Paris Fashion Week: flash dalle collezioni AI 2020/21

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Oggi VALIUM vola nella Ville Lumière, dove dal 24 Febbraio al 3 Marzo si è svolta la Paris Fashion Week. In calendario, 71 sfilate e 25 presentazioni. Sono stati nove giorni sfavillanti, oltremodo esplosivi, densi di appuntamenti: il debutto di Felipe Oliveira Baptista alla direzione creativa di Kenzo, la collezione finale di Alessandro Dell’ Acqua per Rochas, il debutto parigino di Ermenegildo Zegna, il comeback di Coperni….Oltre che, naturalmente, i défilé di big internazionali del calibro di Dior, Saint Laurent, Chloé, Balmain, Celine, Vivienne Westwood, Balenciaga, Valentino, Givenchy, Stella McCartney, Giambattista Valli, Alexander McQueen, Chanel (peraltro, il 19 Febbraio scorso ricorreva il primo anniversario della scomparsa di Karl Lagerfeld), Miu Miu e Louis Vuitton, tanto per citarne alcuni. Moltissimi i designer esordienti, tra cui i francesi Boyarovskaya, Germanier e Xuly Bët, attesissimi il debutto dell’ africano Kenneth Ize e la sfilata di Thebe Magugu, primo vincitore “made in Africa” del Premio Louis Vuitton. Il team cinese, invece, è stato penalizzato dal fattore Coronavirus: la stilista Uma Wang ha preferito orientarsi su una presentazione, mentre Jarel Zhang, Maison Mai, Masha Ma, Calvin Luo e Shiatzy Chen hanno dovuto annullare i rispettivi fashion show parigini. La Fédération de la Haute Couture et de la Mode , tuttavia, ha garantito loro una visibilità massiccia attraverso le più disparate piattaforme di comunicazione. Veniamo ora alle cinque collezioni che VALIUM ha selezionato. Riflettori puntati su Dior, Saint Laurent, Maison Margiela, Balmain, Miu Miu. Si comincia con Dior:che lo show abbia inizio!

Una collezione che è un racconto autobiografico intessuto sui ricordi di Maria Grazia Chiuri. L’immaginario a cui attinge affonda le radici negli anni ’70 e nel movimento di liberazione della donna, ma anche in fotogrammi implicitamente associati all’ empowerment femminile: la sartoria della madre della designer, le attrici che le clienti desideravano emulare, l’ atelier milanese di Germana Marucelli, Mila Schön ritratta da Ugo Mulas, le opere della pittrice Carla Accardi…A quell’ iconografia si ispirano look di uno chic discreto, intrisi di estro ma portabilissimi, inseriti in una collezione oltremodo armonica. Il pattern a quadri tanto caro a Christian Dior predomina, declinato in tutti i capi e le versioni possibili, ma anche i pois fanno la loro apparizione: per Monsieur, entrambi i motivi erano i cardini di un’ eleganza informale. Il colletto bianco arrotondato abbinato alla cravatta nera è un leitmotiv; la collezione lo evidenzia in una serie di completi in black and white per poi riproporlo in varianti molteplici. Trionfano le frange, sugli orli dei capispalla oppure all over sugli abiti, le gonne spaziano dai modelli plissettati a quelli a portafoglio esplorando le lunghezze più svariate, le giacche sagomate si alternano ai caban e ai bomber jacket. L’allure è fresca, disinvolta, e si sposa con accessori iconici: la Saddle bag portata a tracolla, i gambaletti neri in rete, la bandana bene in vista sul capo nel tipico stile anni ’70. Insegne luminose che recitano “Consent” (consenso) ed altri slogan inneggianti al women power  – tutti realizzati dal collettivo Claire Fontaine – campeggiano nella location della sfilata, al cui ingresso è stato posto un “I say I” (io dico io) a caratteri cubitali. La frase, potentemente autoaffermativa, è anche il titolo di un’ imminente mostra dedicata alla scrittrice, critica d’arte e nota femminista Carla Lonzi oltre che all’arte italiana al femminile. Sostenuta da Dior, l’esposizione si terrà dal 23 Marzo al 21 Giugno 2020 presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

 

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SAINT LAURENT. 1

Denominatore comune: degli audacifuseaux in latex. Sono declinati in nero, viola, rosso, turchese, ed abbinati a giacche dall’ impeccabile taglio sartoriale. Tessuti come il tartan, il gessato e il pied de poule sottolineano la loro eleganza senza tempo, dando vita a un mix di fetish e di bon chic che le camicie con jabot impreziosiscono ulteriormente. Quando alle giacche si sostituiscono trench in pelle o dei fur jacket squadratissimi, il risultato non cambia: è puro stile Yves Saint Laurent sia in quanto a seduttività raffinata che agli incredibili cromatismi. Il fucsia, il viola, l’ocra, lo smeraldo, il teal, l’azzurro polvere si combinano e si alternano, creando dei connubi di un intenso magnetismo con il nero vinilico. Un mood sexy pervade l’ intera collezione, veicolato dal latex onnipresente (plasma indifferentemente top, gonne, abiti e corpetti) ma anche dalle trasparenze delle bluse e dei body in pizzo. Le gonne in latex, in particolare, rappresentano una valida alternativa ai fuseaux, soprattutto grazie all’ abbinamento con i cuissardes nello stesso materiale. Tuttavia, non riescono a rubare la scena al capo iconico della collezione (i fuseaux, appunto) e alle vertiginose slingback con fibbia sadomaso a cui si accompagna.

 

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MAISON MARGIELA. 1

Riciclare per dare origine a una nuova vita e, al tempo stesso, a una nuova coscienza: è questo l’ intento di John Galliano, che prosegue nella sua opera di decostruzione e riassemblaggio dei capi classici già iniziata con Maison Margiela Artisanal. Galliano concentra l’attenzione sul guardaroba del XX secolo, lo seziona e lo rielabora prefiggendosi di mantenerne la valenza intrinseca. Il tutto, naturalmente, a partire da indumenti d’antan originali: significativo è l’ esempio di uno dei look di chiusura, un abito da flapper risalente agli anni ’20, trasformato in un tripudio di chiffon violetto con tanto di stampe al laser. Altri “esperimenti” sono stati compiuti su cappotti ridotti ai soli revers ed alla pettorina (lo chiffon o la plastica trasparente, in genere, sopperiscono alle parti mancanti dei capi), ampi colli in lana dotati di una sola manica, ensemble di giacca e gonna con imbastiture a vista invasi da abbondanti inserti in pelo. Spettacolari i gilet sfrangiati che sembrano fatti di carta velina, soprendenti i giacchini a spina di pesce combinati con maniche in fake fur inanellate in grossi boccoli. Altrettanto d’impatto è la palette cromatica: il giallo, l’arancio, il marrone, il malva, l’azzurro polvere, il cobalto, il turchese e il vinaccia si affiancano in una favolosa tavolozza. Con la collezione Autunno/Inverno 2020/21 di Maison Margiela viene lanciata anche Recicla, una linea che per il momento include borse vintage in vimini restaurate  oppure ricavate dal pellame di borse second hand.

 

MAISON MARGIELA. 2

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BALMAIN. 1

Anche nella collezione di Balmain, i cuissardes rivestono un ruolo importante: altissimi, sostituiscono i collant o i pantaloni perchè avvolgono l’ intera gamba. Spaziano dal marrone al nero, passando per il beige, e sono declinati in cuoio ma più spesso in vernice. Quei tre colori sono importanti perchè delineano anche la palette cromatica della collezione, dove vanno ad aggiungersi al blu, al bianco, al grigio, a squarci di blu elettrico e di rosso, accentuando l’ impatto di creazioni che coniugano lo stile signature di Olivier Rousteing con l’ heritage Balmain più squisito. Abiti e gonne foulard, maglioni quasi “araldici” per quanto appaiono riccamente decorati, bottoni vistosi e ornamentali ricorrono in creazioni che sbalordiscono, oltre a tutto il resto, per la straordinaria sartorialità dei capispalla: le giacche, i cappotti e persino i cardigan sfoggiano spalle evidenti e nettamente squadrate; sono spesso a doppiopetto, decorati da due file di bottoni, con revers importanti e in colori a contrasto. Non è un caso che la sfilata si apra proprio con una parata di 20 cappotti blu rigorosamente double-breasted, ma con un unico rever a fare la differenza. Poi, ci sono mantelle in ogni lunghezza e versione: per il giorno i modelli evidenziano asimmetrie e sovrapposizioni, per la sera si incorporano all’ evening dress plissé dando vita a uno spettacolare look da red carpet. Lo stile “Jolie Madame” puramente Balmain, insomma, ormai si è fuso con la contemporaneità grintosa e audace di Olivier Rousteing. Lo dimostrano anche i look vinilici drappeggiatissimi, oppure cosparsi di glitter e ruches (e rigorosamente abbinati ai cuissardes vertiginosi), che anticipano le ultime uscite: su quale rockstar li vedreste indosso?

 

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MIU MIU. 1

Uno chic squisitamente rétro, che attinge alle dive del silver screen hollywoodiano: Miu Miu inneggia alle eroine cinematografiche degli anni ’40 e ’50, spaziando dalle “sirene” alla Veronica Lake per poi omaggiare le bionde predilette da Hitchcock e le attrici del Neorealismo, ma sempre con il glamour a far da filo conduttore. Gli abiti che aprono la sfilata, lunghi e increspatissimi, fascianti e tinti di accattivanti colori (l’arancio, il giallo e lo smeraldo si affiancano al grigio e al rosa delicato), conquistano all’ istante. Seguono cappotti dagli orli rasoterra portati rigorosamente con la cintura, long dress in stile Impero, tailleur con gonna pencil stretti in vita, fake fur voluminosissime da diva, abitini bouffant ricchi di increspature. Il pattern check si alterna ad un  “graffiante” maculato, mentre bagliori e trasparenze predominano nei look da sera. Colpisce una mise in total black indossata da Kaia Gerber: l’abito, composto da una gonna lunga e sinuosa, viene abbinato a una cintura in pelle e a un top in chiffon con il corpetto tempestato di cristalli. Avrebbero potuto sfoggiarlo star del calibro di Ava Gardner o Lana Turner, ma la raffinatezza che sprigiona è del tutto priva di accenti “ladylike”. Prevale invece una allure giovane e fresca, seppur sofisticata. La stessa che emanano i maxicoat in nuance confetto che sfilano in chiusura, ennesimi pezzi iconici di una collezione battezzata con il pregnante nome di “Toying with elegance”.

 

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Un universo surreale e variopinto come realtà parallela: intervista con Sasha Frolova, icona della Inflatable Art

 

Se dovesse descrivere la propria arte con un aggettivo,  la definirebbe (come dichiara in questa intervista) “miracolosa/affascinante”. Io aggiungerei “ipnotica”, in omaggio all’ assoluto magnetismo delle sue opere: utilizzando il latex gonfiabile, Sasha Frolova realizza sculture spettacolari e avveniristiche, giocose e al tempo stesso surreali, concepite sia per l’ esposizione che come leitmotiv di performance mozzafiato. Classe 1984, nata a Mosca, Sasha ha conquistato il pubblico internazionale con la sua “inflatable art”. Il fashion system, poi, la adora. Per fare solo qualche esempio, non è sfuggita all’ attenzione di VOGUE, Dolce & Gabbana hanno concluso la sfilata di Alta Sartoria a Villa Olmo con una delle sue performance e W Magazine, la patinata rivista statunitense, ha pubblicato un photoshoot di Tim Walker dove celebri star hollywoodiane (inclusa Nicole Kidman) posano tra le creazioni dell’ artista moscovita. Scultura e performance art, nell’ opera di Sasha Frolova, si fondono in un meraviglioso amalgama che le sovrappone e le identifica. Le perfomance prendono vita da sculture in movimento (gli “inflatable costume”, una volta indossati, possono essere definiti tali), mentre queste ultime danno vita alle performance in un gioco di reciprocità continua, con le imponenti e variopinte forme del latex gonfiabile a fare da fil rouge.  E proprio il latex evidenzia un contrasto che suscita stupore: associato per eccellenza al Fetish, ma anche ai giocattoli per bambini, è un materiale controverso. L’uso che Sasha ne fa nelle sue opere contribuisce a spiazzare lo spettatore, incerto se collocarle in un contesto erotico o prettamente naïf. Questo dualismo, con tutte le interrogazioni che esso suscita, rappresenta un elemento di spicco nei lavori della performer russa. Si è più propensi, tuttavia, a scongiurare qualsiasi valenza ambigua a favore del fiabesco, dell’ onirico e del fumettistico, considerati anche i molti riferimenti ai comics ed all’ intento, sottolineato da Sasha Frolova stessa, di creare una realtà parallela priva di ombre, orientata alla positività: da qui, un’arte disseminata di accenti pop che le permette di calarsi in svariati personaggi, dalla Cyberprincess Marie-Antoinette – esibitasi lo scorso Agosto al Castello di Gradara – alla sgargiante music star Aquaaerobika, che sfoggia sul palco la sua lunga chioma in latex ed utilizza enormi lollipop come microfono.  Affascinata da questa artista straordinaria, innovativa e pluripremiata (finalista, tra gli altri, del Premio Arte Laguna 12.13 e vincitrice del premio speciale “Personal Exhibition”, è stata incoronata The Alternative Miss World 2014 al contest di Londra), ho fortissimamente voluto incontrarla per un’ intervista incentrata sul suo iter e sulle sue sbalorditive opere.

Qual è stato il tuo percorso prima di diventare un’artista?

Fin da bambina, il mio sogno era quello di diventare un’artista. Anche mia madre era un’artista, ma non è mai riuscita a trovare lavoro in Unione Sovietica e si preoccupava per me: non voleva che mi toccasse la stessa sorte. All’inizio l’ho accontentata, e dalla scuola d’Arte sono mi sono trasferita al college di Medicina. Ma dopo la laurea ho capito che l’unica cosa che volevo era essere un’ artista. Forse non sarebbe stato possibile capire cosa volevo davvero, cosa mi piaceva, se non avessi provato a capire cosa non mi piaceva. A volte, per capire cosa vuoi, devi prima capire cos’è che non vuoi. E oggi sono grata a mia madre per quella esperienza.

Quando e come hai deciso di dedicarti all’arte?

Pochi mesi prima della laurea in Medicina ho incontrato il mio insegnante, Andrey Bartenev, un famoso artista russo. Da quel giorno la mia vita è cambiata. Ho iniziato ad aiutarlo nelle sue esibizioni e a dedicarmi all’arte a mia volta. Volevo sperimentare. Mi è sempre piaciuto improvvisare, mi piace il risultato imprevedibile che ne scaturisce. A un certo punto mi sono resa conto che volevo dedicarmi all’arte e che non potevo vivere senza. Ho realizzato di essere un’artista quando sono diventata l’assistente di Bartenev. Mi sono cimentata in qualsiasi campo creativo, in diversi generi: creavo scenografie, inviti e illustrazioni, facevo la costumista per il cinema, mi esibivo in folli performance, lavoravo come stylist, make up artist e molte altre cose ancora. Alla fine, mi sono separata da Andrey e ho trovato la mia strada, diramandola in due direzioni: la scultura e la performance.

 

 

Cosa rappresenta l’arte, per te?

Il futuro dell’arte lo vedo nella sintesi. Mi piace lavorare su generi diversi, combinarli, per realizzare un compendio di qualcosa di nuovo. Credo che gli artisti incentivino il progresso umano, inventino e creino il futuro. E l’obiettivo dell’artista è la creazione del nuovo – nuove forme, nuove idee, nuovi generi, la creazione di ciò che non è mai esistito prima. Per “artista” intendo non tanto una persona munita di un cavalletto e di una tela, ma piuttosto un sognatore e un visionario, con delle idee audaci e in anticipo sui tempi. È interessante dare vita al nuovo, creare qualcosa che non esiste e che nessuno ha mai fatto prima di te, essere unici. Penso che l’arte dovrebbe essere positiva e bella. È molto più facile diventare popolari quando ti appelli ad un contesto negativo, ai problemi politici e sociali, ma tutto questo non mi interessa. Penso che l’arte dovrebbe essere “gentile”. Tutte le mie sculture veicolano un messaggio positivo e si mantengono in bilico tra l’infantilità e il naif, ma in modo consapevole. L’arte che fa appello alla positività è ancora rara, però ultimamente questa tendenza sta guadagnando popolarità ed è sempre più richiesta. Al giorno d’oggi, l’informazione è satura di negatività e lo spettatore ha bisogno di un’arte infantilmente semplice e comprensibile, che causi gioia ed emozioni vivide, che sferzi la coscienza sia attraverso l’apparenza che l’interazione e il gioco. Lavorando nella direzione del linguaggio visivo post-pop, sto cercando di trovare il mio personale approccio alla creazione della forma utilizzando astrazioni geometriche biomorfiche, liquide e semplificate. Voglio che la mia arte sia il più possibile astratta, non collegata a nulla. Meno è connessa con la realtà, meglio è: secondo me, l’arte è una negazione delle leggi fisiche e delle leggi della realtà. E’ il loro rovesciamento. In questo senso, l’arte è un miracolo, la manifestazione della presenza del miracoloso nell’universo. Quindi, cerco di dare allo spettatore l’opportunità di dimenticare almeno per mezz’ora che di trova ad una mostra, di dimenticare la realtà di quel momento e di offrirgliene un’altra, parallela, fatta di altre forme e di diversi colori; una realtà a sé stante e con le proprie leggi, le leggi della fantasia. Penso che l’arte debba essere bella come durante l’epoca Rinascimentale. La bellezza è l’obiettivo principale e la funzione dell’arte, è il canale per connettersi con Dio. La bellezza restituisce pezzi di paradiso al nostro pianeta, come i tasselli di un enorme puzzle perduto. Il senso della bellezza è qualcosa di molto gentile, puro e innocente. La bellezza è immortale, e l’arte è un modo per raggiungere l’immortalità attraverso la bellezza: l’arte è una nuova religione, è il modo di salvare il nostro mondo.

 

Performance a Villa Olmo (Como)  in occasione della sfilata Alta Sartoria di Dolce & Gabbana (2018)

Come nascono le tue opere di “inflatable art”?

Mi sono sempre piaciuti gli oggetti gonfiabili, cercavo un modo per utilizzarli artisticamente. Ho visitato diverse fabbriche di giocattoli gonfiabili, ho approfondito l’argomento tramite lo studio. Dapprima ho cominciato a creare sculture e costumi, stupefacenti giocattoli gonfiabili assemblati in svariate, enormi strutture con del nastro adesivo e del cartone, inoltre ho scritto versi e mi sono esibita in performance di poesia … Ho sperimentato molto. Poi, un giorno, sono stata invitata ad esibirmi a MTV Russia, dove ho visto una conduttrice che indossava un abito in latex e mi sono innamorata di questo materiale. Ha un’estetica visuale potente, è impressionante, lucente. Quindi, insieme a un’ azienda che produce abiti in latex, ho iniziato a realizzare costumi e sculture e la mia idea ha poco a poco preso forma. La mia prima scultura in latex si chiama Lyubolet. L’ho creata nel 2008 per una mostra dedicata agli alieni e tutto ciò che è extraterrestre. Lyubolet è una fantasia sul tema di come un’astronave sarebbe apparsa se l’energia dell’amore fosse diventata il suo combustibile. L’astronave è progettata per due astronauti e può volare solo con l’assoluta reciprocità e simmetria dei loro sentimenti. Insieme alla scultura, ho creato due tute spaziali e una performance. Non sono ancora riuscita a decollare, ma continuo a cercare un partner e credo che in futuro ci riuscirò! Questa scultura ha dato origine ad una serie di oggetti chiamati Psionics – sculture pseudo-macchine che utilizzano l’energia della coscienza e la psiche umana come motore. I miei lavori sono concentrati principalmente sulla forma, la forma è molto importante per me. E mi piace moltissimo il modo di modellare che l’aria offre, è assolutamente diverso dal tagliare il marmo o dallo scolpire il gesso. L’aria allunga la forma, adoro il suo linguaggio. E’ il materiale stesso a creare la forma e sono affascinata da questa co-creazione: non sai mai come si svilupperà il rigonfiamento del latex, provi sempre ad intuirlo…è un processo molto interessante.

 

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Seduta sulla sua scultura boudoir-trampoline a Les Jardins d’Etretat, in Normandia (2018)

Quali materiali sei solita utilizzare per le tue opere?

Ho scelto due direzioni principali, per la mia arte: la scultura e la performance. Ma definisco le mie performance “sculture in movimento” e i miei costumi “sculture indossabili dal vivo”. Lavoro con diversi materiali e tecniche, ma sono nota soprattutto perché lavoro – da circa 11 anni – con il latex. Il latex è il mio materiale preferito. Lo uso per creare costumi, sculture e installazioni su larga scala. Il latex è un materiale molto delicato, difficile da manipolare: si altera con i raggi UVA e teme il passar del tempo. Ma mi piacciono la sua natura effimera, la sua ariosità, la sua morbidezza, la sua levigatezza. Le sculture in latex sembrano vive, però purtroppo sono temporanee come tutte le cose viventi. Il latex può rimanere intatto al massimo sei mesi, un anno. Tratto le mie sculture con cura e non le espongo per più di due mesi, ma anche in questo modo non sopravvivono oltre cinque-dieci anni. I miei oggetti in latex sono spesso costituiti da moduli gonfiabili separati, incollati insieme in una sola forma oppure fissati ad un telaio di metallo o di plastica. Un’altra cosa importante, per me, è la collisione tra il contesto naif e il contesto sessuale che evoca il latex. Questo conflitto sortisce un effetto disturbante sullo spettatore, che non sa come percepirlo e inizia a interrogarsi su ciò che sta vedendo. E’ quello che voglio ottenere: coinvolgere lo spettatore emotivamente, ipnotizzarlo ed eccitarlo. Oggi faccio sculture non solo di latex; è un materiale adatto per gli interni, però non funziona all’aria aperta in quanto è molto fragile e sensibile alle condizioni esterne. Ma voglio andare avanti e progredire verso un nuovo livello. Voglio muovermi nella direzione dell’architettura gonfiabile, dell’architettura tessile, per realizzare progetti di arte gonfiabile pubblica su larga scala. L’estate scorsa ho realizzato delle vibranti sculture su larga scala, Air Island (13 m di lunghezza e 8 m di larghezza), le più grandi della mia carriera. E vorrei proseguire in questa direzione.

 

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Mi colpisce molto questo uso del colore, che al bianco e al nero alterna tonalità vivacissime, luminose o trasparenti grazie al PVC. C’è un filo conduttore, dietro alla tua ricerca cromatica?

Il colore è uno strumento potente e una parte importante del mio linguaggio visivo: una chiave per raggiungere i miei obiettivi artistici. La mia arte è incentrata sulla ricerca di ciò che è perfetto, ideale, lucido, luminoso, soprannaturale, fantastico, qualcosa di estremamente raro nella nostra realtà; su un certo super-mondo, dove tutte le proprietà e le sensazioni sono iperboliche, i colori più luminosi. Ogni artista, secondo me, crea il suo mondo parallelo, la sua realtà, secondo le leggi del proprio linguaggio visivo. E attraverso la sua arte, invita gli spettatori ad addentrarsi in questa realtà. Io voglio creare una mia realtà artistica parallela, voglio invitare gli spettatori in una sorta di spazio ideale che esiste secondo leggi diverse e del tutto proprie. Vorrei che le persone fossero deliziate e affascinate dalla mia arte, e l’uso del colore in questo senso mi aiuta. Voglio che la mia arte dia gioia e ispirazione quando la si guarda, come se si guardasse a qualcosa di incredibile. Voglio che la mia arte sposti la prospettiva, sproni lo spettatore a guardare alle cose ordinarie in modo nuovo.

 

 

A proposito di colore, alla Biennale di Venezia ti sei esibita nella variopinta performance Aquaaerobika, dove le tue sculture viventi hanno danzato al ritmo della musica elettronica ed inneggiato a un mood avveniristico. Cosa puoi raccontarci di questo spettacolare show?

Per me scultura e performance sono un tutt’uno. Il mio progetto di musica pop Aquaaerobika è una sintesi di musica elettronica e performance, uno show musicale di pop art con costumi gonfiabili e decorazioni. In realtà, considero questo spettacolo come una scultura dal vivo in movimento. Questo è il filone del mio insegnante Andrey Bartenev, che l’ ha percorso negli anni Novanta ed ha creato performance incredibili con i suoi costumi scultorei in cartapesta. Poiché sono stata una sua studente, vado anch’ io in questa direzione ma in modo diverso. Aquaaerobika è una performance dal format pop grazie al quale posso lavorare per un pubblico più ampio, esibirmi non solo nei musei e nelle gallerie d’arte ma anche nei club, ai festival, negli spazi pubblici. E’ uno show con musica originale, tutti i brani sono scritti appositamente per lo spettacolo e io canto dal vivo; cantare avvolta nel latex non è facile, ma l’impatto visivo giustifica tutte le difficoltà. I costumi e le scenografie si ispirano ai simboli della pop art, dell’op art, dell’estetica fantascientifica, alle anime giapponesi ed ai costumi di Oskar Schlemmer per “The Triadic Ballet”. Puoi riconoscere Betty Boop, Barbarella ed i protagonisti di un fumetto, nel mio personaggio. Mi sforzo di creare un’immagine universale super femminile e di giocare con immagini di donne di epoche e stili diversi, mescolandoli e creando qualcosa di nuovo. Mi attrae anche giocare con il bidimensionale e il tridimensionale, come dimostrano i miei costumi e i miei scenari. A un certo punto, lo show diventa una sorta di cartone animato. Mi piace immaginarmi al suo interno, è sempre divertente: la neve cade in un modo così favoloso e irrealistico, i colori sono così luminosi e le ombre così grafiche che sembra di essere entrati in un film d’animazione di Miyazaki o in un vecchio cartoon sovietico. Natura e arte spesso competono tra loro in straordinarietà e non si è in grado di distinguere dove finisce la natura e dove inizia l’arte … A volte, è difficile capire cosa ti emoziona di più.

 

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Sasha e uno scorcio della sua installazione Air Island

Non era la prima volta che venivi a Venezia. Tra l’altro, lo scorso Carnevale hai fatto una entrée trionfale, insieme al Principe Maurice, in total look “inflatable” settecentesco. Come ricordi quell’ esperienza?

L’ingresso in costume in Piazza San Marco è una delle suggestioni più ineguagliabili che io abbia mai provato in vita mia! Prova a immaginare: una folla di persone, la magica Cattedrale di San Marco davanti a te, il sole splende, fa freddo, l’atmosfera è eccitante, sei circondata da creature meravigliose in incantevoli costumi … In quel momento ho sentito un’incredibile connessione con l’anima di Venezia, ho sentito Venezia dentro di me, avevo la pelle d’oca! Sebbene sia stata un’apparizione molto breve, di fatto pochi secondi, quei momenti sono ancora vividi nella mia mente, ed emanano uno splendore tale da farmi provare un’immensa gratitudine nei confronti della vita e del Principe Maurice (rileggi qui la puntata di “Sulle tracce del Principe Maurice” dedicata al Carnevale di Venezia) che mi ha permesso di vivere questa esperienza. Conserverò tra i miei ricordi quei preziosi brividi per tutta la vita.

 

L’ ingresso in piazza San Marco con il Principe Maurice al Carnevale di Venezia 2019

Quale aggettivo adopereresti, solo uno, per definire la tua arte?

Miracolosa / affascinante?

 

Photo by Ermakov Roman

A quali progetti ti stai dedicando, al momento? E’ possibile avere qualche anticipazione?

Spero di lavorare di più per il teatro e per l’opera, mi piace lavorare con del materiale classico e ripensarlo. L’anno scorso ho realizzato i costumi per il “Flauto magico” di Mozart messo in scena al Teatro dell’Opera Helikon di Mosca, è stata un’esperienza straordinaria che mi è piaciuta molto. Tra i miei progetti c’è una grande personale a Mosca il prossimo anno, al Museo d’Arte Moderna, ed ho intenzione di concentrarmi su questo.

 

Nicole Kidman nel photoshoot che inneggia all’ inflatable art di Sasha Frolova scattato da Tim Walker per W Magazine (styling by Sarah Moonves)

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Come descriveresti l’attuale panorama artistico russo?

Abbiamo molti artisti di talento, davvero unici. La scena artistica in Russia si sviluppa rapidamente, ci sono stati tanti cambiamenti positivi e c’è una potente energia. Forse non è un panorama molto vario, ma è davvero interessante ed ha del potenziale.

Vorrei concludere questa intervista chiedendoti quali sono gli artisti contemporanei che, al momento, consideri maggiormente interessanti e innovativi.

Ad esempio, c’è l’artista e scultrice giapponese Mariko Mori, che crea progetti molto interessanti legati allo spazio. Mi piace anche Anish Kapoor, soprattutto il modo in cui lavora con la forma, con le dimensioni. Sono sempre deliziata dal suo lavoro, dal livello tecnologico delle sue opere: le guardi e semplicemente non capisci come abbiano potuto essere realizzate.  Allo stesso tempo, le sue forme appaiono come metafore poetiche. Mi piacciono anche gli artisti che lavorano con l’inflatable. C’è un collettivo, il FriendsWithYou di Miami. Sono una grande fan delle loro opere intrise di felicità e di positività. Realizzano enormi installazioni gonfiabili e mercatini di oggetti gonfiabili sulle spiagge di Miami. Sono degli artisti fantastici! Sono davvero ispirata dagli artisti superproduttivi e polistrumentali che lavorano su una vasta varietà di media, così come dagli artisti che fanno delle loro stesse vite un’opera d’arte. Considero miei mentori diversi artisti – prima di tutto Andrey Bartenev, ma anche lo scultore Andrew Logan ed il famoso clown Slava Polunin: è molto importante incontrare persone che ti ispirano ed acquisire da loro la conoscenza e l’esperienza.

 

 

Altri due momenti della performance a Villa Olmo realizzata per la sfilata di Alta Sartoria di Dolce & Gabbana (2018)

ICECREAMIZER, inflatable sculpture (2010)

SPECULUM, inflatable sculpture (2016)

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TWIRL, Pink edition (2016). Inflatable latex sculpture

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Photo courtesy of Sasha Frolova

 

 

Sunset Blooming make up collection, l’omaggio di Pupa ai tramonti tropicali

 

Maggio: il mese in cui i tramonti, complici le giornate più lunghe, si tingono di spettacolari colori. Il rosa, il corallo, il turchese, il viola si intrecciano in un ammaliante mix di sfumature, impregnando di magia il calar del sole. E’ un preludio d’Estate, sa di vacanze e di scenari esotici. Ricorda un cielo tropicale quando la luce lascia spazio all’ imbrunire: tonalità mozzafiato divampano, vibranti, mentre il sole si immerge nel mare. E’ a quelle stesse atmosfere che Pupa si ispira per la make up collection Sunset Blooming, a quelle stesse cromie. Che trasferisce in una limited edition dallo strepitoso impatto visivo e pensata ad hoc per la pelle ambrata dal sole. A comporla sono ombretti, matite per occhi, blush, lipstick e smalti rigorosamente declinati in due nuance ciascuno: una scelta essenziale, ma di sicuro effetto. Passiamo in rassegna questa esotica collezione!

 

 

Cominciamo con il make up sguardo, a cui Sunset Blooming dedica due mono ombretti dal finish setoso, i Sunset Blooming Exotic Eyeshadow: li trovate nelle shade 001 Exotic Spirit, a metà tra il cobalto e il blu Klein, e 002 Exotic Vibes, uno champagne avvolgente. Sono un’ ode alle tonalità dell’ oceano, invece, le matite Multiplay, utilizzabili sia come eyeliner che come kajal e ombretto; specificamente studiate per intensificare l’occhio, si avvalgono di una texture morbida e scorrevolissima, arricchita di olio di Jojoba. Gradazioni quali 79 Blue Sunrise (blu notte) e 80 Tropical Wave (azzurro chiaro) accentuano la loro allure “acquatica”.

 

 

Gli zigomi si evidenziano e scolpiscono grazie a un blush che coniuga il colore con la luminosità. Sunset Blooming Tropical Blush sfoggia una texture setosa, intrisa di pigmenti speciali e impreziosita di microperle: il look radioso è garantito. 001 Tropical Flower (un fucsia acceso) e 002 Tropical Festival (corallo) sono le nuance in cui è disponibile. Made To Last Lip Duo, binomio di rossetto liquido e top coat, riveste le labbra di un lipstick vinilico. Colorazione omogenea, perfetta aderenza e lunga tenuta rappresentano i suoi punti di forza, che il top coat suggella con un finish effetto latex; le shade 019 Radiant Orchid (a metà tra il viola e il fucsia) e 020 Red Hibiscus (rosso carminio) donano a questo straordinario duo una brillantezza extra. Per le unghie, infine, Pupa punta su uno smalto “tridimensionale”, iper glossato e pigmentatissimo. Lasting Color Gel vanta una formula ricca di resine, altamente volumizzante, che regala uno stupefacente effetto vetro ed assicura una copertura “piena”, impeccabile dell’ unghia. Il look plumbing viene valorizzato da tonalità intrise di fascino quali 186 Water Lily (un viola/lilla) e 187 Intense Fuchsia (un color fragola).