London Fashion Week: 10 flash dalle sfilate Primavera Estate 2023

 

Proseguiamo con il nostro excursus sulle Fashion Week delle quattro capitali mondiali della moda. Oggi è la volta di Londra, dove le sfilate delle collezioni Primavera Estate 2023 sono state stravolte dal grave lutto nazionale: la morte della regina Elisabetta II. I brand hanno espresso il proprio cordoglio organizzando défilé sobri,  rigorosamente low profile, e cancellando ogni party in programma;  marchi come Burberry e Raf Simons hanno rinunciato a sfilare in segno di lutto per la morte della sovrana. La maison guidata da Riccardo Tisci ha posticipato la data della sua sfilata al 26 Settembre, a settimana della moda terminata. Gli show previsti per il 19 Settembre, giorno dei funerali di Elisabetta II, sono stati rinviati all’ indomani per non causare eccessivi sconvolgimenti. E’ tuttavia in programma un “sequel” della Fashion Week, City-Wide Celebration, che si terrà dal 6 al 13 Ottobre nelle boutique londinesi. Tra il 16 e il 20 Settembre, i giorni dedicati alla kermesse, hanno sfilato complessivamente 110 brand. Erano presenti top name del calibro di Erdem, David Koma, JW Anderson, KNWLS, Halpern, Simone Rocha, Rejina Pyo, Paul & Joe, per citarne solo alcuni. Richard Quinn, che nel 2018 fu premiato con il Queen Elizabeth II Award for British Design dalla Regina Elisabetta in persona, ha concluso la London Fashion Week con il suo show. Passiamo ora alla rassegna dei 10 marchi che ho selezionato da questa edizione.

 

1. Richard Quinn

 

I primi 22 look sono stati creati appositamente dopo la morte della Regina: è una serie di splendidi abiti da lutto che per la loro maestosità sembrano risalire all’ età vittoriana. Il total black si arricchisce di pizzi, tessuti damasco, velluti, jais e finissimi ricami. Le modelle sfilano in veletta o con il volto celato da un lungo velo nero. La seconda parte dello show inneggia invece al colore, proponendo body e jumpsuit modellati su un voluminoso involucro a forma di cuore. Il look che conclude la sfilata è un’ ode alla vita e quindi all’amore: un preziosissimo abito da sposa immacolato con il velo in pizzo che copre capo e viso. Il grandioso bouquet di fiori bianchi che la modella regge tra le mani immerge questa uscita in un alone di potente solennità.

 

2. Paul Costelloe

 

Il giallo, di volta in volta oro o squillante, trionfa in look ton sur ton in cui ricorrono spalline squadrate, tessuti in raso lucido e matelassé. Il resto della collezione è un’ode al floreale declinata in un tripudio di balze, ruches, mini mantelle, abiti e maniche a palloncino; li intervallano ensemble in tweed che mixano fantasie a righe e a scacchi.

 

3. Mark Fast

 

Lo stile athleisure e sensuale dei video di fitness degli anni ’80 incontra l’ estetica underground anni ’90: questo il nucleo della collezione. Pantaloncini da ciclismo si affiancano a jumpsuit, minidress, ensemble di top e gonna, abiti, tutti rigorosamente incollati al corpo e dotati di “squarci” adornati di stringhe e lacci. Di tanto in tanto una giacca o un bolerino squadrati mitigano l’ allure audace. I colori sono fluo e vitaminici, il mood travolgente al massimo grado.

 

4. KNWLS

 

La donna KNWLS è sexy, grintosa, indipendente. Indossa minigonne e pantaloni a vita bassa, crop top stringati e fascianti, miniabiti con vertiginose aperture a V frontali, giubbini e cardigan dalle lunghezze micro. La viscosa ricoperta di cristalli Swarovski è il tessuto-leitmotiv che ispira il nome della collezione: Glimmer, ossia bagliore; emana una lucentezza tale da conferire agli outfit un tocco di glam sfrontato. Il resto dei look alterna il denim stropicciato a stoffe damascate e a rete, pelle trattata e stampe floreali profuse in abiti dalle forme fluide. Le texture impalpabili e svolazzanti, gli orli asimmetrici di alcuni dress evidenziano una femminilità più eterea ma ugualmente irresistibile.

 

5.Molly Goddard

 

Molly Goddard sperimenta con i tessuti, con le forme, con il colore. Stivali variopinti da cowboy accompagnano ensemble di top in punto smock e pantaloni, abiti-tunica ornati da miriadi di ruches sovrapposti a jeans arabescati. Un vaporoso abito nero a pois bianchi smorza il suo mood bon ton grazie a un gioco di trasparenze audaci. I look di chiusura sono in puro stile Goddard: nuvole di tulle abbinate -per contrasto – a cardigan lineari che esaltano binomi di colore straordinari: il verde acido e il viola, il rosa e l’arancio, il rosso e il viola. Conclude la sfilata un abito (forse un abito da sposa) spettacolare, un’autentica esplosione di ruches e piume color panna.

 

6.J.W.ANDERSON

 

La realtà virtuale, gli smartphone e la nostra dipendenza da essi: la collezione di JW Anderson è completamente incentrata su questo tema. Oggi esiste un mondo parallelo, quello digitale, che giorno dopo giorno sta invadendo il nostro con i suoi topics e le sue immagini. Anderson scarica le classiche foto dei wallpaper e le inserisce nei look; il salto di un delfino, una palma tropicale, tramonti esotici, pattern faunistico-floreali e persino una mappa del mondo campeggiano sui body sleeveless, le canotte monospalla, le maxi t-shirt e gli abiti a palloncino dai volumi ben definiti. In questa quotidianità sottosopra, dove il virtuale si sovrappone al reale, non sorprende che i maglioni (coloratissimi) siano indossati capovolti e che le jumpsuit nella seta delle sottovesti siano bordate di pizzo sullo scollo anzichè sull’ orlo.

 

7. David Koma

 

Il mondo urbano e il mondo dei mari si fondono: suggestioni acquatiche e sottomarine si traducono in uno stile sensuale e audace dove le forme sono fascianti e un tripudio di orli asimmetrici, squarci e oblò rivela il corpo. Risaltano body composti da conchiglie, stelle marine ornamentali, reti e nodi da pesca che plasmano gli abiti. Il coté urbano viene esplorato grazie a sport acquatici come la moto d’acqua. Una serie di look bikers esprime al meglio questo mood: chiodo, giacche e gonne in pelle nera sfoggiano stampe a gocce di petrolio, decori e bordature a forma di ami da pesca. Cuissardes altissimi ricorrono nell’ intera collezione: tinti di bluette per i look acquatici, di nero per quelli “urbani”. Il nero e il bluette sono anche i colori che predominano nella palette cromatica.

 

8. Simone Rocha

 

Lo stile signature di Simone Rocha si arricchisce di nuovi elementi: gli iconici “doll dress” in tulle ora si indossano con un maxi bomber e cinghie da paracadutista ornamentali. I volumi sono frutto di uno studio accuratissimo; le maniche a sbuffo predominano, le balze si fanno asimmetriche per creare movimento e stratificandosi acquistano una vaporosità quasi scultorea. La femminilità trionfa, accentuata da drappeggi e fantasie floreali anche in versione naif, con i fiori tempestati di glitter. A fare da fil rouge è il velo in tulle, perlopiù impreziosito da balze, che diviene parte integrante delle mise. La palette cromatica alterna il bianco e il nero al panna, al verde oliva, al cipria e al rosa pastello.

 

9. Erdem

 

Anche Erdem presenta una serie di look da lutto in onore della Regina Elisabetta II: sono creazioni d’altri tempi in tulle, nere al pari del lungo velo che le accompagna. La collezione sfila al British Museum e nasce come tributo al restauro, celebrando l’accurata ricerca, la dedizione e la cultura ad ampio spettro che accompagnano la rinascita delle opere d’arte. Il velo, stavolta tinto di bianco, si abbina a un gran numero di look. Risaltano lavorazioni impeccabili e magistrali: la tipica stampa floral del designer si alterna a elaboratissimi ricami e raffinati decori, a volte scintillanti; l’ ampiezza delle gonne a corolla si contrappone alla sinuosità delle forme ad anfora. Un bustier femminilissimo non di rado sostituisce il top, le spalle nude si avvicendano a un’attillata camicia bianca indossata con gonne iper ricercate.

 

10. Christopher Kane

 

Il corpo umano come motivo principale e filo conduttore: viene celebrato con un tocco di fetish, vinile a profusione e stampe che riproducono l’anatomia umana. Il tessuto e il pizzo della sottoveste plasmano gonne, miniabiti e tailleur in colori pastello, spesso abbinati a un top in stringhe di vinile trasparente. Lo stesso vinile, see-through o tinto di nero, dà vita ad abiti che seguono la linea del corpo mantenendo una certa fluidità. Adesivi floreali e particolari anatomici si tramutano in motivi ornamentali, il seno è ricoperto da toppe a forma di occhi, spacchi e drappeggi esaltano la silhouette. Ma c’è spazio anche per le geometrie nette degli abiti a rombi, o a triangolo, e delle giacche squadratissime con dettagli in vinile: Kane ha dichiarato di averli “tagliati con il bisturi”.

 

 

 

Halloween night: 5 usanze dell’ era vittoriana

 

Considerato il singolare rapporto con la morte che vigeva durante l’ epoca vittoriana (1837-1901), viene spontaneo chiedersi come si festeggiasse Halloween. Va ricordato, innanzitutto, che il tasso di mortalità elevato a causa delle malattie – e delle epidemie – allora incurabili, determinava una “familiarità” con il trapasso sfociata in usanze e rituali piuttosto macabri. Pensate solo alle fotografie post-mortem, in cui i defunti venivano immortalati insieme ai loro familiari a mò di ricordo, come se fossero ancora in vita. Oppure al lunghissimo periodo di lutto che le donne dovevano osservare, quattro anni in tutto suddivisi tra due di “lutto stretto” e due di “mezzo lutto”. Nei primi due anni vestire di nero era tassativo, nei successivi due era consentito passare al grigio, al malva o al lilla. Vi sembrerà curioso sapere che sorsero addirittura dei negozi specializzati nell’ abbigliamento da lutto (uno di questi era il Jay Mourning Store) : lì si vendevano abiti, ma anche gioielli e accessori da indossare dopo il decesso di una persona cara. I funerali vittoriani erano talmente solenni che per prendervi parte era necessario l’ invito, di solito graficamente elaboratissimo. Proprio in quegli anni, peraltro, esplose il boom dello spiritismo. Il dolore della perdita veniva mitigato dalla ricerca di un presunto contatto con il defunto, ma la morte e la malattia si esorcizzavano, in genere, elevandole quasi a culto. Il tipo di donna in voga aveva il corpo emaciato, lo sguardo spento e sofferente, la carnagione pallidissima. In letteratura spopolavano le elegie, i componimenti che esprimevano la profonda sofferenza causata dalla morte di un congiunto, di un amico o di un amante. Un esempio? “In memoriam A.H.H.” di Alfred Tennyson era il libro più letto. La Regina Vittoria stessa, quando suo marito (il Principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha) morì, osservò il lutto per tutta la vita. Paradossalmente, i riferimenti alla morte venivano in gran parte rimossi all’ arrivo del 31 Ottobre. Per gli anglosassoni, all’ epoca, Halloween rappresentava uno speciale appuntamento mondano e come tale veniva celebrato: si davano feste, ci si travestiva, si raccontavano storie di streghe e di fantasmi (questo sì!) per intrattenersi, e ci si dedicava a svariati giochi. Sentori divinatori e magici, comunque, aleggiavano puntualmente nell’ atmosfera. Esaminando cinque usanze legate alla “notte delle streghe”, scopriremo il perchè. Leggete qui di seguito e ammirate la gallery, una serie di Halloween cards risalenti proprio all’ era vittoriana.

 

 

Le mele.

Moltissimi giochi e usanze vedevano le mele protagoniste. Innanzitutto, erano (e sono) considerate un frutto magico, simbolo della triade Amore, Conoscenza e Morte. Se tagliate una mela in orizzontale, noterete che raffigura un pentacolo al suo interno: vale a dire uno dei simboli esoterici più universalmente noti. La mela era il frutto della conoscenza e degli incantesimi, il legno del melo veniva utilizzato per accendere i fuochi sacri. Nell’ era vittoriana si pensava addirittura che ad Halloween le mele (ma anche le zucche e diversi tipi di ortaggi) potessero animarsi. La notte del 31 Ottobre, non a caso, spadroneggiavano come strumenti di divinazione o in diversi giochi di abilità. Le ragazze in “età da marito”, ad esempio, si esibivano in prove di sbucciatura: quanto più lunga era la buccia di mela tagliata, tanto più fortunato sarebbe stato il nuovo anno della giovane. Se la buccia veniva gettata in un catino pieno d’acqua, inoltre, si diceva che prendesse la forma dell’ iniziale del futuro sposo. Un altro gioco contemplava che qualcuno tagliasse una mela in nove fette e che mangiasse le prime otto di fronte allo specchio, in una stanza rischiarata unicamente dalle candele. La nona fetta doveva essere lanciata dietro la spalla sinistra per offrirla in dono agli spiriti: costoro avrebbero dimostrato la loro gratitudine facendo apparire l’ anima gemella nello specchio. Divinazione a parte, un gioco come il “bobbing” era famosissimo. Consisteva nell’ immergere diverse mele in una tinozza riempita d’acqua; i giocatori erano tenuti ad estrarle aiutandosi solo con i denti. Un gioco simile, ma decisamente più goloso, prevedeva invece che i partecipanti riuscissero a mangiare – senza toccarle – delle mele caramellate che pendevano da una corda.

 

 

Lo specchio.

All’ epoca, era lo strumento divinatorio per eccellenza. Si pensava, inoltre, che tramite gli specchi si accedesse all’ aldilà e che la notte di Halloween, a mezzanotte, gli Spiriti lasciassero intravedere negli specchi il loro riflesso. Decisamente foriera di sciagure era la visione di un teschio: annunciava che si sarebbe morti entro l’ anno.

La candela.

Per divinare il futuro, la notte del 31 Ottobre le giovani donne si servivano anche delle candele. Lasciavano cadere delle gocce di cera sciolta aspettando che si raffreddassero. Quando ciò avveniva, la cera prendeva la forma del nome dell’ uomo che le avrebbe sposate.

 

 

I tre piattini.

Davanti al caminetto venivano posati tre piccoli piatti, uno vuoto, uno pieno d’acqua e uno pieno di farina. Il giocatore, bendato, doveva immergere il dito in uno di essi. Sarebbero stati gli spiriti a guidare la sua mano. Se il dito finiva nel piattino vuoto, per lui sarebbe stata un’ annata difficile e segnata dalla povertà. Se capitava nel piattino pieno d’acqua o in quello pieno di farina preannunciava, rispettivamente, un matrimonio nei dodici mesi successivi e un anno all’ insegna della prosperità e dell’ agiatezza.

Il pudding.

L’ Halloween Pudding rappresentava una tradizione culinaria consolidata. Preparandolo, la padrona di casa doveva inserire cinque oggetti al suo interno prima della cottura: un ditale, una chiave, un bottone, una moneta e un anello. Il dolce veniva consumato alle nove di sera in punto seguendo un preciso rituale. Il più anziano (o la più anziana) della famiglia tagliava le fette in assoluto silenzio, un silenzio osservato da tutti i commensali. Alle parole pronunciate dopo quella pausa si attribuiva una valenza premonitrice, poichè ognuna conteneva gli elementi che avrebbero contraddistinto il nuovo anno. Ma anche i cinque oggetti avevano un carattere di preveggenza: la moneta simbolizzava un’ imminente ricchezza, l’ anello un matrimonio a breve, il bottone l’ incontro con l’ anima gemella, la chiave un viaggio in vista e il ditale, ahimé, un futuro da single nei prossimi dodici mesi.