Haute Couture AI 2021/22: flash dalle sfilate di Parigi (parte 2)

DIOR

Dopo le presentazioni realizzate attraverso la settima arte, Dior torna a sfilare in presenza: il tessuto e la lavorazione degli abiti diventano, quindi, protagonisti principali. La ricerca tessile è una priorità che coinvolge materiali eterogenei oltre che svariati tipi di trame e di ordito. Il ricamo acquista centralità, non tanto in virtù di ornamento quanto di “tattilità”, di una sensorialità che coinvolge tatto e vista a un tempo. La scenografia della sfilata, non a caso, è un’ opera intitolata “Chambre de Soie“, galleria di 40 metri di lunghezza sulle cui pareti l’ artista francese Eva Jospin ha riprodotto una serie di ricami ispirati agli affreschi della Sala dei Ricami di Palazzo Colonna. I look della collezione alternano le forme sobrie dei capispalla in tweed (“spezzato” da inserti a colori) a fluttuanti silhouette, a tunica o svasate, che inneggiano al plissè. Risalta la lavorazione a rete, un elemento decorativo che diventa parte integrante dell’abito. Per quanto riguarda i colori, Maria Grazia Chiuri privilegia il nude, il tortora, il grigio, il nero, il blu notte e l’azzurro polvere.

 

VIKTOR & ROLF

 

“The New Royals” di Viktor & Rolf è una collezione regale, ma non in termini di maestosità. Può essere considerata una riflessione sulla dicotomia tra realtà e apparenza, tra umano e istituzionale. Il soggetto principale riguarda i Reali di nuova generazione e l’ evoluzione del concetto di regalità: dietro al protocollo c’è un’umanità che non va trascurata. E che, con il passar del tempo, si fa un tutt’uno con la facciata istituzionale. La gente è sempre più intrigata da questo coté “da comuni mortali” dei Reali, si nutre di news e avvenimenti che lo evidenziano. Il risultato? La fusione tra pubblico e privato si tramuta in una spettacolarità ad uso e consumo della massa. Ecco dunque abiti tempestati di pietre (preziose o false? Propenderei per la seconda ipotesi), perle e ricami king size (è il caso di dirlo!), corone, lunghi mantelli con strascico ed ampie cappe svasate, piume a miriadi che ci illudono di essere pelliccia, fasce onorifiche su cui sono impressi slogan (un trademark di Viktor & Rolf) irriverenti: “Always wear your invisible crown”, “Size Queen”, “Build castles in the air”, “Don’t be a Drag just be a Queen”, tanto per citarne qualcuno. Cromaticamente, “The New Royals” esalta squarci vividi di arancio, rosso, giallo e verde su una palette in cui prevalgono l’argento e il nude.

 

BALENCIAGA

 

Modelli e modelle sfilano in silenzio, da Balenciaga. Si odono distintamente il loro tacchettio e il fruscio delle stoffe che lo accompagna. E’ un silenzio che è un omaggio a Cristòbal Balenciaga e che fa da sfondo, al tempo stesso, alla meditazione di Demna Gvsalia. La collezione che scaturisce da queste riflessioni è un connubio mozzafiato di heritage e suggestioni street, eleganza e underground puro. Colpiscono gli smoking dalle ampie spalline squadrate, i coat con strascico in taffetà, i preziosi ricami floreali, le scollature a V “rovesciate” sulla schiena, le silhouette fascianti alternate a quelle svasate o ad anfora, i volumi oversize che ricordano il decostruttivismo Jap degli anni ’80. Ma risalta, soprattutto, l’immensa abilità di Gvsalia nel tramutare classici dello street style come i jeans, le lunghe camicie comode, i parka, in perfetti capi couture. Un enorme cappello nero che cela lo sguardo esalta uno chic potente dal sapore d’antan. La palette cromatica evidenzia il predominio del nero seguito da colori vibranti come il turchese, il verde mela, il bluette, il rosso e il rosa confetto.

 

GEORGES HOBEIKA

 

Per l’ immaginario collettivo, l’ Haute Couture è tutto ciò che caratterizza le creazioni di Georges Hobeika: sfarzo, metri e metri di chiffon, strascichi, gonne danzanti, cristalli e ruches a profusione. Hobeika rimane fedele a questo trademark dotandolo di un vibrante imprinting anni ’60; battezza la sua collezione “Mod” e si ispira alla preziosa, gioiosa eleganza dell’ omonimo movimento giovanile nato a Londra. Gli abiti sono iper femminili, la quintessenza dello chic, ma rifuggono dagli orpelli e dall’ opulenza. Cristalli, strass e piume in abbondanza adornano look ricchi di trasparenze e di sofisticatissime lavorazioni, come le ruches “in verticale” che danno vita a ondulature sorprendenti. La raffinatezza di “Mod” è impeccabile, eppure briosa e fresca. La collezione alterna vertiginosi spacchi ad orli maxi e mini e sfoggia un tripudio di ricercati ricami. Inaspettatamente, poi, appare un decoro inedito: le lunghe, fitte frange che spuntano a sorpresa sui polsini e sulle bordature di un abito. I colori chiave della palette? Celeste, giallo, rosso, pesca, rosa, bianco, menta e lavanda affiancati a un argento sfavillante.

 

 

 

 

Digital Paris Haute Couture Week AI 2020/21: tra preview e interpretazioni d’autore

 

La magia dell’estate porta con sè ogni anno, a Luglio, le sfilate dell’ Haute Couture; a Parigi, le più prestigiose Maison internazionali presentano abiti capolavoro che rinsaldano meravigliosamente il link tra Moda e Arte. Ma cosa è cambiato nell’ organizzazione di questo appuntamento, in tempi di emergenza COVID? Innanzitutto la modalità dei fashion show, che da défilé veri e propri si sono tramutati in performance digitali. Dal 6 all’ 8 Luglio, per volere della Fédération de la Haute Couture et de la Mode, le collezioni Autunno Inverno 2020/21 dell’ Haute Couture Week parigina si sono spostate sul web declinandosi nelle più disparate versioni. Cortometraggi, anticipazioni, video d’autore che traducono l’essenza delle collezioni, interviste, scene di backstage, storytelling incentrati sull’ ispirazione, si alternano in uno splendido pot-pourri inneggiante alla creatività pura. Per seguirli, è bastato collegarsi alla piattaforma on line della Fédération de la Haute Couture et de la Mode nel sito fhcm.paris/ oppure ai social (in particolare Facebook, Instagram e YouTube) e ai website delle varie Maison dove sono, peraltro, tuttora visionabili. Ma anche rinomati magazine on line del calibro di Vogue o del New York Times hanno preso parte all’ iniziativa, così come emittenti TV e radiofoniche quali Canal + e la francese Radio Nova. I brand partecipanti, 34 in tutto, si sono sbizzarriti in presentazioni inedite che stanno molto facendo parlare di sè: Schiaparelli, ad esempio, ha proposto un corto che racconta i motivi ispiratori del suo creative director Daniel Roseberry in attesa di far sfilare la collezione a Los Angeles, nel Dicembre 2020; Ralph & Russo, dal canto loro, hanno “mandato in passerella” una modella-avatar (Hauli), mentre Valentino si è avvalso di una partnership artistica con il fashion photographer londinese Nick Knight per “raccontare” le proprie creazioni, anticipando la sfilata in programma il 21 Luglio prossimo in quel di Roma. Chanel ha puntato su una serie di video di backstage realizzati in atelier, mentre Giambattista Valli ha scelto l’ affascinante Joan Smalls che viene immortalata, in una sequenza di superbi scatti, nei suoi look destinati all’ Autunno Inverno. In questi giorni, inoltre, non è passato inosservato il corto che il regista Matteo Garrone ha dedicato alla collezione di Dior: un’autentica fiaba girata nel Giardino di Ninfa (rileggi qui l’articolo che VALIUM ha dedicato alla spettacolare area naturale in provincia di Latina), dove sirene, ninfe e creature fantastiche vengono sedotte dai preziosi abiti ideati da Maria Grazia Chiuri. Dopo il film su Pinocchio, Garrone ci stupisce con un video incantevole che rievoca atmosfere e personaggi altrettanto da sogno. Non è forse “il sogno” per eccellenza, d’altronde, l’ immaginario dell’ Haute Couture? Continuate a seguire VALIUM per approfondire alcune delle presentazioni più suggestive associate alle collezioni Autunno Inverno 2020/21 di Alta Moda.

 

 

Il close-up della settimana

 

Le illazioni sulle sue condizioni di salute si erano scatenate a partire da quando, alla Paris Haute Couture Week dello scorso Gennaio, non si era presentato per il saluto al pubblico al termine della sfilata di Chanel. Un comunicato diffuso dalla Maison attribuiva la sua assenza alla stanchezza, ma in molti hanno messo in dubbio questa spiegazione: l’ inesauribile energia di Karl Lagerfeld, la tempra teutonica che non aveva mai mancato di sfoggiare, erano pressochè proverbiali. E i rumours sono subito esplosi. Poi, il silenzio. Su Karl Lagerfeld più nessuna notizia fino alla mattina del 19 Febbraio, quando i media ne hanno annunciato la scomparsa: uno shock collettivo. Il designer tedesco si è spento all’ Ospedale Americano di Parigi a causa di un male incurabile.  Una morte, la sua, che lascia un vuoto immenso. Anche perchè il “Kaiser della Moda” era una figura già entrata nel mito, una leggenda vivente. Sembrava trascendere ogni coordinata associata all’età, all’ appartenenza ad un luogo e ad un’ epoca ben precisa: tutto, in lui, era iconicità pura. A cominciare dal look – inconfondibile ed immutabile nel tempo, un perenne total black rinvigorito da dettagli biker – per proseguire con il suo genio visionario, era come se fosse incluso tra gli “immortali” per diritto divino. Karl Lagerfeld vide la luce ad Amburgo in una data imprecisata, anche se dichiarò sempre di essere nato nel 1935. Figlio unico di una famiglia facoltosa, raccontava di aver passato l’ infanzia a disegnare e a leggere anzichè a giocare con gli altri bambini. Nel 1953, quando si trasferì a Parigi con la madre, la moda rientrava già tra le sue passioni. Dopo aver vinto il prestigioso Woolmark Prize, nel 1955 entrò nello staff di Pierre Balmain, dove rimase per tre anni prima di passare alla Maison Patou. Qui trascorse un quinquennio disegnando Haute Couture, poi si concesse un periodo sabbatico decidendo, infine, di tornare a Parigi e di aprire una piccola boutique.  All’ epoca iniziò a consultare Madame Zereakian, la veggente armena che annoverava Christian Dior tra i suoi clienti abituali: come riferì in seguito, gli fu predetto un gran “successo nella moda e nei profumi”. Nel 1965, la carriera di Karl Lagerfeld subì una decisa impennata. Fu allora che prese il timone di Chloé, con cui instaurò una collaborazione ventennale, e nello stesso anno approdò a Roma dove ottenne l’ incarico di direttore creativo presso la casa di moda delle sorelle Fendi, un ruolo (dal 1992 condiviso con Silvia Venturini Fendi) che ricoprì per il resto della sua vita. Instancabile, immaginifico, poliedrico, fu il primo free-lance della moda e commentò, con la consueta arguzia: ” Amo considerarmi un free-lance. Questa parola è l’unione di “free”, libero, come ho sempre voluto essere, e “lance”, che ricorda la parola francese “lancé”, com’era definita un tempo un’ ambita cortigiana. Io mi sento così, libero e mercenario”. Risale al 1983 – dieci anni dopo dalla morte di Mademoiselle Coco – la sua nomina alla direzione di creativa di Chanel, una carica a tempo indeterminato (come diremmo oggi) che lo elevò all’ Olimpo del fashion system. “Chez” Chanel, Lagerfeld diede vita ad un potente connubio tra l’ heritage della Maison e la contemporaneità più pop e iconica. Associò la sua immagine a muse che scopriva e che rendeva leggendarie (qualche nome? Claudia Schiffer, Vanessa Paradis, Alice Dellal, Carla DelevingneLily-Rose Depp e Kaia Gerber), scattò personalmente gran parte delle campagne pubblicitarie e riportò il brand ai fasti originari senza stravolgerne i codici.

 

L’ immagine con cui la Maison Chanel commemora Karl Lagerfeld nel suo website e sui social

Nel 1980 il designer fondò un marchio, Lagerfeld, che 24 anni dopo intrecciò il suo nome a H&M inaugurando la fortunata serie delle co-lab tra luxury e fast fashion. “Non ho mai avuto problemi a rompere le regole perchè non ne sono mai stato vittima”, disse, ed alla grande intelligenza abbinò sempre la curiosità, la cultura, l’ autoironia, l’incredibile talento di saper parlare a un pubblico di ogni età e di ogni ceto. Il terzo millennio vide il designer iper attivo: disegnò i costumi di scena per star del calibro di Madonna e Kylie Minogue, coltivò la sua passione per la fotografia e l’architettura, nel 2010 instaurò una breve collaborazione con Hogan e fu insignito della Legion d’ Onore francese. Due anni dopo, ebbe inizio una delle liason più importanti della sua vita: quella con Choupette, la gatta birmana che “daddy” Karl rese una vera e propria star, e pare che alla dolcissima felina sia andata parte della sua eredità miliardaria. La sua eredità stilistica, invece, è appena stata raccolta dalla fashion studio director di Chanel Virginie Viard, che per 30 anni lo ha affiancato assiduamente. E’ a lei che spetterà il compito, come dichiara il Presidente della Maison Bruno Pavlovsky citando Lagerfeld, di “continuare ad abbracciare il presente e inventare il futuro”. “Preferisco essere considerato un evoluzionista che un rivoluzionario, uno a cui piace riformare le cose in modo costruttivo. I rivoluzionari puri non sono mai arrivati da nessuna parte, nemmeno nella moda”, affermò ancora il designer: e non c’è dubbio che il suo genio, la sua visione, il suo straordinario intuito, lo abbiano portato molto, molto lontano. Con quel pizzico di mistero che ha sempre avvolto la sua vita in un’ eterea allure da fiaba. Ma la moda non è, d’altronde, una fiaba stessa?

 

Foto a inizio articolo di Christopher William Adach da Flickr, CC BY-SA 2.0