La cornucopia: storia, leggende e miti legati al “corno dell’abbondanza”

Carel Van Savoyen, “Un’ allegoria dell’abbondanza” (1651)

Che cos’è la cornucopia? Considerata un emblema dell’iconografia autunnale, oggi è perlopiù associata al Giorno del Ringraziamento che si celebra in America. Le sue origini, in realtà, sono antichissime ed affondano le radici nel Vecchio Continente. “Cornucopia” è un nome che deriva dall’ unione dei termini latini “cornu”, “corno”, e “copia”, “abbondanza”: questo corno dell’abbondanza, non a caso, viene raffigurato come un grande cono che strabocca di frutta, fiori, verdura o monete d’oro. La simbologia, evidente, rimanda alla fertilità della terra, ai doni del raccolto, e al tempo stesso alla fortuna. Perchè la fortuna è la “condicio sine qua non” per ottenere un ricco raccolto. E se la nascita della cornucopia viene generalmente fatta risalire alla mitologia greca, non sono pochi gli studiosi che la ricollegano ad un periodo antecedente alla civiltà ellenica: una dea italica, la dea Abundantia, aveva infatti come simbolo una cornucopia che la accompagna in tutte le sue rappresentazioni. Abundantia era la dea che dava vita e nutrimento ad ogni creatura vivente, ma anche la dea della fortuna e della prosperità. Il suo aspetto era quello di una giovane donna con una corona di fiori sul capo e un mantello verde impreziosito da decori floreali color oro. Regge nella mano destra una cornucopia ricolma di frutta e nella sinistra un mazzo di spighe. L’enorme corno dell’abbondanza rimanda al corno degli animali dai quali si ricava il latte: i bovini e i caprini, all’epoca, fornivano un prezioso mezzo di sostentamento.

 

Jan Bruegel, “Allegoria dell’ abbondanza” (XVII sec.)

Ma Abundantia era anche una dea lunare, il cui corno simboleggiava il corno della Luna, e in quanto tale era dotata di un ricco patrimonio interiore; regnava sul mondo dei vivi e su quello dei morti, ecco perchè in molte opere viene ritratta con una cornucopia vuota. Capace di dare la vita così come la morte, la dea proteggeva gli antenati delle famiglie romane. Gli spiriti protettori degli antenati, infatti, i cosiddetti Lari, sono raffigurati con una cornucopia in mano proprio come la dea Abundantia. La dea, inoltre, propiziava il benessere economico familiare e la conclusione di affari redditizi e vantaggiosi, da qui la miriade di monete che straripano dal suo corno. Con il passar degli anni, la figura di Abundantia venne assorbita da svariate dee del Pantheon romano, su tutte la dea Fortuna (divinità del Caso e del Destino). La dea Fortuna e i Lari erano figure veneratissime nell’ antica Roma:  vegliavano sulla gens e favorivano la sua prosperità. Agli spiriti protettori degli antenati si dedicava addirittura un larario, una sorta di sacrario domestico. Tuttavia, va detto che la cornucopia non era un’esclusiva della dea Abundantia o della dea Fortuna. Anche Cerere (divinità delle messi e dei raccolti), Tellus (divinità della Terra) e Proserpina (dea dell’ agricoltura e dell’ oltretomba) venivano associate al corno dell’ abbondanza: ciò costutuiva l’emblema della loro natura trina, che inglobava cioè cielo, terra e inferi. La madre di tutti gli dei e delle creature viventi, come abbiamo già visto, aveva il potere di dare la vita ma anche di toglierla.

 

Noel Coypel, “L’abbondanza” (1700 ca.)

Passiamo ora alla mitologia greca, dove le origini della cornucopia si intrecciano a due suggestive leggende. La prima vede protagonista Zeus, ovvero Giove, re e padre di tutti gli dei dell’ Olimpo. Zeus nacque dall’unione dei Titani Crono e Rea. Crono, suo padre, un giorno ebbe una premonizione: in futuro, uno dei suoi figli l’avrebbe spodestato. Così, decise di divorare la sua prole per impedire che si verificasse l’evento che tanto temeva. Rea, però, scoprì il piano di Crono e riuscì a nascondere Zeus in una grotta dell’ isola di Creta. Lì lo lasciò con Amaltheia, una capra che lo crebbe e lo nutrì con il suo latte. Esistono versioni della leggenda secondo cui Amaltheia sarebbe invece stata la ninfa proprietaria della capretta che allattò Giove. Figlia del Titano Oceano, la ninfa utilizzava uno dei corni dell’animale per nutrire Zeus: lo riempiva di frutta, miele, latte e tutto ciò che serviva per sostentare il piccolo figlio di Crono. La leggenda vuole che quando Giove crebbe, e divenne il re degli Olimpi, volle dimostrare la propria gratitudine alla capra innalzandola nel cielo con il suo corno e dando origine alla costellazione del Capricorno (da “caprum”, capra, e “cornu”, corno). L’altra versione del racconto narra invece che Zeus, una volta cresciuto, staccò un corno della capretta e lo dotò di poteri straordinari: bastava esprimere un desiderio e si sarebbe riempito di tutto ciò che veniva anelato. Ecco quindi come nacque la cornucopia, il corno dell’ abbondanza, per la mitologia greca. Ma esiste una seconda leggenda sulla sua genesi.

 

Frans Snyders, “Cerere e Pan” (1615-1620 ca.)

Acheloo, divinità fluviale greca, aspirava a sposare Deianira, la bellissima figlia di Eneo, il re degli Etoli. Ma anche Eracle, nato da Zeus e Alcmena, aveva chiesto la sua mano. Tra i due pretendenti scoppiò una lotta senza esclusione di colpi; Eneo annunciò quindi avrebbe dato Deianira in sposa al vincitore dello scontro. Acheloo e Eracle combatterono furiosamente: Acheloo, essendo un dio, approfittò delle sue doti trasformandosi dapprima in un serpente, poi in un drago, infine in un uomo con la testa di bue. Ma fu proprio grazie a quest’ultima metamorfosi che Eracle ebbe la meglio. Quando Acheloo si scagliò contro di lui per trafiggerlo con le sue corna, Eracle le afferrò e gliene strappò una. Acheloo cadde a terra stremato, la lotta era stata vinta dal figlio di Zeus. Vedendo il corno a terra, le Naiadi (ninfe delle acque) corsero a raccoglierlo e lo riempirono di frutta, fiori e ogni ben di Dio. Da quel momento in poi, il corno divenne sacro e fu considerato un simbolo di abbondanza: era nata la cornucopia.

 

Jan Bruegel Il Vecchio, “Le ninfe riempiono la cornucopia” (1615)

Gki emblemi a cui è legata la cornucopia, vale a dire la fertilità, la prosperità e l’abbondanza, rimangono più o meno gli stessi in tutte le civiltà che l’hanno adottata. Gli antichi Celti la scolpirono su una statuetta che raffigurava Epona, dea dei muli e dei cavalli, ma anche tra le mani di Olloudious, un dio che i Romani equipararono a Marte. Pare che per le popolazioni celtiche la cornucopia si associasse anche alla guarigione, mentre i persiani la collegavano alle offerte sacrificali con le quali i re omaggiavano dei. Ovidio nomina la cornucopia nelle “Metamorfosi”, il suo capolavoro, citando la leggenda di Eracle (ribattezzato Ercole dai Romani) e Acheloo. A Roma, intorno al II secolo d.C., la cornucopia rimandava prevalentemente alla dea Fortuna e ai Lari. Nel Medioevo, invece, il corno dell’ abbondanza si arricchì di un’ ulteriore valenza: l’onore. Ovvero l’abbondanza combinata con il prestigio e con il valore. In una miniatura dell’ Evangelario di Ottone III risalente all’anno 1000, quattro personificazioni delle province imperiali omaggiano Ottone III, Imperatore del Sacro Romano Impero, con preziosi doni. Inutile dire che tra essi spicca una cornucopia.

 

Evangelario di Ottone III, miniatura della scuola di Reichenau (1000 ca.)

Durante il Medioevo, dunque, l’accezione di abbondanza a cui rimanda la cornucopia si amplia, fondendosi a doppio filo con il lustro delle persone e dei luoghi. Non sono rare, infatti, le personificazioni di città, aree geografiche ed elementi naturali ritratte accanto ad una cornucopia; da allora, il corno dell’abbondanza appare di frequente nella simbologia araldica e lo ritroviamo persino sulle bandiere di determinati stati, uno dei quali è il Perù. Oggi la cornucopia viene associata soprattutto al Thanksgiving Day degli USA e del Canada. Il perchè è evidente: questa festa celebra l’abbondanza del raccolto dell’anno precedente e le sue benedizioni. La cornucopia, di conseguenza, quel giorno fa bella mostra di sè accanto al tacchino, alle patate dolci, alla salsa di mirtilli e alla torta di zucca. Naturalmente, è colma di frutta e verdura di stagione: zucche, uva, fichi, mele, noci, pere, granturco, cavolfiori…Cosa simboleggia, ormai lo sapete a memoria. E voi, quando inserirete la cornucopia tra le vostre decorazioni autunnali?

 

La cornucopia, imprescindibile sulla tavola del Thanksgiving

Pietro Paolo Rubens, “Cerere e due ninfe” (1624)

Dettaglio del Salone dell’Abbondanza alla Reggia di Versailles

Maarten de Vos, “Abbondanza” (1584)

Luca Giordano, “Maria Anna di Neuberg, regina di Spagna, a cavallo” (1693-94)

Jan Bruegel Il Giovane, “Allegoria dell’ Abbondanza” (1625)

Jan van Kessel Il Vecchio, “I quattro continenti: Europa” (XVII sec.)

Pietro Paolo Rubens, “L’unione di Terra e Acqua” (1618 ca.)

Una cornucopia contemporanea

Agnolo Bronzino, “Allegoria della Felicità” (1564)

 

Immagini dei dipinti (Public Domain) via Wikimedia Commons

 

Il girasole e le sue leggende

 

Botanicamente è l’Helianthus Annuus, un nome che fonde i termini greci “helios”, ovvero “sole”, e “anthos”, “fiore”. Ma anche la sua denominazione più nota, “girasole”, cita l’astro infuocato. Ciò perchè, in base ai principi dell’ eliotropismo, ha una corolla sempre orientata verso il sole. In realtà, ciò avviene quando è ancora nello stadio di bocciolo; dopo la fioritura punta laddove il sole sorge, ovvero ad est. Il girasole si associa al sole persino nell’aspetto: la forma tonda e i petali gialli disposti a raggiera fanno subito pensare alla stella più vicina alla Terra. Qualche mese dopo la semina, fissata tra Marzo e Aprile, i campi si tramutano in spettacolari distese color oro che ispirano gioia e buonumore. La particolarità che cattura immediatamente l’attenzione è l’imponenza dei girasoli: il loro stelo può raggiungere i due metri di altezza. La tonalità vibrante e la bellezza unica li annoverano tra i più richiesti fiori ornamentali, mentre i semi, ricchi di nutrienti, sono molto utilizzati in cucina.

 

 

Ma quali sono le origini del girasole? L’ Helianthus Annuus nasce nell’ America Meridionale, precisamente in Perù. Gli Incas lo coltivavano già nel 1000 a.C., e identificavano in questo fiore il loro dio del Sole: l’essere rivolto costantemente verso l’astro era un indizio del dialogo che intratteneva con lui. Il condottiero spagnolo Francisco Pizarro, che conquistò l’Impero Inca e fondò in seguito la città di Lima, fu il primo a scoprire la valenza divina assunta dal girasole  presso gli Incas. In Europa il fiore approdò nel XVI secolo, sia sotto forma di semi che delle innumerevoli riproduzioni in oro che la popolazione andina era solita dedicargli.

 

 

Gli antichi popoli, in generale, consideravano il girasole un emblema di immortalità. L’identificazione con il dio Sole, e quindi con la vita, era presente in un gran numero di culture, favorita anche dal fatto che questo fiore offriva semi commestibili e olio in abbondanza. Esistono leggende molto suggestive, sul girasole; la più celebre lo ricollega alla mitologia greca: Clizia, una giovane ninfa, era perdutamente innamorata di Apollo, il dio del Sole. Non poteva fare a meno di tenere gli occhi incollati al cielo, ogni volta che passava con il suo carro. Apollo, lusingato da tanta attenzione, riuscì a sedurla, ma poco tempo dopo la abbandonò. Clizia, disperata, pianse per nove giorni di seguito in un campo, fissando continuamente il sole. Secondo la leggenda, il suo corpo si immobilizzò fino a diventare uno stelo; i piedi presero le sembianze di radici, i capelli formarono una corolla di petali color giallo brillante: si era tramutata in un girasole, e ammirava il sole da mattina a sera. La leggenda è citata ne “Le metamorfosi” di Ovidio, ma non essendo il girasole ancora sbarcato dall’ America si pensa che possa riferirsi all’ eliotropio.

 

 

Un’ altra leggenda narra di un fiore molto solitario e malinconico. Aveva un aspetto particolare; non era considerato bello e tutti, nel campo in cui sorgeva, evitavano di stargli accanto. Così, il fiore passava le giornate ad ammirare il sole. Lo adorava a tal punto che il suo stelo, a furia di guardarlo, era cresciuto in altezza. Il fiore seguiva il percorso del sole con la sua corolla, e il sole non potè fare a meno di notarlo. Un giorno, incuriosito, l’astro chiese al fiore come mai era sempre solo e costui gli raccontò la sua triste storia. Il sole rimase molto impressionato da quel racconto e decise di aiutarlo: lo confortò e lo trasformò in un fiore alto, splendido e completamente tinto di giallo. Adesso era il fiore più bello di tutto il campo, e prese il nome di Girasole in onore della sua amicizia con l’astro.

 

 

 

La colazione di oggi: il burro, tra pregiudizi e benefici

 

Il burro fa bene o male? Riflettori puntati su un alimento base della prima colazione. Cominciamo con il dire che il burro è un prodotto totalmente genuino, così come lo è la sua preparazione. Si ottiene separando la parte grassa da quella acquosa della crema del latte; questa operazione viene effettuata tramite un processo che non si discosta affatto dal metodo artigianale di un tempo. La lavorazione non comporta l’utilizzo di additivi chimici, nè tantomeno implica elaborate procedure di raffinazione. Il burro è composto dal grasso del latte così com’è, senza alcuna alterazione. Considerando che a 100 grammi di burro corrispondono 758 calorie, è consigliabile farne un uso moderato (non più di 10 grammi al giorno). I grassi contenuti nel burro, inoltre, ammontano all’83% del prodotto. Ma consumati senza eccedere, svolgono una funzione nutritiva essenziale: forniscono energia, mantengono sani i tessuti del corpo, apportano dosi elevate di vitamina A, E e D e preservano la funzionalità degli ormoni fondamentali per l’organismo.

 

 

Un altro punto di forza dei grassi contenuti nel burro è l’essere acidi grassi a corta catena, ovvero includono carbonio pari a meno di 6 atomi. Ciò significa che l’organismo riesce a bruciarli istantaneamente impedendo che sedimentino e si tramutino in grasso corporeo. Tutto sommato, potremmo spezzare una lancia anche a favore delle calorie: basta considerare che un etto di burro ne ingloba 150 in meno rispetto alla stessa quantità di olio d’oliva. L’ umidità inclusa nel burro, infatti, contribuisce a diminuire il suo livello calorico. L’olio, al contrario, è completamente composto di acidi grassi. A proposito di acidi grassi, quelli a corta catena riescono ad essere rapidamente elaborati dai succhi gastrici: ne consegue che il burro è un alimento ad alto tasso di digeribilità. Attualmente, poi, l’ ottimizzazione dei metodi di allevamento fa sì che ai grassi saturi del burro si affianchi una buona percentuale di grassi monoinsaturi e polinsaturi, imprescindibili per la salute del nostro organismo.

 

 

Tra i minerali e le vitamine di cui il burro è ricco troviamo il calcio, il fosforo, il sodio, il potassio, la vitamina E, la vitamina D e la vitamina A: quest’ ultima, presente in dosi notevoli, svolge una potente azione antiossidante e contrasta la formazione dei radicali liberi. E’ un autentico toccasana, inoltre, per mantenere sani gli occhi, la pelle e le mucose. La vitamina A riveste una cruciale importanza anche per la salute della tiroide e delle ghiandole surrenali, entrambe direttamente associate al benessere del cuore. E qui sfatiamo un altro mito: mangiare burro espone al rischio di contrarre patologie cardiovascolari. In realtà, le ricerche scientifiche hanno dimostrato che un consumo regolare di latticini scongiura questo pericolo. Non dimentichiamo poi che la lecitina, una sostanza ampiamente contenuta nel burro, è in grado di regolarizzare l’assorbimento del colesterolo e di un buon numero di grassi. La vitamina D, invece, contribuisce a “fissare” il calcio nella struttura delle ossa e dei denti.

 

 

Parlando di colesterolo, è essenziale chiarire un altro pregiudizio che riguarda il burro. La convinzione che contenga, cioè, colesterolo in dosi massicce e quindi nuoccia alla nostra salute. Si tratta di una credenza errata, poichè ne include 250 grammi per ogni 100 grammi di alimento. Considerando che 250 grammi di colesterolo rappresentano la quantità massima che è possibile consumare quotidianamente, è altamente improbabile ingerire ben 100 grammi di burro in un solo giorno! Perciò il problema (a meno che non ci si professi dei burro-dipendenti) non sussiste.  Limitarsi ai 10 grammi giornalieri di cui vi parlavo a inizio articolo, invece, permette di godere esclusivamente degli effetti benefici del colesterolo: è un buon antiossidante, un toccasana per le arterie e una componente fondamentale di svariate parti dell’ organismo.

 

 

Concludendo, il burro non è un alimento a rischio come spesso viene descritto. Anzi: rispondendo al quesito che apre questo post, potremmo affermare senza mezzi termini che il burro fa bene. Ha un gusto goloso, una consistenza invitante ed è un ingrediente basilare dei prodotti di pasticceria, dove la sua presenza vanifica l’aggiunta di diversi additivi. Nelle ricette dolciarie, il burro è il must. Pensate solo alla preparazione della pasta frolla, o di certi deliziosi biscotti. E la mattina, a colazione, chi potrebbe fare a meno della classica fetta di pane spalmata di burro e marmellata o di burro e miele? Io no…non so voi.

 

 

 

Marzo e i suoi fiori

 

A Marzo, i fiori sono in boccio. Personalmente amo l’ Inverno, la neve e l’incanto dei paesaggi innevati, però non posso negare che il risveglio primaverile abbia il suo fascino. Intorno al 20 Marzo, con l’Equinozio, lo spettacolo della fioritura raggiunge l’apice. Prati, campi, alberi e giardini si riempiono di un tripudio di corolle colorate. Passeggiare lungo i sentieri di campagna gratifica la vista e l’olfatto, i lunghi tramonti profondono magia nell’atmosfera. Udire il ronzio delle api è rilassante, ma anche un privilegio, dato che sono insetti a rischio di estinzione. Impegnamoci a fondo affinchè questo non succeda. Piantiamo fiori, coltiviamo alberi per garantire loro il nutrimento e per far sì che si dedichino attivamente all’impollinazione: è fondamentale ai fini di assicurare l’ equilibrio degli ecosistemi e la sopravvivenza della specie umana. Quali sono, dunque, i fiori che sono soliti sbocciare a Marzo? Continuate a leggere e ne scoprirete alcuni.

Il Narciso

E’ diffuso in Europa e Asia, appartiene alla famiglia delle Amarillydaceae. Il suo colore è il giallo oppure il bianco, con una paracorolla che spazia invece dal giallo al rosso. Molte specie emanano un profumo inebriante ed hanno ispirato il termine greco nakào, “stordisco”, da cui deriva il nome del fiore.

Il Glicine

Il suo nome scientifico è Wisteria Nutt, appartiene alla famiglia delle Fabacee ed è una pianta rampicante che può raggiungere i 10 metri di altezza. Nell’ antica Cina era chiamato “Vite Blu”, un appellativo affascinante a cui i tedeschi si sono rifatti battezzandolo Blauregen, ovvero “Pioggia Blu”. Il suo punto di forza sono le ricche cascate di grappoli che spaziano tra colori come il lilla, il rosa, il bianco, il violetto e l’azzurrognolo. Ma la nuance che sfoggia più comunemente è diventata essa stessa un colore: il glicine, appunto, un mix di viola e di bianco.

La Magnolia

La sua famiglia è quella delle Magnoliacee, il suo nome un tributo a Pierre Magnol, botanico e medico di Montpellier. Ha origini negli Stati Uniti, nel Sud America, nel Sud-Est Asiatico, ma cresce benissimo anche in Italia poichè ama il clima Mediterraneo. Ne esistono oltre 80 specie, spazia dagli arbusti ad alberi che sfiorano i 30 metri. Profumatissima, esplode in una nuvola di fiori. Tra i suoi colori predominano il rosa, il bianco, il porpora e il viola.

La Mimosa

L’ 8 Marzo è anche la sua festa: il fiore ufficiale della Giornata Internazionale della Donna vanta un’infiorescenza a grappoli composti da fiori sferici e super soffici di colore giallo. Il suo nome scientifico è Acacia dealbata ed appartiene alla famiglia delle Mimosaceae. In Italia, precisamente a Rieti, negli anni ’50 è stata creata una torta che si ispira ai suoi fiori: sono realizzati in pan di Spagna per riprodurne la soavità e il giallo, naturalmente, è la loro tonalità.

Il Nontiscordardimè

Il Myosotis, appartenente alla famiglia delle Borraginaceae, è diffuso pressochè in tutto il mondo. Si presenta in gruppi di piccoli fiori azzurri che non oltrepassano i 25 cm di altezza. Se il nome “Myosotis” deriva dalla fusione di due termini greci, “mys” e “otos”( rispettivamente “topo” e “orecchie”), molto più affascinante è la leggenda legata al Nontiscordardime: nasce in Austria e narra di due innamorati che, mentre passeggiavano lungo la riva del Danubio, si incantarono davanti a quei fiorellini azzurri e si fermarono a raccoglierli. Il ragazzo, purtroppo, scivolò nel fiume proprio mentre ne stava cogliendo uno, e prima che le acque lo travolgessero gridò “Non ti scordar di me!” alla sua fidanzata.

La Margherita

E’ il fiore più caratteristico della Primavera: quando le aiuole si riempiono di margherite, ci rendiamo conto che è arrivata ufficialmente. Il suo nome scientifico è Leucanthemum vulgare, la sua famiglia le Asteraceae. Si trova un po’ ovunque in giro per il globo, continente africano a parte. Anche in questo caso, la denominazione del fiore ha origini greche: deriva da “leukos” (bianco) e “anthemon” (fiore). La corolla, di colore bianco, ruota attorno al “capolino”, il bottone giallo oro al centro, che a sua volta è composto da fiori minuscoli detti flosculi.

Il fiore di Ciliegio

Il ciliegio sboccia in un tripudio di fiori bianchi o nei toni del rosa. Botanicamente appartiene al genere Prunus e alla famiglia delle Rosacee.In Giappone, i fiori del Prunus Serrulata (il ciliegio nipponico) vengono chiamati Sakura e sono un autentico oggetto di culto: all’ apice della loro fioritura si ammirano tramite un rito, l’Hanami, che consiste nel contemplarli. Per saperne di più sull’ Hanami e sulla simbologia associata al Sakura, clicca qui.

La Primula

E’ un altro fiore-emblema della Primavera. Il suo nome deriva da “Primus”, un termine latino che simbolizza lo sbocciare della Primula non appena la neve si scioglie. Appartiene alla famiglia delle Primulaceae ed è ampiamente diffusa in America, Europa e Asia, ma solo laddove il clima temperato lo permette.

Il fiore di Mandorlo

Quando fiorisce, dà origine a una magnifica nuvola di fiori bianchi. Non è difficile capire perchè al Mandorlo (il cui nome scientifico è Prunus Amygdalus) siano state dedicate innumerevoli leggende: come quella, di origine greca, di Fillide e Acamante. Ma i fiori di Mandorlo appaiono persino nella Bibbia, dove sono identificati come un simbolo di rinascita dal profeta Geremia.

L’Anemone

L’ Anemone, appartenente al genere Euanemona e alla famiglia delle Ranunculaceae, include oltre 100 specie che hanno caratteristiche tutte proprie. Vanta tepali coloratissimi (rosso, rosa, azzurro, bianco, giallo sono le cromie più diffuse) e la sua pianta può raggiungere persino 1 metro di altezza. A idearne  il nome fu il filosofo e botanico greco Eufrasto: lo chiamò “fiore del vento” perchè le sue corolle impalpabili sembravano poter librarsi nell’aria da un momento all’altro.

La Camelia

Ha origine nell’ Asia Tropicale e prende il nome dal botanico e missionario Georg Joseph Carmel: fu il primo ad importarla in Europa dal Giappone. Le sue due specie più note sono la Camelia Sinensis, dalle cui foglie si ricava il tè, e la Camelia Japonica, una pianta ornamentale che decora giardini pubblici e privati. I colori spaziano dal bianco al rosso passando per il rosa, la corolla somiglia vagamente a quella della “regina dei fiori”.

Il Giacinto

Il suo nome ha origini nella mitologia greca: si ispira a Giacinto, Principe di Sparta, di cui il dio Apollo si innamorò. Il loro amore fu spezzato però da Zefiro che, geloso, uccise Giacinto. Questo fiore, nome scientifico Hyacinthus e famiglia di appartenenza Asparagacee, proviene dal Medio Oriente e dall’ Africa Tropicale. Le sue specie sono innumerevoli, tutte bulbose. Ogni infiorescenza comprende circa 15 fiori profumatissimi e coloratissimi: le tonalità più comuni sono l’azzurro, il blu, il rosa, il giallo e il bianco.

La Viola Mammola

Appartenente alla famiglia delle Violaceae, è uno dei primi fiori a sbocciare  a fine Inverno. Cresce prevalentemente in Europa, America, Asia, Australia e Nuova Zelanda. Non supera i 15 cm di altezza e i suoi petali sono tinti di un profondo viola.

La Rosa

La “regina dei fiori” appartiene alla famiglia delle Rosacee e conta a tutt’oggi circa 3000 specie. Tra quelle spontanee, in Italia prevalgono la Rosa Canina, la Rosa Gallica, la Rosa Glauca e la Rosa Alpina. E’ diffusa in quasi tutto il mondo. Il suo nome ha origini latine, la sua bellezza viene celebrata da poeti e scrittori sin da tempi remotissimi (William Shakespeare la citò in “Romeo e Giulietta”). La corolla, ricca e preziosa, sprigiona un profumo irresistibile ed è tinta di innumerevoli colori: predominano il rosa, il rosso, il bianco, il giallo e l’arancio.

 

 

November mood & food

 

Zucche, funghi, castagne, miele, bacche, frutta secca, mele, vino…Novembre ci regala delizie a volontà. Ma anche una valanga di dolci tipici. Dalle mie parti, nelle Marche, si inizia con le fave dei morti (dei dolcetti a base di burro e mandorle) e il lonzino di fichi di San Martino (tra i cui ingredienti figurano i fichi secchi, il cacao, le mandorle e un mix di sapa e di mistrà) per poi approdare a dessert tipicamente autunnali: strudel, torte, crostate e plumcake arricchiti dai più ghiotti prodotti di stagione. E’ molto importante coniugare il palato con uno stato d’animo. Che a Novembre si ammanta di atmosfere suggestive e decadenti, quasi un invito a nutrire l’anima oltre che il corpo. Immergetevi in questo mood tramite la nuova photostory di VALIUM, e assaporatelo scatto dopo scatto.

 

 

 

La colazione di oggi: il pane, l’ Alimento che sfama l’ uomo dalla notte dei tempi

 

Pane burro e marmellata, pane e miele, pane e Nutella…quante colazioni facciamo e abbiamo fatto, utilizzando il pane? E’ praticamente impossibile non dedicargli un approfondimento. Anche perchè il pane è l’Alimento (con la A maiuscola) per eccellenza, rappresenta il più importante elemento nutritivo e sfama l’uomo sin da tempi immemorabili. Pensate solo ai proverbi che lo riguardano: “Guadagnarsi il pane”, “Levarsi il pane di bocca”, “Buono come il pane” “Non si vive di solo pane”…dire “pane” e dire “nutrimento” è un tutt’uno. Il pane si prepara piuttosto facilmente. Lo si ottiene dalla fermentazione, e dalla successiva lievitazione, di un impasto a base di farina (che può essere di grano tenero, grano duro o cereali vari), lievito, acqua e sale che viene poi cotto in forno. Ogni ingrediente che lo compone abbonda di proprietà nutritive; i carboidrati complessi e le fibre sono i principali. Quando vengono ingeriti, i carboidrati complessi (dei macronutrienti rappresentati dall’amido dei cereali), si tramutano in glucosio: una fonte energetica fondamentale che stimola il metabolismo, l’attività motoria e cerebrale. Il pane è un alimento in grado di farci sentire immediatamente sazi e di allontanare lo stimolo della fame. Il senso di sazietà deriva dal fatto che l’amido contenuto nel pane appartiene ai cosiddetti “carboidrati lenti”, i carboidrati, cioè, che rilasciano un’energia costante e prolungata; non stupisce che gli sportivi consumino pane in abbondanza in vista del training o delle gare. Nel pane, inoltre, i grassi sono presenti in una percentuale bassissima, l’1 %. Si tratta di acidi grassi insaturi che hanno il potere di scongiurare l’insorgere del colesterolo e delle patologie cardiovascolari. Le fibre contenute nell’alimento facilitano il transito intestinale; a tal scopo è da preferire il pane integrale, dove raggiungono una percentuale pari all’ l’1,5% a differenza dello 0.3% del pane bianco. Il pane è anche ricco di vitamine, soprattutto del gruppo B, e di minerali come il fosforo, il ferro e il magnesio, che svolgono un’ efficace azione antiossidante contrastando l’ invecchiamento cellulare.

 

 

Le proteine contenute nel pane sono di tipo vegetale, perciò pressochè prive di grassi, e fungono da ottimi tonificanti per il tessuto dei muscoli. Un’ ulteriore proprietà di questo straordinario alimento è che risulta altamente digeribile, una virtù che abbina all’ eclettismo: il pane si può gustare sia insieme a cibi dolci che salati. Possiamo accompagnarlo, quindi, a un companatico vasto ed eterogeneo. Essendo una miniera di carboidrati complessi, è particolarmente indicato per la prima colazione. Spalmate un po’ di miele o della marmellata su una fetta di pane: il vostro pasto sarà gustoso e ricco di benefici.

 

 

Ma qual è la storia di questo alimento secolare? Le sue radici affondano in tempi molto antichi. Il primo esemplare di pane risale al 12.000 a.C. .E’ stato rinvenuto in Giordania, dove si preparava seguendo un procedimento ben preciso: un mix di cereali veniva macinato tra due pietre e miscelato all’acqua. L’impasto ottenuto, poi, si lasciava cuocere su una lastra di pietra infuocata. Furono gli Egizi a ottimizzare, nel 3000 a.C. circa, il processo di lievitazione. Per ottenere un pane più morbido, l’ impasto si manteneva all’aria aperta per un giorno; soltanto dopo si passava alla cottura. In Egitto questo alimento veniva osannato per il suo potere nutriente, ma rappresentava anche un emblema di ricchezza. Gli Ebrei sono soliti consumare il pane azzimo, cioè non lievitato, per celebrare la ricorrenza del loro esodo dall’ Egitto. Il suddetto tipo di pane, chiamato “Matzah”, possiede un’ alta valenza simbolica: la non-lievitazione rimanda all’ urgenza di mettersi in viaggio e alla necessità di portare con sè un alimento a lunga conservazione. La panificazione, una vera e propria forma d’arte, venne perfezionata nella Grecia Antica. I Greci idearono oltre 70 varietà di pane, arricchendolo con latte, olio, miele, formaggio ed erbe aromatiche per esaltarne l’aroma. Sempre nella Grecia Antica ebbe inizio l’usanza di preparare il pane a notte fonda, più o meno come avviene oggi.

 

 

Gli Antichi Greci hanno fatto scuola. Anche in epoca odierna esiste un gran numero di “pani speciali”: per prepararli si usano, generalmente, diversi tipi di farina. Qualche esempio? La farina di mais, di segale, di avena, di orzo, di riso e così via. Possono essere aggiunti grassi quali il burro, lo strutto e l’olio d’oliva, ed ingredienti molteplici: i più comuni sono il latte, il malto, il mosto d’uva, i fichi secchi, l’uva passa, le noci, le olive, lo zucchero, il saccarosio, l’anice e spezie come il sesamo e il cumino.

 

 

Il pane ha ispirato i proverbi più curiosi e disparati sin dalla notte dei tempi. Concludo questo articolo con una selezione di detti seri e semi-seri, ma anche ironici e divertenti. “Non è pane per i miei denti” (non mi si confà), “Buono come il pane”, “Non si vive di solo pane” (ma anche di spirito), “Rendere pan per focaccia” (chi la fa, l’aspetti), “Mangiare pane a tradimento” (senza guadagnarselo), “Dire pane al pane e vino al vino” (parlare con schiettezza), “Chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane non ha i denti” (la discrepanza tra chi ha aspirazioni e potenzialità, ma non gli strumenti per realizzarle, e la situazione opposta), “Misurare il pane” (essere eccessivamente tirchi). Può esistere, secondo voi, un alimento più completo?

 

 

 

 

I sogni e il Buon Combattimento

 

” L’ uomo non può mai smettere di sognare. Il sogno è il nutrimento dell’anima, come il cibo è quello del corpo. Molte volte, nel corso dell’esistenza, vediamo che i nostri sogni svaniscono e che i nostri desideri vengono frustrati, tuttavia è necessario continuare a sognare, altrimenti la nostra anima muore e Agape non può penetrarvi. Molto sangue è stato versato nel campo davanti ai tuoi occhi; lì sono state combattute alcune delle battaglie più crudeli della Riconquista. Non ha alcuna importanza chi avesse la ragione o chi possedesse la verità: l’importante è sapere che entrambe le parti stavano combattendo un Buon Combattimento. Il Buon Combattimento è quello che viene intrapreso perché il nostro cuore lo chiede. Nelle epoche eroiche, al tempo dei cavalieri erranti, era qualcosa di facile: c’erano molte terre da conquistare e molte cose da fare. Oggi, però, il mondo è profondamente cambiato, e il Buon Combattimento ha abbandonato i campi di battaglia per trasferirsi all’ interno di noi stessi. Il Buon Combattimento è quello che viene intrapreso in nome dei nostri sogni. Quando essi esplodono in noi con tutto il loro vigore – vale a dire, in gioventù – abbiamo molto coraggio, ma non sappiamo ancora batterci. Dopo tanti sforzi, finalmente impariamo a lottare, e a quel punto non abbiamo più lo stesso coraggio per combattere. A causa di ciò, ci rivoltiamo e combattiamo contro noi stessi, diventando il nostro peggior nemico. Diciamo che i nostri sogni erano infantili, difficili da realizzare, o frutto di una nostra ignoranza riguardo alle realtà della vita. Uccidiamo i nostri sogni perché abbiamo paura di combattere il Buon Combattimento. “

Paulo Coelho, da “Il cammino di Santiago”