“Sogno dunque sono”: incontro con Antonia Sautter, regina della creatività Made in Venice

 

Dire “Carnevale di Venezia” equivale a dire “feste”: sontuose, spettacolari, intrise di fascino e di suggestioni oniriche. Balli in maschera che sono un inno alla fantasia, ad un passato opulento come lo fu il ‘700 della Serenissima, a un’ eleganza fastosa ma estremamente raffinata. E dire “feste”, nella Venezia carnascialesca, equivale a dire “Ballo del Doge”. Vanity Fair lo ha definito “il più esclusivo al mondo”, e non a torto: allestito nella meravigliosa cornice di Palazzo Pisani Moretta, gioiello gotico affacciato sul Canal Grande, è senza dubbio l’ Evento per eccellenza. Definirlo “festa in maschera” sarebbe riduttivo. Partecipare al Ballo del Doge è inoltrarsi in un sogno, un regno palpitante di colori, emozioni, luci, suoni, un luogo incantato dove la realtà lascia spazio all’ immaginazione più squisita. Ogni angolo del Palazzo viene impreziosito da decorazioni sofisticatissime, sul palco si alternano fiabesche performance di artisti straordinari e gli ospiti, anzichè limitarsi ad assistere alla magia che prende vita a poco a poco, diventano gli autentici protagonisti della soirée. Per avere un’ idea dell’ atmosfera del Ballo, basta leggere i titoli e i temi assegnati alle sue edizioni: “…Because Dreaming is an Art” (2014), “Cupid in Wonderland” (2015), “The Secret Garden of Dreams” (2016), “The Magnificent Ephemeral – In praise of Dream, Folly and Sin” (2019), solo per citarne alcuni. L’ ideatrice di questo happening internazionale, un vero e proprio evento artistico oltre che mondano, è Antonia Sautter. Nata nel capoluogo del Veneto da padre tedesco e madre veneziana, Antonia riunisce in sè il pragmatismo teutonico e il gusto per il bello insito nel DNA degli abitanti della città lagunare. Il suo aspetto è nordico (occhi azzurri, capelli lunghi e biondissimi), la sua anima creativa allo stato puro. Si definisce “un’ artigiana sognatrice”, e ha diramato questa dote in più direzioni: la realizzazione di splendidi costumi ed accessori fatti a mano, l’ organizzazione di eventi luxury e, naturalmente, la direzione artistica del prestigioso Ballo del Doge. Era ancora una bambina quando, affascinata dalle abilità sartoriali di sua madre, iniziò a creare abiti. Da allora, lasciando la fantasia a briglia sciolta, ha intrapreso un percorso che anni dopo l’ avrebbe portata a fondare la Antonia Sautter Creations & Events. Il suo Atelier nel cuore di Venezia, poco distante da San Marco, è una sorta di “wunderkammer” del savoir faire artigianale. Costumi principeschi, compresi quelli d’ epoca realizzati per il Ballo del Doge, convivono con parrucche barocche, scarpine vellutate, sfarzosi kimono e borse ornate di arabeschi. Affianca il tutto un tripudio di preziose stoffe, stampe handmade e ricami finissimi, che utilizza per la creazione dei suoi accessori e della sua linea moda: entrambi, sono composti rigorosamente da pezzi unici. L’ ispirazione attinge perlopiù a Venezia, privilegiando velluti, damaschi, sete e broccati. La creatività, leitmotiv di una vita vissuta sulle ali del sogno, è valsa ad Antonia Sautter molteplici riconoscimenti, compresa l’ onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana di cui è stata insignita nel 2012. Affascinata dal suo talento e dal suo eclettismo (in qualità di costumista ha collaborato anche con svariate produzioni teatrali e cinematografiche), ho voluto fortissimamente ospitarla nel mio blog. Dal nostro incontro è scaturita l’ intervista che segue: una conversazione in cui sarà l’ icona veneziana stessa a raccontarsi e a raccontare la sua arte.

Pensare a Antonia Sautter e pensare a Venezia è un po’ un tutt’uno. Come definirebbe il suo rapporto con la città lagunare?

Sono nata e cresciuta a Venezia. Questa città è sempre stata per me un’ inesauribile fonte di ispirazione. Venezia non smette mai di stupirmi, di emozionarmi, di incantarmi. È la mia città, la sento nell’anima e la vivo da cittadina, luogo in cui ho scelto di rimanere proprio per la sua unicità, esempio unico di forza e resilienza e habitat naturale in cui coltivare le mie creazioni e ideare nuovi progetti. Non potrei immaginare di vivere in un altro luogo. Non ho mai ceduto alla comodità della terraferma e nonostante i disagi spesso affrontati negli anni soprattutto per l’acqua alta, niente potrà mai allontanarmi da questa città che amo profondamente.

 

Antonia Sautter al lavoro nel suo magico Atelier

Dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Università Ca’ Foscari si è trasferita a New York, dove ricopriva il ruolo di amministratore unico di Venezia Mode (azienda leader nella distribuzione della moda Made in Italy). Cosa le mancava di più della Serenissima, quando viveva negli Stati Uniti?

Mi mancavano i tramonti, le passeggiate lungo le mie amate “Zattere”, i riverberi della laguna, il suo speciale ritmo in cui il tempo sembra avere più valore, tutta quell’atmosfera di Venezia che io vivo come un grande abbraccio.

La nascita del Ballo del Doge, il prestigioso evento che ha lanciato nel 1994, è associata ad una storia decisamente affascinante. Potrebbe raccontarcela?

Il Ballo del Doge nasce a Venezia nel 1994. A quel tempo avevo un mio piccolo negozio di artigianato veneziano dove vendevo le mie creazioni. Per una serie di circostanze inaspettate entrò Terry Jones, storico membro dei Monty Python, attratto dai piccoli e colorati pezzi di artigianato che realizzavo. Mi parlò di un docu-film per la BBC dedicato alla quarta Crociata. Si trattava di riscostruire un viaggio nella storia di Venezia e, con intraprendenza e un pizzico di audacia, convinsi Terry Jones ad affidarmi parte dell’organizzazione. Misi alla prova la mia creatività, cimentandomi nella realizzazione dei costumi, delle scenografie e dei set per le riprese televisive, coinvolgendo amici e conoscenti da tutta Europa in un’impresa che, senza saperlo, avrebbe segnato il mio destino. Parte del programma consisteva nel mettere in scena una grande festa in un prestigioso palazzo veneziano. Fu un tale successo che gli amici, coinvolti nel progetto, mi incoraggiarono a realizzare, l’anno successivo, una nuova festa. Mi piace pensare che quello fu il primo Ballo del Doge che, da quel momento, ha avuto luogo ogni anno a Venezia l’ultimo sabato di Carnevale diventando una vera e propria produzione artistica, una nuova tradizione, oggi conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo.

 

L’ opening del Ballo del Doge 2020

 

Parlando di sé stessa, ha tramutato la nota locuzione di Cartesio “Cogito ergo sum” in “Somnio ergo sum”. Come è sorto, in lei, questo gusto per il sogno, per il viaggio in altre epoche, per la sontuosità e la fiaba?

C’è una frase di un autore a me molto caro, Paulo Coelho, “Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni”: questa frase esprime perfettamente il mio rapporto con i sogni e il mio modo di vivere la vita. Ognuno di noi cresce con il desiderio di realizzare i propri sogni e io credo di esserci riuscita. Questo lo devo, in primis a Il Ballo del Doge, ma anche a tutta la mia attività creativa che, basandosi sulla tradizione veneziana, mi ha portata ad aprire un Atelier, a creare una linea moda e a specializzarmi in grandi eventi. Un lavoro fatto di tanta passione, tenacia e creatività unite nel mettere in scena uno spettacolo che alza il suo sipario per una notte soltanto. Il Ballo è un luogo dove il tempo è sospeso e lo spazio perde i suoi confini reali. Mi piace definirlo “Il Sogno” perché non rappresenta soltanto il mio, ma è anche quello di tutti coloro che ogni anno scelgono di sognare insieme a me, siano essi ospiti o collaboratori. “Il Sogno” perché ognuno è libero di vivere questa esperienza nel modo in cui preferisce, esprimendo i propri desideri, le proprie aspirazioni attraverso l’arte del travestimento che riesce a svelare la vera essenza di ognuno di noi. A me piace pensare che chiunque scelga di partecipare al Ballo scelga di entrare in una dimensione onirica in cui tutto è possibile…o quasi.

 

Antonia Sautter sul palco del Ballo del Doge 2018

È appassionata di ricerca creativa, di savoir faire artigianale e delle sue espressioni più antiche, soprattutto rispetto ai tessuti e alle tecniche di lavorazione. Indicativo è il fatto che, a pochi passi da San Marco, abbia fondato un Atelier in cui vengono realizzati dei preziosissimi abiti e accessori su misura. Potrebbe dirci qualcosa in più al riguardo?

Mi considero una paladina del Made in Venice. Le mie creazioni, sia la linea moda che i miei abiti storici ed allegorici, sono interamente realizzati a Venezia. Il mio Atelier proprio dietro Piazza San Marco custodisce oltre 1.500 costumi, da me disegnati e creati per gli artisti del Ballo e per gli ospiti in oltre trent’anni di attività, tutti rigorosamente fatti a mano nel mio laboratorio a Venezia. Sono costumi di tutte le epoche e stili, da me reinterpretati in chiave fashion-glam. Non solo, quindi, costumi d’epoca filologicamente ispirati, ma anche allegorici, frutto della mia fantasia. Sono questi ultimi i costumi più scenografici e quelli a cui sono maggiormente affezionata: i miei abiti scultura, uno dei quali, Venetia, Regina dei Mari, è stato anche esposto alla Biennale d’Arte di Venezia nel 2017. L‘Atelier è aperto tutto l’anno, su prenotazione, ai visitatori che vogliano provare l’emozione di indossare una delle mie creazioni e magari realizzare un servizio fotografico per immortalare questa esperienza unica. Oltre ai costumi, ho un’altra grande passione che ho coltivato nella mia fucina tutta veneziana, un laboratorio artigianale dove realizzo la mia linea moda. Reinterpretando antiche tecniche di tintura e di stampa a mano, nascono collezioni immediatamente riconoscibili per la particolarità dei dettagli come le stelle che richiamano la Torre dell’Orologio di Piazza San Marco, il gotico fiorito delle trifore della Ca’ D’Oro, i fregi bizantini che si rincorrono sulle facciate dei palazzi e molti, molti altri ancora, tra cui le libellule simbolo di armonia, di amore, di trasformazione come realizzazione del sé al femminile e di libertà. La creatività al femminile è proprio per me sinonimo di libertà. Questi disegni vengono incisi con una sgubbia su tavolette di legno o linoleum e poi, assestando dei colpi di martello sullo stampo, prendono vita ricami indelebili dai colori scintillanti su velluto o seta pregiata. Sono capi di alta manifattura in edizione unica, interamente fatti a mano e decorati uno a uno. I materiali utilizzati sono morbidi velluti e sete cangianti. La collezione comprende abiti da sera, borse, scarpe, kimono, accessori e complementi per l’home decor come cuscini e puff, cornici per specchi, ventagli e arazzi. Tutto personalizzabile su richiesta del cliente. Ciascuna creazione comporta ore di attento lavoro e di studio: della giusta combinazione per trovare la nuance di colore perfetta, della scelta del velluto adatto, della realizzazione degli stampi attraverso i quali verranno realizzati i disegni sui tessuti. Pazienza, concentrazione, grande precisione e manualità sono le modalità con cui lavoro io, assieme alle mie sarte. Le mie creazioni sono disponibili al Venetia, il mio piccolo negozio-atelier situato dietro Piazza San Marco oppure nel nuovo e-commerce Antonia Sautter Boutique (https://antoniasautter.boutique/).

 

L’ abito “Venetia”, realizzato interamente a mano come ogni creazione di Antonia Sautter

Un novero di meravigliosi abiti d’epoca rende ancora più suggestivo l’ Atelier dell’ icona del “Made in Venice”

Il Ballo del Doge viene considerato l’evento mondano più esclusivo a livello internazionale. Come sceglie, di volta in volta, i temi che caratterizzano la festa?

La stampa, i media e gli ospiti che si sono susseguiti negli anni lo hanno definito il più sontuoso, raffinato ed esclusivo ballo in maschera del mondo, una delle dieci cose che tutti dovrebbero fare almeno una volta nella vita. La mia ispirazione per ogni edizione de Il Ballo del Doge nasce dai miei sogni di bambina, dall’immaginario che mia mamma stimolava con la sua inesauribile creatività. E anno dopo anno è diventato una straordinaria produzione, un vero happening internazionale. Durante i lunghi mesi di preparazione per il Ballo già penso a come vorrei realizzare il successivo. L’ispirazione per me nasce proprio nel momento di massima operosità, quando sono immersa nel mio lavoro e circondata dai miei collaboratori. Quelli sono i momenti per me più preziosi e delicati. Attimi in cui per esempio dall’ascolto di un brano da sposare ad una nuova coreografia, la mia mente mi regala immagini e suggestioni che mi danno un’idea per il Ballo che verrà. Così inizio a pensare, ideare, realizzare bozzetti e personaggi per la nuova edizione. Per tradizione i temi del Ballo sono 3 e vengono declinati a seconda della narrazione scelta. I peccati capitali, l’amore eterno, il giardino dell’ Eden, una celebrazione di Venezia. Insomma, ogni anno la mia creatività, che corre a briglia sciolta, mi porta in territori sconosciuti nei quali non ho paura di addentrarmi e, attraverso la disciplina che mi caratterizza, riesco a domarla realizzando il mio sogno, Il Ballo del Doge.

 

Alcuni scatti che testimoniano la preziosità e la scenografia fastosa e accuratissima del Ballo del Doge

Sempre a proposito del Ballo del Doge, esistono aneddoti o VIP che ricorda in modo particolare e di cui vorrebbe parlarci?

Tante sono le personalità, gli imprenditori e le star dello sport che negli anni hanno scelto di vivere l’esperienza de Il Ballo del Doge. Spesso questi ospiti scelgono di uscire dagli schemi e utilizzano l’arte del travestimento che permette di giocare con sé stessi. C’è chi sceglie il totale anonimato coprendo il proprio volto completamente e chi invece vuole vestire panni insoliti o eccentrici. Ricordo con piacere una personalità del mondo musulmano, che volle vestirsi da Papa.

 

Costumi sfarzosi, atmosfere da sogno, artisti che coniugano la Commedia dell’ Arte con la fiaba…Il Ballo del Doge è tutto questo e molto altro ancora

A causa della pandemia di Covid, stiamo vivendo uno dei periodi più drammatici della nostra storia. Il lockdown ha determinato anche la sospensione delle favolose feste del Carnevale veneziano. Cosa pensa di questa situazione, sicuramente penalizzante? Una rinascita secondo lei è possibile o rimarremo ancorati al virtuale ancora a lungo?

Il Ballo del Doge nel 2020 celebrava la sua ventisettesima edizione giusto in tempo prima che calasse il sipario sul mondo della creatività, della fantasia, dello spettacolo in genere. Quest’anno non ho potuto mettere in scena il Ballo a causa delle restrizioni imposte per la tutela della salute pubblica. Tutti i miei ospiti, ormai per me diventati anche amici, mi hanno sostenuta e appoggiata in questo difficile momento. Il Ballo del Doge non è solo un evento mondano, ma una grande macchina lavorativa che coinvolge per molti mesi dell’anno tanti giovani. Runner, montatori, tecnici del suono e delle luci, vestieriste, truccatori, costumisti, sarti, facchini, attori, cantanti, ballerini, fotografi, operatori video, figuranti e molti altri. Una popolazione che conta su questo evento e su di me. Un evento di livello internazionale che permette loro di valorizzare il proprio mestiere, qualunque esso sia, di mettersi in mostra davanti ad un pubblico prestigioso. La sospensione è stata un duro colpo per me soprattutto pensando a tutti loro. Ho cercato però, il più possibile, di continuare a lavorare, a creare, insieme ai membri più stretti del mio team. Per fare in modo che il sogno non si fermasse, non si spegnesse la fiammella della fantasia. Siamo pronti a portare in scena una nuova magnifica favola, quando sarà il momento giusto. E garantisco fin d’ora che metterò tutte le mie forze affinché sia uno spettacolo da ricordare.

Il Ballo del Doge, in occasione del 1600simo anniversario della fondazione di Venezia, si è svolto in una speciale edizione virtuale incentrata su una serie di tableaux vivants ai quali hanno preso parte svariati artisti e performer. Che può raccontarci di questa iniziativa?

L’iniziativa realizzata per Fliggy (piattaforma travel di Alibaba) era parte di una più ampia serie di collaborazioni con attrazioni turistico-culturali in tutta Europa. Musei tra i più celebri al mondo come Il Louvre, Il Prado e il British Museum, avevano già realizzato live streaming attraverso questa piattaforma per continuare a tenere i riflettori accesi sul mondo dell’arte in questo periodo di chiusura. È stata un’opportunità molto importante e preziosa per me. Abbiamo regalato al pubblico cinese un Ballo del Doge a portata di smartphone con oltre 40 performers del mio cast artistico, che mi hanno accompagnata in un percorso di narrazione per presentare, attraverso i tableaux vivants da me ideati, Venezia e la tradizione del suo Carnevale. Le iniziative digitali, come la diretta live-streaming con Fliggy, sono occasioni perfette di visibilità e massima diffusione per continuare a tenere alta l’attenzione sull’arte, la cultura e la magia del Carnevale e di Venezia in tutto il mondo. L’evento con Fliggy è coinciso anche con i festeggiamenti per l’anniversario dei 1600 anni di Venezia. Un’occasione unica per ricordare al mondo la bellezza e la storia immortale di questa nostra meravigliosa città.

 

Gli artisti che si esibiscono durante l’ evento contribuiscono ad accentuarne l’incanto

Ha già deciso il tema su cui si focalizzerà il prossimo Ballo del Doge? E quale edizione, a tutt’oggi, ricorda con maggior soddisfazione?

Ho già scelto il titolo per la ventottesima edizione che sarà “Amor Opus Magnum”, ovvero l’amore è la grande ricchezza. La immagino come una rinascita, una festa straordinaria che si vestirà di nuovi colori per celebrare l’inizio di una nuova vita dove passione, creatività, tradizione, bellezza e arte troveranno nuovamente spazio per esprimersi in un’esplosione di joie de vivre e libertà. Ogni Ballo (e sono ormai 27!) è una nuova favola, legata a straordinari ricordi e densa di emozioni. Tutte le edizioni rappresentano l’espressione della mia creatività. Forse quella che ricordo con maggior affetto è stata “Il Ballo del Doge Rebirth and Celebration”, la venticinquesima edizione. Fu un traguardo simbolico, l’apoteosi dei festeggiamenti, ma anche una magica coincidenza: si celebrava infatti, nella stessa notte, anche il mio compleanno. Questo ha reso il tutto ancora più straordinario: 25 anni di Ballo del Doge, 30 anni di attività nella organizzazione di eventi e i miei 60 anni!

 

 

Per concludere, vorrei riaccendere i riflettori su Antonia Sautter. Sognatrice, creatrice, visionaria, amante del bello e…? Quale definizione aggiungerebbe, per completare la sua descrizione?

Sono una sognatrice…pragmatica e ottimista di natura. Ho sempre capito che per realizzare i sogni bisogna avere senso pratico e capacità organizzative, altrimenti rimarrebbero pura astrazione. Mi piace volare con la fantasia tenendo i piedi saldamente fissati al suolo. Sono costantemente alla ricerca della meraviglia e, curiosa di natura, mi piace mettere nelle cose quel dettaglio magico, in apparenza impercettibile, che fa la differenza e fa emozionare coloro che lo sanno cogliere. Sono tenace, al limite dell’ostinazione, e sono convinta che attraverso la volontà e l’applicazione si possa raggiungere qualsiasi traguardo. Dicono che sono coraggiosa e questo coraggio, forse, deriva dalla continua spinta ad osare che mi caratterizza. In concreto, sono una stilista di moda, designer di costumi d’epoca ma anche direttore artistico e organizzatrice di eventi. E a tutto questo voglio aggiungere, con fierezza, che sono donna! Fortemente convinta del valore aggiunto che il femminile possa portare nel mondo. Per me tutte le donne sono regine guerriere e affrontano ogni giorno con coraggio le loro piccole grandi sfide della vita. Da anni curo nel dettaglio e propongo, in diverse versioni, una sfilata spettacolo dove attraverso alcuni dei miei abiti dedicati alle grandi regine della storia e dell’immaginario, ripercorro uno straordinario universo femminile. Le regine storiche come Maria Antonietta, Caterina di Russia, Cleopatra, Teodora o quelle fantastiche come Titania, Sharazade, la Regina del Mare, la Regina dell’Amore, la Regina dei Peccati. Queste sono solo alcune delle personalità che ho scelto di portare in scena e a cui affido un messaggio di coraggio e di intraprendenza. Attraverso queste straordinarie protagoniste, della storia o dei sogni, cerco di esprimere le tante anime femminili che sono ancestralmente dentro ciascuna di noi. Un messaggio ad essere impavide e prendere consapevolezza dell’energia creatrice che ci caratterizza e ci rende uniche. Per non dimenticare mai che ogni donna è Regina nell’anima.

 

Abito “Caterina di Russia”

Antonia Sautter in una delle sue ricercatissime mise

Ancora una serie di scatti tratti da varie edizioni del Ballo del Doge

Abito “Veronica Franco”

Abito “Regina della Notte”

Abito “Cleopatra”

Antonia Sautter mentre rifinisce uno dei suoi spettacolari abiti d’altri tempi

I kimono, tra i capi più iconici dell’ Atelier

Night Blossom Pantuffe, slippers in velluto di seta stampato a mano impreziosite da finiture in oro e cristalli Swarovski

Venetia, la boutique a due passi da San Marco

Kimono platin con stampa giardino e insetti

Costumi d’epoca. Qui sopra: Caterina Cornaro, Giacomo Casanova e Maria Antonietta

Antonia Sautter nel suo regno

In queste immagini, dei magnifici pezzi appartenenti alla Home Collection

Due foto scattate sul red carpet della 77ma Mostra Internazionale d’ Arte Cinematografica di Venezia. Sfila “Venetia”, abito scultura di Antonia Sautter (nella foto, con tanto di mascherina gioiello), indossato per l’ occasione dall’ attrice Beatrice Schiaffino. L’ abito, in organza di seta, rappresenta Venezia attraverso i colori che evocano le albe del bacino San Marco. Le rose rimandano ai vortici dell’ acqua e il lungo strascico simboleggia il Canal Grande. “Venetia” è stato esposto alla Biennale d’Arte del 2017 nel padiglione Luxus come emblema dell’ artigianato d’ eccellenza veneziano.

 

All photos courtesy of Antonia Sautter Press Office

 

 

Tributo a Giulio Cingoli, Maestro del cartoon italiano

” Guardare un animatore mentre sta movimentando un personaggio è divertente perchè sul suo viso passano tutte le espressioni che sta disegnando. Il suo disegnare è una recita.”

Giulio Cingoli, da “Il gioco del mondo nuovo”

Milano, 1954, Piazza della Scala. Nella foto in bianco e nero Giulio Cingoli è ritratto di profilo, sullo sfondo di una coltre di nebbia.  Accanto a lui, Arnaldo Pomodoro in quel che si scoprirà essere un abile fotomontaggio: i due artisti si erano immortalati a vicenda nella cornice della piazza nebbiosa divenuta quasi onirica, irreale. Un’ immagine che potrebbe essere la metafora della vita di Giulio Cingoli, Maestro dell’ animazione italiana e creativo che ha ripartito il suo genio tra pubblicità, cartoon e regia. Giulio si è spento ieri, a 90 anni, nella Milano che aveva coronato il suo sogno oltre mezzo secolo prima:  nato ad Ancona dove lavorava all’ ufficio del Genio Civile, piantò baracca e burattini inseguendo il desiderio di diventare illustratore. Impresa non facile in un’ era che inneggiava al mito del “posto fisso”, tant’è che a suo padre fece credere, per anni, che nella città meneghina lavorasse come impiegato. E fu proprio tra le brume di Milano che trionfò “il pupazzettaro”, come lo chiamavano ad Ancona. A soli 26 anni divenne il primo “fornitore” RAI di cartoons e nel 1962 fondò lo Studio Orti, società di produzione e punto di riferimento per coloro che ruotavano attorno al cinema di ricerca ed alle nuove arti figurative. Il boom dello Studio Orti lo portò a lavorare con nomi del calibro di Zavattini, di Fellini (per il quale collaborò al Satyricon), a realizzare cartoons, documentari, film sperimentali e spot pubblicitari (ricordate il celebre spray che gli insetti “Li ammazza stecchiti”?). La sua liason con la TV proseguì con il lancio di programmi come Nonsolomoda, Videosera e, nell’ ’87, della RaiTre di Angelo Guglielmi.  Nel 2002 tornò al suo vecchio amore per l’ animazione dirigendo Johan Padan a la descoverta delle Americhe, film ispirato a un monologo di Dario Fo che riscosse grande successo a Venezia. Recentemente, Cingoli aveva trovato persino il tempo di dare alle stampe un libro autobiografico, Il gioco del mondo nuovo, pubblicato per i tipi di Baldini & Castoldi nel 1996. Ma nonostante il successo, nonostante i numerosi riconoscimenti ottenuti – il premio IBTS Immagina (1990 e 91), il premio Asifa alla carriera (1995), l’ Attestato di Civica Benemerenza del Comune di Ancona (2003), l’ inserimento nell’ elenco dei 100 marchigiani illustri del Resto del Carlino (2005), solo per citarne alcuni – il “pupazzettaro” non si tramutò mai in un “homo oeconomicus”: riaffiorano flash della sua aria svagata, delle sue continue divagazioni da artista e, al tempo stesso, della sua saggezza profonda. Quel che segue è un estratto dall’ intervista che mi concesse per Innovazione e tradizione, periodico edito dalla Fondazione Carifac e dalla Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, nel 2005.

Vive a Milano da ormai 53 anni. Quali ricordi, delle Marche, si porta dentro e cosa la colpisce della realtà marchigiana attuale?

Quando ci si separa da persone e territori, tornando si pretende che nulla sia cambiato. Mentre si accetta ogni sorpresa da terre sconosciute, non si accetta il luogo natio modificato. Dove si è nati si ritorna per recuperare cose perdute. Ma è solo una speranza perché il luogo dei ricordi, col tempo, si è tutto trasformato. La vita è un racconto di vita, come ci insegna il nostro poeta di Recanati: il racconto di vita è quello che riusciamo a percepire di noi stessi, sia che giriamo il mondo, sia che restiamo fermi dove siamo… Faccio fatica a non sovrapporre le immagini delle Marche stampate dentro di me, del mio tempo, con quelle viscerali vissute con me da sempre. Quando vengo nelle terre dell’infanzia e della giovinezza, mi guardo attorno per rinverdire i ricordi, ma non penso a una trasformazione. Tutto si riempie di tutto. Una cosa è certa, la nostra terra è accoglientissima e serena. Le rocce sul mare sono figurazioni nostalgiche e le colline raccontano una strana pace. La gente sembra tranquilla, ma da qui a una soddisfazione diffusa non mi misurerei. La felicità non è di moda.

Il manifesto del film “Johan Padan a la descoverta delle Americhe”

“Milano faticherà sempre a produrre cinema, sarà un cinema molto civile e umano (…) Il grande circo carnale si può fare solo dove soffiano venti caldi e stravolgenti.”, scrive ne ‘Il gioco del mondo nuovo’. Hai mai pensato di spingersi tra i venti di scirocco della capitale per avvicinarsi al cinema fatto di attori in carne ed ossa?

No. Fo mi ha fermato per strada e mi ha fatto la proposta per il ‘Johan Padan’, ma di cartoons si trattava. Purtroppo uno dei produttori si è messo in competizione contro me e Fo, nella speranza di poter firmare anche lui, come autore. I conflitti con questo produttore hanno creato molte difficoltà e gravi mutilazioni alle scene. Il cinema ormai è cresciuto su tecnologie sofisticatissime, al punto che un produttore può imporre soluzioni con le sue attrezzature digitali, ignorando le richieste della regia. Il risultato è un conflitto permanente. Io non ho lavorato con grandi attori, ma questo produttore mi ha fatto capire quanto è difficile governare un film.

Come è nata l’idea di adattare cinematograficamente proprio quel determinato testo di Fo?

Ho conosciuto Fo e Franca Rame in RAI, durante la sfortunata serie della ‘Canzonissima’ del ’62, ritenuta dalla RAI troppo politica. Da allora, ci siamo sempre frequentati. Io e Fo abitiamo nello stesso quartiere. Filmavo sempre i suoi spettacoli ed era fatale che prima o poi ci saremmo misurati con un lungometraggio.

La copertina de “Il gioco del mondo nuovo”

A Arnaldo Pomodoro la lega un solido rapporto di amicizia iniziato a Milano, ai tempi del vostro comune impiego al Genio Civile; entrambi, ‘emigrati’ dalle Marche perseguendo sogni e passioni. Cosa è rimasto, in voi, di profondamente marchigiano?

Arnaldo e io siamo stati legati da una preveggenza. Lui era geometra al Genio Civile di Pesaro, io geometra al genio Civile di Ancona. Le nostre vite si sono incrociate più volte, ma non ci siamo mai incontrati. Poi, io ho chiesto il trasferimento al Genio Civile di Milano e lui pure. Qui ci siamo incontrati, quasi come se tutto il resto fosse stata una premonizione: a Milano, abbiamo contemporaneamente lasciato l’ufficio del Genio Civile e abbiamo costruito i nostri studi. Sempre unito l’uno all’altro. Arnaldo ha fatto un percorso straordinario e io l’ammiro molto, siamo legati da tutto…

In che modo pensa che la vostra ‘marchigianità’ vi abbia supportato (o meno) nella ricerca dell’affermazione professionale al di fuori della terra nativa? 

Nei bar di Brera, a Milano, dove si incontravano poeti, scrittori, pittori, scultori, attori, ecc. mi chiamavano ‘il pupazzettaro’, esattamente come ad Ancona. Tutto ci cambia attorno e per noi è una ginnastica infinita quella di modificarci. Mentre, contemporaneamente, tutto resta sempre come siamo.  Il pittore Cazzaniga, caro amico milanese, sceso a Portonovo per appropriarsi di una natura e di un clima estraneo a lui, ha portato a Milano quadri bellissimi di fiori e ambienti, come se fosse nato là. Poi, per nostalgia, la nebbia del nord l’ha risucchiato…La ‘marchigianità è un insieme di dolcezze e di misure. Penso le Marche come un genio dell’equilibrio, saggio (assieme all’Umbria), colto, ancora un po’ contadino, con una civiltà del vivere rara e non esibita. Non so se industrie manufatturiere troppo grandi non ne possano alterare lo stile di vita. Forse la mia distanza me la fa immaginare più dolce di quanto non sia, ma le terre natie si pensano e si sognano così.

Come vorrebbe essere maggiormente ricordato dai posteri? Regista, illustratore, cartoonist, pubblicitario o…?

Ad Ancona mi chiamavano ‘il pupazzettaro’. Spero di restare così.

 

 

Photo courtesy of Giulio Cingoli

Un ringraziamento alla Fondazione Carifac e a Veneto Banca per aver autorizzato la pubblicazione