Haute Couture PE 2023: flash dalle sfilate di Parigi

 

Anche se con qualche giorno di ritardo, un flash sulle sfilate Primavera Estate 2023 di Haute Couture non può mancare. Dal 23 al 26 Gennaio scorso, a Parigi, 31 Maison hanno riportato in scena l’ Alta Moda: creazioni che inneggiano alla maestosità, alla genialità creativa, all’eccellenza sartoriale. Ripristinato il format in presenza dopo la lunga pausa dovuta al Covid, i fashion show sono tornati a stupire e a sbalordire. I top names della Couture c’erano tutti: da Schiaparelli a Iris Van Arpen, da Fendi a Dior, da Chanel a Giorgio Armani Privè. Valentino è riapprodato nella Ville Lumière, che aveva abbandonato temporaneamente per Roma. Jean-Paul Gaultier, proseguendo nel progetto che invita altri designer a reinterpretare il suo stile, si è avvalso stavolta del talento di Haider Ackermann. Tra i prestigiosi nomi in calendario anche Raul Mishra, Georges Hobeika, Julien Fournié, Elie Saab, Viktor & Rolf, RVDK Ronald Van Der Kemp, Yuima Nakazato e Zuhair Murad. E se l’assenza di Balenciaga e Maison Margiela non è passata inosservata, in molti hanno atteso il ritorno di Mugler con Casey Cadwallader alla Direzione Creativa. A lasciare senza fiato il parterre sono state, inoltre, le collezioni dei new talents: l’indiano Gaurav Gupta, la Maison Sara Chraibi dell’omonima stilista marocchina e Robert Wun, originario di Hong Kong, hanno presentato creazioni strutturalmente ricercate e di forte impatto. Nella gallery che segue, una selezione di 10 look estrapolati da altrettante collezioni.

 

Schiaparelli

Daniel Roseberry si ispira all’ “Inferno” della “Divina Commedia” di Dante per proporre spettacolari creazioni realizzate con materiali inediti: perline di legno, lastre di latta rivestite di pelle, pigmenti applicati sugli abiti manualmente, plastron di madreperla, busti di rame che sembrano gigantesche conchiglie. Le minuziosissime riproduzioni delle teste del leone, del leopardo e della lupa integrate nei look, ottenute modellando a mano un mix di resina, materiali sintetici e schiuma, sono subito diventati gli iconici emblemi della collezione.

Christian Dior

Maria Grazia Chiuri rende omaggio a Joséphine Baker, cantante e ballerina ma anche attivista e benefattrice: lottò, in particolare, contro il razzismo e a favore dei diritti civili dei neri. La collezione è un’ode allo stile di un periodo che abbraccia gli anni ’20, ’30, ’40 e ’50 del ‘900. Tailleur sagomati, lunghezze alla caviglia, pantaloni ampi, suggestioni Decò, frange, paillettes e sinuosi long dress argentati, tutti rigorosamente abbinati a sandali con un alto plateau, fanno da leitmotiv a look concepiti per accompagnare l’icona del varietà francese dal camerino fino al palcoscenico.

Rahul Mishra

Ad ispirare Rahul Mishra è Atlantide, la leggendaria città sommersa, luccicante d’oro ed adagiata su una stupefacente barriera corallina. La sovrastano le enormi masse d’acqua, i paesaggi terrestri, il cosmo (“Cosmos” è anche il titolo della collezione) con le sue galassie e i suoi pianeti: il couturier “racconta” tutto questo servendosi di uno sfarzoso tripudio di piume, paillettes e ruches. Il color turchese, presente in dosi massicce, rievoca la maestosità del mare e delle divinità marine.

Giorgio Armani Privé

Armani omaggia Arlecchino e la Commedia dell’ Arte Veneziana: le classiche losanghe colorate si declinano in tutte le varianti possibili, ma il risultato è immancabilmente ultra chic. Anche le nuance tipicamente arlecchinesche vengono rivisitate, includendo nella palette il malva, il verde acqua, il rosa pallido, l’oro e il bluette. Il caratteristico motivo a rombi si accompagna non di rado alla gorgiera e dà il meglio di sè sui lunghi abiti di volta in volta sinuosi o fluttanti, sui pantaloni svolazzanti e sui giacchini, dove si ammanta di cristalli.

Zuhair Murad

Zuhair Murad guarda ai tempi d’oro della Costa Azzurra: quel periodo mitico, intriso di glamour e popolato di feste, che va dagli anni Venti agli anni Sessanta del ‘900. La collezione è un’ esplosione di sfarzo. Abiti hollywoodiani si impreziosiscono di piume e di cascate di cristalli, drappeggi e stole in stile “Il Grande Gatsby”. La palette è altrettanto ricca, esplora un range di nuance mozzafiato in cui risaltano il giallo oro, il lime, l’acquamarina, il fucsia carico e l’arancio.

Jean-Paul Gaultier

Haider Ackermann reinterpreta Gaultier e lo fa in un modo assolutamente personale, glorificando il concetto di “Couture” allo stato puro. L’ accuratezza sartoriale raggiunge l’apice, le modelle sfilano con l’eleganza di gazzelle e assumono pose ricercate davanti all’ obiettivo dei fotografi. I pantaloni a vita alta drappeggiati in vita sono il capo iconico della collezione. Si abbinano a corsetti che rielaborano i “coni” di Gaultier, a top di piume, bralette scultoree e giacche marsina con coda di rondine.

Valentino

L’ Haute Couture è fantasia, libertà, creazione a ruota libera. E’ la possibilità di osare, di sperimentare, di dare vita a sempre nuove e immaginifiche identità. Ispirandosi ai Club più innovativi e iconici del ‘900, Pierpaolo Piccioli rivisita l’ heritage di Valentino Garavani coniugandolo con l’estetica gender fluid e una potente audacia. Il womenswear sbalordisce con lunghezze micro, grandi fiocchi neri applicati in aree strategiche del corpo, slip tempestati di cristalli abbinati a spesse calze fluo; abiti avvolti in un vortice di ruches svelano squarci e trasparenze inaspettati. Le cromie, impattanti, spaziano dal Pink PP al verde acqua passando per il rosa baby, il corallo, l’oro e  il lilla.

Gaurav Gupta

Shunya, questo il nome della collezione, in Sanscrito significa “zero”. Una cifra che si associa al primordiale, all’archetipo, e permette a Gupta di esplorare i concetti di spazio e di tempo. Gli abiti sono sculture in movimento, combinano riferimenti mitologici con suggestioni surrealiste: forme ondulate e drappeggiatissime si congelano in un alito di vento, ricami scintillanti rievocano la lava di un vulcano o le onde di un oceano, decori forgiati come sinuosi serpenti avvolgono il corpo in omaggio alla dea Kundalini.

Maison Sara Chraibi

La collezione, intitolata “The Fabric of Dreams”, rivela un preciso impianto strutturale: non a caso, la designer marocchina Sara Chraibi è un architetto che ha scelto di intraprendere l’avventura della Haute Couture. Gli abiti sono plasmati da un’ “impalcatura” in cui miriadi di fili di sabra (una seta ricavata dall’ aloe vera) si intrecciano sapientemente, originando anche cascate di frange, sontuosi decori e lunghi mantelli. Ornamenti in oro, gioielli e un tripudio di perle donano una preziosità quasi sacrale ai look, accentuata da un copioso utilizzo del velluto.

Robert Wun

Adorato dalle celebrities, Wun è celebre per i suoi abiti ultra plissettati simili a straordinarie sculture. La collezione “Fear”, che ha presentato a Parigi, l’ha progettata ispirandosi ai piccoli incidenti della vita quotidiana; il designer li prende come spunto per tramutarli in un’ode al bello. Drappeggi, plissè, forme ricercate e scultoree predominano in ogni look. Le piume ricorrono, i ricami e le perline rappresentano in modo sublime gli “incidenti”: macchie di vino rosso su un outfit in total white, orli bruciacchiati, gocce di pioggia sparse su un mantello diventano virtuosismi di stile.

 

 

London Fashion Week: 10 flash dalle sfilate

 

Prosegue il resoconto sulle Fashion Week delle collezioni Autunno Inverno 2022/23. Oggi siamo a Londra,  dove dal 18 al 22 Febbraio si sono alternate sfilate dal vivo, presentazioni e lookbook in versione digital. La piattaforma web per ammirare gli show era, come di consueto, quella della London Fashion Week (oltre ai social e ai siti dei vari brand); il calendario ha evidenziato una massiccia presenza di new talents e un minor numero di big. Questi ultimi hanno privilegiato la formula della sfilata live: in passerella sono andate in scena le creazioni di Erdem, Richard Quinn, Roksanda, Matty Bovan, David Koma, Simone Rocha, Richard Malone, Halpern, Rejina Piyo, Molly Goddard (per citare solo alcuni brand), mentre Dame Vivienne Westwood, ad esempio, ha preferito il digitale. Scuole di moda quali il London College of Fashion e la Central Saint Martins non sono mancate all’ appuntamento, mentre le assenze di marchi del calibro di Burberry, Victoria Beckham, Christopher Kane, Emilia Wickstead e Alexander McQueen (la cui sfilata è prevista a New York per il 15 Marzo) hanno suscitato un certo clamore. Partiamo ora con la selezione dei 10 look estrapolati da altrettante collezioni e ai relativi commenti.

 

RICHARD QUINN

Risalta la passione di Richard Quinn per la storica Haute Couture parigina: sfilano ampi cappotti a trapezio corredati da cappelli a tesa larga, entrambi declinati in stampe che esibiscono enormi rose. Accenti fetish si evidenziano nella tuta nera in lattice da dominatrice e nei leggings-guaina color fucsia abbinati al corsetto e agli opera gloves. La seconda parte della collezione punta invece su una serie di look sviluppati “in verticale”, con lo scollo che si innalza fino a coprire il capo a mò di cappuccio. Le proporzioni si stravolgono e ridefiniscono, così come i volumi. 

DAVID KOMA

Un roboante connubio di glamour, sport ed emblemi britannici omaggia il paese (il Regno Unito, appunto) dal quale David Koma sta per ottenere la cittadinanza. Il designer si ispira alla calciatrice Lily Parr, vissuta nella prima metà del ‘900, e reinterpreta le tipiche divise da football, rugby e cricket tramutandole in look seduttivi ed opulenti. Ad adornarli sono bordature di cristalli che sottolineano un mood regale. I colori? Il rosso, il blu Klein, il nero e l’ argento per enfatizzare il cotè glam.

TEMPERLEY LONDON

L’ ispirazione è il selvaggio West: prevalgono ampi poncho, frange, pattern che rievocano i grafismi dei nativi americani, tailleur pantalone con cravattino old style western, cappelli da cowboy, abiti che ricordano quelli della serie cult “La casa nella prateria”. Tra i materiali spiccano la pelle, tempestata di borchie, la lana e il velluto dei tailleur pantalone monocromi. I numerosi bijoux – orecchini e, soprattutto, anelli con turchese – ribadiscono i riferimenti della collezione. Una serie di long dress scintillanti, sensuali e iper femminili intervalla il mood Western con uno chic “serale” sopraffino.

VIVIENNE WESTWOOD

Uno stile, quello di Vivienne Westwood, che ha fatto storia al punto tale da ispirare di continuo la designer stessa. Le stampe prevalgono: il tartan, le righe, le grandi lettere dell’ alfabeto, il pattern con l’occhio che si rifà a Matisse si alternano a dettagli dei dipinti di Breughel e Jean-Baptiste Oudry. In questa collezione, inoltre, l’ anno cinese della Tigre viene omaggiato con una serie di fantasie tigrate e dettagli che rimandano ai grandi felini realizzati tramite tecniche innovative. I look sono un’ esplosione inconfondibile di sovrapposizioni, asimmetrie e assemblaggi stilistici all’ insegna della pura iconoclastia.

RAF SIMONS

Fa da leitmotiv una silhouette slanciata e sottile, che sembra tendere verso l’ alto. Il velluto, la lana e la vernice si alternano in look composti per la maggior parte da cappotti squadrati, mantelle con cappuccio, giubbotti di nylon (anche rasoterra), trench in vinile. L’ attenzione si concentra sui capispalla e su copricapo che occultano buona parte del volto alimentando un senso di mistero. Le calotte, lasciando scoperto solo il mento, esibiscono un’ apposita fessura per gli occhi.  Il nero impera, accanto al rosso e al viola. Accenti fetish ed enigmaticità la fanno da padrona: una mantella scarlatta fascia completamente il corpo, mostrando le braccia solo in un trompe-l’oeil frontale.

SIMONE ROCHA

Simone Rocha si ispira alla fiaba dei Figli di Lir, i figli di un re irlandese che vennero trasformati in cigni da una matrigna malvagia. Rimasero cigni per 900 anni e morirono dopo aver riassunto la forma umana. La collezione celebra uno stile signature romantico, ma intriso di venature oscure; ampi volumi, balze, maniche a sbuffo, tulle, trasparenze, sovrapposizioni, grandi fiocchi, pizzo, ricami e lingerie si affiancano ed alternano, tempestati di perle e di cristalli. Tra i tessuti, il velluto e la maglia fanno la loro comparsa, quest’ ultima plasmata anche in passamontagna riccamente decorati. I colori sono il bianco, il nero, il panna, il blu cobalto. Un arabesco rosso rubino spunta sugli abiti più candidi, delineando forse un richiamo al sangue.

ROKSANDA

Due anni di pandemia hanno addentrato Roksanda Ilincic nei sentieri dello sportswear, ma senza rinunciare ai colori esplosivi e ai maxi volumi che contraddistinguono la sua estetica. Nella collezione, sporty, comfort e forme scultoree si mixano in un connubio perfetto. Trionfano abiti simili a vere e proprie costruzioni architettoniche, look inneggianti a un pot-pourri cromatico che non disdegna le tinte al neon. Le mise che concludono la sfilata, realizzate in collaborazione con Fila, sono strabilianti: piumini enormi e bouffant, parka dilatati e sovrapposti, avveniristici “bozzoli” ricoperti di piume rappresentano un antidoto al freddo stilisticamente mozzafiato.

PAUL & JOE

Quando lo stile preppy e quello anni ’60 si fondono, il risultato è all’ insegna della freschezza. Paul & Joe presentano una collezione giovane e disinvolta: abitini con colletto arrotondato e doppia fila di bottoni, tartan declinato in pantaloni, microgonne e long dress, tailleur pantalone floreali, fluttuanti abiti in stile impero, pull tirolesi, cappottini stretti in vita da una cintura si alternano spensieratamente in passerella. Ad accompagnare i vari look, un paio di spessi collant bianchi e scarpe o stivali issati su un vertiginoso plateau.

ERDEM

Una collezione preziosa e decadente, chic e vagamente oscura. Una collezione notturna: Erdem si ispira alla Berlino della Repubblica di Weimar e a un gruppo di donne innovative, progressiste, libere nonostante l’ imcombenza della guerra e del conservatorismo. Sono Madame D’Ora, fotografa, Anita Berber e Valeska Gert, ballerine, Jeanne Mammen e Elfriede Lohse-Wachtler, pittrici. Artiste geniali, ognuna diede il suo contributo al fermento culturale dell’ epoca. Erano i tempi del Cabaret di Weimar, nei locali predominavano la stravaganza e l’ ambiguità sessuale. Tra look gender fluid, frange, pizzi, perline e trasparenze in bilico tra il nero e le paillettes scintillanti, Erdem riflette le crepuscolari ma vibranti atmosfere di tutta un’ era. (Foto di Jason Lloyd Evans)

PREEN BY THORNTON BREGAZZI

Justin Thornton e Thea Bregazzi compiono un excursus sulle sottoculture giovanili del XX secolo e lo traducono in un patchwork di stili. Un’ importanza cruciale acquistano gli anni ’80: l’era Post-Punk, l’ era dei New Romantic. Ecco perchè risaltano le gonne di tulle a balze, i body in pizzo, i decori di piume. Ad essi si aggiunge un tripudio di bomber, minigonne plissè, giacche squadrate, cardigan a rombi e un mix travolgente di stampe, dal pattern a righe al floral, dal tartan all’ animalier, combinati tra loro per esprimere gioia ed esuberanza. Un unico denominatore comune: le scarpe in finta pelliccia che completano ogni look.

New York Fashion Week: flash dalle collezioni PE 2022

 

Cari VALIUM friends, oggi ricominciamo a volare nelle capitali delle Fashion Week felici di assistere al ritorno delle sfilate in presenza! Iniziamo come sempre da New York, dove, dal 7 al 12 Settembre, sono state presentate le collezioni Primavera/Estate 2022. Con tutte le precauzioni del caso (vaccino in primis), i fortunati hanno potuto di nuovo godersi dal vivo le proposte mostrate in passerella dai vari brand: tra i presenti, top name del calibro di Tom Ford (Presidente del Council of Fashion Designers of America), Proenza Schouler, Michael Kors, Rodarte, Brandon Maxwell, Khaite, Collina Strada, Tory Burch, Peter Do, Thom Browne, Anna Sui, Peter Dundas, Altuzarra e, a sorpresa, Moschino, che ha scelto di presentare eccezionalmente la sua collezione nella patria di Jeremy Scott. Grandi assenti, invece, Marc Jacobs, Ralph Lauren, Zimmermann, Tommy Hillfiger, Pyer Moss e Helmut Lang. Pur non avendo allestito sfilate live, marchi come Oscar De La Renta, Pamella Roland e Badgley Mischa (per citarne solo alcuni) hanno svelato le proprie creazioni digitalmente, tramite live streaming e lookbook pubblicati sui rispettivi profili social. La settimana newyorchese della moda ha incluso due date cruciali, quella del 20esimo anniversario dall’ attentato alle Twin Towers (l’11 Settembre) e, il 13 Settembre, il ritorno del Met Gala dal vivo che ha introdotto la nuova mostra del Costume Institute, “In America: a lexicon of fashion”, la cui inaugurazione si è tenuta il 18 Settembre. “Inclusività” e “sostenibilità” sono state le due parole chiave di questa edizione della NYFW: basti pensare che, sostenuti dal Black In Fashion Council,  hanno debuttato in passerella ben 14 new talents di colore e che la kermesse è stata aperta da Collina Strada, brand notoriamente eco-friendly ed avverso a qualsiasi forma di discriminazione. Passiamo quindi alla mini rassegna delle collezioni selezionate da VALIUM: essendo impossibile mostrarvele tutte, ne ho scelte come sempre quattro e le ho commentate brevemente. Stay tuned sul mio blog, dunque, per le ultime news dalle Fashion Week di Londra, Milano e Parigi!

 

MOSCHINO

 

 

Una collezione gioiosa e giocosa, molto girly, ricca di colori pastello. Ma soprattutto, di personaggi di ipotetici cartoon (giraffe, elefantini, orsetti, paperi, mici, coniglietti…) che decorano i look  e, in molti casi, ne diventano parte integrante. Jeremy Scott si ispira alla figura della “nanny”, alle filastrocche per bambini: predominano i mini-tailleur con bralette annessa, alternati ad abitini dalle linee Sixties e a trench trapuntati. Le fantasie dei tessuti sono un vero e proprio inno ai teneri animali fiabeschi di cui sopra,  profusi su sfondi dai cromatismi tenui quali il rosa, il verde menta, il celeste, il pesca o (unica eccezione alla regola) a una gradazione vivacissima di giallo. Fiocchi in abbondanza, colletti arrotondati e bottoni a forma di cuore accentuano l’ allure femminil-fanciullesca, così come i gioielli in plastica colorata che ricordano i “toy jewels” per l’ infanzia. Persino i fascianti abiti da sera che chiudono lo show, sebbene siano impreziositi da scolli monospalla, spacchi e bolerini di piume, sfoggiano una variegata “fauna” di mascotte ornamentali.

 

 

ANNA SUI

 

 

Anna Sui rimane fedele al suo stile signature, intriso di reminiscenze “Flower Power”, accentuandone i colori e gli accenti che lo aggiornano al terzo millennio. Tra le cromie predominanti risaltano il verde mela, il magenta, il fucsia, il degradé nei toni del blu, del verde e del lilla, mentre i tessuti privilegiano il crochet (profuso nei bikini dal sapore hippie e nelle canotte “granny square” sovrapposte agli abiti) e il pizzo, sui cui sono ricamate le fantasie floreali che – alternate alle righe – fanno da leitmotiv all’ intera collezione. L’ allure da “figlia dei fiori” si fonde con il romanticismo e con le suggestioni sporty: agli abitini con pattern in degradé cromatico abbinati a giacchini bordati di piume seguono simil parka e boxer da spiaggia declinati in innumerevoli versioni, i reggiseni e i top dei costumi si sovrappongono ad eteree bluse in pizzo e quest’ ultimo, oltre a plasmare sinuosi abiti in cromie talmente accese da risultare quasi fluo, trionfa anche sul caftano candido, ricamato a righe e fiori, molto in linea con il gusto Sixties della collezione.

 

 

MICHAEL KORS

 

 

Un’ eleganza “pulita” e senza fronzoli, dai toni in parte classici, in parte sofisticatamente rétro. Kors (che quest’anno festeggia il 40esimo compleanno del suo brand) si ispira allo stile Fifties di “West Side Story” e lo si evince in svariati capi: la pencil skirt che apre lo show, i pantaloni alla pescatora, il cappotto con ampio scollo e ampi revers, la gonna a ruota, il dolcevita nero esistenzialista (con tanto di stampa a forma di cuore), i quadretti Vichy profusi sugli abiti, sui bikini e sui tailleur…Un look li vede protagonisti su un paio di shorts abbinati a un maglione in cachemire dal collo “importante”, rievocando vagamente la Marylin di “Let’s make love”. La palette cromatica, essenziale, alterna il bianco e il nero al beige, al celeste e al rosa. Il pizzo ricorre, anche in versione Sangallo, donando un tocco di femminilità raffinata, la lana forgia maglie ed outfit a costine, morbidi, che lasciano scoperte le spalle. Vince l’abbinamento top o bralette più gonna, oppure shorts, alte cinture sottolineano uno silhouette fasciante nella parte superiore del corpo e svasata in quella inferiore, i tailleur pantalone sono classici, corredati da pantalone con piega. Conclude la sfilata una serie di abiti da sera avvolgenti, sensuali, in total black e tempestati di paillettes all over.

 

 

TOM FORD

 

 

Chiudo in bellezza questa rassegna con la sfilata di Tom Ford, che di fatto ha concluso la New York Fashion Week. Scintillio, luccichio, bagliori: chiamatelo come volete, ma la collezione è un autentico tripudio di luminosità. Dal significato ben preciso, tra l’altro, quello di accendere una luce sfolgorante nel buio dell’ era attuale, che subisce gli strascichi della pandemia di Covid. Ford è fiducioso, auspica a una rinascita che ha già preso il via. E riflette tutto ciò in una collezione strepitosa, fortemente d’impatto, dal glamour travolgente. Gli ingredienti? I cardini dell’ athleisure rivisitati in chiave glitz grazie a un’ abbondante dose di paillettes. E poi la sensualità, un senso straordinario del colore, un mood che rievoca il fermento dello Studio 54. Ci sono pantaloni della tuta tagliati sotto il ginocchio, pantaloni cargo, canotte sportive, giubbini da running, bralette e camicie sbottonatissime annodate all’ altezza dell’ ombelico, tutti interamente rivestiti di paillettes oppure in raso. L’allure è disinvolta, rilassata ma supersexy; i colori vibrano, anche in virtù dei loro accostamenti: azzurro+fucsia+arancio, arancio+rosa+viola, lime+lilla+bronzo, rosa fluo+viola+bianco, celeste+fucsia…una vera meraviglia. A completare la maggior parte dei look, un’ampia giacca dalla linea squadrata, choker tempestati di strass come i fermagli per capelli, miriadi di collane dorate (un po’ in stile hip hop) e dei preziosi sandali con tacco alto. Lo sportswear, gettonatissimo durante i vari lockdown, con Tom Ford si è ammantato di luce ed è diventato iper glam: un antidoto perfetto contro il grigiore, l’ incertezza, l’ appiattimento caratteristici dell’emergenza sanitaria. Un inno alla gioia di vivere, alla voglia di ritornare a vestirsi…e a divertirsi.

 

 

 

 

Il close-up della settimana

 

La terza edizione del Premio Giovani Imprese-Believing in the Future, lanciato da Altagamma con la collaborazione di Borsa Italiana, Maserati e Sda Bocconi, ha decretato la vittoria di Marco De Vincenzo per la categoria Moda. Il designer, definito “una tra le voci più originali e interessanti del Made in Italy contemporaneo”, è salito sul podio insieme ai cinque altri vincitori  proclamati dalla giuria: l’ e-commerce di vini italiani Tannico per la sezione Digital-Innovation, il brand di arredo outdoor di alta gamma Ethimo per la sezione Design, il gruppo di ristorazione Langosteria per la sezione Alimentare, la società di ingegneria meccanica e meccatronica (specializzata nell’ alimentazione ecologica e nella ricarica wireless) Eggtronic per la sezione Motori e il brand leader delle vacanze benessere di lusso Lefay Resorts per la sezione Hotellerie. La Fondazione Altagamma è nata nel 1992 con l’ intento di promuovere l’ eccellenza e l’unicità italiane. La sua mission si fonda sul rafforzamento della competitività dell’ industria culturale e creativa Made in Italy con l’ obiettivo di contribuire alla crescita socio-economica del Paese. Per Marco De Vincenzo, classe 1978, messinese, il riconoscimento sancisce un percorso creativo che nel 2009, ai suoi esordi, gli valse il primo premio di Who’s Next, il concorso che Vogue Italia dedica ai new talents. Il lavoro del designer si contraddistingue da sempre per la ricerca, per la sperimentazione e per la continua instaurazione di partnership esclusive.

(Nella foto, un look della sfilata AI 2017/18 di Marco De Vincenzo)

 

Il close-up della settimana

 

La Fashion Icon del 2017 è lei: Donatella Versace. A decretarlo sono i Fashion Awards, che il 4 Dicembre l’ hanno insignita di questo titolo in occasione delle premiazioni annuali dedicate ai protagonisti del mondo della moda. La cerimonia, tenutasi nella spettacolare cornice della Royal Albert Hall di Londra, ha celebrato la creatività e l’ innovazione nel settore fashion. Presentatori d’eccezione sono stati Jack Whitehall e Karlie Kloss, mentre la designer della Maison della Medusa ha ricevuto il premio dalle mani di Naomi Campbell, storica musa, fan e amica di Versace. Il riconoscimento è stato doppio, giacchè ad essere nominati Fashion Icon sono stati sia Donatella, che il brand fondato quasi 40 anni orsono dal fratello Gianni: dopo la morte di quest’ ultimo, la biondissima stilista ha preso le redini di un impero che ha guidato con creatività, genialità e intuito ai massimi livelli, creando un proprio universo iconico e sostenendo i new talents della moda con forza e convinzione. Dopo il boom della sfilata “Tribute”, dunque, un nuovo successo corona la carriera di Donatella Versace. “Sono davvero onorata di ricevere il premio Fashion Icon ai Fashion Awards 2017“, ha dichiarato la designer sul palco della Royal Albert Hall. ” Per 40 anni io e mio fratello abbiamo fatto ciò che amiamo e sono orgogliosa di portare avanti questa tradizione. Abbiamo celebrato l’ emancipazione, la gioia e ovviamente il glamour. Abbiamo sostenuto persone che condividono i nostri valori, e insieme a loro abbiamo creato delle immagini che sono diventate davvero iconiche nella moda. Mi emoziona molto vedere come Versace è stata apprezzata nei decenni, nel mondo e dalle diverse generazioni. Grazie al settore per averci supportato, grazie al mio team per la dedizione e il duro lavoro, grazie alla mia famiglia e ai miei amici che mi sono stati accanto più di quanto possano immaginare, e grazie a mio fratello Gianni, che è stato un genio. Il suo spirito incredibile è in tutto ciò che facciamo e in tutto ciò che crediamo.”

 

Photo via Celebrityabc from Flickr, CC BY-SA 2.0

Francesco Liccari, un menestrello folk rock del nuovo millennio

(Photo by Eiros)

Voce, chitarra, testi rigorosamente in lingua inglese: un connubio non comune, nel 2017. Almeno, non nel panorama musicale italiano. Fa più pensare a un “bel tempo che fu” di matrice internazionale. A un sound che, nato come simbolo di un’ epoca, è poi divenuto immortale. Bob Dylan, Woody Guthrie, Jackson Browne, Leonard Cohen, Simon & Garfunkel, Neil Young, Crosby, Stills & Nash, sono i primi nomi che vengono in mente – e di certo, solo alcuni – quando si pensa alla stagione d’oro del folk rock  americano: “menestrelli” in bilico tra protesta e melodie intimistiche. E’ a tutti loro, ma non solo, che si ispira Francesco Liccari, cantautore triestino con 2 EP al suo attivo. Classe 1990, un background di studi di chitarra classica e moderna, si esibisce per la prima volta live come solista nel 2011 e tre anni dopo esce il suo primo lavoro, “Memories of Forgotten Seasons”, pubblicato da Farace Records. Francesco canta in inglese, accompagnandosi esclusivamente con la chitarra; Enrico Casasola lo affianca al basso dal 2016. E sempre un anno fa, a dicembre, esce il suo secondo EP “Raw Notes”: ballate di volta in volta malinconiche, sognanti o cadenzate a cui fanno da leitmotiv testi anglofoni che, oltre a veicolare la poetica di Liccari, favoriscono una massiccia diffusione dei suoi brani nelle radio inglesi, canadesi e statunitensi. Gli ultimi impegni di Francesco lo vedono alle prese con la pubblicazione dei video di quattro canzoni tratte da “Raw Notes” e con svariate performance dal vivo. Ho ancora in testa l’ ipnotico accordo di chitarra di “Long Winter”, quando lo incontro per questa intervista.

Parlami di te e della tua vita. A quando risale il tuo primo incontro con la musica?

Sono nato e cresciuto a Trieste, una città di confine, dove si incontrano tante culture in un piccolo territorio. Il mio primo incontro con la musica è avvenuto qui, per caso. Mio fratello aveva ricevuto in regalo una chitarra e io di nascosto ogni tanto cercavo di suonarla. I miei genitori mi sorpresero mentre stavo torturando quel povero strumento e mi chiesero se volessi prendere lezioni di chitarra. Risposi di sì. Accadeva 18 anni fa. Così ho cominciato a studiare chitarra classica, per poi dedicarmi alla chitarra moderna sotto la guida del maestro Andrea Massaria, ora docente di chitarra jazz al conservatorio di Venezia. Lo studio dello strumento, insieme all’ascolto di numerosi cantautori sia italiani che stranieri, mi ha fatto sentire la necessità di esprimermi con lo stesso linguaggio. Così ho incominciato per gioco a scrivere i primi testi ed anche le prime canzoni.

 

(Photo by Eiros)

Hai iniziato a scrivere testi dopo un approccio iniziale alla chitarra: perché la scelta di esprimerti in inglese?

Non credo ci sia un perché. Inizialmente scrivevo sia in italiano che in inglese ma poi mi sono trovato a musicare meglio i testi in inglese, sentendomi meno vincolato nella scelta delle parole rispetto all’italiano. Quando scrivo nella mia lingua, tendo ad esprimermi come penso o come parlo, con il risultato che le parole finiscono per riversarsi sulla pagina in un flusso disordinato di idee. Mentre trovandomi a scrivere in un’altra lingua, che pur conosco molto bene, riesco a pesare meglio le parole, a risparmiarne. Il significato più importante spesso sta in ciò che non viene detto ma solamente suggerito vagamente.

Hai solo 27 anni, ma le tue struggenti ballate per chitarra e voce ricordano quelle dei celebri “menestrelli” che, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, fecero furore. Chi sono i tuoi modelli di riferimento?

I miei modelli di riferimento sono numerosi. Da David Bowie a Bob Dylan, passando per Lou Reed, Neil Young, Cat Stevens, Donovan, Woody Guthrie, Leonard Cohen, Simon & Garfunkel, Fabrizio De André, Francesco Guccini, Edoardo Bennato, Angelo Branduardi e probabilmente ce ne sono altri che ora mi sfuggono. Se poi parliamo di ascolti e influenze, la lista è infinita: dalle canzoni semplici ed efficaci del punk alla Ramones, alle canzoni rock psichedeliche dei Pink Floyd o dei Velvet Underground, fino alle sperimentazioni più recenti di gruppi quali i Radiohead. Per quanto riguarda i musicisti che hanno alimentato la mia ispirazione, credo ne vadano citati principalmente tre: David Bowie per aver suonato una serie di generi molto differenti, riuscendo a far emergere il proprio enorme talento in qualsiasi cosa sperimentasse; Bob Dylan che, con la poesia delle sue parole, mi ha fatto capire che una bella voce e una grande tecnica chitarristica non sono gli unici elementi necessari per comunicare attraverso la musica; il terzo, scollegato dai due precedenti, è Philip Glass che, tra minimalismo e post minimalismo, sia con le sue composizioni sperimentali che con le colonne sonore per il cinema, è sempre riuscito a emozionarmi. Di certo, quando scrivo musica, penso a tutte quelle sensazioni che riesce a trasmettermi.

 

(Photo by Marco Potok)

A quali temi attingi maggiormente?

Ai temi che occupano più spesso la mia mente: i ricordi, lo scorrere del tempo, l’amore e più in generale i rapporti umani a cui si aggiungono altre tematiche quali la solitudine, l’ansia, il disagio e tutti i mali di vivere dell’artista. A volte, nei miei testi, questi temi vengono mischiati con un po’ di mitologia, esoterismo e simbolismo, tutti argomenti che mi hanno sempre affascinato.

I tuoi testi, appunto: a prima vista sembrano tristi e rassegnati, ma grazie agli accordi di chitarra prendono vita e si fanno incredibilmente intensi. Come nascono le tue canzoni?

Questa è una domanda che mi viene posta spesso e non sono ancora capace di dare una risposta del tutto soddisfacente. Spesso il mio processo creativo prende vita da una storia o da un’immagine che mi viene in mente oppure da una sensazione forte che provo. Poi incomincio a scrivere o a suonarci sopra e quando sento che ciò che ho composto (sia esso testo o musica) riesce a rappresentare la bozza mentale che mi sono fatto in precedenza, allora mi fermo. Lascio tutto lì a decantare per un po’ e solo successivamente ci rimetto mano, cominciando a sistemare le parole o le note in modo che possano dare il loro meglio. Mi è sempre stato detto di dar sfogo all’irrazionale, perché il resto lo sistemerà il razionale ed è proprio questo quello che faccio.

 

(Photo by Eiros)

Come definiresti il tuo sound? Detesti le etichette o c’è un filone preciso nel quale ami rientrare?

Il mio sound è senz’altro molto personale. Non amo rientrare in un unico genere ma, per dare un’idea di ciò che faccio, spesso mi definisco folk rock. In realtà tale etichetta non mi soddisfa pienamente, ma aiuta chi si avvicina per la prima volta alla mia musica ad inquadrarmi e quindi a sapere, almeno in parte, cosa aspettarsi. Tuttavia, nei miei pezzi ci sono diverse contaminazioni, tanto che a volte mi domando cosa accadrebbe se mai qualcuno dovesse scrivere un giorno la mia pagina Wikipedia. Mi viene da sorridere all’idea di cosa potrebbe apparire alla sezione genere. Probabilmente una lista piuttosto variegata e all’apparenza incongruente, come nel caso di Leonard Cohen. Spinto dalla curiosità, ho appena consultato la sua pagina,  dove si legge: Pop, Jazz, Musica etnica, Musica tradizionale, Folk rock, Soft rock. Se non conoscessi le sue canzoni, leggendo questo elenco, non saprei proprio cosa aspettarmi. Certo saprei che non si tratta di musica rap, ma avrei le idee piuttosto confuse.

Tra chi, come te, trovò nella chitarra il suo strumento d’elezione rientra anche un nome femminile DOC, quello di Joni Mitchell. Cosa pensi di lei e della sua musica?

Apprezzo il suo percorso di ricerca e esplorazione, la sua voglia di avvicinarsi a generi diversi, dal folk al jazz alla world music, restando sempre fedele a se stessa nel raccontarsi attraverso la sua musica.

 

Francesco e Enrico Casasola alla Festa della Musica di Torino (courtesy of Francesco Liccari)

I Millennials sembrano presi in un vortice di sonorità immediatamente fruibili, non di rado ballabili e perlopiù techno. Qual è il target di un menestrello del 2017?

Il target di un menestrello è sempre lo stesso: l’ascoltatore. Probabilmente negli anni ’60 ai giovani veniva fatto il lavaggio del cervello con il folk rock che allora vendeva come vende ora la musica Reggaeton latina. Certo si trattava di un fenomeno diverso, ma anche i tempi lo erano. In quegli anni la musica aveva anche una portata sociale non indifferente, mentre l’impressione è che oggi si ricerchino piuttosto brani di puro intrattenimento. Inoltre, un tempo la musica era meno fruibile. Come hai detto tu, oggi abbiamo il vantaggio di avere tutto a portata di mano, ma allo stesso tempo siamo sommersi dai contenuti e non è sempre facile districarsi nel labirinto dell’offerta. Ciò porta paradossalmente ad avere più scelta, ma ad orientarsi, se vogliamo, su quella più ovvia. Per fortuna nella massa ci sono un sacco di persone che non si accontentano di ascoltare la musica che passa nel centro commerciale o in bar. Per rispondere alla tua domanda, quello di cui ha bisogno un menestrello del 2017 è poter raggiungere il suo pubblico, ovunque esso sia. E qui ci ricolleghiamo al perché i miei testi sono in inglese, magari non è il linguaggio più chiaro con cui parlare ad un italiano, ma nella società globale di cui siamo parte è la lingua universale che mi permette di avvicinarmi ad ascoltatori di tutte le nazionalità e di raggiungere lo scopo principale della musica: la condivisione.

Pensi che in un prossimo futuro avremo la chance di ascoltarti cantare anche in italiano?

Certamente! Non saprei dirti quando ma sto già lavorando a qualche canzone in italiano, ci vorrà il suo tempo ma prima o poi capiterà. Con questo non intendo dire che abbandonerò l’inglese ma semplicemente che non escludo di esprimermi con la musica anche in italiano in un futuro prossimo.

 

(Photo by Stefano Bubbi)

Che puoi anticiparmi, sui tuoi nuovi progetti?

Non molto, è tutto ancora top secret. Diciamo che vorrei uscire con uno nuovo EP nel 2018, che si incentrerà sul tema dell’amore. L’amore che troviamo nella tragedia, l’amore che troviamo nelle favole e l’amore che abbiamo attorno a noi tutti i giorni. Sembra il momento giusto, visto che non si fa altro che parlare di odio ultimamente. Diciamo poi che ho anche già pronto molto altro materiale, che vorrei racchiudere all’interno del mio primo album ma è ancora un po’ presto per quello. Per aggiornamenti sulle novità trovi tutto sul mio sito internet https://francescoliccari.it/ o sulla mia pagina Facebook o Twitter, puoi pure iscriverti alla newsletter per essere sempre tra i primi a sapere le cose! Colgo anche l’occasione di ringraziarti per l’intervista, è stato un piacere fare quattro chiacchiere con te e spero ci sia di nuovo occasione per un’altra chiacchierata nel futuro, magari a proposito delle canzoni in italiano…

 

Scarpe da sogno, Manga e Barbie world: l’ universo girly-chic di Francesca Bellavita

 

Biondissima, radiosa, spumeggiante, Francesca Bellavita ti travolge con lo stesso entusiasmo che l’ ha portata a realizzare il suo sogno più grande: creare calzature dedicate alle giovani donne che, come lei, affrontano la vita con giocosità condita di un pizzico di sex  appeal. Bergamasca, un iter formativo DOC, Francesca approda allo shoe design dopo un esordio come stilista freelance per Colmar ed altri marchi leader dello sportswear chic. “Francesca Bellavita”, il brand che porta il suo stesso nome, debutta con una collezione PE 2017 che ne concentra il mood nella quintessenza: lo stile è girly, ma deluxe, e mixa le suggestioni dei manga giapponesi con il Barbie world. Non è un caso che persino il packaging delle scarpe – personalizzabili grazie a un kit di decori ad hoc –  si ispiri alla tipica confezione  color fucsia in cartone e cellophane dove è racchiusa la bambola-icona Mattel. E il claim che riporta a chiare lettere – “Dont’ call me doll” con il “don’t” coperto da una cancellatura –  è una vera e propria dichiarazione di intenti, perchè colei che calza “Francesca Bellavita” è audace, ironica e non teme certo di esibire una femminilità esplosiva. Ma al coté squisitamente estetico si affiancano la ricercatezza della lavorazione handmade e dei materiali pregiati, due indiscussi  punti di forza del brand: ogni collezione viene realizzata nel distretto di Vigevano, storica culla del savoir faire calzaturiero a cui fanno riferimento colossi del luxury del calibro di Valentino, Christian Louboutin e Manolo Blahnik. Ho incontrato Francesca per saperne di più sulle sue creazioni, sul suo universo ispirativo e sulla sua passione.

Se dovessi sintetizzare la tua bio in poche frasi, che mi racconteresti?

Ti racconto che all’inizio mi ero iscritta a Giurisprudenza, ma ho capito fin da subito che non avrei mai voluto passare la mia vita con un tailleur addosso! Confusa, ho passato qualche mese a Londra dove ho scoperto l’esistenza dell’Istituto Marangoni e tornata in Italia mi sono immediatamente iscritta.

 

 

Heartbeat

 

Prima il diploma in Fashion Design all’ Istituto Marangoni, poi la specializzazione in Shoe Design dall’ Ars Sutoria School di Milano: quando hai capito che le scarpe erano il tuo grande amore?

La prima volta che ho disegnato un paio di scarpe all’Istituto Marangoni è stato un fulmine a ciel sereno. Ho capito immediatamente che il mio futuro sarebbe stato quello!

Quali sono i punti cardine del tuo immaginario creativo?

Adoro tutto cio’ che è divertente e colorato. Dalle caramelle ai giocattoli passando per i manga giapponesi. La citta’ infatti che mi ispira di piu’ al mondo è Tokyo, ci vado almeno una volta l’anno. Le insegne luminose, le Shibuya girls e il mondo kawaii mi fanno impazzire! Da tutto questo immaginario nasce anche il mio particolare packaging!

 

Fluffy Flat

 

Crystal Pink

 

Cosa rende le tue scarpe dei pezzi iconici?

Il fatto di essere diverse da tutto cio’ che è presente sul mercato in questo momento. E’ un mondo dove tutti si prendono troppo sul serio, dove tutti si vestono di nero. In tutto cio’ arrivo io con le mie scarpe gialle e rosa, con pon pon, cristalli a cuore e tomaie che ricordano i marshmallow!

 

Bootie Goth Pink

 

Hai debuttato con la tua prima collezione pochi mesi fa e sei già acclamatissima. Cosa si prova ad essere considerata un’autentica star emergente?

Mah, intanto grazie mille! Diciamo che la cosa che mi rende davvero felice è vedere le clienti super soddisfatte delle mie calzature, sia per il look che per la comodita’ anche si tratta per lo piu’ di tacchi 10 cm. E’ in quei momenti che so di aver centrato il mio obiettivo: rendere felici le donne con le mie scarpe!

A quale donna pensi, quando crei?

A una donna sexy e ironica, che non si prende mai troppo sul serio. E’ quella donna che beve troppo champagne e ride un po’ troppo fragorosamente!

 

Dalla campagna pubblicitaria Francesca Bellavita PE 2017

 

Tre aggettivi per definire il tuo stile: quali scegli?

Sexy, ironico e divertente, proprio come la mia donna ideale!

La tua collezione esalta il valore dell’hand made, della ricercatezza, dei materiali pregiati. Come nasce la passione di Francesca Bellavita per il savoir faire artigianale?

Per me è importantissimo produrre in Italia. La nostra terra è meravigliosa, la nostra artigianalita’ non ha pari. Inutile dire che un paio di scarpe prodotte in Italia non potra’ mai essere neanche lontanamente comparato ad uno prodotto all’estero. Persino i francesi vengono a produrre qui e questo la dice lunga!

 

Il caratteristico packaging Barbie-like

 

I colori sono un elemento importante della tua cifra stilistica. Qual è quello che ti rappresenta maggiormente?

Naturalmente il rosa in tutte le sue sfumature!

Le feste natalizie sono sempre più vicine. Se dovessi indicarci un tuo modello “must” per la daily life ed uno per un’occasione speciale, su quali punteresti?

Sicuramente per il giorno una scarpa sexy, ma comoda, come Fluffy Flat, una ballerina resa molto divertente dal pon pon gigante staccabile tramite calamita, quindi puo’ essere indossata anche senza per un look piu’ sobrio o intercambiato con i pon pon a forma di coniglietto o di topolino per un outfit piu divertente! Mentre per un’ occasione elegante consiglio sicuramente Crystal, la nostra pump in serpente e vernice con fiocco e cristallo a cuore applicati sul davanti. Sia nella versione fucsia che nella versione nera per le donne piu’ classiche.

 

Pon pon coniglio

 

Puoi accennarmi qualcosa sui tuoi progetti futuri?

A parte conquistare il mondo con le mie scarpe?…Scherzo, ovviamente! Proprio perché siamo sul mercato da pochi mesi, è difficile accennare a progetti futuri! So solo che sono una ragazza con una lista infinita di sogni e spero di realizzarli tutti, prima o poi!

 

 

Crystal Black

 

Pon pon topo

 

Quando il design incontra la creatività visionaria: a tu per tu con Valentina Guidi Ottobri

Photo by Matteo Carassale

Festa del Lavoro a parte, il 1° Maggio  coincide per lei con una data speciale: quella del suo compleanno. Classe 1988, fiorentina, Valentina Guidi Ottobri si accinge infatti a spegnere 29 candeline. Questa intervista, oltre a tracciarne un ritratto, vuol essere dunque una dedica ad un giovane e già affermatissimo talento creativo italiano:  travolgente, entusiasta, intuitiva, Valentina è da tre anni la Home buyer di Luisaviaroma, ma il suo ruolo spazia attraverso skills trasversali che mettono in gioco a 360° la sua inventiva.  Negli editoriali che concepisce per il brand, l’ interior design si interseca con la moda e con l’ arte in maniera costante, come ad instaurare un’ inedita dimensione estetica. Suggestioni, reminescenze, una miriade di spunti ispirativi affollano l’ immaginario di questa ventinovenne con un senso dello stile innato e l’ estro nel DNA: figlia di un architetto anticonformista e discendente da una famiglia di collezionisti d’arte, Valentina ha respirato creatività e amore per il bello sin dall’ infanzia. Oggi, con esperienze professionali che approdano al design dal fashion world, mette le sue doti al servizio di progetti innovativi e di un “mecenatismo” che la vede coinvolgere i new talents in iniziative e mostre delle quali è curatrice.  Il “fiuto” non le manca, e insieme all’ empatia rappresenta uno dei suoi principali atout. Non è un caso che, nonostante i traguardi raggiunti, “altezzosità” sia un vocabolo a lei sconosciuto: la fame di conoscenza, lo spirito eclettico, la continua ricerca di stimoli la tengono costantemente connessa all’ universo che la circonda. Un universo che non contempla preconcetti nè barriere di sorta. Prima di dare il via alle domande, non mi resta che concludere con un “Buon Compleanno, Valentina!”

Come è iniziata la tua avventura in LVRHome?

La mia avventura inizia quando il proprietario di Luisaviaroma, Andrea Panconesi, approva il mio progetto dedicato al mondo del design. Il reparto Home di LVR rappresenta una visione “lifestyle” che ci siamo voluti conquistare. Prima che iniziassi il mio progetto, Luisaviaroma vendeva solo moda. Dal punto di vista creativo ho dovuto inventarmi un nuovo story-telling che unisse moda e mondo arredo, fatto, per come lo intendo io, da oggetti iconici. Oggetti che, anche da soli, raccontano una storia. Ne è uscito fuori qualcosa di inconsueto e al tempo stesso molto potente.

Tra queste tre definizioni: “visionaria”, “creativa”, “innovatrice”, qual è quella che più ti si addice?

Con la mia immaginazione sono capace di creare mondi paralleli dove mi piace passeggiare per molte ore del giorno e della notte. Cerco di possedere ogni sogno per far sì che le ispirazioni mi restino stampate nella mente. Le idee sono tutto, mi inebriano con la loro magica atmosfera e mi danno l’energia necessaria per trasformarle in qualcosa di reale che abbia il loro stesso aspetto. Per rispondere alla domanda, visionaria.

Qual è il tuo approccio nei confronti dell’home design? Quali sono gli atout su cui punti e quali gli obiettivi che ti prefiggi?

I punti che caratterizzano il mio progetto sono certamente il rapporto privilegiato con i designers e gli shooting che si distinguono per la loro visione life-style tra moda e design. L’obiettivo più grande adesso sta nel conquistarci il mondo degli architetti e degli interior-designer.

Come nasce, per te, l’ispirazione?

Viviamo in un’era di contaminazioni. Arte, moda e design si contaminano a vicenda attraverso simboli ed espressioni. I miei lavori creativi riflettono la convivenza di percezioni visive derivanti da questi 3 settori. Poi ci sono i film, una delle mie più grandi passioni. I miei registi preferiti sono Woody Allen, per l’ironia con la quale dissacra ogni luogo comune, David Lynch tra  incubi sperimentali e loop ossessivi, Fellini per il suo romanticismo e Herzog con la sua poetica rarefatta.

Il tuo CV include anche un’esperienza a Mumbai, in India, nelle vesti di stylist per Marie Claire. Come hai vissuto quel periodo e cosa ti ha lasciato dentro?

Il periodo in cui vivevo a Mumbai è stato uno dei più estremi e appassionati della mia vita. Abitavo a Juhu e ogni mattina per andare in redazione prendevo un “Tuk-tuk”. Da quel piccolo mezzo così rumoroso e aperto si poteva godere di tutto quello che capitava in strada. Odori, colori, suoni, sbadigli, risate, preghiere, mercanzie, street food, è tutto molto intenso. All’inizio è uno shock vedere bambini storpi che chiedono l’elemosina, corvi che mangiano i cadaveri dei cani, le mucche, le galline, il traffico, lo sporco, la folla, il cibo cucinato per terra. Solo in seguito ti rendi conto che non c’è niente di pericoloso in quel disagio ma che la vita indiana si svolge per la strada. Solo allora inizi ad appassionarti ai dettagli che si stagliano in mezzo al caos: gli occhi neri intensi di donne bellissime , i colori sfavillanti: il verde mela, il fuchsia, il giallo, il rosso, l’arancio, e poi i canti che provengono dai templi, i fiori e i gioielli.  L’India mi ha lasciato tanto, tante emozioni e suggestioni di cui cerco di far tesoro ogni giorno.

Ritratto by Chiara Rigoni

Trend nel design e nel fashion: la “velocità” è un leitmotiv comune?

Il mondo del design è molto più lento rispetto alla moda, vive di un gusto più autentico e canoni estetici più definiti. Ci sono tanti prodotti che una volta comprati durano per sempre.

Da sempre sei impegnata nel sostegno dei talenti. In che direzione sta andando questo tuo percorso?

In Italia abbiamo tanti giovani talentuosi, a cui non viene dato lo spazio che meriterebbero. Non esistono dei veri e propri direttori creativi, come nel mondo della moda, strapagati e in grado di decidere su tutto. Nel design i creativi disegnano prodotti molto diversi tra loro seguendo gli obiettivi delle diverse aziende per cui lavorano e guadagnando, nella maggior parte dei casi, royalties bassissime. E’ da questa carenza che nasce la mia idea di progetto per LVRHome: dare modo ai designer di firmare il proprio catalogo ed uscire con il proprio nome accanto ai brand più celebri come Flos, Kartell, Fornasetti, Vitra. Queste capsule collections sono frutto molto spesso di auto -produzioni o piccole produzioni in collaborazione con vari artigiani che sono loro stessi a trovare. Online si trovano già le collezioni di:

CTRLZAK
Lanzavecchia + Wai
Marcantonio Raimondi Malerba
Matteo Cibic
Maurizio Galante
Vito Nesta
Zanellato e Bortotto

Prossimamente si aggiungeranno anche: Marco Parmeggiani, Federico Pepe, Elena SalmistraroLorenza Bozzoli. Con tutti loro ho dei buonissimi rapporti, li stimo molto e in alcuni casi sono nate delle vere e proprie amicizie. Mi faccio “paladina” dei loro interessi e nel prossimo futuro vedo progetti ancora più grandi fatti in collaborazione con Gallerie e Fondazioni legate all’arte con installazioni a giro per il mondo.

Photo by Matteo Carassale

Il connubio tra arte e design è una costante che si traduce anche nella tua attività di curatrice. Che ci racconti al riguardo?

Il lavoro come curatrice non è troppo lontano da quello che faccio come Creative Director, quando mi chiamano per realizzare una campagna pubblicitaria o per una consulenza. Costruisco un mondo e poi lo descrivo. Quello che più mi appassiona è un concetto espresso in modo totalizzante. E’ la persecuzione di un’ideale estetico e/o culturale che si manifesta con un risultato unico, coerente in ogni dettaglio. A giugno curerò una mostra sulla defezione estetica, il tradimento della forma e la rivalutazione dei contenuti. Si intitolerà DIVINA SPROPORZIONE e tratterà diversi temi: la vecchiaia, la malattia, gli Dei , la mitologia in un parallelismo tra classico e contemporaneo.

Oggi festeggi il tuo 29mo compleanno ed io, oltre a farti un mondo di auguri, ti chiedo: qual è il tuo bilancio? C’ è qualcosa che vorresti aggiungere, variare, eliminare nella tua traiettoria esistenziale (o professionale, a scelta)?

Happy b.day to me! Sono felice di quanto raccolto e imparato fino a qui. C’è ancora tanto da fare e e questa inconscia consapevolezza mi crea molto entusiasmo e voglia di mettermi alla prova.

Photo courtesy of Valentina Guidi Ottobri

Per saperne di più:

www.valentinaguidiottobri.com

www.luisaviaroma.com

Il close-up della settimana

 

174 collezioni suddivise tra 70 défilé, 88 presentazioni e 37 eventi: questi i numeri dell’ edizione di Milano Moda Donna che domani si accinge ad aprire i battenti. Dal 22 al 27 Febbraio Milano si tramuterà, ancora una volta, nel rutilante scenario di un fashion world in tutte le sue declinazioni. Ad inaugurare la kermesse, non più il consueto pranzo bensì una conferenza stampa in cui verranno introdotte importanti novità relative alla prossima stagione, tra cui un calendario unico per tutte le manifestazioni dedicate alla moda. Le sfilate delle collezioni Autunno/Inverno 2017/18 si preannunciano non prive di aspettative e di momenti clou: sono già attesissimi i debutti dei doppi défilé Uomo/Donna di Gucci e di Bottega Veneta, mentre tra gli eventi spiccano il 40° anniversario  di Blumarine e la presentazione del libro che ripercorre la vita e la carriera di Anna Molinari. Il save the date include, inoltre, il prestigioso cocktail inaugurale allestito da Valentino a Palazzo Clerici ed una serie illimitata di opening e mostre, come l’ esposizione fotografica e installazione artistica Portraits by Maurizio Galimberti nella location dell’ Unicredit Pavillion.  E sarà sempre l’ Unicredit Pavillion ad ospitare la quarta edizione del Fashion Hub Market, progetto a favore dei new talents internazionali che proporrà, per l’occasione, 15 collezioni di brand emergenti. Altri luoghi chiave saranno l’ ormai tradizionale Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale e i nuovi spazi Le Cavallerizze, recentemente ristrutturati presso il Museo Nazionale di Scienza e Tecnologia.  Ad alto tasso di interesse i protagonisti della sette giorni: da Londra è in arrivo Xu Zhi, giovane designer cinese che sfilerà all’ Armani Teatro, ma sulle passerelle milanesi potremo ammirare per la prima volta anche Vionnet oltre ad Annakiki, ai Situationists, ad Angel Chen. L’ attenzione della Camera Nazionale della Moda Italiana nei confronti degli young talents è sempre massiccia, e questa edizione la vedrà supportare i fashion show degli emergenti Calcaterra, Lucio Vanotti, Daizy Shely e Ricostru. Non poteva mancare un omaggio a Franca Sozzani: l’ iconica direttrice di Vogue Italia verrà ricordata con una celebrazione in Duomo il 27 Febbraio, a conclusione di una manifestazione della quale è sicuramente la grande, e compianta,  assente.

Per info sul calendario: http://www.cameramoda.it/it/

LUISAVIAROMA: torna Firenze4Ever

Vito Nesta

Al via Firenze4Ever, l’ evento – punto di incontro tra arte, fashion, celebs e influencer organizzato a Firenze, con cadenza biennale, da LUISAVIAROMA. La 14ma edizione avrà inizio stasera, con una cena di gala e un party che vedranno la cantautrice, modella e attrice Kelly Rowlands nelle vesti di main performer. La serata verrà ravvivata da esibizioni esclusive di Tom Odell, Jasmine Thompson, Dragonette e Sebastian Ingrosso, e vanta un parterre di tutto rispetto: Petite Meller, Scott Schuman, Mia Moretti, Lindsay Lohan e l’ influencer Kenza sono solo alcuni dei prestigiosi nomi che prenderanno parte all’ opening di questo straordinario appuntamento. La cena di gala prevede inoltre una charity auction in cui opere di artisti contemporanei del calibro di – tra gli altri – Bosco Sodi, Gualtiero Vanelli, Gianfranco Manfredini, Chiharu Shiota verranno battute all’ asta da Simon De Pury. I proventi saranno interamente devoluti alla Fondazione Andrea Bocelli e destinati alla ricostruzione delle scuole haitiane distrutte dall’ uragano Matthew.

Sempre in giornata, verrà inaugurata un’ importante mostra: LUISAVIAROMA sancisce la sua sinergia con l’ arte e con il design tramite Brilliant Ceramics, un percorso espositivo curato da Valentina Guidi Ottobri ed allestito nella Terrazza progettata da Patricia Urquiola. Ben Copperwheat e EKTA tramuteranno il concept store in una tela bianca a cui contribuiranno a dar forma e colore. Fulcro della mostra è il dialogo costante tra designer ed artigiani, punto di partenza per una visione fondata sulla contemporaneità. E’ così che nasce L’albero della vita, l’ avanguardista e sgargiante opera con cui Milena Muzquiz per Lladro’  racconta gli oltre 60 anni del celebre brand di porcellane spagnolo. La mostra esporrà pezzi (rigorosamente in limited edition) di Marcantonio Raimondi Malerba for Seletti, Clare Page e Richardson per Lladro’, Milena Muzquiz per Lladro’, Paolo Polloniato per Editamateria, Coralla Maiuri, Giorgia Zanellato e Daniele Bortotto, Maurizio Galante, Vito Nesta, Maison Margiela, Matteo Cibic, Jaime Hayon per Bosa, Karin Karinson per Salvatore Lanteri, Nicola Falcone, Cristina Celestino per BottegaNove.

Lladro’

La kermesse proseguirà, il 10 Gennaio, con un secondo save the date d’ eccezione: nella location della boutique di LUISAVIAROMA, Scott Schuman presenterà le sue sneaker in limited edition nate dalla collaborazione con Sutor Mantellassi. Per tutti i fan di The Sartorialist il rendez-vous è fissato alle 17.30.

Maurizio Galante

Si proseguirà poi l’ 11 Gennaio, sempre alle 17.30, con The Icon Project di Peuterey. Un evento ed un’ installazione speciali faranno da cornice al debutto di Icon, la capsule creata da Peuterey in esclusiva per LUISAVIAROMA: un parka, un bomber e un trench in nuance inedite verranno esposti in un apposito corner e saranno acquistabili sia nella boutique che nel suo shop on line.

Maison Margiela

Il 12 Gennaio sarà la volta del Fashion & Technology Summit, che al Teatro della Pergola, dalle 9.30 alle 18, riunirà relatori internazionali e brand leader nei settori del fashion e della tecnologia per una serie di dibattiti e workshop che avranno come tema i trends futuri. E’ prevista la partecipazione di Polimoda, Business of Fashion (BOF), The Huffington Post USA, AOL, Peuterey, MediaMath, Launchmetrics  e Digital4Fashion di IAB ITALIA. Il Summit, frutto di un connubio tra LUISAVIAROMA, IAB ITALIA e Netcom, è alla sua terza edizione. Gli interessati potranno consultare il sito summit.lvr.com per il programma completo.

Matteo Cibic

Da sempre attenta ai giovani talenti emergenti, LUISAVIAROMA rinsalda la collaborazione con il Salone della Moda di Berlino. “A Berlino, ho scoperto marchi tedeschi originali e di alta qualità”, ha dichiarato il CEO e fondatore del top retailer fiorentino Andrea Panconesi. Ed è lo stesso Panconesi che, durante la sua visita al Salone della Moda di Berlino, ha selezionato designer promettenti e di sicuro interesse come Antonia Goy, Michael Sontag, Odeeh, René Storck e Tim Labenda, Gabriele Frantzen e Mykita. Il 13 Gennaio, alle 11.30, la Terrazza di LUISAVIAROMA ospiterà un incontro tra i new talents e la stampa: l’ evento, realizzato in collaborazione con champagne Perrier-Jouet e Monotee, precederà il ritorno al Salone della Moda di LUISAVIAROMA, che la settimana prossima partirà di nuovo alla volta di Berlino.

Tutte le foto (courtesy of LUISAVIAROMA Press Office) raffigurano le opere in esposizione alla mostra Brilliant Ceramics.