Gli odori del Natale

 

” Basta che un rumore, un odore, già udito o respirato un’altra volta, siano di nuovo reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l’essenza permanente e ordinariamente nascosta delle cose venga liberata, e perché il nostro vero “IO”, che talvolta sembrava morto, ma che non lo era interamente, si desti, si animi, ricevendo il celeste nutrimento che gli viene offerto. “

(Marcel Proust)

Già oltre un secolo orsono, Proust parlava di potenza evocativa degli odori. Senza entrare in dettagli scientifici, conosciamo ormai bene la valenza che ricoprono i cinque sensi nel far riaffiorare ricordi e sensazioni: l’olfatto gioca un ruolo chiave. Alcuni studi hanno dimostrato che profumi e odori stimolano il riemergere delle memorie che custodiamo da maggior tempo “coordinandole”, inoltre, con ulteriori memorie associate ai sensi. Prendete ad esempio il Natale. E’ un periodo magico che ognuno di noi collega a svariati odori, indimenticabili proprio perchè legati a giorni (e notti) tanto speciali. Vagando per i mercatini natalizi, il profumo “ricco” e corposo del croccante, dello zucchero filato elargito in soffici nuvole agli avventori costituiscono – o meglio costituivano, prima dell’era del Covid – degli indelebili imprinting olfattivi. E come non pensare al Natale della nostra infanzia? Quando gli abeti non erano ancora stati soppiantati dagli alberi sintetici, i loro aghi emanavano un profumo di bosco inconfondibile. Immaginate poi il fuoco che ardeva nel camino: quelle fiamme e le scintille che sprigionavano rappresentavano uno spettacolo per gli occhi, mentre danzavano nel vano del focolare. L’ odore della legna che brucia è quasi indissolubilmente connesso alle festività natalizie, quando aspettavamo con ansia l’arrivo di Babbo Natale e giocavamo a tombola con i genitori e i parenti riunitisi per l’ occasione. Altri profumi memorabili provengono dalla cucina. Alcuni esempi? L’ aroma avvolgente, dolciastro e intenso della cannella, quello aspro delle arance e dei mandarini di stagione o, ancora, quello invitante dello zucchero a velo, delle uvette dei panettoni. Il Natale, insomma, rimanda ad un archivio olfattivo ricco di sentori. Grazie ad essi riviviamo gli attimi più belli, spensierati e felici di feste che, da bambini, attendevamo per un anno intero (con la vana speranza di cogliere in flagrante Babbo Natale o la Befana mentre si introducevano nei nostri camini). I profumi più evocativi delle mie festività rimangono quello dell’ abete – che i miei acquistavano ogni anno al Vivaio Forestale e sceglievano di un’ altezza che sfiorava quasi il soffitto – e quello del focolare acceso: entrambi, emblemi di momenti vissuti all’ insegna di un calore familiare straordinario e irripetibile. Quali sono, invece, i vostri odori del Natale?

 

 

 

Crema al cioccolato

 

” A una base permanente di uova, di costolette, di patate, di conserve, di biscotti, che non annunziava neppure più, Françoise aggiungeva, – a seconda dei lavori dei campi e dei frutteti, delle vicende della pesca, dei casi del commercio, delle cortesie dei vicini e del suo genio, talché il nostro menu , come quei quadrifogli che nel secolo XIII si scolpivano sulla porta maggiore delle cattedrali, rifletteva un poco il ritmo delle stagioni e gli episodi della vita , – una sogliola, perché la pescivendola gliene aveva garantita la freschezza; un tacchino, perché ne aveva visto uno bello al mercato di Roussainville-Le-Pin; dei cardi con la salsa, perché non ce li aveva ancora serviti in quella maniera; del castrato arrosto, perché l’aria aperta fa un vuoto e per le sette c’era bene il tempo di mandarlo giù; spinaci, per mutare; albicocche, perché erano ancora una rarità, ribes, perché fra quindici giorni non ce ne sarebbe stato più; fragole portate apposta da Swann; ciliege, le prime che venissero dal ciliegio del giardino dopo due anni che non ne aveva più date; formaggio di panna che mi piaceva molto una volta; un dolce di mandorle, perché il giorno prima l’aveva ordinato; una focaccia, perché era il nostro turno di offrire. Quando tutto questo era finito (…) ci veniva offerta una crema al cioccolato, fuggitiva e leggera come un lavoro di occasione in cui avesse spiegato tutto il suo talento. Chi si fosse rifiutato di servirsene dicendo – Mi basta, non ho più fame – sarebbe sceso immediatamente nella categoria dei villani che, pure nel dono che l’artista fa loro di uno dei suoi lavori, guardano al peso e alla materia, dove non ha valore che l’intenzione e la forma. Lasciarne anche una sola goccia nel piatto sarebbe stata la stessa prova di scortesia che alzarsi prima del termine della sonata in faccia al compositore. “

 

Marcel Proust, da “La strada di Swann”