Blue Witch, spring/summer 2016. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
Il caschetto nero, geometrico, con frangetta, e l’ immancabile chiodo: la sua immagine stessa è iconica. E a un’ iconografia innovativa, potentemente di rottura, Rei Kawakubo ha consacrato tutta la propria ricerca stilistica. Non è un caso che proprio a lei il Costume Institute del Metropolitan Museum of Arts di New York dedichi la sua mostra-evento annuale, appena inaugurata e visitabile fino al prossimo 4 Settembre. Classe 1942, nata a Tokyo, Rei Kawakubo è la seconda designer vivente (e la prima designer donna) che il Museo della 5th Avenue decide di omaggiare dopo la grande retrospettiva dell’ ’83 su Yves Saint-Laurent. Il titolo dell’ esposizione – curata da Andrew Bolton – è indicativo: “Rei Kawakubo/Comme des Garçons: Art of the In-Between”, un inno agli interstizialismi sui quali l’ estetica della stilista si fonda e si sviluppa, i punti di incontro che connettono gli ossimori donando loro una forma del tutto inedita. E’ questo il tema base di un iter snodato tra circa 150 abiti appartenenti alle collezioni che Kawakubo ha creato dal 1980 ad oggi, un approfondimento che esula dai criteri cronologici suddividendosi in 8 aree corrispondenti a dualismi quali Fashion/Anti-Fashion, Design/Not Design, Model/Multiple, Then/Now, High/Low, Self/Other, Other/Subject, Clothes/No Clothes. Non esistono definizioni per Rei Kawakubo, la creazione coinvolge un concetto ed il suo esatto opposto in una convivenza che abbatte qualsiasi confine: quando nel 1969, a Tokyo, dà vita al brand Comme des Garçons dopo una laurea in Letteratura all’ Università di Keio e alcune esperienze come freelancer, la sua filosofia è ben chiara sin dal nome con cui lo battezza.
Body Meets Dress–Dress Meets Body, spring/summer 1997. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
Il debutto sulle passerelle parigine, nel 1981, afferma con forza la sua rivoluzionaria visione. Le modelle sfilano pallide, avvolte in forme che anzichè evidenziare il corpo lo rimodellano, stravolgono i volumi in una miriade di asimmetrie, sovrapposizioni, elementi tridimensionali. La palette cromatica è un inno al nero, tutt’ al più accostato al bianco o al grigio. Lo stile rimette in discussione la moda nella sua accezione stessa: minimalismo, modernismo e concettualismo si mixano, a imporsi è un’ ispirazione che attinge unicamente all’ essenza interiore. Gli abiti di Kawakubo nulla concedono agli stilemi standard, ai riferimenti geografici o alla tradizione. I punti cardine del fashion vengono costantemente rovesciati, sezionati e riassemblati secondo criteri agli esatti antipodi del “conventional”, donando alla nozione di “bellezza” un significato nuovo e sfaccettato in toto. Per Comme des Garçons è un boom, il trionfo di un’ estetica giapponese che ha in Rei Kawakubo, Yohji Yamamoto e Issey Miyake le proprie punte di diamante. Quel che accomuna i tre innovativi designers è la sperimentazione sulle forme e sui materiali, la concezione dell’ abito come una struttura scultorea che definisce la silhouette ex novo.
Rei Kawakubo for Comme des Garçons. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
Nel tempo, Kawakubo accentua questo aspetto fino a creare delle vere e proprie opere d’arte: con l’arte, d’altronde, la stilista celebrata dal MET ha sempre mantenuto un feeling speciale. Basta pensare alla campagna pubblicitaria Comme des Garçons dell’ ’89 con Francesco Clemente come protagonista o a quella che, nel ’93, Cindy Sherman imbastisce sui propri self-portraits concettuali. Le contaminazioni tra arte, moda e cultura sono una costante dell’ incessante ricerca di Rei Kawakubo: dal suo immaginario fertile scaturisce un tripudio di iniziative e di intuizioni. Comme des Garçons è ormai un brand che coinvolge il suo universo creativo a 360°: nel 1988 nasce Six, la rivista biennale del marchio, a cui fa seguito una linea di profumi che dal 1994 anticipa il trend “no-gender” proponendosi in versione esclusivamente unisex, le magnifiche advertising campaign vengono firmate da top names della fotografia quali Paolo Roversi e Juergen Teller.
Blood and Roses, spring/summer 2015. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
L’ eclettismo di Rei Kawakubo, così come la sua ispirazione, non ha confini e si traduce inoltre – citando un ulteriore esempio – nell’ ideazione del Dover Street Market, noto tempio del luxury retail che si disloca oggi tra Londra, New York, Pechino e Tokyo. L’ inventiva della designer si dirama in molteplici direzioni, tutte rigorosamente associate da un denominatore comune: la ricerca del nuovo in senso assoluto. Un obiettivo che ha pienamente centrato, a cominciare dalla moda. “Non esistono limiti” – come ha dichiarato Kawakubo stessa – “Cerco di fare abiti che non sono mai esistiti prima”.
Blue Witch, spring/summer 2016. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
La mostra è corredata da un catalogo, a cura di Andrew Bolton, che raccoglie scatti originali di Paolo Roversi, Nicholas Alan Cope, Inez & Vinoodh, Craig McDean, Kazumi Kurigami, Katerina Jebb, Collier Schorr, Ari Marcopoulos e Brigitte Niedermair.
“Rei Kawakubo/Comme des Garçons: Art of the In-Between”
Dal 4 Maggio al 4 Settembre 2017
Metropolitan Museum of Arts, 1000 5th Avenue, New York
Per info: www.metmuseum.org
Blue Witch, spring/summer 2016. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
Body Meets Dress–Dress Meets Body, spring/summer 1997. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
Body Meets Dress – Dress Meets Body, spring/summer 1997. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
18th-Century Punk, autumn/winter 2016–17. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
18th Century Punk, autumn/winter 2016–17. Photo by © Paolo Roversi; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
Cubisme, spring/summer 2007. Photo by © Craig McDean; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
Inside Decoration, autumn/winter 2010–11. Photo by © Craig McDean; Courtesy of The Metropolitan Museum of Art
Photo courtesy of The Metropolitan Museum of Art