I “Fashion Statements” di Viktor & Rolf

 

Da un “No photos, please” che evoca il conflittuale rapporto tra paparazzi e star allo spiazzante “Trust me I’m a liar”. E poi, via via sempre più corrosivamente: “Sorry if I’m late, I didn’t want to come”, “Leave me alone”, “Go f…k yourself” e una miriade di ulteriori slogan a metà tra ironia e sarcasmo. Sono i “Fashion Statement” di Viktor & Rolf, il leitmotiv della loro collezione di Haute Couture Primavera/Estate 2019. Pensavate di essere abituate ai “claim” che invadono le creazioni di moda? Questa è tutta un’ altra storia. Viktor & Rolf li tramutano in spettacolari ossimori, dicotomie che fanno del contrasto il loro principale atout: i loro slogan campeggiano su long dress vaporosi come nuvole di tulle, eterei e rarefatti al punto tale da rievocare gli abiti delle Principesse delle fiabe. Pensate solo che, per realizzare questa collezione, il duo olandese ha impiegato ben otto chilometri di tulle! Forme scultoree, capolavori impreziositi da volant, fiocchi, balze e fitte ruche si svasano ad A o assumono una linea a clessidra accentuando una allure fortemente onirica, dove l’ elemento surreale si concentra nella contrapposizione tra le frasi “caustiche” e la leggiadria del tulle. La palette cromatica è deliziosa, un arcobaleno di colori pastello che non di rado virano al degradé e al fluo. Sul catwalk, le creazioni sono state accompagnate a un hairstyle “preraffaellita”, chiome lunghissime e ondulate come in un dipinto di Dante Gabriel Rossetti. Look imponenti, maestosi ma soavi al tempo stesso hanno stupito il pubblico grazie alla loro magnificenza scenografica: non è un caso che questi abiti abbiano già ammaliato celebrity del calibro di Julia Roberts, Poppy e Caroline Vreeland (la nipote della leggendaria Diana). Le foto di backstage del défilé risaltano la minuziosissima cura riposta da Viktor & Rolf nel definire ogni minima gradazione, ogni minima ruche. E’ il trionfo di una Couture avantgarde, contemporanea, che fonde sapientemente il sogno con la dimensione street. A suggellare il tutto, un regale long dress in balze di tulle rosa sul quale spicca la scritta “Less is more”: l’ ironia si converte nel cardine attorno a cui ruota una bellezza inedita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Glitter People

 

” Il mio vero colore dei capelli era una specie di biondo scuro. Adesso ho i capelli che variano a seconda dell’umore.”

Julia Roberts

Photo by GabboT (August 05) [CC BY-SA 2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], attraverso Wikimedia Commons

Il close-up della settimana

 

“Che cosa vuoi, Vivian?”. chiedeva Edward. E Vivian, senza un attimo di esitazione: “Voglio la favola”. E favola è stata, se consideriamo che dopo 25 anni esatti dall’ uscita del film (debuttò nelle sale il 23 marzo del 1990) , Pretty woman è considerato ancora una delle commedie romantiche – forse “la” commedia romantica – che più fa sognare il pubblico femminile di ogni età. Come una favola, appunto: la favola nella quale Vivian Ward, prostituta caricata in macchina dal businessman miliardario Edward Lewis in Hollywood Boulevard, trova il suo riscatto sociale facendolo perdutamente innamorare. Dopotutto, come un passante esclama nelle battute conclusive del film, “Questa è Hollywood, terra dei Sogni: continuate a sognare!”: a Hollywood tutti i sogni (o quasi) diventano realtà e le favole, come quella di Edward e Vivian, hanno sempre un lieto fine. La pellicola che Gary Marshall girò nel 1989 – e che rese famosa Julia Roberts a livello planetario – festeggia dunque le sue nozze d’argento. Con un corredo di cifre da capogiro tutte da ricordare:  campione di incassi al botteghino, la commedia ha registrato i proventi da record di ben 463,4 milioni di dollari in tutto il mondo e 178 milioni di dollari nei soli Stati Uniti d’America. Concepito inizialmente come un film drammatico incentrato sui temi della tossicodipendenza e della prostituzione, Pretty Woman avrebbe dovuto essere girato a New York, ma poi evolvette in un soggetto brillante e come location furono scelte le assolate atmosfere della West Coast. Il primo ciak fu battuto a Los Angeles il 24 luglio 1989; le riprese si conclusero tre mesi dopo, il 18 ottobre, con un set dislocato tra Beverly Hills e all’ interno del leggendario Hotel Ambassador che fa da cornice alla settimana di ingaggio di Vivian come fittizia girlfriend del danaroso affarista. Curiosità e aneddoti sulla scelta dei protagonisti abbondano: si narra che la Touchstone Pictures (una divisione autonoma della Walt Disney Company) avesse puntato su Meg Ryan per il ruolo della prostituta, ma che l’attrice – così come una folta schiera di star hollywoodiane tra le quali figurano Daryl Hannah, Michelle Pfeiffer, Melanie Griffith, Molly Ringwald e Sandra Bullock – declinò l’ offerta considerando la parte “degradante” per il genere femminile. Per interpretare Edward furono contattati divi del calibro di Christopher Reeve, Sylvester Stallone, Al Pacino e Daniel Day Lewis prima che il ruolo venisse proposto a Richard Gere, non così propenso ad accettare. Pare che fu proprio una spumeggiante Roberts a convincerlo tramite un simpatico post-it, e come si suol dire…Quel che è bene, finisce bene. L’ accoppiata Julia Roberts-Richard Gere si rivelò vincente e perfettamente amalgamata:  lei, nei panni di una prostituta scarmigliata e dal sorriso a trentadue denti, vistosa e easy ma mai volgare. Lui, nella riuscitissima rappresentazione di un businessman dai nervi saldi, sì, ma dal cuore tutt’altro che di ghiaccio. E se scene come quella in cui i due protagonisti fanno shopping deluxe a Rodeo Drive o assistono a La Traviata sono rimaste indelebilmente impresse nell’ immaginario collettivo, anche la trasformazione di Vivian da flamboyante ragazza squillo in sofisticata Lady rappresenta una metamorfosi da manuale. Al ritmo di Oh, pretty woman di Roy Orbison, il leit motiv musicale che si snoda lungo tutta la pellicola intramezzato da brani quali It must have been love dei Roxette, Fame 90 di David Bowie e Show me your soul dei Red Hot Chili Peppers (solo per citarne alcuni), prende vita una improbabile storia d’amore inconfessata fino all’ ultimo, quando un ormai  innamoratissimo Edward sfreccia, sul moderno cavallo bianco di un’auto munita di autista, a riprendersi la sua Vivian nel pittoresco appartamento che condivide con l’ amica Kit (Laura San Giacomo). A dimostrazione che – smentendo le teorie di quest’ ultima – un lieto fine non sia possibile solo per “quella gran culo di Cenerentola“, ma anche per una (non) comune mortale come Vivian. E lieto fine fu anche per gli interpreti del film: prova ne sono la nomination all’ Oscar che Julia Roberts ricevette come Miglior Attrice Protagonista e il Golden Globe ottenuto per la sua prova di recitazione, mentre per Richard Gere Pretty Woman rappresentò la definitiva consacrazione. Oggi, le sempre numerose repliche decretano ancora il film uno dei più visti e graditi da ogni generazione: potere della favola o dell’ Hollywood dream, non si può che concludere con un deciso “E vissero tutti felici e contenti”.