Profondo nero: l’hair color di tendenza dell’Autunno è intriso di suggestioni gotiche e dark

 

E’ un nero profondo, quello che sfoggiano le chiome di tendenza dell’ Autunno Inverno 2023/24. Un nero che non ammette vie di mezzo, omogeneo, ispirato a icone gotiche come Mercoledì o Morticia Addams e quindi intriso di suggestioni dark. Potremmo definirlo l’hair color ideale per il mese di Ottobre, con Halloween che si avvicina a grandi passi e il mood cupo, misterioso e giocosamente tetro che l’accompagna. Il nero rievoca figure femminili come le streghe, le femmes fatales, le eroine dei film noir. Elizabeth Short, alias La Dalia Nera, aspirante attrice rimasta vittima di un macabro (e mai risolto) omicidio nella Los Angeles degli anni ’40, era solita vestirsi di nero e appuntare una dalia tra i capelli corvini per attirare l’attenzione su di sè. Il nero è totalizzante, sensuale, ma bisogna saperlo portare. E’ un colore deciso che chiede di essere scelto da donne altrettanto decise. Sta bene con qualsiasi incarnato, enfatizza i lineamenti. Non passa inosservato, emana una allure voluttuosa ed enigmatica al tempo stesso. Attrae, ma mantiene le distanze circondandosi da un alone di mistero. Se optate per questa tinta di capelli, esibitela con eleganza e fierezza.

 

Moschino

Armani Privé

Laruicci

Menchen Thomas

Vivetta

Dundas

Shiatzy Chen

Gaurav Gupta Haute Couture

Nathalie Chandler

Antonio Marras

Dior Haute Couture

Paul Costelloe

Badgley Mischka

Y/Project

Giambattista Valli Haute Couture

 

 

Punti di luce

 

” Ho guardato in basso, e di colpo c’era la città, come un immenso lago nero pieno di plancton luminoso, esteso fino ai margini dell’ orizzonte. Ho guardato i punti di luce che vibravano nella distanza: quelli che formavano un’ armatura sottile di paesaggio, fragile, tremante; quelli in movimento lungo percorsi ondulati, lungo traiettorie semicircolari, lungo linee intersecate. C’erano punti che lasciavano tracce filanti, bave di luce liquida; punti che si aggregavano in concentrazioni intense, fino a disegnare i contorni di un frammento di città e poi scomporli di nuovo, per separarsi e allontanarsi e perdersi sempre più nel buio. Li guardavo solcare gli spazi del tutto neri che colmavano inerti il vuoto, in attesa di assorbire qualche riflesso nella notte umida. “

Andrea De Carlo, da “Treno di Panna”

 

 

 

Los Angeles e l’arte della perfezione

 

” La gente oggi prova sconcerto all’ idea che si possa essere innamorati di una città, soprattutto se la città è Los Angeles. La gente pensa che uno dovrebbe innamorarsi di altre persone o del proprio lavoro o della giustizia. Ho amato persone e idee in diverse città e ho imparato che gli amanti che ho amato e le idee che ho sposato dipendevano da dove mi trovavo, da quanto freddo faceva e da cosa dovevo fare per riuscire a sopportarlo. Sopportare L.A. è facilissimo, che è la ragione per cui è praticamente inevitabile che ogni sorta di idea venga messa in atto, per non parlare degli amanti. Anche se nello scompiglio si perde la sequenza logica. L’arte dovrebbe stabilire parametri di organizzazione e di struttura, ma non sono cose che trovi nella California del Sud. Ci hanno provato. E’ complicato essere davvero seri se si è in una città che non riesce nemmeno a tirare su un grattacielo per paura che la terra un giorno si sollevi e faccia crollare quel coso per intero in testa alla gente. E’ così gli artisti a Los Angeles non hanno l’ entusiasmo bruciante che ci si aspetta da loro. (…) I miei amici a New York iniziano a fare su e giù per la stanza irritati al solo ricordo del piacere irrazionale che si prova con le meraviglie simili a nuvole di Larry Bell. (…) L’idea di una “comunità artistica” svanisce nella lentezza dei giorni. (…) Quando negli anni cinquanta la Ferus Gallery iniziò a mostrare l’arte di Los Angeles al resto del paese, la scena artistica di New York osservò che tutti sembravano ossessionati dalla perfezione. Le cornici dovevano essere perfette, e pure il retro delle cornici. Lo definirono il “Finish Fetish”. Come i Beach Boys, per i quali ogni accordo doveva cadere dal cielo in nuvole uniformi. Il rock’n’roll a L.A. ci prova anche oggi a non essere così magnifico, a essere trasandato e appassionato, ma non funziona. Linda Rondstandt, gli Eagles e Jackson Browne non fanno paura a nessuno. Come l’arte della vecchia Ferus, il rock’n’roll di L.A. è semplicemente perfetto. “

 

Eve Babitz, da “Slow Days, Fast Company (il Mondo, la Carne, L.A.)

Il close-up della settimana

Essendo VALIUM un fan di Fenty Beauty sin dagli esordi, non potevo tralasciare di darvi questa splendida notizia: Rihanna è diventata mamma di un bel maschietto. Il figlio della popstar e del rapper A$AP Rocky è nato – come riporta il sito di gossip TMZ – a Los Angeles il 13 Maggio scorso, ma non è stato ancora reso noto il nome del bimbo. Rihanna ha messo in bella vista il suo pancione fino a poco tempo prima del parto. Lo ha mostrato al mondo, audace e fiera, nudo, ornato di gioielli e velato di trasparenze. Basti pensare che, quando ha annunciato la gravidanza, una serie di scatti fotografici la ritraeva mano nella mano con A$AP Rocky mentre sfoggiava dei jeans strappati, un piumino rosa e una collana che le penzolava sul ventre completamente scoperto. Da allora, non si contano le volte in cui la trentaquattrenne barbadiana ha dimostrato anche nel look tutta la gioia per la maternità imminente. VOGUE America le ha dedicato addirittura una copertina dove il suo corpo di futura mamma (immortalato da Annie Leibovitz) appare fasciato da una provocante tuta in pizzo rosso: un tributo per aver innovato e stravolto lo stile premaman. Rihanna e A$AP Rocky si conoscono da molto tempo. Il rapper, all’anagrafe Rakim Athelaston Mayers, è nato ad Harlem nel 1988 e nel 2007 è entrato a far parte del collettivo Hip Hop A$AP Mob; qualche anno dopo, esattamente nel 2013, la sua amicizia con la poliedrica popstar si è tramutata in una love story lampo grazie al video di “Fashion Killa” (guardalo qui) che i due hanno girato insieme. Il fato ha riunito la coppia nel gennaio del 2020, quando Rihanna è ritornata single dopo una relazione di tre anni con il miliardario saudita Hassan Jameel; da quel momento, lei e A$AP non si sono più lasciati. Alcune voci hanno parlato persino di un matrimonio che i neo-genitori avrebbero organizzato, in gran segreto, recentemente. In attesa di saperne di più, e di un annuncio ufficiale sulla nascita del loro primogenito, non ci resta che porgere le più sentite congratulazioni a Rihanna e A$AP Rocky per il lieto evento!

Foto by SIGMA, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons

Tra moda, cinema… ed eclettismo: incontro con Eleonora Albrecht

(Foto di Andrea Ciccalè)

“Altezza 1,74 m, capelli biondi, occhi azzurri”, riporta il suo composit. Segni particolari, una grazia innata: l’eleganza sembra incisa nel patrimonio genetico di Eleonora Albrecht. Romana di origini tedesche e russe, proveniente da una famiglia di artisti, Eleonora ha riversato il suo talento nella moda e nella recitazione, due passioni che la animano da sempre. Quel che più colpisce in lei – oltre ai grandi occhi blu, al corpo slanciato e alla cascata di capelli biondi – è il viso dalle molteplici potenzialità espressive: come una tela bianca plasmata da pennellate di colore, Eleonora può tramutarsi indifferentemente in una dea ultra-chic o in una scanzonata “comedian”, incarnando innumerevoli tipologie di personalità femminili. Il suo CV annovera esperienze prestigiose sia nelle vesti di modella, che di attrice. John Galliano, Calvin Klein, L’Oréal, Giada Curti, Aspesi, Gentucca Bini, Wella, BMW e Jean-Louis David sono solo alcuni dei brand per i quali ha posato o fatto da testimonial. Sul set, dopo un iter di studi che include (tra l’altro) il Lee Strasberg Institute di Los Angeles, Les Cours Florent di Parigi, il Conservatorio Teatrale Giovan Battista Diotaiuti e l’ Accademia del Comico dei Morini Bros di Roma, l’abbiamo vista in un gran numero di film e serie TV. Qualche titolo? “Un giorno speciale” di Francesca Comencini, “Se sei così ti dico sì” di Eugenio Cappuccio, “Un altro mondo” di Silvio Muccino parlando di cinema, “Che Dio ci aiuti 2”, “Don Matteo 8″, “Provaci ancora Prof.! 4” per quanto riguarda le sue apparizioni sul piccolo schermo. Ma gli interessi di Eleonora Albrecht spaziano oltre la moda e la settima arte, diramandosi in svariate direzioni. Influencer con il blog “The Fashion Screen”, Youtuber che vanta ben due canali all’attivo, designer e imprenditrice grazie alla creazione di Confetta – la borsa a forma di cuore già diventata un accessorio cult – la sua è una carriera più che mai eclettica e multiforme. E’ Eleonora stessa ad approfondirla insieme a noi, senza tralasciare un ruolo del tutto speciale: quello di compagna dell’ attore Flavio Parenti e di mamma della piccola Elettra, che lo scorso Marzo ha compiuto due anni.

Eleonora Albrecht: attrice, modella, blogger, influencer, creativa e imprenditrice con “Confetta”, la minaudière che hai ideato insieme al tuo compagno, l’attore Flavio Parenti…Quale definizione scegli, per presentarti?

Sono una persona estremamente curiosa, che ama viaggiare ed esprimersi in molti modi. Amo la Bellezza e tutto ciò che ne deriva.

A casa tua, il talento artistico si respirava nell’ aria: una madre prima ballerina al Teatro dell’Opera di Roma, nonni e zii pittori…Quando hai preso coscienza, per la prima volta, che l’Arte era nel tuo DNA?

Mio padre anche era ballerino classico, sono nata in un ambiente devoto alla danza e all’arte. Non ho mai pensato di fare qualcosa non relativo ad un processo artistico. Da bambina desideravo fare la cantante, poi la poetessa, poi la stilista. Semplicemente non mi è mai passato per la mente di dedicarmi ad un percorso non artistico. Per me vivere significa esprimere cosa si ha da dire nel modo in cui ci è più vicino e questo modo può evolversi negli anni, perché amo avere sempre stimoli diversi e ricercare qualcosa di nuovo, mettermi alla prova. Ovviamente c’è sempre un filo conduttore nelle mie ricerche personali che negli anni sarà sempre più definito.

 

(Foto di Claudio Amato)

A Parigi, appena diciannovenne, hai avuto l’opportunità di svolgere uno stage presso la Lagerfeld Gallery e di vedere il leggendario Karl Lagerfeld all’ opera. Che ricordo hai di lui?

Una persona molto cordiale e precisa, gentile con tutti. Attento ai dettagli, molto sicuro delle sue idee. Visionario ma concreto, un signore di altri tempi ma con un’energia contemporanea.

Qualche anno fa, su You Tube hai aperto due canali che definirei agli antipodi l’uno dall’altro: in “Sugar Barbarella” ironizzi sui tic sociali e sui fenomeni di costume del nostro tempo, mentre in “Eleonora Moda” proponi haul, tutorial e, soprattutto, dai consigli alle ragazze che vorrebbero diventare modelle. Come nasce questa tua “doppia anima”?

Le mie passioni sono la recitazione, il cinema, e la moda. Youtube ti permette di fare quello che vuoi e così ho sperimentato. Come attrice mi sono dedicata al cabaret per un periodo e quindi Sugar Barbarella era un mio personaggio comico. Attualmente non realizzo video però da anni, ma alcuni sono diventati molto famosi. Diversamente, Eleonora Moda è un canale che alla sua nascita mirava ad aiutare le centinaia di ragazze che mi scrivevano quotidianamente per avere consigli, pareri, ecc. Quindi ho raggruppato tutto in alcuni video che hanno ancora molto successo su YouTube e che spiegano come fare per affrontare una carriera da modella.

 

(Foto di Raffaello Balzo)

A proposito: cosa suggeriresti alle lettrici di VALIUM che sognano una carriera davanti all’ obiettivo? Il fashion world evolve alla velocità della luce. Quali sono, a tuo parere, i requisiti – aggiornati al 2019 – per intraprendere una carriera da modella?

I requisiti li richiedono le agenzie e consiglio sempre di contattare le agenzie serie di moda a Milano. In ogni caso l’altezza è sempre il filo conduttore della carriera delle modelle. Ma magari ora con Instagram ci possono essere delle evoluzioni. Dipende anche cosa si intende per modella. Fino a qualche anno fa, la modella era una ragazza alta e magra, che andava a fare i casting e veniva selezionata per sfilate e servizi fotografici, nessun problema per viaggiare, mangiare sano e ad andare via di casa presto per intraprendere una carriera. Molte ragazze ora pensano che basti avere un canale Instagram con vari followers, mettere foto mezze nude o molto provocanti ed essere contattate da marchi che le pagano. Sicuramente esiste anche quello, ma è un altro tipo di modella che va al di fuori di un giro di agenzie, ecc. di cui parlo nei miei video.

Dopo aver esordito come modella, sei stata rapita dal sacro fuoco della recitazione e sei volata a Los Angeles per studiare nientemeno che al Lee Strasberg Institute. Che puoi raccontarci di quegli anni?

Ho iniziato a fare la modella a 13 anni. A 17 abitavo a Milano, poi mi sono trasferita a Parigi per 4 anni, dove ho studiato stilismo in una scuola molto importante, l’Ecole de la Chambre syndicale de la Couture Parisienne, ho fatto stage da Dior e Lagerfeld e lavorato come assistente stylist in campagne pubblicitarie importanti. Al contempo lavoravo come modella e poi ho iniziato un corso serale di recitazione al Cours Florent. A questo punto ho messo da parte la moda, per studiare recitazione quotidianamente e dopo un anno sono andata a vivere e studiare a Los Angeles al The Lee Strasberg Institute. ) Los Angeles è una città molto dispersiva in cui è difficile orientarsi, fortunatamente ho uno spirito molto estroverso e ho fatto amicizia velocemente, riuscendo a vivere la città in un modo molto interessante. Ci sono attori ovunque, registi, sceneggiatori, lavorare nel cinema e in tv è normale. Ma è difficile avviare una carriera da zero se non sei anglofono. Io l’ho vissuta benissimo, mi sono divertita, ho conosciuto persone fantastiche, ho avuto così tante esperienze che starei le ore a parlarne.

 

 

Moda e cinema, due passioni che vivi con pari intensità (ricordo, peraltro, che di recente sei passata dietro la macchina da presa per dirigere due corti da te scritti): ma quale delle due ti permette di esprimerti “a tutto tondo”?  

L’aspetto estetico, il vissuto, le storie, la ricerca. Sono aspetti che il cinema e la moda hanno in comune. In realtà il cinema porta la parola, che la moda non ha. Quando penso ad una collezione di moda mi immagino come poter dare alla donna un oggetto bello, soprattutto, ma anche mettibile. Anche se non mi piace pensare ad accessori pratici perché non lo trovo divertente (la mia linea Confetta fa solo accessori al momento). Quando penso ad una storia da raccontare, mi baso su un’emozione personale, qualcosa che mi ha colpito particolarmente negli anni e che ho approfondito emotivamente e vorrei poi far uscire al di fuori. Per questo ho un’altra storia da anni nel cassetto, sto aspettando il momento giusto.

Nel 2013 hai preso parte alla serie TV “Che Dio ci aiuti”, una fiction a cui sono parecchio affezionata in quanto due sue edizioni hanno avuto come location Fabriano, la città dove risiedo. Come rievocheresti la tua esperienza nel ruolo di Camilla, e com’è stato lavorare a fianco dell’attrice Premio David di Donatello Elena Sofia Ricci?

La fiction è molto curata e sono stata contenta di averne fatto parte, tutti gli attori sono bravi e anche il cast tecnico.

Passiamo alla tua vita privata. Da tempo hai una relazione con Flavio Parenti e dal vostro amore è nata Elettra, che oggi ha due anni. Come vivete, tu e Flavio, il fatto di condividere la stessa professione?

Bene, perché facciamo anche molte cose insieme. Abbiamo, però, anche varie passioni non condivise che nutrono altre parti delle nostre personalità. Per il resto, lavorare nello stesso campo ti permette di avere più comprensione dell’attività e dei momenti up e down che ne conseguono.

 

Eleonora con la borsa Confetta

Vorrei chiederti ora qualche anticipazione sui tuoi progetti più imminenti ed un consiglio per concludere in bellezza questa intervista: qual è il must primaverile a tema fashion che non dovrebbe mancare nel guardaroba delle lettrici di VALIUM?

Il mio progetto imminente è lanciare la nuova collezione di borse Confetta. A breve lanceremo la collezione estiva, dopo il successo internazionale della borsa a forma di cuore in vetroresina. Per il must primaverile, ormai nella moda si vede di tutto e di più. Io non consiglio un “must”, ma di trovare quello che ci piace di più secondo il nostro gusto e non secondo delle tendenze. Se amate vestirvi come negli anni Cinquanta, per esempio, ben venga! Per me, l’unico must è di guardarsi allo specchio e piacersi. Se non ci si piace, e non si è capace di capire cosa potrebbe andar bene indosso, magari affidarsi a qualcuno oppure fare ricerche su internet, affinare il proprio gusto non solo nella moda ma a livello culturale in generale. Cercare stimoli, per capire come siamo.

 

 

 

 

 

Diego Diaz Marin e Gladys Tamez per Doubleview: un connubio esplosivo

 

Quando il top photographer Diego Diaz Marin incontra Gladys Tamez, la modista luxury adorata dallo showbiz, l’ impatto non può che essere esplosivo. L’ occasione è la recente Fashion Week parigina, la location una Ville Lumière che Diego Diaz Marin ritrae come non l’ avete mai vista: straripa di cieli azzurri e di colori tropicali, risveglia una gestualità che abbandona il bon ton per diventare giocosa e unconventional. E’ una Parigi i cui scorci-simbolo – Place Vendôme, un bistrot con i tavoli all’ aperto, un panorama di tetti, l’ obelisco di Luxor – fanno da sfondo al tragitto di una donna e alle sue evoluzioni acrobatiche. La protagonista dell’ editoriale che sancisce il connubio Diaz Marin – Gladys Tamez Millinery sfoggia un look impeccabile, suit a quadri e ampi cappotti, ma a fare da fil rouge è un fedora a falda larga – il Saint Marie –  in cromie incredibili: ai toni vibranti dell’ arancio e del blu Klein si alternano un marrone e un beige avvolgenti, dotando il cappello di un alto tasso di glam.

 

 

Diego Diaz Marin va ben oltre la fotografia in movimento di matrice avedoniana, e immortala la donna in pose a dir poco funamboliche. Irriverente e snodata come una circense, la vediamo esibirsi nella posizione del ponte in pieno centro, lanciarsi in una spaccata verticale, prodigarsi in acrobazie persino sulle strisce pedonali. In uno scatto la ritroviamo impettita, con un’ aria di sfida, in un altro  avanza a grandi passi; i momenti di relax, però, non mancano. Seduta di fronte al bistrot, il suo fedora arancio risalta con accenti vibranti sullo sfondo déco. E affacciata ad un balcone, un cesto di mini baguette in mano, sovrasta il panorama di tetti e ricorda una Marie-Antoniette contemporanea mentre pronuncia la frase che le è sempre stata attribuita, ” Se non hanno più pane, che mangino brioches!”: altera, sofisticata e fiera come un’ autentica regina d’ antan.

 

 

 

 

Chi segue VALIUM conosce bene il genio visionario e ironico di Diego Diaz Marin (leggi qui la sua ultima intervista per il blog) , che ogni volta riesce a estasiarci con photo-shoot che ci trascinano nel suo effervescente immaginario visivo. L’ editoriale che ha creato per Doubleview (il visual book che ha fondato a Firenze) immortalando le creazioni di Gladys Tamez è un’ ennesima prova d’autore della sua rutilante creatività.

 

 

Gladys Tamez è designer e direttore creativo di Gladys Tamez Millinery, il luxury brand di cappelli di design e rigorosamente hand made che ha fondato a Los Angeles. Avete presente il fedora rosa che Lady Gaga indossa nel video di “Million Reasons”? Bene: quel cappello è griffato Gladys Tamez. Ma le celeb innamorate delle sue creazioni non si contano. Oltre a Lady Gaga, Julia Roberts, Jane Fonda, Madonna, Beyoncé, Kendall Jenner, Gigi Hadid e molte, moltissime altre star ancora sono delle  habituè del GMT atelier. Il design inconfondibile del brand coniuga le tipiche forme sculturali a un concentrato di influenze artistiche e savoir-faire artigianale. Ogni cappello viene realizzato a mano utilizzando tecniche che inglobano la più squisita expertise di tradizione sia europea, che americana, e avvalendosi di materiali selezionati presso i migliori fornitori di tutto il globo. Know-how e qualità sopraffina sono due must per Gladys Tamez, il cui atelier è l’unica modisteria luxury e con produzione hand made a contare su una rete di distribuzione all’ ingrosso internazionale.  La creazione “su misura” rappresenta l’ eccellenza di GTM: il cliente viene direttamente coinvolto nel processo di realizzazione del cappello, che include l’ideazione di un modello, di un colore, di uno stile e di accessori ad hoc per soddisfare ogni sua esigenza.  Tutte le collezioni di Gladys Tamez vengono presentate a Parigi, in occasione delle Fashion Week del ready-to-wear e dell’ Alta Moda. Per saperne di più:  https://gladystamez.com/

 

 

 

 

 

 

 

CREDITS

Photographed by Diego Diaz Marin

The collab brands

Hats Gladys Tamez Milinery

Clothes Navro

 

 

 

La Petite Robe, 10 anni di “travel chic”: intervista con Chiara Boni

 

Occhi azzurro cielo, capelli tagliati in un bob platinatissimo, sorriso stampato sulle labbra: Chiara Boni irradia fascino a prima vista. La guardi e pensi che la sua allure radiosa – un mix di grazia, pragmastismo e stile – la identifichi in toto con la donna a cui ha dedicato il brand La Petite Robe. Fiorentina DOC, Chiara esordisce come designer all’ inizio degli anni ’70, quando irrompe nel settore della “moda giovane” con gli abiti griffati You Tarzan, Me Jane che crea per la boutique che ha aperto nella sua città. E’ impossibile dimenticare il mood frizzante veicolato da quel marchio: negli anni in cui il modo di vestire diventa un emblema generazionale, la ribellione eccentrica di You Tarzan, Me Jane rielabora le suggestioni sgorgate da una full immersion nella Swingin’ London della sua fondatrice. Da allora, con i tessuti stretch come iconico leitmotiv, il percorso stilistico di Chiara Boni è andato consolidandosi attraverso un iter di cui l’ ingresso nel Gruppo Finanziario Tessile nel 1985 e la creazione de La Petite Robe nel 2007 rappresentano due tappe fondamentali. Oggi La Petite Robe compie 10 anni e con You Tarzan, Me Jane condivide l’ intento rivoluzionario da cui prende vita: il suo nome evoca uno chic all’ insegna della praticità, abitini facili da lavare e non spiegazzabili che una donna sempre in giro per il mondo può agevolmente riporre in micro buste di tulle. Lo stile del brand, inconfondibile, coniuga un alto tasso di femminilità e linee essenziali, ma ricche di dettagli estrosi. I capi si modellano sul corpo assecondandolo, evidenziandolo in tutta la loro raffinata linearità ed adottando una palette che al nero affianca nuance, di volta in volta, vivaci, pastellate o intense: il fucsia, il cobalto, il rosso, il rosa baby e l’acquamarina si alternano al verde oltremare, al melanzana, al vino, tutti rigorosamente in versione monocroma. Il jersey rimane il materiale signature di La Petite Robe, che dal 2009 viene distribuito anche negli USA dove conquista fin da subito le celeb. Qualche nome? Beyoncé, Anjelica Houston, Angela Bassett, Oprah Winfrey sono solo alcune delle sue fan più sfegatate. Risale proprio al Settembre scorso l’ inaugurazione del flagship store losangelino di La Petite Robe, il primo in territorio stelle a strisce. Ho preso spunto da questa entusiasmante news per ripercorrere, insieme a Chiara Boni, la storia e gli stilemi di una carriera che dal 1971 brilla con accenti di creatività del tutto unici nel panorama del Made in Italy.

Era il 1971 quando a Firenze hai aperto la boutique “di rottura” You Tarzan me Jane. Con quale intento è nata e come descriveresti l’humus da cui ha preso forma?

Dall’irripetibile melting-pot di Londra, alla fine degli Anni ’60, prendeva vita lo spirito di You Tarzan, Me Jane: la mia risposta ribelle al formalismo della Moda Italiana che, a quei tempi, imponeva rigore ed essenzialità. Nel 1971, in via del Parione 33r a Firenze allestivo, così, insieme alla mia amica Elisabetta Ballerini, un inedito tendone da circo nel mezzo di un grande laboratorio-artigiano e iniziavo a proporre la mia Moda Giovane come alternativa all’offerta quasi esclusivamente sartoriale del mercato.

La tua passione per la moda è innata o si inserisce in un preciso background esistenziale?

Devo molto a mia madre. La mia formazione è stata frequentare per tanti anni con lei, donna di estrema eleganza, atelier e sartorie, l’osservazione mi ha svelato in modo naturale i segreti del corpo femminile e mi ha invogliata a valorizzarlo con un design cedevole alla morbida interpretazione delle forme.

Esistono immagini, suggestioni, reminiscenze a cui la tua ispirazione attinge in modo ricorrente?

Mi appassiona l’Arte in generale, di cui la Moda stessa rappresenta una forma. Da sempre fonte di ispirazione, l’Arte è diventata protagonista, insieme alla Moda, anche di alcuni dei miei eventi di presentazione.

La Petite Robe festeggia i suoi primi dieci anni. Quali sono gli step che hanno portato alla creazione del brand?

Ho fatto un percorso fatto di sperimentazioni consapevoli ma anche di rivoluzioni intuitive che solo a posteriori ho scoperto straordinariamente coerenti. Ho pensato a dei capi realizzati in tessuti stretch innovativi, progettati per incontrare le esigenze di una donna dinamica. Questo è stato il pensiero che mi ha portato alla creazione del brand.

 

 

A quale tipo di donna si rivolge Chiara Boni, e soprattutto: è la stessa donna dei suoi esordi?

Sì, è la stessa donna anche se forse un po’ meno giovane. Comunque le donne sono straordinariamente diverse, raffinate, sognatrici e divertenti, ma ciascuna a modo proprio. Ognuna è accesa da una sfumatura intensa di personalità. Le donne sono in continua evoluzione, il modo di vivere cambia e loro tengono il passo.

 

 

Per definire La Petite Robe” hai usato il termine di “travel chic”. Come approfondiresti questo concetto?

Un guardaroba flessibile, versatile e personalizzabile. La Petite Robe nasce proprio dalle esigenze di una donna moderna che non può concedersi il tempo di cambi d’abito durante la giornata, che in valigia ha poco spazio e che una volta arrivata in albergo non ha modo di farsi stirare un vestito.

Il leitmotiv della tua cifra stilistica è, senza dubbio, la femminilità. Quale valenza ricopre, la femminilità, per te?

La femminilità è dolcezza. Sboccia nell’animo di una donna e inonda di profumo tutto attorno. Una primavera permanente di sguardi, gesti e atteggiamenti.

 

 

La Petite Robe furoreggia sul mercato USA: non è un caso che proprio a Los Angeles sia stata inaugurata la vostra terza boutique monomarca.  Quali sono, a tuo parere, i motivi dell’enorme successo americano del brand?

Le clienti americane sono entusiaste. Il loro è un modo diretto di testimoniare affetto per il mio concetto di femminilità. Parlano attraverso i social e svelano passione per le linee accoglienti, giovanili e sensuali dei miei abiti. Il passaparola virale delle addicted oltreoceano è stato il vero punto di forza per la diffusione del brand in America.

 

 

I tuoi little dress, stilosi ma pratici ed essenziali, sembrano fatti su misura per una alter ego di Chiara Boni. Sbaglio, o quando crei tendi un po’ ad identificarti nella tua donna tipo?

Non sbagli, mi affido sempre all’autorità della prima persona: -Io lo indosserei?-.

Esiste una donna che vorresti fortissimamente vestire? Se sì, perché?

No. I miei vestiti sono pensati per tutte le donne. Ho una visione democratica della femminilità che non esclude nessuna taglia, forma o personalità.

 

 

In tempi di crisi, uno dei punti di forza del settore fashion sembra tradursi nell’ iconicità del prodotto. Sei d’accordo? E cosa aggiungeresti, al riguardo?

Sono assolutamente d’accordo. Infatti la cosa più difficile nella Moda è rinnovarsi rimanendo riconoscibili. È proprio qui che sta l’iconicità di un prodotto.

 

 

 

Tutti i look e gli accessori sono tratti dalla collezione “Grand Hotel” AI 2017/18 di La Petite Robe

Photo courtesy of press office