita.

 

 

 

Il “femminile” è preponderante e viene associato al “materno”, al concetto di potenza creatrice evidenziato dalle forme tondeggianti di ogni statua e scultura. Anche i colori assumono un significato emblematico, rappresentando via via la purezza (il bianco), la vanità del mondo (il nero), la profondità interiore (il blu), la forza procreatrice ancestrale (il verde e il rosso). Ma accanto all’ elemento vitale ne emerge uno, apocalittico, che favorisce un’ ulteriore interpretazione: i personaggi mostruosi disseminati nel parco sembrano infatti presagire una fine del mondo imminente e dai connotati spettacolari.

 

La lune (1997), litografia

Alla mostra Il Giardino dei Tarocchi, il MEF Museo Ettore Fico di Torino affianca un’ antologica di Niki de Saint Phalle nelle stesse date. Le due esposizioni sono realizzate in collaborazione con la Fondazione Niki de Saint Phalle di Santee, in California, e con il MAMAC di Nizza anche attraverso l’ apporto di importanti collezioni private internazionali.

Per saperne di più:  http://www.museofico.it/

 

Il giardino dei Tarocchi – Gli Amanti

Il giardino dei Tarocchi – Il Sole

The falling tower (1997), litografia

Le Diable (1985), poliestere dipinto

 

Photo

Niki de Saint Phalle, Mi-femme mi-ange, Temperance, La lune, The falling tower, Le Diable: courtesy of Press Office MEF Torino

Il Giardino dei Tarocchi – L’ Imperatrice-sfinge e serpenti dorati: by Alessandro Bonvini via Flickr, CC BY 2.0

Il Giardino dei Tarocchi – Gli Amanti e Il Sole: by Yellow.Cat via Flickr, CC BY 2.0

 

Bet She Can: un nuovo concetto di empowerment pre-teen

I Barbie Awards hanno prepotentemente portato alla ribalta la sua progettualità innovativa: Bet She Can, fondazione che mira a sostenere tramite percorsi motivazionali e di empowerment le pre-adolescenti provenienti da qualsiasi contesto economico, religioso e sociale, si è subito imposta tra le più interessanti realtà legate al non profit. La fondatrice Marie-Madeleine Gianni approfondisce con noi gli input, i punti cardine e gli obiettivi di un’ iniziativa che si propone, come fine ultimo, che “le bambine sboccino in donne serene, coraggiose e soprattutto libere.”

Come e quando nasce Bet She Can?

Nel gennaio 2015. E’ una start up non profit fondata da me e dalle due consigliere che mi supportano in questa avventura, Giovanna Leto di Priolo e Laura Arena: ho sempre voluto fare qualcosa per provare a cambiare questa nostra società e ho pensato che le giuste referenti fossero le bambine tra gli 8 e i 12 anni. La fondazione è unica nel suo genere perché il fatto di approcciare con una logica di puro investimento, non di prevenzione né di risoluzione di problemi, un pubblico così giovane, è una cosa nuova per il nostro Paese.  12 anni è un età massima perché poi si entra nelle turbe dell’adolescenza e il rapporto con l’ esterno, in particolare con il mondo adulto, si fa meno diretto e trasparente.

Quanto incidono, sulle giovanissime, gli stereotipi che ruotano attorno alla figura femminile?

Viviamo in una società che, anche se si rende conto che siamo immersi negli stereotipi, li subisce ogni giorno. Facciamo fatica a decodificarli e a far filtro, soprattutto i bambini e le bambine che non hanno gli strumenti per cogliere le distorsioni veicolate da certi messaggi dei media, delle famiglie, delle scuole, della società in generale. Il nostro intento è cercare di far sì che le bambine siano fondamentalmente libere di fare le proprie scelte e di mettere in discussione queste imposizioni stereotipate.

Su quali basi poggia l’ empowerment delle nuove generazioni?

Sicuramente sulla consapevolezza di chi sono e chi posso diventare. Abbiamo suddiviso i nostri percorsi in 5 filoni- corpo, mente, contesto,  avvicinare le bambine alle tecnologie e ai mestieri etichettati come maschili –  che veicolano due concetti base: la conoscenza delle proprie potenzialità e il coraggio di tirarle fuori. E’ importante far capire a queste bambine che hanno una personalità e caratteristiche che permettono di fare tante cose, che il mondo è pieno di opportunità. Però bisogna tirar fuori la grinta, il coraggio e la determinazione. Gli errori fanno parte del percorso, mettersi in gioco è assolutamente essenziale.

Nell’ era dei social, le competenze tecnologiche delle native digitali possono contribuire ad azzerare gli standard legati al genere?

I mezzi sono sicuramente innovativi, ma comunicando sempre gli stessi modelli perdono il loro potenziale. Una frase di Michelangelo rende l’ idea: “Ho visto un angelo nel marmo ed ho scolpito fino a liberarlo”: devo avere un’ immagine di dove devo arrivare. Il fatto di avere di fronte una Samantha Cristoforetti, una Margherita Hack, una Rita Levi Montalcini fa sì che le bambine abbiano dei riferimenti in carne ed ossa in cui immedesimarsi. Ecco, mi piacerebbe che gli strumenti a loro disposizione comunicassero anche questi esempi.

Esiste una professione a cui oggi le bambine maggiormente ambiscono anche in virtù dei modelli proposti da media e web?

In questa fascia di età le risposte sono molto personali, legate a passioni e a interessi individuali che poi si perdono perché la pressione mediatica della società e dell’ entourage si fanno più forti. Non me la sento, quindi, di segnalare trend o macrocategorie: posso solo dire che le bambine non dovrebbero mai perdere la passione che le guida.

Attraverso i Barbie Awards, Bet She Can ha diffuso una nuova percezione della bambola Mattel: una donna volitiva che realizza i propri sogni di bambina.  Cosa pensi delle ultimissime Barbie “realistiche”?

Una Barbie, per ogni bambina, è sempre la possibilità di immedesimarsi in un personaggio e vivere straordinarie avventure con l’ immaginazione. Il fatto che fosse alta e bionda non l’ ho mai percepito come un limite: per la mia Barbie inventavo storie che duravano ore, era una specie di avatar. Se oggi è disponibile in varie forme, bene: ma non mi sembra essenziale.

Quali sono i progetti più immediati della vostra fondazione?

Abbiamo appena lanciato un bellissimo progetto a Roma, “Cambiamo gioco”, finanziato da Mattel Italy e in collaborazione con la cooperativa sociale Be Free. E’ partito oggi, il 16 aprile, e promuove l’ importanza della solidarietà e del confronto positivo con gli altri: un tema che riteniamo importantissimo in particolare per le bambine. Fino a novembre effettueremo 10 incontri su base quindicinale. Proprio perché il fil rouge è la solidarietà, prevediamo la possibilità di innestare piccoli percorsi in ciascun municipio con una bambina-ambasciatrice. È un progetto al quale tengo moltissimo, realizzato grazie alla concessione dal prefetto Tronca e con il patrocinio del Comune di Roma.

Nelle foto, Marie-Madeleine Gianni all’ evento dei Barbie Awards

Photo credits Magia2000

Photo courtesy of Marie-Madeleine Gianni/Bet She Can