Paris Fashion Week: flash dalle collezioni PE 2022

 

La Milano Fashion Week ci ha sorpreso con un gran finale: lo show di “Fendace”, ovvero Fendi visto da Versace e viceversa. Dal 28 Settembre fino al 5 Ottobre, poi, il popolo della moda si è trasferito a Parigi per assistere alla Fashion Week più lunga di tutte. In quasi dieci giorni di sfilate, sono state 97 le Maison che hanno svelato le proprie collezioni Primavera Estate 2022, di cui 37 in presenza e le rimanenti tramite corti, lookbook e filmati diffusi via web. A divulgarli sono stati, come sempre, i profili social dei vari brand e – non ultima – la Fédération de la Haute Couture et de la Mode, ma anche i défilé dal vivo si sono avvalsi del live streaming. La kermesse ha esordito con la sfilata di Kenneth Ize, il vincitore del Premio LVMH 2019, e si è conclusa con un evento d’eccezione: un fashion show organizzato da AZ Factory al quale hanno preso parte ben 49 griffe. Non si è trattato di moda tout court, bensì di un omaggio; un meraviglioso tributo corale ad Alber Elbaz, l’ indimenticato designer venuto a mancare (a causa del Covid) l’ Aprile scorso. Tornando alla Fashion Week e alle sue sfilate, sono andati in scena in presenza marchi quali – tra gli altri –  Balmain, Chanel, Chloé, Dior, Givenchy, Hermés, Isabel Marant, Miu Miu, Saint Laurent, Valentino, Andreas Kronthaler for Vivienne Westwood, Giambattista Valli e Louis Vuitton. Balenciaga si è invece affidato a uno show digitale molto discusso, al tempo stesso giocoso e velatamente critico: lo compongono un cartoon in cui la Maison invita i Simpson a sfilare a Parigi (Marge sognava da sempre di sfoggiare un abito Balenciaga, ma non poteva permetterselo) e un défilé sotto forma di red carpet, dove Vip o presunti tali indossano significativamente i capi della collezione Primavera Estate 2022. Questa edizione della Paris Fashion Week ha segnato anche il debutto di Charles de Vilmorin al timone creativo di Rochas e di Raf Simons alla sua prima collezione interamente femminile in collaborazione con Miuccia Prada, quella del marchio Miu Miu. Marine Serre si è servita di un corto (piuttosto controverso) per presentare le proprie creazioni; hanno optato per il digitale anche Cecile Bahnsen, Dries Van Noten, Situationist, Patou, Nina Ricci, Paul Smith, Issey Miyake, Andrw GN, Lutz Huelle, Germanier, Alexandre Vauthier, Anrealage, Dice Kayek, Zadig & Voltaire, Maison Margiela, Ungaro, Schiaparelli e Agnès B., per citarne solo alcuni. Ma passiamo ora alla selezione di VALIUM: il focus su quattro sfilate, e i relativi commenti, della Settimana della Moda parigina. Tra le belle e interessanti collezioni svelate nella Ville Lumière ho scelto quelle di Christian Dior, Givenchy, Valentino e Giambattista Valli.

 

DIOR

 

 

Maria Grazia Chiuri si interroga sul senso della moda ed esplora, al tempo stesso, la collezione Slim Look, che nel 1961 sancì l’esordio di Marc Bohan alla direzione creativa di Dior. Per completare la sua ricerca si avvale di una scenografia significativa: “Il gioco del nonsense”, riproduzione di uno dei celebri giochi da tavola (somiglia un po’ al gioco dell’ oca) creati da Anna Paparatti e realizzato dall’ artista stessa. Il nome non è un caso. “Penso che si debba accettare che la moda è un gioco”, spiega Maria Grazia Chiuri a VOGUE America; e “come in tutti i giochi, c’è una parte seria e una divertente”. La moda è un modo per esprimere noi stessi e per rappresentarci tramite l’abito, il fashion show la rappresentazione di questa rappresentazione: una sorta di arte performativa. La collezione è ricca di suggestioni Mod e ispirate alla Pop Art, agli anni ’60. Il rimando all’ estetica di Marc Bohan è evidente. Prevalgono linee nette, in puro stile Swinging Sixties, lunghezze mini, un color block che sottolinea le forme ed i volumi. La palette cromatica privilegia l’ arancio, il verde, il giallo, il rosso, il rosa, alternandoli al bluette, al bianco e al nero. Anna Paparatti “incasella” il tutto negli spazi del suo “Gioco del nonsense”, che ne diventa la speciale e pregnante cornice. Non dimentichiamo che la Paparatti, negli anni ’60, apparteneva al giro che gravitava attorno al Piper Club di Roma, locale leggendario e ricco di fermento artistico, culturale, musicale. Nei suoi spazi, visivamente “grafici” e coloratissimi, si sperimentava anche un nuovo modo di vestire. Chiuri si rifà a quell’ humus per pensare alla moda del dopo pandemia: prende come riferimento i cappotti lineari, i mini tailleur con piccolo colletto a punta, gli abitini ad A e con lunga zip frontale, avvicendandoli a look in tessuti hi-tech simili alle tenute esibite dai pugili durante un match, oppure ad outfit composti da bralette e minigonne in fantasie “jungle”, oppure ancora ad evening dress in stile impero ornati da grandi fiocchi. Abbondano i bermuda, gli shorts, fanno la loro comparsa miniabiti che rivisitano il look “Space Age” in un tripudio di frange argentate…Ma non c’è alcun indizio nostalgico, in questa rilettura. Il nuovo attinge al passato cogliendone l’ effervescenza creativa, l’ ottimismo, la giocosità. Delle basi da cui rinascere, in cui il “nonsense” acquista un senso profondo. 

 

 

GIVENCHY

 

 

La sfilata di Givenchy ha luogo su un pavimento ovale, completamente bianco, de La Defénse Arena: la location ideale per mettere in risalto una collezione sorprendente. Si inizia con una serie di look total black in neoprene, bolerini e corsetti ingentiliti da volants e ondulazioni accompagnati a minigonne ricche di sovrapposizioni. E’ costante la presenza di cuissardes in pelle altissimi, che inguainano le gambe pressochè per intero, e di zip frontali molto in linea con il tessuto hi-tech. L’allure è grintosa, sfrontata, quasi da dominatrice, le lavorazioni sono accuratissime e decisamente Couture. A partire però da un outfit rosso ruggine, dove la maglia a costine sfocia in una miniskirt “danzante” e i cuissardes si declinano in morbido camoscio, la collezione prende una piega più soave: nuove versioni dei look di esordio adottano nuance quali il beige, il grigio perla e il verde pastello, sfilano culotte in pizzo abbinate a una giacca strutturata e fascianti long skirt in tulle, con tanto di gorgiera in vita, adornate di ricami sparkling. Le linee alternano armonia e rigore, esaltando quest’ ultimo attraverso svariate giacche sleeveless e minimali. E’ a quel punto che la collaborazione di Matthew M. Williams con l’artista newyorchese Josh Smith si palesa. I suoi disegni risaltano su una maglieria multicolor tempestata di frange, capispalla dal sapore activewear, pull in knitwear con una manica che penzola a effetto sciarpa. I cuissardes, in vernice o camoscio, diventano parte integrante degli outfit. A concludere la sfilata, da cui si sprigiona un mood che coniuga seduttività e audacia, sono mise che riprendono le caratteristiche di quelle di apertura, però reinterpretate in color panna: i cuissardes si declinano esclusivamente in camoscio e i look acquistano accenti più romantici pur senza affievolire il coté strong. Il cerchio si chiude, ma la grinta imperante non viene meno.

 

 

VALENTINO

 

 

Anche Pierpaolo Piccioli ha riflettuto a fondo sul futuro della moda post-pandemia. Mai più torri d’avorio, esclusività ad oltranza, lusso per pochi privilegiati: queste le conclusioni scaturite dalle sue meditazioni. Il risultato è una collezione che rispecchia i nuovi valori della Maison Valentino, una splendida fusione tra l’ heritage più iconico e un mood estremamente rilassato e disinvolto. Aleggia un sapore anni ’70, riferito in particolare agli inizi della decade: l’ epoca, tanto per intenderci, in cui furoreggiavano icone unconventional quali Jane Birkin, Veruschka o Talitha Getty. Le linee delle creazioni sono fluide, i volumi ampi e fluttuanti. Predominano lunghe mantelle, long dress plissettati che ondeggiano a ogni passo, camicie sbottonate e con maniche che coprono l’ intera mano, bermuda abbinati a bluse talmente comode da somigliare a dei parka, e poi caftani, mini poncho…tutti rigorosamente accompagnati da sandali rasoterra alla schiava con lacci dorati che arrivano al ginocchio: una calzatura cult dell’ era già citata. Non è un caso che siano presenti capi ispirati all’ archivio Valentino di fine anni ’60: il miniabito bianco che apre la sfilata, con lunghi polsini plissé e una cascata di applicazioni floreali, rievoca quello della collezione “Total White” (1968) in cui fu immortalata Marisa Berenson, il cappotto tigrato che sfiora il pavimento rimanda al capospalla indossato da Veruschka nel 1969…Piccioli fa rivivere lo stile di un passato che la “Generation Z”, a cui si rivolge, non ha mai conosciuto, ma che troverà sorprendente nella sua reinterpretazione. La palette cromatica e gli accostamenti dei colori, come sempre, sono a dir poco mozzafiato: il viola ricorre alternato al giallo, al verde, al marrone, all’ oro, al fucsia, al bronzo, al rosso Valentino, sebbene il bianco e il nero non manchino. Colpiscono le policromie di turchese + verde, turchese + marrone e magenta, violetto + marrone, giallo + marrone + violetto. La collezione, inoltre, è stata esaltata da uno show pieno di significato. I modelli e le modelli, dopo aver sfilato nella location del Carreau du Temple, si sono riversati per strada, a portare la moda tra la gente. Avanzavano lungo la via adiacente all’ antico mercato coperto, davanti al folto pubblico che sedeva fuori dai café, generando un clima di partecipazione umanime. Pierpaolo Piccioli è riuscito alla perfezione nel suo intento: creare una moda viva, portabile, che coniuga un’ alta qualità sartoriale e uno chic spigliato. Una moda vibrante, proprio come questa collezione.

 

 

GIAMBATTISTA VALLI

 

 

La pandemia di Covid ha segnato un punto di svolta anche nella moda. La maggior parte dei designer si è concentrata sul cambiamento determinato da questa drammatica esperienza, ognuno reagendo a proprio modo. Giambattista Valli ha pensato ad una collezione di rinascita, inneggiante alla bellezza: dopo mesi di lockdown casalingo, chi non vorrebbe dire addio alle felpe e ai pigiami multiuso? Così, negli spazi più raccolti del Musée d’Art Moderne de Paris, ha presentato creazioni completamente all’ insegna della femminilità e del romanticismo. I look rievocano nuvole impalpabili, delineano un’ allure eterea ma anche molto sensuale. Gli orli spaziano dal corto al lungo, sia rasoterra che a metà polpaccio, le linee fasciano il corpo oppure si svasano in una corolla voluminosa. Ruches, ricami e fantasie floreali predominano, impreziosendo outfit composti da bralette e gonna o da abiti intrisi di grazia e charme. Il tulle e il pizzo sono materiali ricorrenti, arricchiti non di rado da accenti see-through. Svariati look sfoggiano bordure oro, altri sono ornati da un tripudio di piume; la femminilità viene accentuata da decori di perle e di cristalli. Un mood seduttivo permea tutte le creazioni, declinandosi in lunghe gonne asimmetriche forgiate da balze in tulle e in trasparenze con lingerie “a vista”. Ma anche i pantaloni trovano spazio, nel romanticismo intrigante della collezione: Valli li propone ampi, a vita alta, e li abbina a magliette in pizzo all over o al crop top. Gli accessori completano mirabilmente ogni look. I sandali gioiello fanno pendant con gli orecchini in pietre e strass, copricapi come un fez e un fazzoletto piumato annodato sulla nuca la fanno da padroni. I colori sono pastello, ma con “intermezzi” strong: trionfano il rosa delicato, il bianco e il lilla avvicendati al rosso, al corallo, al verde, al nero e al rosa acceso.

 

 

 

Frida-Kiza di Fabiola Manirakiza: un nuovo Rinascimento che parte dalla Milano Digital Fashion Week

 

L’ ascesa di Frida-Kiza nel fashion world è inarrestabile. Il marchio fondato da Fabiola Manirakiza, nata in Burundi ma fabrianese d’adozione (e quindi mia concittadina), sta facendo molto parlare di sè anche per la recente partecipazione alla Milano Digital Fashion Week. Una presenza, la sua, legata ad un progetto d’eccezione: “The Fab Five Bridge Builders”, l’ iniziativa con cui il gruppo di lavoro composto da Stella Jean, Edward Buchanan, Michelle Francine Ngonmo e la Camera Nazionale della Moda Italiana ha supportato e promosso il lavoro di cinque talenti di origine africana residenti ormai da anni in Italia. Il team, oltre a Frida-Kiza, comprendeva le griffe Gisfab di Claudia Gisèle Ntsama, Joy Meribe di Joy Ijeoma Meribe, Mokodu di Pape Mocodou Fall e Karim Daoudi dello stilista omonimo. La Camera della Moda  ha allestito una piattaforma on line dove i cinque brand hanno avuto l’ opportunità di svelare le loro collezioni Autunno Inverno 2021/22 ottenendo una visibilità internazionale. Il progetto, nato allo scopo di sottolineare i valori della multiculturalità e dell’ inclusione, ha riscosso un successo enorme. Ispirazioni, suggestioni e stili esotici si sono fusi con la quintessenza del Made in Italy in un connubio affascinante, che ha catturato immediatamente l’ interesse del pubblico e degli addetti ai lavori. Fabiola (rileggi qui la sua precedente intervista  con VALIUM), che ha fondato il marchio Frida-Kiza nel 2016, ha presentato una capsule in cui la sua cifra stilistica si coniuga con motivi di decisa matrice africana. Tailleur, pajama suit, chemisier e minidress alternano fantasie e colori intensi tipici del Continente Nero – tra i capi più iconici spicca un coat-chemisier rosso carminio adornato di arabeschi bianchi – ad una stampa in black and white che rielabora la “Primavera” del Botticelli alla luce del fil rouge tematico delle creazioni: durante i tempi duri del lockdown, Fabiola auspica a un post-pandemia contraddistinto dall’ inizio di una nuova era, un nuovo Rinascimento che coinvolga non solo l’ Italia, bensì il mondo intero. Estimatrice dell’ arte italiana, la designer ha assurto questa passione a cardine di tutte le sue collezioni, dove la omaggia e la reinterpreta a seconda dei motivi ispiratori. Il gusto per il colore, sempre vibrante, riconduce al continente da cui Fabiola proviene: è un’ esplosione di vitalità (mai sopra le righe) esaltata da una donna indipendente e raffinata, che ama l’ eleganza ma non trascura il comfort per affrontare agevolmente la vita quotidiana. Ho incontrato Fabiola Manirakiza perchè volevo saperne di più sulla sua partecipazione alla Milano Fashion Week, sulla sua collezione Autunno Inverno 2021/22 (che potete ammirare nelle immagini di questo post) e su molti altri argomenti ancora. Qui di seguito, la nostra chiacchierata.

La tua partecipazione al progetto “The Fab Five Bridge Builders”, curato da Stella Jean, Edward Buchanan, Michelle Francine Ngonmo insieme alla CNMI, ti ha visto protagonista alla Milano Fashion Week insieme ad altri 4 designer di origine africana. Cosa puoi raccontarci di questa esperienza, che ha ottenuto, peraltro, un ottimo riscontro?

Si è trattato di un’ esperienza unica e importante. La sfilata per la Fashion Week e’ stata inserita nel calendario della Camera della Moda ottenendo una visibilità mondiale.

L’ Africa, nelle tue creazioni, riaffiora soprattutto attraverso i colori. Sono colori collegati a particolari ricordi, sensazioni, scenari del tuo Paese? Se sì, raccontaci quali.

Nelle mie creazioni cerco sempre di unire colori e cultura dei miei due mondi, l’ Africa e l’ Italia.

 

Fabiola Manirakiza in uno scatto molto primaverile

Nella collezione Autunno/Inverno 2021/22 di Frida-Kiza predomina un tripudio di stampe, di fantasie paesaggistiche e floreali. Le stampe, in particolare, si rifanno alla “Primavera” di Sandro Botticelli. Come è nata la tua ispirazione?

L’ arte italiana mi affascina da sempre! La “Primavera” del Botticelli, che è un’opera rinascimentale, mi ha dato l’ ispirazione. Ho immaginato una rinascita universale conseguente alla pandemia di Covid.

Che procedura hai seguito per la realizzazione di queste stampe? Esiste una tecnica, un processo di lavorazione ben preciso?

Sono state eseguite a mano,  passando poi a un procedimento digitale per la realizzazione della stampa finale.

 

 

 

Perché la scelta del bianco e nero?

In quel momento, erano i colori che mi ispiravano di più.

Durante il lockdown, mi hai raccontato, hai auspicato all’ avvento di un nuovo Rinascimento post-pandemia. Come si concretizzerebbe un’eventuale rinascita nello stile di Frida-Kiza?

Seguici e vedrai! (sorride, ndr.)

 

 

Che tipo di donna avevi in mente, mentre creavi la capsule che hai presentato a Milano?

La donna Frida,  naturalmente: contemporanea, sempre al passo con i tempi e attenta al mondo che la circonda.

 

 

 

L’ arte italiana è un motivo ricorrente nelle tue creazioni. Come è sorta questa tua passione e quali artisti (o movimenti artistici) ti affascinano maggiormente?

Non ho particolari preferenze, amo gli artisti e l’arte italiana in generale.

I fiori, i piante e la natura in genere sono un altro filo conduttore delle stampe che impreziosiscono i look di Frida-Kiza. Il motivo ispiratore è associato solo a riferimenti artistici o si tratta anche di una sorta di “dichiarazione d’amore” nei confronti del creato?

Sono riferimenti artistici, ma anche un modo per sensibilizzare le persone all’amore per la natura e per valorizzare, al tempo stesso, la bellezza nascosta della donna Frida.

Potresti anticiparci qualcosa dei tuoi progetti più imminenti?

Per il futuro abbiamo tanti progetti, ma mi riservo di svelarli a tempo debito…

 

 

 

 

Photos courtesy of Frida-Kiza