Riscoprire il verde in occasione del St.Patrick’s Day

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Riscoprire il verde in occasione della festa più verde dell’anno, la festa di San Patrizio: verde come l’Irlanda, “isola di smeraldo”, verde come il trifoglio, ricco di significati simbolici per gli antichi Celti ma anche per lo stesso patrono d’Irlanda, che si servì di questa pianta erbacea per spiegare al popolo il mistero della Trinità. Le collezioni Primavera Estate 2024 abbondano di verde in svariate sfumature: ho scelto quelle che più si avvicinano alla nuance associata al St.Patrick’s Day, la festa che gli irlandesi e le comunità irlandesi americane celebrano ogni 17 Marzo.

 

Lola Casademunt

Lebor Gabala

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29 Febbraio, il giorno che “spunta” con l’anno bisestile

 

29 Febbraio: quest’ anno, come per magia, Febbraio ha un giorno in più. Ciò accade perchè il 2024 è un anno bisestile e, in quanto tale, si avvale dell’aggiunta di un giorno affinchè il calendario collimi con il moto della Terra attorno al Sole; il nostro pianeta, infatti, impiega 365,2422 giorni per descrivere la sua orbita attorno all’astro infuocato, e non 365 come erroneamente si pensa. Queste sei ore di differenza vengono colmate sommando un giorno al mese di Febbraio, un evento che si verifica ogni quattro anni. Era il 46 a.C. quando Giulio Cesare introdusse l’anno bisestile, dal latino “bis sextus die” ovvero “due volte sesto giorno”. Nel calendario romano, però, il giorno aggiunto ogni quattro anni coincideva con quello successivo al 24 Febbraio, poichè in questa data l’anno terminava: il giorno in più degli antichi romani veniva chiamato esattamente, quindi, “bis sexto die ante Calendas Martias”,  il sesto giorno “ripetuto” prima delle Calende di Marzo. Il calendario gregoriano, che Papa Gregorio VIII promulgò nel 1582, manteneva il giorno aggiunto pur associandolo ad un calcolo diverso e più complicato. Ma quando e dove nacque la nefasta fama dell’anno bisestile? Fu proprio nell’antica Roma che  ebbe origine il detto “anno bisesto, anno funesto”: i romani dedicavano il mese di Febbraio ai riti in onore dei defunti. Con il passare dei secoli, la negatività che il popolo associava all’anno bisestile non venne mai meno. Nel Medioevo era opinione comune che l’anno 1000 coincidesse con la fine nel mondo, mentre durante il Rinascimento l’anno bisestile veniva considerato foriero di epidemie, sciagure per le greggi e per il raccolto. Tornando alla nostra epoca, nel 2020, molti hanno addirittura congetturato un nesso tra l’anno bisestile e lo scoppio della pandemia di Covid. Nei paesi anglosassoni, invece, il 29 Febbraio ha sempre avuto una valenza positiva: nel Regno Unito e in Irlanda è stato ribattezzato “leap day”, mentre l’anno bisestile è il “leap year”. In Irlanda esiste addirittura una tradizione che prevede che le donne facciano una proposta di matrimonio al proprio compagno, con tutto il corredo romantico ad hoc per l’ occasione.

 

 

Attenzione, però! Secondo l’antica usanza, se l’uomo rifiuta sarà tenuto a donare dodici paia di guanti a colei che si dichiara: dovrà indossarne uno al mese per evitare di mostrarsi priva dell’anello di fidanzamento. Vuole la leggenda che la tradizione del Bachelor’s day, ossia della proposta di matrimonio al femminile, sia stata inaugurata da San Patrizio e Santa Brigida di Kildare; pare che la Santa confidò con rammarico a San Patrizio che le giovani donne rimanevano in attesa per troppo tempo della dichiarazione d’amore dei loro fidanzati. San Patrizio, allora, decretò che ogni 29 Febbraio i ruoli si sarebbero invertiti. Sarebbero state, cioè, le donne a dichiararsi agli uomini. L’idea, decisamente innovativa per l’epoca, fu accolta con entusiasmo da Santa Brigida e da tutta la popolazione femminile dell’Irlanda e della Scozia, dove l’usanza si diffuse.

Foto via Unsplash

 

10 +1 dolci natalizi della tradizione europea

 

La magia del Natale, e di Dicembre in generale, coinvolge anche il palato: non esiste un mese più ricco di tipicità dolciarie. E i dolci natalizi rappresentano una tradizione diffusa in tutto il mondo. Ogni paese in cui vige il Cristianesimo ha il proprio dessert, la propria delizia pasticcera. E’ bellissimo scoprire le caratteristiche di queste golosità internazionali: ci permette di ampliare le nostre conoscenze, ma anche di saperne di più sul legame che intercorre tra un luogo e i suoi dolci tradizionali. Oggi scopriremo 10 + 1 leccornie europee tipicamente natalizie.

 

Italia: il Panettone

Proveniente da Milano, è il dolce-simbolo del Natale italiano. Ha una forma cilindrica che prende le sembianze di una cupola  (definita “a cappello da cuoco”) nella parte superiore. Internamente, la pasta del panettone è molto soffice e viene costellata da canditi e uvette che decorano anche il suo “cappello”. Del dolce esistono svariate versioni: al cioccolato, alla vaniglia, al limone, al pistacchio siciliano, ai frutti di bosco…ma diventa ancora più squisito quando viene ricoperto da un invitante strato di glassa.

 

Germania: lo Stollen

Questo dolce antichissimo, ideato a Dresda, vanta origini che risalgono al XIV secolo. Ha l’aspetto di un pane e la dolcezza è il suo plus: l’impasto, ricco di burro, contiene un tripudio di canditi, mandorle e uvette. Lo zucchero a velo che lo ricopre interamente non fa che accrescere la sua delizia.

 

Francia: la Bûche de Noël

E’ l’equivalente del nostro Tronchetto di Natale: esternamente riproduce un tronco d’albero completamente ricoperto di cioccolato, mentre al suo interno contiene del soffice pan di spagna farcito al cioccolato o alla marmellata. Si ispira alla tradizione del “ceppo di Yule” (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), ed è un’autentica golosità diffusa in tutta la Francia e nei paesi francofoni.

 

Gran Bretagna: il Christmas Pudding

E’ un dolce della tradizione natalizia britannica, ma anche irlandese e statunitense. Si presenta come un budino di frutta secca e viene servito durante la cena della vigilia. Sfoggia una forma arrotondata, più precisamente semi-ovale; la parte superiore è sormontata da un agrifoglio o altri ornamenti. Tra gli ingredienti che compongono la sua ricetta troviamo le uova, lo zucchero, le mandorle, la melassa, i canditi, le spezie e il rum. Nacque ispirandosi ad alcuni cibi medievali e nel XVI secolo spopolava già in tutta l’Inghilterra.

 

Ungheria: il Bejgli

Questo dolce tradizionale ungherese viene consumato sia a Natale che a Pasqua. Può essere descritto come un rotolo a base di noci o semi di papavero; entrambe le versioni contengono uva passa e rum, mentre le noci e i semi di papavero sono rispettivamente tritate e macinati. Non è raro che il Bejgli venga farcito con marmellata di albicocche: una delizia per il palato e per gli occhi.

 

Polonia: il Piernik

Il Piernik, un pan dolce speziato rivestito di glassa al cioccolato, affonda le sue radici nelle steppe tra la Russia e la Polonia. “Piernik”, in polacco, significa letteramente “pan di zenzero”: ed  è proprio il pan di zenzero il suo ingrediente principale. Oltre al profumo dello zenzero risaltano quelli del cacao, della cannella e della noce moscata. Il punto di forza del dolce, però, è la farcitura di  marmellata di prugne; lasciata fermentare per un buon lasso di tempo, la confettura dona al Piernik un sapore ineguagliabile.

 

Austria: i Vanillekipferl

Sono biscotti alla vaniglia dalla caratteristica forma a mezzaluna. In Austria vengono preparati già dai primi giorni di Dicembre, ma per gustarli si attende rigorosamente la vigilia di Natale. Di solito li si accompagna a una buona tazza di cioccolata calda: la loro golosità viene così duplicata. I Vanillekipferl hanno un’origine curiosa. Pare infatti che vennero inventati a Vienna nel 1600, in seguito alla vittoria degli austro-ungarici sull’esercito ottomano; per celebrare l’evento, i pasticceri cittadini si ispirarono alla bandiera turca e prepararono questi biscotti a mezzaluna.

 

Spagna: il Roscòn de Reyes

E’ un dolce del periodo natalizio: fino a poco tempo fa si preparava esclusivamente il 6 Gennaio, in occasione dell’Epifania, per celebrare l’arrivo dei Re Magi. E’ in quella data che i bambini spagnoli ricevono i regali, portati di casa in casa direttamente da Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. La cosiddetta “ciambella dei Re Magi” vanta un impasto morbidissimo a base di uova, burro e acqua di fiori d’arancio; all’esterno risalta invece un tripudio di frutta candita multicolore, granella di zucchero e mandorle.

 

Svezia: i Lussekatter

I “gatti di Santa Lucia” svedesi sono brioches composte da uvetta e zafferano preparate a partire dal 13 Dicembre. Dolci tradizionali di Santa Lucia, caratterizzano tutto il periodo natalizio e sono molto conosciuti anche oltre i confini della penisola scandinava. Hanno una forma ad S, una consistenza morbidissima; nati in Svezia nel XVII secolo, vennero aromatizzati allo zafferano affinchè acquisissero una profonda luminosità. Le origini delle brioches, infatti, si intrecciano con una leggenda che vede protagonisti il diavolo e Gesù Bambino: quest’ultimo donò i Lussekatter a dei bambini che venivano infastiditi dal maligno sotto le sembianze di un gatto. Il giallo intenso dei dolcetti, simbolo di luce, lo avrebbe costretto alla fuga.

 

Danimarca e Norvegia: il Kransekake

La sua forma conica ricorda un albero di Natale. La struttura del Krasenkake consta di molteplici anelli posti l’uno sopra l’altro: tra i loro ingredienti spiccano le mandorle, lo zucchero e gli albumi d’uovo. Le guarnizioni della torta sono essenzialmente a base di abbondante glassa bianca. Il dolce, consumato anche a Capodanno e in occasione dei matrimoni, viene gustato dopo aver separato ad uno ad uno tutti gli anelli che lo compongono.

 

Danimarca: le æbleskiver

Sono bignè fritti, dalla forma sferica e abbondantemente cosparsi di zucchero a velo. Leggere e morbidissime, le æbleskiver si avvalgono di un impasto semplice a base di latte, uova e zucchero, ma vengono in genere aromatizzate con il cardamomo e la scorza di limone. Il ripieno di marmellata al loro interno le rende ancora più golose: predomina quella di ribes, more, fragole e lamponi.

 

Foto della Buche de Noel diJebulon, CC0, da Wikimedia Commons

Foto del Krasenkake di Lorie Shaull, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, da Wikimedia Commons

 

Halloween e le sue origini: le tradizioni irlandesi della notte di Samhain

 

Samhain (così si chiamava Halloween originariamente), per gli antichi Celti, coincideva con il Capodanno e l’inizio dell’ Inverno. Presso le popolazioni celtiche, infatti, l’anno si divideva in due parti: l’ Inverno, che cominciava con le celebrazioni dell’ultimo raccolto e la commemorazione dei defunti organizzate a Samhain, e l’Estate, che iniziava a Beltane (Calendimaggio), data in cui si inneggiava alla rinascita della natura e venivano praticati atavici rituali per propiziare la fertilità. I Celti d’Irlanda ritenevano che la notte di Samhain il presente e il futuro si sovrapponessero, diventassero una cosa sola. Quale occasione migliore, dunque, per dedicarsi alla divinazione? Le pratiche tradizionali, in tal senso, abbondavano: gli ambiti prediletti erano l’amore e la prosperità economica. In questo articolo vi presento alcune usanze rigorosamente irlandesi; va aggiunto che Samhain, nell’ Isola di Smeraldo, veniva celebrato con una Grande Festa del Fuoco che si teneva ad Athboy, non troppo lontano da Dublino.

 

Il rito del cavolo

Le giovani donne in età da marito potevano avvalersi di un rito che avrebbe dato loro informazioni sul futuro sposo. La notte di Samhain dovevano recarsi, bendate, in un campo di cavoli ed estrarne uno dal terreno: se le radici rimanevano intatte e trattenevano molta terra, l’uomo che avrebbero sposato sarebbe stato più che benestante. Come fare, però, per sapere se era anche di buon cuore? Semplice: bastava cucinare il cavolo all’irlandese. Se risultava aspro, l’uomo avrebbe potuto essere sgradevole caratterialmente, anziano, o comunque avere dei difetti rilevanti. Se invece il cavolo aveva un buon sapore, il futuro marito sarebbe stato una brava persona.

 

Il rito dell’ edera

Questa pratica riguardava la salute. Si usava mettere una foglia d’edera in una tazza d’acqua e la si lasciava lì tutta la notte. Se l’indomani la foglia non presentava alcuna variazione, la persona che aveva praticato il rito avrebbe goduto di una salute di ferro almeno fino all’anno successivo.

 

Il rito del falò

Sul falò, simbolo supremo della festa di Samhain, era anche incentrato uno dei più noti rituali amorosi. Come sarebbe stato il futuro sposo, o la futura sposa, della persona che praticava il rito? Il fuoco avrebbe dato una risposta. Bastava tagliarsi una ciocca di capelli e lanciarla tra le fiamme: l’anima gemella si sarebbe ben presto palesata in sogno.

 

Il rito della mela

Le mele e le nocciole erano molto importanti a Samhain, poichè venivano considerati frutti magici dalle proprietà divinatorie. Fino a qualche decennio fa, non a caso, erano utilizzate al posto delle caramelle durante la questua “Dolcetto o scherzetto” dei bambini. Tramite la mela, inoltre, si potevano ottenere informazioni riguardo (ancora una volta!) il futuro sposo: era necessario prenderne una e sbucciarne una parte in un sol colpo. Se la striscia di buccia rimaneva lunga e intatta, un incontro romantico era imminente. Poi, bisognava lanciarsi la buccia dietro alle spalle. Una volta caduta a terra, la sua forma avrebbe rivelato le iniziali dell’anima gemella.

 

Il rito della nocciola

Un altro modo per avere notizie sul carattere del futuro partner era quello che prevedeva l’ utilizzo delle nocciole. Bisognava sceglierne una, toglierle il guscio e testarne il gusto: se era amara, così sarebbe stato lo sposo (o la sposa) interiormente, se era dolce idem. Ulteriori riti riguardavano la felicità del matrimonio e la fedeltà amorosa. Una coppia di fidanzati doveva scegliere due nocciole, una per ciascuno. Le nocciole venivano posate sul focolare di pietra e tra loro si accendeva un fiammifero; a quel punto, la reazione dei due frutti era determinante: se si infiammavano e bruciavano immediadamente, il matrimonio sarebbe stato solo una “fiammata”. Se oscillavano e si distanziavano, bisognava andare con i piedi di piombo. Se le nocciole, invece, si avvicinavano l’una all’altra, il futuro riservava un matrimonio sereno. Per mettere alla prova le intenzioni dei loro pretendenti, le giovani donne eseguivano un altro rito: selezionavano un tot di nocciole e chiamavano ognuna con il nome di un corteggiatore, poi le posavano sulla graticola. La nocciola che con le fiamme del fuoco si sarebbe spaccata, o sarebbe saltata via, indicava uno spasimante truffaldino. Se invece bruciava in una fiammata, la passione nei confronti della giovane era assicurata.

 

Il rito per proteggersi dalle fate

Le fate sono creature che appartengono al patrimonio folkloristico tipicamente irlandese. Insieme ai folletti, a Samhain, le fate si davano un gran daffare per impossessarsi di un alto numero di anime.  Per proteggersi, gli umani dovevano lanciar loro della polvere da sotto i piedi: quando avveniva ciò, i due esponenti del piccolo popolo dovevano tassativamente lasciar libere tutte le anime che avevano rapito.

 

Altre usanze e tradizioni

Oltre a quelle citate, nel corso dei secoli in Irlanda sono entrate in vigore molte altre usanze, magari non specificamente di carattere divinatorio o difensivo nei confronti del “piccolo popolo”. Della tradizionale cena a base di Barmbrack e di Colcannon abbiamo già parlato (rileggi qui l’articolo); la zucca intagliata e illuminata da un lumino, detta “Jack O’Lantern”, era diffusissima; la questua dei bambini, anche: indossando costumi orrorifici che richiamavano quelli sfoggiati dai Druidi la notte di Samhain, i fanciulli bussavano di porta in porta e alternavano al classico “Trick or Treat” la frase “Help the Halloween Party”. Un’abitudine consolidata era quella di sedersi tutti insieme davanti al caminetto acceso e trascorrere la notte narrando racconti e leggende mentre le noci venivano arrostite sul fuoco. Molto comune, poi, era il gioco della “Snap Apple”: si appendeva una mela ad una corda, e il primo bambino che riusciva ad addentarla riceveva una ricompensa. Oppure, si mettevano delle mele in una bacinella piena d’acqua e i bambini dovevano morderne una, naturalmente senza aiutarsi con le mani. Veniva premiato chi per primo riusciva nell’impresa.

 

La voga delle “scary apples”

A proposito di mele: sapevate che, recentemente, in Irlanda la mela intagliata ha sostituito la tipica zucca? La voga delle “scary apples” sta impazzando anche sotto forma di dolci; non è difficile trovare torte di mele ammantate di glassa candida che riproduce figure fantasmatiche, o biscotti alle mele dall’aspetto orrido o “sanguinolento”.

 

Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash

 

Un Halloween delizioso: 10 dolci e piatti tradizionali tra l’Irlanda e gli Stati Uniti

 

Abbiamo già parlato delle “torte dell’anima”, le torte tradizionali che in Irlanda e nel Regno Unito venivano donate ai questuanti in cambio di preghiere per i defunti (rileggi qui l’articolo). Ma quali altri dolci o cibi tipici sono soliti preparare gli anglosassoni per festeggiare la vigilia di Ognissanti? Ne prenderemo in esame alcuni spaziando dall’ Irlanda agli Stati Uniti: le lande celtiche dove è nato Samhain che nel XIX secolo, in America, è diventato Halloween grazie alla comunità irlandese emigrata nel paese a stelle e strisce.

 

La Pumpkin Pie

E’ la torta più famosa dell’ Autunno, protagonista principale (insieme al tacchino) sulla tavola del Thanksgiving Day americano. Ha un aspetto inconfondibile: è composta di pasta frolla e contiene un ripieno di crema di zucca aromatizzata con spezie quali i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata. La si farcisce con “riccioli” di panna montata che accentuano la sua golosità.

 

La Whoopie Pie

Ideata con molta probilità dalla comunità Amish, questa torta consta di un delizioso ripieno di crema di marshmallows, o crema al latte aromatizzata alla vaniglia, racchiuso tra due strati tondeggianti a base di cacao. Per il 31 Ottobre è gettonatissima in versione biscotto, ognuno preferibilmente riempito di crema all’arancia.

 

Le mele caramellate

VALIUM ne ha parlato già (rileggi qui l’articolo). Sono ghiotte sia per la vista che per il palato: rossissime e rivestite di un lucente strato di zucchero caramellato, possono essere decorate con un tripudio di confettini o zuccherini multicolor.

 

Le Candy Corn

Ricordano i semi del mais, un frutto tipicamente autunnale; in realtà sono chicchi di riso soffiato caramellati a cui viene data una forma conica. I colori di cui si tingono le Candy Corn sono caratteristici: bianco, arancione e giallo all’insegna di una solare giocosità.

 

La Bundt Cake

E’ un’altra specialità americana, nonostante il suo nome vanti un’origine germanica. Ha una forma a ciambella che la rende molto simile al ciambellone italiano; ne esistono varie versioni, ma per celebrare Halloween si predilige la variante al cacao ricoperta di squisita glassa al cioccolato.

 

La Divinity Candy

Sono dolcetti molto popolari nel Sud degli Stati Uniti. Somigliano a delle meringhe, oppure a dei torroncini, e tra i loro ingredienti risaltano lo zucchero bianco, l’estratto di vaniglia, gli albumi d’uovo sbattuti e lo sciroppo di mais. Per renderli ancora più deliziosi vengono guarniti con frutta secca e noci pecan, una varietà dal sapore particolarmente intenso diffusa in paesi come il Texas e la Louisiana. Oltre che ad Halloween, negli USA si gustano durante le feste natalizie.

Passiamo ora a quattro cibi tradizionali irlandesi.

Il Barmbrack

E’ il dolce di Halloween per eccellenza. Si tratta di un pane dolce (o di pagnotte) contenente uva passa e uva sultanina, ed è legato ad usanze antichissime: si dice che il bàirìn breac (questo il suo nome in irlandese) sia “chiaroveggente”. Al suo interno, infatti, si soleva inserire alcuni oggetti che avevano un significato ben preciso. Il pisello indicava che si sarebbe rimasti single fino alla fine dell’anno, il panno era foriero di povertà, la moneta di ricchezza e di un matrimonio imminente, e così via. Il medaglione con l’immagine della Madonna presagiva addirittura una vita consacrata a Dio. Oggi tutti quegli oggetti sono stati eliminati, ma ne rimane uno: l’anello, simbolo di un radioso futuro.

 

Il colcannon

Dal dolce passiamo al salato, ma sempre all’insegna della bontà. Il Colcannon è un piatto composto da latte, burro, patate e cavolo (in irlandese “càl”, da qui probabilmente il nome “colcannon”) riccio o cappuccio. A volte si aggiungono delle cipolle, erbe varie ed erba cipollina, per poi consumare il pasto con un “ensemble” di carne di maiale. Quando arriva Halloween, anche il Colcannon diventa “chiaroveggente”: al suo interno vengono inseriti un bastoncino, alcune monete, il lembo di uno straccio e un ditale. Come avveniva per il Barmbrack, lo straccio è l’emblema di un futuro di povertà; il bastoncino, invece, annuncia dei problemi nella vita di coppia.

 

I Boxty

Un’altra ricetta tipicamente irlandese: i Boxty sono frittelle di patate la cui origine risale alla grande carestia che flagellò l’isola di smeraldo durante la metà dell’800: anche le patate eccessivamente ricche di acqua dovevano essere utilizzate. I Boxty, non a caso, contengono un mix di patate bollite e crude a cui vengono aggiunti il lievito, la farina, il burro e il latte. Dopo averli uniti in un composto omogeneo, con esso si preparano delle frittelle lievemente dorate e insaporite con una cipolla tritata, erbe aromatiche o spezie e una buona dose di panna acida.

 

Il Champ

Simile al Colcannon, il Champ proviene dall’ Irlanda del Nord; più precisamente dall’ Ulster, dove è nato nelle case che costellano le verdi lande di campagna. I suoi ingredienti principali sono il purè di patate, lo scalogno tritato, il latte caldo, il burro, il sale e il pepe. Per donargli un pizzico di sapore in più, non è raro che si aggiunga una manciata di cipollotti. Nel Sud dell’ Irlanda viene spesso chiamato “Poundies”. La notte di Halloween, il Champ è associato a una magica tradizione: si usa offrirlo alle fate lasciandolo in un piatto (munito di cucchiaio) sotto a un biancospino.

 

Foto del Colcannon di TheCulinaryGeek from Chicago, USA, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons

Foto del Champ di Glane23, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

1 Maggio, Beltane

 

1 Maggio. Se la tradizione, oltre che alla Festa del Lavoro, associa questa data al Calendimaggio (rileggi qui l’articolo che VALIUM gli ha dedicato), i Gaeli – un popolo celtico stanziatosi in Scozia e in Irlanda – celebravano Beltane, il giorno che coincideva con l’inizio dell’Estate. Il nome deriva dall’ irlandese antico “Beletene”, ovvero “fuoco luminoso”, e in Irlanda veniva usato anche per indicare il mese di Maggio. La collocazione di tale ricorrenza era fissata a metà tra l’ Equinozio di Primavera e il Solstizio d’Estate. Ma cosa si festeggiava, esattamente? Innanzitutto il ritorno della luce e della vita; accanto ad esse, la fertilità. Luce, vita e fertilità rappresentano una triade inscindibile, l’una è direttamente collegata all’altra. Il sole a Maggio torna a splendere, il clima è mite, si può godere dell’aria aperta. Ci si proietta verso l’esterno anche interiormente: la natura rigogliosa e le giornate sempre più lunghe diffondono un’atmosfera gioiosa. Si progettano picnic, scampagnate, si intrecciano amicizie e nuovi amori. E’ il periodo in cui il bestiame, dopo lo svernamento, viene condotto al pascolo. A Beltane, nel X secolo, i greggi e le mandrie erano sottoposti a pratiche di benedizione e purificazione da parte dei Druidi, che accendevano enormi falò sulle colline. Lì avevano luogo i rituali.

 

 

Questa tradizione sopravvisse persino dopo l’avvento del Cristianesimo e resistette fino agli anni ’50 del 1900. Non era, però, esclusivamente rivolta agli animali. Un gran numero di persone ardiva attraversare i falò saltando. Il rito aveva un carattere di buon auspicio e preveggenza: quanto più alto era il salto, tanto più alto sarebbe stato il raccolto. Molteplici usanze celebravano la fertilità tramite la formazione di nuove coppie. Il rito del Palo del Maggio, ad esempio, era comune presso i popoli Germanici e Anglosassoni. Prevedeva che un tronco di betulla, ontano, pioppo o maggiociondolo venisse privato dei rami e poi fissato nella terra. Alle donne del villaggio spettava il compito di attaccare al Palo ventiquattro nastri che misuravano il doppio della sua lunghezza; i colori erano innumerevoli, ma prevalevano il rosso, che simboleggiava il principio maschile, e il bianco, emblema di quello femminile. Le donne nubili erano tenute a realizzare una ghirlanda di fiori da porre attorno al Palo, in modo che potesse salire e scendere nel bel mezzo della danza rituale. Tre giorni prima dell’ inizio della festa, il Palo e la corona venivano consacrati. Erano rispettivamente il simbolo dell’ energia maschile e femminile.

 

 

Il giorno stesso delle celebrazioni, le donne scavavano una buca nel terreno laddove sarebbe stato collocato il Palo. La valenza emblematica di questo particolare è evidente: la buca rappresentava l’organo genitale femminile, mentre il Palo era un palese simbolo fallico. Nel momento in cui gli uomini si accingevano a sprofondare il Palo nella terra, avveniva un singolarissimo rituale. Le donne fingevano di allontanarli dalla buca per poi permettere loro di piantarvi il tronco. Infine, i nastri colorati venivano fissati sulla cima del Palo insieme alla ghirlanda. Attorno al Palo si effettuavano danze di corteggiamento: ogni uomo e ogni donna del villaggio dovevano tenere in mano l’estremità di un nastro. Le donne danzavano attorno al palo in senso antiorario, gli uomini in senso opposto. Quando l’uomo e la donna si incontravano, dovevano cambiare subito la direzione della loro danza. A segnare il ritmo, solitamente, era un tamburo detto “bodhran celtico”. Il rituale terminava nel momento in cui i nastri si intrecciavano attorno al tronco e la ghirlanda scendeva; a quel punto, la danza ricominciava in senso contrario e la ghirlanda doveva ritornare in cima al palo. L’ obiettivo, in sintesi, era che la corona di fiori scendesse e salisse senza difficoltà: raffigurava una metafora dell’ unione del Re e della Regina di Maggio, nominati quella sera stessa. Nei paesi anglosassoni, i componenti della giovane coppia venivano ribattezzati “John Thomas” e “Lady Jane”, il che riporta alla mente una celebre hit dei Rolling Stones (anche se alcuni identificano la “Lady Jane” del titolo con Jane Seymour, moglie di Enrico VIII Tudor).

 

 

I fiori assumevano un ruolo importante, nelle celebrazioni di Beltane. Oltre ad essere destinati alla ghirlanda del Palo del Maggio, adornavano il capo delle giovani donne e venivano raccolti dopo i rituali, prima di trascorrere la notte insieme sotto il cielo stellato. Il fiore è il perfetto emblema del risveglio primaverile, dell’ energia ritrovata. Al sorgere del sole, era come se esplodesse la fioritura. Il desiderio era sbocciato e avrebbe diffuso il suo profumo durante l’ intero giorno. Non dimentichiamo che per i Gaeli, appartenenti al gruppo dei Celti, la giornata iniziava al tramonto e terminava con il tramonto successivo. Incluso nei quattro festival gaelici associati ai cicli stagionali (gli altri sono Samhain, Imbolc e Lughnasadh), Beltane era una data ricca di tradizioni. I falò rimangono l’elemento principale, il più importante: con le loro fiamme altissime, rivestivano una valenza protettiva, purificatrice e beneaugurale. Un’usanza prevedeva che tutti i fuochi delle case venissero spenti e poi riaccesi con una torcia alimentata dal falò dei Druidi. Gli antichi sacerdoti celti, infatti, realizzavano grandi falò in onore di Bel (anche detto Belenus), il Dio della Luce e del Fuoco.

 

 

Nelle case, davanti al focolare, si banchettava in compagnia. I fiori, onnipresenti, decoravano le porte, le finestre, gli ingressi delle stalle e persino il bestiame: adornare una mucca era di buon auspicio per la produzione di latticini, all’ epoca una delle principali fonti di sostentamento. Si creavano i cespugli di Maggio, corposi bouquet composti da giunchi, rami, infiorescenze, nastri, conchiglie e spighe. I fiori più utilizzati erano le primule, il biancoscospino, il sorbo selvatico, il nocciolo, la ginestra, la calendula, che venivano affiancati plasmando le più disparate forme; abbondavano le ghirlande così come le croci. A Beltane erano d’obbligo le visite ai pozzi sacri, e a la rugiada incarnava un potente elisir di giovinezza.

 

 

I May Bush, cespugli di Maggio, erano alberelli riccamente adornati (si usavano finanche le candele, preziose palline d’oro e d’argento) che facevano bella mostra di sè nei giardini delle case. Non era raro che venissero banditi concorsi per il cespuglio più bello. Ciò, con il passar del tempo, diede adito a rivalità e ladrocini che in era vittoriana condussero alla messa al bando della tradizione. A Beltane, inoltre, tornavano alla ribalta i cosiddetti “Aos Sì”, l’antico popolo degli elfi e delle fate irlandesi. Si pensava che le fate avessero l’abitudine di rubare i latticini e per evitarlo venivano presi speciali accorgimenti: ad esempio, i prodotti caseari si legavano ai rami del Maggio. Gli ornamenti floreali delle mucche, oltre ad essere di buon auspicio, avevano un identico obiettivo. Proteggevano, cioè, i bovini dalle incursioni delle fate. Oppure, gli agricoltori effettuavano appositi riti per placare le incantate creature: si versava a terra una piccola quantità di sangue del bestiame, si organizzavano processioni…Ciò dimostra il carattere fondamentale che a livello nutritivo, a quei tempi, rivestivano i derivati del latte. La simbologia di Beltane include infatti anche la mucca, e accanto ad essa l’ape: il miele rientrava tra i portentosi alimenti che assicuravano il sostentamento dei Gaeli.

 

 

L’ amore e l’ innamoramento rappresentavano due punti cardine della festa. Il 1 Maggio si celebrava il sacro incontro tra il Dio e la Dea, lo sboccio del loro amore. Da questa unione scaturivano, copiosi, i germogli della vita. L’ Estate, a Beltane, è sempre più vicina e la terra riprende a donarci i suoi frutti; l’agricoltura fiorisce in vista dei prossimi raccolti. Spiritualmente, Beltane è il periodo dei traguardi raggiunti. Abbiamo consolidato le nostre potenzialità individuali e siamo pronti ad elevarci ulteriormente, raggiungendo livelli di autoconsapevolezza e propositività sempre maggiori.

Buon Beltane a tutti voi!

 

John Collier, “Queen Guinevere’s Maying”

 

 

Happy St.Patrick’s Day

 

Buon San Patrizio! Ormai, complice anche la massiccia diffusione dei Pub a livello internazionale, il 17 Marzo si festeggia in molti paesi del mondo e non solo in Irlanda o dove la comunità irlandese è numericamente rilevante (come negli Stati Uniti). Prova ne è il fatto che ognuno di noi conosce, più o meno, gli emblemi del St.Patrick’s Day: in primis la supremazia del verde, il colore che simboleggia l’ Irlanda (non a caso definita “la verde Irlanda”). Oggi è d’obbligo indossare qualcosa di verde, la tonalità prediletta dalle fate ma anche quella della natura e del suo risveglio. Il verde, poi, si ricollega direttamente al trifoglio, un altro elemento ricco di significato. In Irlanda il suo nome è shamrock, dal gaelico “seamrog”, “giovane trifoglio”; per la botanica è il Trifolium Repens, e da Aprile ad Ottobre dà vita a un tripudio di minuscoli fiori bianchi. Gli antichi Celti, in particolare i Druidi, conferivano al trifoglio una potente valenza mistica. Le sue foglie, essendo tre, rimandavano al numero sacro della “Triplice Dea”; in più, veniva utilizzato come pianta curativa, per tenere a distanza le entità maligne e prevedere il futuro. Ad esempio, se le sue foglie si posizionavano verso l’alto si riteneva che il brutto tempo fosse in agguato. Ma il trifoglio è soprattutto legato alla figura di San Patrizio: pare che il Santo si servì delle sue foglie per spiegare il mistero della Trinità quando evangelizzò l’Irlanda.

 

 

La prima testimonianza del cospicuo utilizzo del trifoglio nell’ “isola di Smeraldo” risale al 1681: l’antiquario inglese Thomas Dineley ne parlò nel suo diario, “The Journal of Thomas Dineley”, un resoconto del viaggio in Irlanda che aveva effettuato. Dineley notò che il giorno di San Patrizio gli irlandesi indossavano croci e trifogli al tempo stesso. Due secoli dopo, sotto il regno della Regina Vittoria, il trifoglio divenne il simbolo per eccellenza della ribellione. In realtà lo era già da molto tempo prima, precisamente dal 1798, quando la United Irishmen Rebellion tentò di tramutare l’ Irlanda in una repubblica indipendente. La Regina Vittoria, in seguito, stabilì che tutti coloro che indossavano il trifoglio sulla propria divisa militare sarebbero stati puniti con la morte, il che probabilmente rafforzò la valenza sovversiva a cui gli irlandesi associavano la pianta. A tal proposito esiste una canzone, “Wearing of the green”, che ribadisce l’ orgoglio nazionale dell’ isola: il trifoglio divenne un simbolo di cui andare fieri, la rappresentazione di un supremo ideale.

 

 

La croce celtica è, senza dubbio, un’altra icona irlandese. Anche in questo caso, a fare da protagonista è la figura di San Patrizio. La leggenda narra che quando Papa Celestino I incaricò il Santo di evangelizzare le isole britanniche, l’ Irlanda in particolare, egli ottenne un immenso successo nel perseguire la sua missione. L’apostolato di San Patrizio nell’ Eire ebbe inizio tra il 431 e il 432. Dopo gli anni trascorsi in cattività sulla Slemish Mountain, il futuro patrono dell’ Irlanda poteva considerarsi un profondo conoscitore della cultura, della lingua e del credo locali. Ciò che rese straordinaria l’evangelizzazione di San Patrizio fu il rispetto dimostrato dal Santo nei confronti del paganesimo di matrice celtica imperante nell’ isola: non tentò di demolirlo in alcun modo, decise anzi di combinarne molti elementi con la fede cristiana per favorire l’assimilazione di quest’ ultima presso il popolo d’Irlanda. All’utilizzo del trifoglio come metafora della Trinità seguì un episodio altrettanto incisivo: San Patrizio fuse l’icona della croce cristiana con il sole, un simbolo di estrema importanza per i Celti. Il risultato fu la Croce Celtica, nel paganesimo strettamente connessa al ciclo di morte e rinascita delle stagioni.

 

 

Per concludere, un emblema giocoso e onnipresente in tutte le celebrazioni del giorno di San Patrizio: il Leprechaun. Le origini di questo nome sono controverse, si pensa che derivino dal gaelico moderno “leipreachàn”, ovvero “piccolo spirito”. Quel che è certo è che il Leprechaun è un popolarissimo folletto, o gnomo, irlandese. Appartiene al popolo delle fate e pare che vivesse sull’isola ancor prima ancora che vi si stabilissero i Celti. Il Leprechaun è un ciabattino – particolare che ha fatto risalire il suo nome a “leath bhrògan” (in irlandese, appunto, “ciabattino”) – e un gran burlone al tempo stesso. Prende di mira gli avari e i ladri, ma la sua scaltrezza si dimostra soprattutto quando deve difendere il tesoro che possiede: eh già, questo folletto solitario e imprendibile (se lo si vuole trattenere, però, basta guardarlo fisso negli occhi) nasconde smisurate ricchezze nei posti più impensati. Addirittura, pare che possieda un’enorme pentola piena di monete d’oro collocata alla fine dell’arcobaleno. Tutti coloro che tentano di estorcergli il nascondiglio del suo tesoro, tuttavia, rimangono con un palmo di naso. In queste circostanze, il Leprechaun rivela una grande astuzia e uno spiccato senso della beffa. Il giorno di San Patrizio decreta il trionfo del folletto burlone: la sua maschera inaugura tutte le parate, il suo ritratto campeggia in tutti i negozi. Come vuole la tradizione, inoltre, gli irlandesi sono soliti offrire al Leprechaun un bicchiere di latte posato sul davanzale della finestra.

 

 

 

Un Halloween da paura

 

“Halloween è il giorno in cui ci si ricorda che viviamo in un piccolo angolo di luce circondati dall’oscurità di ciò che non conosciamo. Un piccolo giro al di fuori della percezione abituata a vedere solo un certo percorso, una piccola occhiata verso quell’oscurità.”
(Stephen King)

 

Nel corso degli anni, VALIUM ha più o meno raccontato tutto su Halloween, che in origine era Samhain (in irlandese antico, “fine dell’estate”): le sue radici celtiche, la sua valenza di spartiacque tra il semestre della luce e il semestre oscuro. Per i Celti, l’anno iniziava con quest’ ultimo. A Samhain si festeggiava il Capodanno, un momento cruciale rispetto al ciclo delle stagioni; nel calendario agricolo, sanciva il passaggio dall’ ultimo raccolto alla preparazione alla semina. Ma perchè il 31 Ottobre viene da sempre associato alle tenebre, al funereo, all’ orrore? In realtà si tratta di caratteristiche che hanno enfatizzato, distorcendolo, lo spirito originale della festa. A Samhain, la mezzanotte era un’ ora fondamentale. Contrassegnando il termine di un ciclo e il principio di quello successivo, apparteneva a un livello atemporale: era un tempo che andava al di là del tempo. Il fatto che non avesse una collocazione cronologica ben definita, eliminava ogni barriera tra la realtà tangibile e le altre dimensioni. Lo scoccare della mezzanotte coincideva, quindi, con l’istante magico in cui il mondo dei vivi e il mondo dei morti si incontravano, entravano in comunicazione. L’ oltretomba, tuttavia, non era legata ad alcuna valenza orrorifica. I Celti celebravano la vita nella morte, perchè ogni morte è un nuovo inizio e una rinascita in un’altra dimensione. Il contatto con il soprannaturale si manifestava anche nella pratica della divinazione, che in questo periodo era diffusissima. Samhain veniva festeggiato con banchetti che andavano avanti per giorni: si brindava all’ultimo raccolto dell’anno, si mangiava la carne del bestiame macellato a causa della scarsità di foraggio. Il fuoco era un elemento molto importante. Simboleggiava la scintilla della nuova vita, della risurrezione primaverile. La sera del 30 Ottobre (Samhain, con ogni probabilità, si celebrava in una notte di luna piena della fine del mese) il fuoco doveva essere spento in tutte le case, dopodichè gli abitanti dei villaggi si recavano sulle colline dove attendevano che la stagione della luce lasciasse il posto alla stagione oscura. In quel preciso istante, nel silenzio generale, il buio veniva squarciato dalle fiamme del sacro fuoco che i Druidi avevano acceso.

 

 

I festeggiamenti avevano inizio, la gioia esplodeva e coinvolgeva tutti i partecipanti. Poi, all’ alba, ognuno scendeva dalla collina munito di una torcia che ardeva del sacro fuoco dei Druidi: con quella torcia avrebbe riacceso il focolare nella propria casa. Il fuoco della notte di Samhain rivestiva un ruolo specifico anche per gli spiriti dei defunti. Illuminava la strada alle anime smarrite, le aiutava a raggiungere o a ritrovare la dimora eterna. Parlando di spiriti entrano in scena i rituali, le antiche tradizioni. In Scozia, i giovani celebravano il Capodanno Celtico annerendosi il volto, velandolo o celandolo tramite maschere per impersonare i defunti. La barriera tra il regno dei vivi e quello dei morti crollava generando scompiglio, confusione: i ragazzi si vestivano da ragazze e viceversa, si ordivano scherzi come lo scambio dei cavalli o la sparizione degli aratri. Riemerge costantemente l’ambivalenza tra vita e morte, luce e oscurità. La stessa dea della Terra incarnava una forza oscura, che versa lacrime perchè il suo amante, il dio della Vegetazione, è sparito nell’ oltretomba, ma porta in grembo il seme della vita futura che fiorirà in primavera. Una delle tradizioni più note della notte di Samhain era quella di apparecchiare la tavola anche per i defunti: si lasciava loro del cibo, si sistemavano le sedie davanti al focolare in previsione di una loro visita. Le finestre e le vie venivano illuminate per guidare gli spiriti lungo il percorso, ma a questa funzione adempiva altresì la luna piena.

 

 

I falò che si accendevano su tutte le colline della Britannia e dell’ Irlanda avevano lo scopo di ridar vigore al dio morente, di portare nel nuovo anno la sua luce. L’usanza di indossare una maschera, di dipingersi il volto o vestirsi di nero, invece, era tipica delle streghe ai tempi dell’Inquisizione: quei travestimenti le aiutavano a mimetizzarsi nella notte e a terrorizzare gli inquisitori quando si spostavano da una congrega all’altra. La paura e i cammuffamenti, con il passar del tempo, sono diventati parte integrante della festa di Samhain. E a tutt’oggi rimangono intatti: dopotutto, come dice lo sceriffo Brackett nel film “Halloween – La notte delle streghe” di John Carpenter, “E’ Halloween: tutti hanno diritto a un bello spavento!”

 

 

 

La colazione di oggi: la zucca, supremo emblema di Halloween

Halloween è dietro l’ angolo: manca solo una manciata di giorni alla notte più stregata dell’ anno. E qual è il suo supremo emblema, se non la zucca? Un frutto tipicamente autunnale che si presta a un’ infinita varietà di ricette. Nei paesi anglosassoni, in particolare, viene utilizzata per preparare dolci deliziosi: torte, crostate, ciambelle, biscotti, e classiche leccornie Made in USA come i brownie, i pancake, i muffin e la pumpkin pie (tradizionale torta del Thanksgiving Day). Proporla per la colazione di oggi, quindi, mi sembra un’ idea ottima. Anche perchè la zucca, tra pochi giorni, spopolerà persino come elemento decorativo. Il 31 Ottobre la ritroveremo davanti ai portoni, sui balconi e nei giardini; sarà intagliata per riprodurre un volto terrificante ed emanerà una fioca luce dall’ interno, assumendo le sembianze di una Jack-o’-Lantern altamente simbolica. Ma il suo legame con Halloween (o Samhain, se preferite la denominazione celtica) intendo approfondirlo più avanti. Intanto, accendiamo i riflettori sulle proprietà e sui benefici della zucca. Vi assicuro che non sono pochi! Innanzitutto c’è da dire che il colore di questo frutto, un arancio vivace, è una delle nuance identificative dell’ Autunno. All’ appeal cromatico si combinano, poi, delle virtù notevoli: povera di calorie, la zucca è ricca invece di fibre e di antiossidanti, un vero toccasana per l’ apparato cardiovascolare e contro le malattie degenerative.

Abbondando di acqua, la zucca è un alimento digeribilissimo e dalle spiccate proprietà diuretiche; tra i suoi componenti risaltano la vitamina A, un potente antiossidante (oltre che antinfiammatorio) prodotto dal carotene che contiene in gran quantità, le vitamine B1 e C, ma anche minerali come il potassio, il sodio, il fosforo e il calcio. I flavonodi racchiusi nella zucca contribuiscono a mantenere giovani le cellule, mentre la cucurbitina, un aminoacido di cui i suoi semi sono ricchi, si rivela ideale per il benessere dell’ apparato urinario e in qualità di antiparassitario. Nei semi del frutto sono presenti, inoltre, acidi grassi essenziali quali Omega-3 e Omega-6, che giocano un ruolo fondamentale per l’ organismo. Vi cito solo alcune delle loro virtù: possiedono virtù antinfiammatorie, ripristinano i valori ottimali del metabolismo, della colesterolemia e della pressione sanguigna, contrastano le patologie vascolari e la degenerazione del sistema nervoso. Ulteriori proprietà degli acidi grassi essenziali includono effetti benefici sulla vista e sull’ umore, il che li rende perfetti nella lotta contro la depressione.

Icona dell’ Autunno, dunque, ma non solo: la zucca è un’ autentica miniera di benessere. Alla voce “curiosità, menzionare Halloween è tassativo. La tradizione di intagliare i più disparati tipi di verdura pare che risalisse, a tal proposito, all’800 irlandese. Questa usanza mirava a esorcizzare le forze sovrannaturali, mantenendole lontane dal mondo dei vivi. E’ in quel contesto che entrò in scena la leggenda di Jack-O’-Lantern, a cui la zucca di Halloween si ispira direttamente. Si narra che il fabbro irlandese Jack, astuto e gran bevitore, la notte del 31 Ottobre incontrò il Diavolo mentre era diretto al pub che soleva frequentare. Satana manifestò la sua intenzione di rubargli l’ anima, ma Jack ci pensò su e gli chiese un favore: trasformarsi in una moneta da sei pence per permettegli di pagare la sua ultima bevuta. Il Diavolo acconsentì, pentendosene subito dopo. Jack, infatti, si infilò la moneta in tasca, e la vicinanza a una croce d’argento impedì al demonio di tornare alle sue sembianze originarie. Così, i due scesero a patti: Jack lo avrebbe lasciato andare se gli avesse donato dieci anni di vita e in quel decennio non fosse più ricomparso. Il Diavolo, suo malgrado, fu costretto ad accettare. Dieci anni dopo, però, il 31 Ottobre tornò a pretendere l’ anima di Jack. Il fabbro si finse d’accordo, ma chiese al Diavolo di poter cogliere per lui una mela: sarebbe stato il suo ultimo pasto prima di morire. Il Principe delle Tenebre si arrampicò su un melo, e poco dopo si accorse che il fabbro aveva inciso una croce sul tronco per impedirgli di scendere. Tra i due scoppiò un litigio poi sfociato in discussione, e infine in un nuovo patto. Satana si disse disposto a salvare Jack dalla dannazione eterna a condizione che non si facesse vedere mai più. Quando il fabbro morì, fu condannato all’ Inferno per la vita dissoluta e furfantesca che aveva condotto. Il Diavolo, però, si rifiutò di farlo entrare. Tuttavia, gli donò un tizzone ardente affinchè illuminasse il suo vagare tra le anime perdute del limbo. L’ uomo riflettè a lungo su dove sistemare il tizzone, decidendo infine di riporlo in una rapa intagliata. Ne ricavò una lanterna che ispirò il suo celebre soprannome: Jack-O’-Lantern (“la lanterna di Jack”). Da allora, ogni notte del 31 Ottobre si può scorgere nel buio la fiammella di Jack, il cui spirito è destinato a errare per l’ eternità.

Gli irlandesi, la notte del 31 Ottobre, erano soliti rievocare la leggenda di Jack attraverso un tripudio di rape intagliate e illuminate dall’ interno. Ma dopo il 1845, quando si diressero in America in massa a causa di una carestia, dovettero sostituire le rape con le zucche, più diffuse e facilmente reperibili. Se vi state chiedendo quale volto riproduca la zucca di Halloween, la risposta è molto semplice: quello di Jack il fabbro. In un mix tra lo sgangherato e l’orrorifico che coniuga l’ ebbrezza alcolica con l’ oscurità in cui vaga la sua anima.

London Fashion Week: flash dalle collezioni AI 2020/21

SIMONE ROCHA. 1

Dal 13 al 18 Febbraio è stata la volta di Londra e della sua Fashion Week: 60 sfilate intramezzate da iniziative importanti e prestigiosi premi. Tra gli eventi clou, il fashion show TommyNow che, negli spazi della Tate Modern, ha presentato sia la collezione Primavera Estate 2020 di Tommy Hilfiger che la capsule TommyXLewis realizzata con il pilota di Formula 1 Lewis Hamilton. Il tema della sostenibilità ha giocato un ruolo preponderante: collezioni e brand sempre più consapevoli hanno decretato un vero e proprio trionfo dell’ eco-green. Il progetto Made to Last di Mulberry, ad esempio, dava ai clienti la possibilità di vendere le proprie borse della griffe per reinvestire poi la somma in nuovi prodotti. I nomi dei grandi assenti in passerella hanno annoverato quelli di House of Holland, Alexachung e Ports 1961, che sfilerà a Milano, mentre è stata riconfermata l’ iniziativa Positive Fashion che ha permesso l’accesso alle sfilate anche a un pubblico non specializzato. Tre, infine, le premiazioni svoltesi durante la London Fashion Week: l’ International Woolmark Prize 2020 (vinto dall’ irlandese Richard Malone), che includeva anche uno speciale riconoscimento in onore di Karl Lagerfeld, il Karl Lagerfeld Award for Innovation (vinto da BODE), e il Queen Elizabeth II Award for British Design, a conclusione della settimana della moda. A vincere il premio istituito da Sua Maestà Elisabetta II è stata Rosh Mahtani, fondatrice del brand di gioielli Alighieri. Nato nel 2014, il marchio ha esordito con una collezione ispirata alla Divina Commedia ed ha ripreso il nome del Sommo Poeta. Qui di seguito, trovate la selezione di VALIUM relativa alla London Fashion Week.

 

Simone Rocha guarda di nuovo all’ Irlanda, per lei fonte inesauribile di ispirazione, e fonde motivi culturali, religiosi e tradizionali della Verde Erin. Sceglie colori come il bianco, il panna, il nero, affiancati a sprazzi di blu e viola, per raccontare una parabola incentrata sull’ eterno ciclo di nascita, vita e morte: molto tulle, raso abbondante, forme ampie e fluide predominano, ma il vero leitmotiv è costituito dai dettagli in lana Aran (ottenuta dalle pecore delle isole omonime) lavorati in punto irlandese che adornano gli outfit come se fossero sciarpe o maglioni casualmente annodati sugli abiti. Queste trecce color avorio vengono impreziosite da spille argentate che esaltano la femminilità del look, e si accompagnano ad accessori quali borse in rete da pescatore, lunghe sacche in perle simili a conchiglie ed orecchini da cui pendono “lampadari” di cristalli. Da “La cavalcata al mare” del drammaturgo irlandese John M. Synge l’ispirazione spazia al cattolicesimo, declinandosi in immacolati look da sposa ricamati ed abbinati a suggestivi veli in pizzo Chantilly che ricoprono completamente il volto.

 

SIMONE ROCHA. 2

SIMONE ROCHA. 3

 

ERDEM. 1

Erdem torna indietro nel tempo e presenta una collezione – ricca di rimandi agli anni ’20 e ’30 – dedicata a Cecil Beaton ed ai suoi inizi di carriera: i tipici grafismi Déco, gli abiti in stile Flapper, il lamé, le perle, l’ argento in svariate gradazioni (The Age of Silver è anche il nome della collezione) fanno da leitmotiv e si affiancano a motivi marcatamente “beatoniani”, come le stampe check in bianco e nero ispirate ai suoi fondali, l’ abito da Pierrot che adorava e il trench nero plasticato con cui Stephen Tennant lo ritrasse. Il designer canadese guarda all’ imminente mostra sugli esordi di Beaton, “Cecil Beaton’s Bright Young Things”, in programma da Marzo alla National Portrait Gallery di Londra, e manda in scena look che ai caratteristici pattern floreali alternano fantasie di stelle, pizzo e ruches a profusione, suit pigiama con svolazzanti jabot, tutti all’ insegna di uno chic da Anni Ruggenti. Molto d’impatto il coat trapuntato giallo limone ornato da ampi revers, teatrali i copricapi in piume in stile Zigfield Follies e sofisticatamente seduttivi i girocollo composti da grandi rose in seta nera.

 

ERDEM. 2

ERDEM. 3

 

JW ANDERSON. 1

Una grande ricerca sugli stili, sui volumi e sui materiali, che spesso sembrano quello che non sono: JW Anderson presenta una collezione chiamata “Nouveau chic” e tiene decisamente fede ai suoi intenti. Svariati designer, tra coloro che hanno sfilato a Londra, optano per motivi ispiratori che attingono agli anni ’20 del ‘900 e li traghettano nel 2020 in continue rivisitazioni. Un esempio? Anderson reinterpreta due abiti “à la Flapper“, scintillanti di frange argentee, e ne riveste le spalle con quel che pare un collo di pelliccia mentre è una massa di trucioli per imballaggio. Questo elemento, peraltro, riappare di frequente: definisce gorgiere, maniche, mantelline sovrapposte a lunghe mantelle…e scintilla di oro e argento come un prezioso decoro. Le geometrie, fil rouge della collezione, svolgono un ruolo di spicco. Abiti a doppio sbuffo, cappotti oversize trapezoidali con revers a mò di enormi triangoli, ampie svasature, acquistano una nuova armonia e si alternano a tripudi di ruches. Risalta un outfit composto da gorgiera in tulle e gonna arricciata, ristretta nel fondo (entrambe verde oliva), abbinate a un corpetto plasmato su “squame” in oro metal. Fa pensare a una moderna sirena, ma una sirena di bosco.

 

JW ANDERSON. 2

JW ANDERSON. 3

 

CHRISTOPHER KANE. 1

Christopher Kane continua ad esplorare il rapporto tra sessualità e natura: ispirato dal peccato originale, il designer rievoca la cacciata di Adamo ed Eva dal Giardino dell’ Eden e simbolizza attraverso un triangolo la relazione amorosa tra uomo, donna e natura (in questo caso, rappresentata dall’ albero della conoscenza del bene e del male). Ed è sempre un triangolo a “incorniciare” la stampa riferita al celebre dipinto di Lucas Cranach il Vecchio, “Adamo ed Eva”, che Kane imprime sulle t-shirt e sulle felpe. Ma il triangolo diviene anche una sorta di logo astratto dell’ erotismo: eccolo allora proliferare sui cappotti, sugli abiti, sulle gonne – condizionando, talvolta, persino le loro forme – oppure plasmare reggiseni e top in pizzo o colli di vernice con la punta rivolta verso il basso. Alcuni outfit lo propongono sotto forma di intagli geometrici che scoprono la pelle, altri si avvalgono dello stesso spunto per adornare pettorine candide sovrapposte a dei lunghi maglioni. E se il tipico ornamento fetish in silicone è un trait d’union con le precedenti collezioni, la sensualità di queste creazioni si esprime anche nei sinuosi abiti see-through in metal mesh che, alternati a fantasie animalier e stampe pitonate (ogni riferimento al serpente che tentò Eva non è puramente casuale), non passano di certo inosservati.

 

CHRISTOPHER KANE. 2

CHRISTOPHER KANE. 3

 

BURBERRY. 1

Con “Memories” – così ha chiamato la collezione – Riccardo Tisci omaggia Thomas Burberry, il fondatore dello storico brand britannico. Ma non solo: i suoi ricordi coinvolgono la Londra dell’ epoca in cui studiava Moda alla Central Saint Martins, multiculturale e piena di fermento, il lasso di tempo trascorso in India, la decisione di imparare a meditare per abbracciare una nuova spiritualità. La sfilata si è svolta all’ Olympia Exhibition Centre di Kensington, un padiglione dal soffitto a volta in ferro battuto, dove hanno sfilato look che declinano il celebre tartan Burberry in un vero e proprio  pot-pourri di stili e materiali. Il check, però, non è l’unico protagonista della collezione: suit con cinture simili ad obi giapponesi, stampe animalier, bluse che sembrano indossate al contrario, trench alternati a parka, ecopelliccie e giacconi trapuntati, camicie annodate in vita e una miriade di sovrapposizioni fondono accenti country, sporty e urban di continuo. Il taglio degli outfit è soprendente, inedito ed iper sartoriale, i mix and match sono all’ordine del giorno. Un cappotto check sfoggia voluminose maniche di ecopelliccia nera, il pullover e le sneaker da tennis si abbinano ad una gonna da sirena in lamè, il classico trench beige – tagliato in vita da una cerniera – rivela uno scamiciato a quadretti indossato con pantaloni fascianti color oliva. Delle inedite, sottili pieghettature diventano, infine, un leitmotiv sia per le mise da giorno che da sera, dove impreziosiscono un lungo abito nero in stile Impero esibito da Maria Carla Boscono.

 

BURBERRY. 2

BURBERRY. 3