Uva

 

Uva verde, uva matura, uva passa. Tutto non è che cambiamento, non per evitare di essere ma per diventare ciò che non si è ancora.

(Epitteto)

 

Lo spirito del duende

 

“Chi si trova sulla pelle di toro che si stende tra lo Jùcar, il Guadalfeo, il Sil o il Pisuerga (non voglio menzionare grossi corsi d’acqua vicino alle onde color criniera di leone agitate dal Plata), sente dire con relativa frequenza: “Questo ha molto duende”. Manuel Torres, grande artista del popolo andaluso, diceva a uno che cantava: “Hai voce, conosci gli stili, ma non avrai mai successo perchè non hai duende“. In tutta l’Andalusia, roccia di Jaén o conchiglia di Cadice, la gente parla costantemente del duende e lo riconosce con istinto efficace non appena compare. Il meraviglioso cantaor El Lebrijano, creatore della Debla, diceva: “I giorni in cui canto con duende, non mi supera nessuno”; un giorno sentendo Brailowsky che suonava un frammento di Bach, la vecchia ballerina gitana La Malena esclamò “Olé! Questo sì che ha duende“, e si annoiò con Gluck e con Brahams e con Darius Milhaud; e Manuel Torres, l’uomo con più cultura nel sangue che io abbia mai conosciuto, quando ascoltò Falla in persona che eseguiva il suo Nocturno de Generalife, disse questa splendida frase: “Tutto quel che ha suoni neri ha duende”. E non c’è verità più grande. Questi suoni neri sono il mistero, sono le radici che sprofondano nel limo che tutti conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da cui ci giunge quanto è sostanziale nell’arte. Suoni neri, disse l’uomo popolare di Spagna, e si trovò d’accordo con Goethe, che offre una definizione del duende quando parla di Paganini, e dice: “Potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega”. Ebbene, il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare. Ho sentito dire da un vecchio maestro di chitarra: il duende non sta nella gola; il duende monta dentro, dalla pianta dei piedi”. Vale a dire, non è questione di capacità, ma di autentico stile vivo; vale a dire, di sangue; di antichissima cultura e, al contempo, di creazione in atto. Questo “potere misterioso che tutti sentono e nessun filosofo spiega è, in definitiva, lo spirito della Terra, lo stesso duende che infiammò il cuore di Nietzsche, il quale lo cercava nelle sue forme esteriori sul ponte di Rialto o nella musica di Bizet, senza trovarlo e senza sapere che il duende che egli inseguiva aveva spiccato un salto dai misteri greci alle ballerine di Cadice o al dionisiaco grido sgozzato della siguiriya di Silverio. Ebbene, non voglio che nessuno confonda il duende con il demone teologico del dubbio, contro il quale Lutero, con sentimento bacchico, scagliò una boccetta di inchiostro a Norimberga, nè con il diavolo cattolico, distruttore e poco intelligente, che si traveste da cagna per entrare nei conventi, nè con la scimmia parlante che porta con sè il Malgesì di Cervantes nella Comedia de los celos y la selva de Ardenia. No. Il duende di cui parlo, oscuro e trepidante, è un discendente di quell’ allegrissimo demone di Socrate, marmo e sale, che lo graffiò indignato il giorno in cui bevve la cicuta, e dell’altro malinconico diavoletto di Cartesio, piccolo come una mandorla verde, il quale, stufo di cerchi e linee, andava sui canali per sentir cantare i grandi marinai indistinti.”

Federico Garcìa Lorca, da “Gioco e teoria del duende”

 

 

Che cos’è il “duende”, un termine che riecheggia costantemente nella cultura andalusa? Ho lasciato ampio spazio alla definizione di Federico Garcìa Lorca, esauriente e significativa. Perchè spiegare il duende a parole non è facile. Lo si associa di frequente al flamenco: un ballo che è puro pathos, una potente quanto autentica espressione di emozioni; in grado di suscitare stati d’animo molto intensi e una vibrante partecipazione. Il duende cattura lo spettatore con una travolgente miscela di passione, evocatività, carisma, feeling in dosi massicce. Un artista che ha duende tocca le corde della tua anima ed è capace di darti i brividi, di trascinarti nel vortice della sua straordinaria, innata abilità espressiva.

 

 

Il duende, per Garcìa Lorca, è lo spirito della terra: un potere misterioso e profondo che parte dalle viscere. E’ amore e morte, tragedia e commedia, scorre nel sangue ed ha radici antichissime. Il suo legame con il folklore andaluso è inscindibile. Basti pensare che se ne rinvengono le prime tracce nel “Cante Jondo”, lo straziante canto di matrice gitana accompagnato dalla chitarra. Le influenze arabe e persiane sono molteplici, affiancate a vocalizzi ancestrali e della tradizione liturgica bizantina. D’altronde, nel corso dei secoli, in Andalusia si sono avvicendate e fuse innumerevoli culture. “Tener duende” non ha nulla a che fare con i virtuosismi, con un’ esecuzione perfetta. E’ una passione che arde dentro, una dote quasi sacrale.

 

 

Ma perchè oggi pubblico queste riflessioni sul duende? E’ molto semplice: sono l’introduzione ad un articolo che vedrà protagonista l’Andalusia, in particolare un tema specifico inerente questa affascinante regione della Spagna del Sud. Stay tuned su VALIUM per saperne di più…

 

 

Foto della “bailaora” sotto il testo di Federico Garcia Lorca: Imbi24, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

 

Ricordi

 

” Questo luogo non ha mai avuto alcun rapporto né con me né con i miei antenati, ma chissà che un giorno non nasca fra noi uno stretto legame, un legame che si manterrà vivo per tutta la mia discendenza. Pensavo a ciò mentre salivo gli stretti scalini di pietra ricoperti di muschio sul retro della casa. Quella scalinata conduceva a uno spiazzo di circa sedici metri quadrati che non poteva essere sfruttato in altra maniera se non come punto panoramico. Ogni volta che venivo qui in cerca di solitudine, il silenzio a poco a poco mi penetrava nell’anima, liberava la mia mente da ogni pensiero, lasciando spazio solo alla bruciante nostalgia del passato. Di lassù era possibile cogliere con un solo sguardo la baia stretta dalla catena di montagne che accoglieva nel suo seno il villaggio sottostante. Al mattino e alla sera, dal molo situato ai margini partiva un piroscafo che collegava il paese con una grande città, l’irritante fischio del vapore si sentiva distintamente anche da qui. La sera il battello illuminato, piccolo quanto un ditale, puntava tenacemente al mare aperto. Osservando il tremolio delle sue luci, minuscole come la punta accesa di una bacchetta d’incenso, non potevo fare a meno di innervosirmi per la sua lentezza. Riflettevo spesso sui ricordi. Essi mi apparivano come oggetti insignificanti, di nessuna utilità, non altro che il guscio tolto alla vita trascorsa. A volte li scambiavo per gustosi frutti protesi verso il futuro, ma in realtà non erano altro che l’effimero conforto di esseri senza vigore, smarriti nel presente. Queste affermazioni così avventate, tipiche di una febbrile giovinezza, risalgono ad alcuni anni fa, quando molti pregiudizi influenzavano ancora i miei pensieri. Presto passai a riflessioni del tutto diverse. I ricordi diventarono per me la prova più essenziale del “presente”. Sentimenti come l’amore, la devozione, erano troppo duri perché riuscissi a individuarli nella realtà quotidiana, così avevo bisogno dei ricordi per riconoscerli, per capirne il giusto significato. I ricordi erano una sorgente che avevo trovato spostando mucchi di foglie, una sorgente che finalmente rispecchiava la volta celeste. “

Yukio Mishima, da “La foresta in fiore”

 

 

Buon Equinozio di Autunno

 

Prendi un filare di aceri in questa luce leggera e vedrai l’autunno incandescente attraverso le foglie …. La promessa di oro e cremisi è tra i rami, anche se per adesso si è realizzata solo su un ramo solitario, un cespuglio impaziente o un timido piccolo albero che non ha ancora imparato a cronometrare i suoi cambiamenti.

(Hal Borland)

Benvenuto, Autunno. Oggi, con l’Equinozio (dal latino “aequa nox” perchè le ore di luce e buio sono equivalenti), la nuova stagione fa il suo ingresso ufficiale. Ma perchè il 23 Settembre e non il 21, come si pensa comunemente? E’ presto detto. La durata dell’ anno siderale – il tempo che la Terra impiega, cioè, per compiere il suo giro attorno al Sole –  non combacia alla perfezione con quella dell’anno solare: quest’ ultimo conta 365 giorni, mentre l’anno siderale vanta circa sei ore in più. Si è cercato di ovviare alla disparità introducendo gli anni bisestili; le date in cui cadono gli Equinozi, tuttavia, non risultano sempre le stesse. Di conseguenza, quest’ anno l’ Autunno arriva con “due giorni di ritardo” rispetto alla data stabilita convenzionalmente. Il semestre oscuro ha avuto inizio alle 3.03 di stamattina. La natura si prepara al riposo invernale: il ciclo produttivo è giunto al termine, il fogliame si tinge di splendidi colori prima di staccarsi dai rami, gli animali cominciano ad accumulare provviste per sopravvivere al grande freddo. Nella mitologia greca, al principio dell’ Autunno Persefone scendeva nell’ Ade per ricongiungersi con il re degli Inferi. La terra iniziava ad assopirsi in attesa di rifiorire in Primavera, quando la dea riabbracciava la madre Demetra nel mondo dei vivi. I Misteri Eleusini, riti mistici segreti celebrati nella Grecia antica, erano incentrati proprio sul mito di Persefone e sul suo rapimento a opera di Ade. L’ Equinozio d’Autunno è un’ importante data di transizione. Secoli orsono, fu battezzato Mabon dai popoli pagani: così viene chiamato anche il Sabbat che lo rappresenta nella Ruota dell’ Anno.

 

 

Mabon è un condottiero della mitologia gallese; impersonifica il dio della caccia, della giovinezza e del raccolto. Secondo un’ antica leggenda, sua madre Modron lo rapì tre giorni dopo averlo partorito e lo racchiuse nel suo grembo: a causa di ciò, Mabon rimase eternamente giovane e fu soggetto a una costante rinascita. Riguardo a chi lo salvò dalla “clausura”,  le voci sono discordanti. Vengono citati di volta in volta Re Artù o suo cugino Cuhlwch, un’ aquila, un gufo e un salmone. Quando fu liberato, il figlio di Modron diffuse il suo alone di luce nel mondo. Mabon è il seme che feconda, che dà origine a una nuova vita. Durante l’ Equinozio d’Autunno, gli antichi popoli ringraziavano il dio per i doni della terra: non a caso,  i frutti del tardo raccolto costituivano le pietanze tradizionali di quella data. Esprimere gratitudine a Mabon e invocare la sua clemenza in vista del gelido Inverno erano azioni che implicavano una rigorosa condivisione del cibo.

 

 

Le caratteristiche dell’ Equinozio di Autunno si rispecchiano anche nel modo ideale di celebrarlo spiritualmente. Giorno e notte hanno la stessa durata: ciò ci sprona a ricercare un’armonia, a bilanciare gli opposti che convivono in noi.  L’ ultimo raccolto è appena stato effettuato, è il momento di fare bilanci. Analizziamo il nostro raccolto personale, valutiamone i frutti, formuliamo su di essi opinioni e considerazioni. Inizia un nuovo ciclo stagionale, la natura che si assopisce è un invito a fermarci a meditare. L’ Autunno è introspezione, un viaggio all’ interno di noi stessi; l’acquisizione di una consapevolezza scaturita dalle nostre riflessioni. E’ il periodo più adatto per porre fine a situazioni sterili voltando pagina con entusiasmo e propositività. Le vibrazioni cosmiche emanate dall’ Equinozio sono molto intense. Andrebbero assaporate immergendosi nella natura, approfittando di lunghe passeggiate nei boschi per inebriarsi davanti all’ oro e al rosso porpora del fogliame.

 

 

Ma potreste dare il benvenuto all’ Autunno anche tra le vostre quattro mura: adornate le stanze e la tavola con piante secche decorative, castagne, frutta secca, petali essiccati, foglie morte dalle incredibili cromie. Degustate alimenti tipici come i cereali, i legumi, le patate e le zucchine cotte al forno, le mandorle, le mele e le zucche, annaffiandoli con un buon vino; il pane più indicato è quello di semola o di frumento. Bruciate incenso ai petali di rosa, alla salvia, all’ ibisco, e organizzate una cena a lume di candela optando per un décor in tonalità autunnali come il il vinaccia, l’arancio e il marrone.

 

 

 

 

Versi

 

” Bisognerebbe saper attendere, raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza, e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide. Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente), sono esperienze. Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si aprono al mattino. Bisogna saper ripensare a itinerari in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell’infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando portavano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante profonde e grevi trasformazioni, a giorni in stanze silenziose e raccolte e a mattine sul mare, al mare sopratutto, a mari, a notti di viaggio che passavano con un alto fruscio e volavano assieme alle stelle – e ancora non è sufficiente poter pensare a tutto questo. Bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si rimarginano. Ma bisogna anche essere stati accanto ad agonizzanti, bisogna essere rimasti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori intermittenti. E non basta ancora avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando diventano sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, soltanto allora può accadere che in un momento eccezionale si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso. “

Rainer Maria Rilke, da “I quaderni di Malte Laurids Brigge”

Paris Fashion Week: flash dalle collezioni PE 2022

 

La Milano Fashion Week ci ha sorpreso con un gran finale: lo show di “Fendace”, ovvero Fendi visto da Versace e viceversa. Dal 28 Settembre fino al 5 Ottobre, poi, il popolo della moda si è trasferito a Parigi per assistere alla Fashion Week più lunga di tutte. In quasi dieci giorni di sfilate, sono state 97 le Maison che hanno svelato le proprie collezioni Primavera Estate 2022, di cui 37 in presenza e le rimanenti tramite corti, lookbook e filmati diffusi via web. A divulgarli sono stati, come sempre, i profili social dei vari brand e – non ultima – la Fédération de la Haute Couture et de la Mode, ma anche i défilé dal vivo si sono avvalsi del live streaming. La kermesse ha esordito con la sfilata di Kenneth Ize, il vincitore del Premio LVMH 2019, e si è conclusa con un evento d’eccezione: un fashion show organizzato da AZ Factory al quale hanno preso parte ben 49 griffe. Non si è trattato di moda tout court, bensì di un omaggio; un meraviglioso tributo corale ad Alber Elbaz, l’ indimenticato designer venuto a mancare (a causa del Covid) l’ Aprile scorso. Tornando alla Fashion Week e alle sue sfilate, sono andati in scena in presenza marchi quali – tra gli altri –  Balmain, Chanel, Chloé, Dior, Givenchy, Hermés, Isabel Marant, Miu Miu, Saint Laurent, Valentino, Andreas Kronthaler for Vivienne Westwood, Giambattista Valli e Louis Vuitton. Balenciaga si è invece affidato a uno show digitale molto discusso, al tempo stesso giocoso e velatamente critico: lo compongono un cartoon in cui la Maison invita i Simpson a sfilare a Parigi (Marge sognava da sempre di sfoggiare un abito Balenciaga, ma non poteva permetterselo) e un défilé sotto forma di red carpet, dove Vip o presunti tali indossano significativamente i capi della collezione Primavera Estate 2022. Questa edizione della Paris Fashion Week ha segnato anche il debutto di Charles de Vilmorin al timone creativo di Rochas e di Raf Simons alla sua prima collezione interamente femminile in collaborazione con Miuccia Prada, quella del marchio Miu Miu. Marine Serre si è servita di un corto (piuttosto controverso) per presentare le proprie creazioni; hanno optato per il digitale anche Cecile Bahnsen, Dries Van Noten, Situationist, Patou, Nina Ricci, Paul Smith, Issey Miyake, Andrw GN, Lutz Huelle, Germanier, Alexandre Vauthier, Anrealage, Dice Kayek, Zadig & Voltaire, Maison Margiela, Ungaro, Schiaparelli e Agnès B., per citarne solo alcuni. Ma passiamo ora alla selezione di VALIUM: il focus su quattro sfilate, e i relativi commenti, della Settimana della Moda parigina. Tra le belle e interessanti collezioni svelate nella Ville Lumière ho scelto quelle di Christian Dior, Givenchy, Valentino e Giambattista Valli.

 

DIOR

 

 

Maria Grazia Chiuri si interroga sul senso della moda ed esplora, al tempo stesso, la collezione Slim Look, che nel 1961 sancì l’esordio di Marc Bohan alla direzione creativa di Dior. Per completare la sua ricerca si avvale di una scenografia significativa: “Il gioco del nonsense”, riproduzione di uno dei celebri giochi da tavola (somiglia un po’ al gioco dell’ oca) creati da Anna Paparatti e realizzato dall’ artista stessa. Il nome non è un caso. “Penso che si debba accettare che la moda è un gioco”, spiega Maria Grazia Chiuri a VOGUE America; e “come in tutti i giochi, c’è una parte seria e una divertente”. La moda è un modo per esprimere noi stessi e per rappresentarci tramite l’abito, il fashion show la rappresentazione di questa rappresentazione: una sorta di arte performativa. La collezione è ricca di suggestioni Mod e ispirate alla Pop Art, agli anni ’60. Il rimando all’ estetica di Marc Bohan è evidente. Prevalgono linee nette, in puro stile Swinging Sixties, lunghezze mini, un color block che sottolinea le forme ed i volumi. La palette cromatica privilegia l’ arancio, il verde, il giallo, il rosso, il rosa, alternandoli al bluette, al bianco e al nero. Anna Paparatti “incasella” il tutto negli spazi del suo “Gioco del nonsense”, che ne diventa la speciale e pregnante cornice. Non dimentichiamo che la Paparatti, negli anni ’60, apparteneva al giro che gravitava attorno al Piper Club di Roma, locale leggendario e ricco di fermento artistico, culturale, musicale. Nei suoi spazi, visivamente “grafici” e coloratissimi, si sperimentava anche un nuovo modo di vestire. Chiuri si rifà a quell’ humus per pensare alla moda del dopo pandemia: prende come riferimento i cappotti lineari, i mini tailleur con piccolo colletto a punta, gli abitini ad A e con lunga zip frontale, avvicendandoli a look in tessuti hi-tech simili alle tenute esibite dai pugili durante un match, oppure ad outfit composti da bralette e minigonne in fantasie “jungle”, oppure ancora ad evening dress in stile impero ornati da grandi fiocchi. Abbondano i bermuda, gli shorts, fanno la loro comparsa miniabiti che rivisitano il look “Space Age” in un tripudio di frange argentate…Ma non c’è alcun indizio nostalgico, in questa rilettura. Il nuovo attinge al passato cogliendone l’ effervescenza creativa, l’ ottimismo, la giocosità. Delle basi da cui rinascere, in cui il “nonsense” acquista un senso profondo. 

 

 

GIVENCHY

 

 

La sfilata di Givenchy ha luogo su un pavimento ovale, completamente bianco, de La Defénse Arena: la location ideale per mettere in risalto una collezione sorprendente. Si inizia con una serie di look total black in neoprene, bolerini e corsetti ingentiliti da volants e ondulazioni accompagnati a minigonne ricche di sovrapposizioni. E’ costante la presenza di cuissardes in pelle altissimi, che inguainano le gambe pressochè per intero, e di zip frontali molto in linea con il tessuto hi-tech. L’allure è grintosa, sfrontata, quasi da dominatrice, le lavorazioni sono accuratissime e decisamente Couture. A partire però da un outfit rosso ruggine, dove la maglia a costine sfocia in una miniskirt “danzante” e i cuissardes si declinano in morbido camoscio, la collezione prende una piega più soave: nuove versioni dei look di esordio adottano nuance quali il beige, il grigio perla e il verde pastello, sfilano culotte in pizzo abbinate a una giacca strutturata e fascianti long skirt in tulle, con tanto di gorgiera in vita, adornate di ricami sparkling. Le linee alternano armonia e rigore, esaltando quest’ ultimo attraverso svariate giacche sleeveless e minimali. E’ a quel punto che la collaborazione di Matthew M. Williams con l’artista newyorchese Josh Smith si palesa. I suoi disegni risaltano su una maglieria multicolor tempestata di frange, capispalla dal sapore activewear, pull in knitwear con una manica che penzola a effetto sciarpa. I cuissardes, in vernice o camoscio, diventano parte integrante degli outfit. A concludere la sfilata, da cui si sprigiona un mood che coniuga seduttività e audacia, sono mise che riprendono le caratteristiche di quelle di apertura, però reinterpretate in color panna: i cuissardes si declinano esclusivamente in camoscio e i look acquistano accenti più romantici pur senza affievolire il coté strong. Il cerchio si chiude, ma la grinta imperante non viene meno.

 

 

VALENTINO

 

 

Anche Pierpaolo Piccioli ha riflettuto a fondo sul futuro della moda post-pandemia. Mai più torri d’avorio, esclusività ad oltranza, lusso per pochi privilegiati: queste le conclusioni scaturite dalle sue meditazioni. Il risultato è una collezione che rispecchia i nuovi valori della Maison Valentino, una splendida fusione tra l’ heritage più iconico e un mood estremamente rilassato e disinvolto. Aleggia un sapore anni ’70, riferito in particolare agli inizi della decade: l’ epoca, tanto per intenderci, in cui furoreggiavano icone unconventional quali Jane Birkin, Veruschka o Talitha Getty. Le linee delle creazioni sono fluide, i volumi ampi e fluttuanti. Predominano lunghe mantelle, long dress plissettati che ondeggiano a ogni passo, camicie sbottonate e con maniche che coprono l’ intera mano, bermuda abbinati a bluse talmente comode da somigliare a dei parka, e poi caftani, mini poncho…tutti rigorosamente accompagnati da sandali rasoterra alla schiava con lacci dorati che arrivano al ginocchio: una calzatura cult dell’ era già citata. Non è un caso che siano presenti capi ispirati all’ archivio Valentino di fine anni ’60: il miniabito bianco che apre la sfilata, con lunghi polsini plissé e una cascata di applicazioni floreali, rievoca quello della collezione “Total White” (1968) in cui fu immortalata Marisa Berenson, il cappotto tigrato che sfiora il pavimento rimanda al capospalla indossato da Veruschka nel 1969…Piccioli fa rivivere lo stile di un passato che la “Generation Z”, a cui si rivolge, non ha mai conosciuto, ma che troverà sorprendente nella sua reinterpretazione. La palette cromatica e gli accostamenti dei colori, come sempre, sono a dir poco mozzafiato: il viola ricorre alternato al giallo, al verde, al marrone, all’ oro, al fucsia, al bronzo, al rosso Valentino, sebbene il bianco e il nero non manchino. Colpiscono le policromie di turchese + verde, turchese + marrone e magenta, violetto + marrone, giallo + marrone + violetto. La collezione, inoltre, è stata esaltata da uno show pieno di significato. I modelli e le modelli, dopo aver sfilato nella location del Carreau du Temple, si sono riversati per strada, a portare la moda tra la gente. Avanzavano lungo la via adiacente all’ antico mercato coperto, davanti al folto pubblico che sedeva fuori dai café, generando un clima di partecipazione umanime. Pierpaolo Piccioli è riuscito alla perfezione nel suo intento: creare una moda viva, portabile, che coniuga un’ alta qualità sartoriale e uno chic spigliato. Una moda vibrante, proprio come questa collezione.

 

 

GIAMBATTISTA VALLI

 

 

La pandemia di Covid ha segnato un punto di svolta anche nella moda. La maggior parte dei designer si è concentrata sul cambiamento determinato da questa drammatica esperienza, ognuno reagendo a proprio modo. Giambattista Valli ha pensato ad una collezione di rinascita, inneggiante alla bellezza: dopo mesi di lockdown casalingo, chi non vorrebbe dire addio alle felpe e ai pigiami multiuso? Così, negli spazi più raccolti del Musée d’Art Moderne de Paris, ha presentato creazioni completamente all’ insegna della femminilità e del romanticismo. I look rievocano nuvole impalpabili, delineano un’ allure eterea ma anche molto sensuale. Gli orli spaziano dal corto al lungo, sia rasoterra che a metà polpaccio, le linee fasciano il corpo oppure si svasano in una corolla voluminosa. Ruches, ricami e fantasie floreali predominano, impreziosendo outfit composti da bralette e gonna o da abiti intrisi di grazia e charme. Il tulle e il pizzo sono materiali ricorrenti, arricchiti non di rado da accenti see-through. Svariati look sfoggiano bordure oro, altri sono ornati da un tripudio di piume; la femminilità viene accentuata da decori di perle e di cristalli. Un mood seduttivo permea tutte le creazioni, declinandosi in lunghe gonne asimmetriche forgiate da balze in tulle e in trasparenze con lingerie “a vista”. Ma anche i pantaloni trovano spazio, nel romanticismo intrigante della collezione: Valli li propone ampi, a vita alta, e li abbina a magliette in pizzo all over o al crop top. Gli accessori completano mirabilmente ogni look. I sandali gioiello fanno pendant con gli orecchini in pietre e strass, copricapi come un fez e un fazzoletto piumato annodato sulla nuca la fanno da padroni. I colori sono pastello, ma con “intermezzi” strong: trionfano il rosa delicato, il bianco e il lilla avvicendati al rosso, al corallo, al verde, al nero e al rosa acceso.

 

 

 

Paris Fashion Week: flash dalle sfilate delle collezioni PE 2021

1.KENZO

Quarta e ultima tappa di VALIUM alle Fashion Week delle capitali mondiali della moda: il gran finale, come ogni anno, spetta a Parigi. Nella Ville Lumière, a differenza di New York e Londra, si è registrato un minor numero di presentazioni digitali. A cavallo tra il 28 Settembre e il 6 Ottobre – queste le date della Paris Fashion Week – le classiche sfilate “live” (in presenza o meno) e le esibizioni virtuali si sono suddivise in modo equo. Chanel non ha rinunciato al suo celebre show al Grand Palais, perpretrando così la tradizione della sfilata-evento nella location adorata da Karl Lagerfeld. Massiccia è stata la partecipazione dei big: Dior, Balmain, Louis Vuitton, Chloé, Hermès, Givenchy (con la collezione opera prima del designer Matthew M. Williams), Balenciaga, e poi ancora Maison Margiela, Marine Serre, Yohji Yamamoto, Rick Owens, Giambattista Valli, Loewe, Miu Miu e Andreas Kronthaler x Vivienne Westwood non sono mancati all’ appuntamento con i défilé Primavera Estate 2021, ma sono state parecchie anche le defezioni. Valentino a parte, assente giustificato dato il trasferimento a Milano, nomi del calibro di Alexander McQueen, Celine, Comme des Garçons, Dries Van Noten, Sacai, Off-White, Lacoste e Lemaire hanno disertato la settimana della moda. Non può essere trascurata, poi, l’ assenza di Saint Laurent; Anthony Vaccarello ne ha spiegato i motivi accennando al suo nuovo modo di rapportarsi al processo creativo. Sul versante ispirazione, ancora una volta il lockdown e il mondo forgiato dal Covid hanno prevalso. Ogni brand ha espresso le proprie considerazioni al riguardo tramite la sua collezione, imbastendo un fil rouge “filosofico” che permea tutte le creazioni.

 

2.KENZO

“Bee a Tiger”: è questo il titolo della collezione proposta da Felipe Oliveira Baptista, al timone creativo di KENZO dal 2019. Ma vedremo più avanti il senso di quel “bee”. Cominciamo col dire che l’ ispirazione di Baptista scaturisce dalle riflessioni sulla Terra ai tempi del Coronavirus. Come poter andare avanti, come mantenere la positività in un mondo malato, calato in una realtà in gran parte ancora ignota e tanto difficile da sostenere? Le idee si moltiplicano, a volte in accordo ed altre in contrasto fra loro: la collezione rispecchia questo stato d’animo tramite un eclettismo costante. Le stampe floreali, uno dei trademark di Kenzo, “piangono” grazie a un effetto che ce le mostra sfuocate, scolorite a causa delle lacrime. Ma un antidoto alla crisi proviene proprio dalla natura e precisamente dalle api, grandi benefattrici del pianeta. I benefici che erogano in termini di mantenimento della biodiversità sono innumerevoli, la loro estinzione metterebbe a repentaglio la nostra stessa sopravvivenza. Ecco il perchè dei molti look ispirati all’ abbigliamento protettivo degli apicoltori, con tanto di cappelli il cui velo ricopre, a volte, l’intera mise. Le silhouette sono lineari, ma movimentate: predominano le canotte indossate come minidress, spesso abbinate a pantaloni da ciclismo oppure larghi e comodi, zeppi di tasche a toppa come i gilet, i soprabiti, i marsupi. Il colore, altro signature di Kenzo,  assume sfumature tenui e quasi sbiadite. Il rosso, il verde menta, il giallo, l’arancio, il lilla, il bluette sono immersi nella medesima nebulosità che offusca il mondo attuale. Tuttavia, è nel messaggio trasmesso dalla collezione che è insita la speranza, la via per la liberazione: ritrovare l’armonia con la natura è tassativo.

 

3.KENZO

 

1.DIOR

Maria Grazia Chiuri si concentra sui cambiamenti che il drammatico periodo attuale ha apportato nelle nostre vite. Per raccontare tutto questo serve un nuovo linguaggio: nella moda si traduce in una concezione innovativa del taglio dell’ abito, l’ elemento attraverso il quale un capo “dialoga” con l’esterno ed esprime la propria filosofia. Chiuri rivisita quindi la silhouette DIOR per allinearla alle sensazioni e alle emozioni del nostro tempo. Il suo non è un gesto eversivo, bensì un atto d’amore nei confronti dell’ heritage della Maison, che omaggia rileggendolo alla luce di una nuova visione. La giacca Bar viene rielaborata sulle basi di una collezione che Christian Dior creò in Giappone nel 1957: assume linee vagamente a kimono e sottili cinture la stringono in vita per sagomarla sul corpo a seconda dell’estro personale. Le gonne e gli ampi pantaloni sono sostenuti da una coulisse, la camicia è onnipresente e molto lunga, a volte indossata a mò di chemisier; il tailleur include immancabilmente la giacca “kimono” di cui sopra. Sul punto vita si concentra una delle novità rispetto al taglio: scende appena sopra ai fianchi, sottolineato dalla lavorazione smock, oppure “sale” in stile impero. Un tocco etnico pervade tutta la collezione, le creazioni sono intrise di pattern Paisley e il raffinato pizzo si alterna al Tie-Dye. Non mancano i lunghi abiti in chiffon, fluttuanti e declinati in una splendida palette di indaco, blu oltremare, rosa intenso, verde e cipria; i tessuti si mescolano, i ricami proliferano, spighe e motivi floreali riappaiono in grande stile. Fanno da leitmotiv linee fluide e ondeggianti, che accarezzano il corpo con leggerezza sintonizzandosi alla perfezione con l’ anelito di libertà e i mutamenti associati a quest’ era di transizione.

 

2.DIOR

3.DIOR

 

1.BALMAIN

Il tratto distintivo della collezione ideata da Olivier Rousteing è evidente: un’ eleganza ispirata agli anni ’70 con incursioni nel decennio successivo. Non è un caso che lo show si apra con un breve défilé introduttivo in cui trionfano pantaloni palazzo a vita alta, maglie dolcevita, completi a zampa d’elefante, mantelle, tutti nei toni del grigio e invasi da un pattern monogram ripreso dall’ archivio di BALMAIN. Persino il modo di muoversi delle modelle rimanda a quell’ epoca: avanzano disinvolte, sorridenti, con le mani in tasca, ammiccando al pubblico e volteggiando su se stesse. Questa scena fa da apripista a una collezione sartorialmente accuratissima e dal forte impatto visivo; basti pensare che il primo look è un suit giallo fluo con pantaloni svasati e una giacca che sfoggia le spalle a pagoda ricorrenti in ogni creazione. La parata fluo include anche il rosa, spesso mescolato al giallo, evidenziando completi drappeggiati e fasciatissimi. Poi torna il grigio, e l’attenzione si focalizza sul tailleur declinato in svariate versioni a partire da alcuni elementi base: spalle a pagoda (anche asimmetriche), drappeggi, pantaloncini da ciclismo. Tutti gli outfit della collezione avvolgono il corpo in panneggi e forme aderenti che la svasatura rende più easy, mentre le spalle a pagoda accentuano una “drammaticità” teatrale e vagamente Couture. Le ritroviamo in variante smoking, in pelle grintosa, in denim, sul bolerino con grandi revers in un colore a contrasto. Le silhouette si fanno fluide verso la fine del défilé, tramite abiti (indossati a piedi nudi) scintillanti di Swarovski che tramutano la donna Balmain in un’ autentica dea.

 

2.BALMAIN

3.BALMAIN

 

1.GIVENCHY

E’ stato un debutto attesissimo, quello di Matthew M. Williams alla direzione creativa di GIVENCHY. E non ha deluso. La sua collezione Primavera Estate 2021 irrompe come un vortice: per la Maison, senza dubbio, comincia una nuova era. Williams si propone di trovare “l’ umanità nel lusso” focalizzandosi sulla realtà delle persone che indosseranno le sue creazioni, ma non trascura l’heritage di Givenchy. Un intento celebrativo, il suo, e al tempo stesso la volontà di perpetrare uno stile che ha sempre guardato al passato, al presente e al futuro. Con Williams lusso e streetwear si intrecciano in un connubio potente. Esaltazione dell’ hardware, linee pulite e lavorazione dei materiali sono i cardini del suo creare: i gioielli ispirati ai celebri “lucchetti degli innamorati” del Pont des Arts di Parigi adornano le scarpe, gli accessori e i tessuti degli abiti, mirabilmente trattati. Un esempio? I pantaloni solcati da fitte rughe che ricordano le crepe nei muri. Ma è anche il modo in cui il materiale viene utilizzato a originare degli “effetti speciali”, come nel caso dei capi (top, pantaloni, lunghi abiti a sirena) composti da listelli orizzontali simili a quelli di una veneziana, oppure delle aderentissime magliette see-through ornate da disegni che potrebbero essere scambiati per tatuaggi. Tra le creazioni abbondano, poi, tailleur pantalone con la giacca priva di revers e dotata di soprammaniche geometriche. I pantaloni, dal taglio dritto, sono a vita bassa e hanno la piega frontale, gli abiti più lunghi e sinuosi scoprono completamente la schiena, i drappeggi omaggiano lo stile Givenchy. Le borse, extrasize e munite di lucchetto, diventano parte integrante del look, mentre le G Chains, catene gioiello composte da una sfilza di G, sono già candidate a must have. Altamente iconiche risultano anche le mantelline, rigide e squadrate sulle spalle, in pelle di coccodrillo groffata. Un unico giudizio, quindi, per il debutto di Matthew M. Williams da Givenchy: promosso cum laude.

 

2.GIVENCHY

3.GIVENCHY

 

 

 

 

London Fashion Week: flash dalle sfilate delle collezioni PE 2021

1.VICTORIA BECKHAM

Prosegue il percorso di VALIUM nelle quattro capitali mondiali della moda. Dopo Milano e New York, approdiamo alla Fashion Week di Londra: anche qui, a causa della pandemia di Covid, le sfilate sono state in gran parte sostituite da presentazioni via lookbook digitali oppure da video fondati su un connubio tra cinema, moda e arte. La creatività avantgarde tipica degli stilisti British, comunque,  non ha affatto risentito del lockdown. Come abbiamo già riscontrato a Milano e nella Grande Mela, la quarantena e l’ emergenza sanitaria hanno semmai fomentato le riflessioni, l’ ispirazione, l’ apertura di nuove prospettive. Se molti brand hanno scavato a fondo nel proprio DNA, altri hanno introdotto innovazioni nel loro stile signature pur rimanendo fortemente caratterizzati e riconoscibili. Passiamo quindi ai marchi che ho selezionato per voi dalle passerelle londinesi: Victoria Beckham, Matty Bovan, Burberry e Molly Goddard, quattro label con una storia diversissima alle spalle ma accomunati da una spiccata identità.

 

2.VICTORIA BECKHAM

Il lockdown, per VICTORIA BECKHAM, ha stimolato dei quesiti sull’ identità del suo marchio rielaborata alla luce della pandemia. Un desiderio di libertà, di riscoperta dell’ istinto è emerso prepotentemente, riflettendosi in una collezione emblematica sotto vari punti di vista: “ritornare all’ essenza” si è rivelato un must sia riguardo al numero dei look, soltanto 21, che all’evoluzione della sartorialità, dei cromatismi saturi e dello stile iper contemporaneo caratteristici del brand. Il risultato? Creazioni che inneggiano a un mood disinvolto e nonchalant, alla “libertà”, appunto, di essere se stesse. Le silhouette sono minimal, ma fluide. Predominano flares singolarissimi, talmente svasati e lunghi da formare una sorta di “strascico” (che la designer paragona a delle “pozzanghere”), alternati a long dress drappeggiati o morbidamente plissettati e a giacche strutturate proposte anche in versione animalier. Portabilità, praticità e comodità sono le parole d’ordine. L’ ispirazione è fortemente radicata nella realtà di tutti i giorni, forse uno dei motivi per cui il focus sui pantaloni è preponderante. Il modello vincente è sempre svasato in fondo, persino se gli orli si accorciano, a volte movimentato da spacchi e altre -come nel caso di un paio di jeans – da altissimi risvolti.

 

3.VICTORIA BECKHAM

 

1.MATTY BOVAN

L’ artigianalità e le suggestioni storiche rappresentano i cardini di questa collezione. MATTY BOVAN va a ritroso nel tempo e si lascia ispirare da Elisabetta I Tudor, dall’ Inghilterra antica, dall’ home decor deliziosamente fané che popola certe case di York, la sua città natale (dove ha trascorso il lockdown). Per donare ulteriore pathos alla presentazione delle sue creazioni, Bovan le mostra indosso a manichini che ha collocato proprio a York, in una cappella ottocentesca. I look, tutti all’ insegna del “do it yourself”, nascono anche dalla filosofia che il designer ha adottato per trascorrere la quarantena e ribadiscono il valore del fare, rifuggendo dalla massificazione e dalle metropoli dove il fashion system ha fissato le sue basi: Matty Bovan inneggia al passato per forgiare il futuro, per dimostrare alle nuove generazioni che esiste un modo alternativo di creare moda, intriso di pura passione. Non è un caso che la sua collezione sia stata battezzata “Future. Olde. England.”, e che sartorialmente sia intrisa di sperimentazione. Colpisce subito un patchwork di stili e materiali; si susseguono pull a maglia scuciti e deformati, pattern celtici che rievocano mattonelle medievali, capi simbolo dell’era shakesperiana come il farsetto,   look scultorei e/o ricchi di sovrapposizioni. Il tessuto viene drappeggiato, movimentato con balze e ruches, lavorato a punto smock e accostato a stampe Liberty Tana Lawn, dando vita a oufit coloratissimi dove ricorrono i riferimenti alle bandiere e agli stemmi araldici. Tra i gioielli che adornano gli abiti, sono presenti anche esemplari appartenenti alla mamma di Bovan.

 

2.MATTY BOVAN

3. MATTY BOVAN

 

1.BURBERRY

Per BURBERRY il lockdown si sintetizza graficamente in due simboli, la sirena e lo squalo. Queste due creature del mondo marino, la prima mitologica e la seconda reale, diventano rispettivamente emblemi di un passato idilliaco, dei sogni associati ad esso e della durezza della quarantena, con la sua solitudine e le sue paure. Riccardo Tisci ha pervaso buona parte dei look di quell’ iconografia, soprattutto attraverso le stampe: non a caso, sono le nuance del blu e dell’ azzurro i colori predominanti. Persino sul classico trench Burberry, in un’ audace versione sleeveless, campeggiano grafismi che ricordano un enorme pesce. Nonostante la minaccia dello squalo incomba, a prevalere è la sirena: la sua coda si moltiplica nella fantasia di una blusa, un pull bluette si interrompe sul seno delineando un orlo che rimanda al suo corpetto a cuore, preziose reti da pesca argentate si fanno bustini, bracciali e via dicendo. Un trench in vernice lucida si spalma di blu oltremare, ma la sorpresa forse più iconica ci attende alla fine del défilé (le modelle hanno sfilato in un bosco esaltando il nuovo rapporto tra uomo e natura): una serie di abiti fascianti, scintillanti d’argento e adornati di mantelle asimmetriche incorporate, sono un omaggio ad Ariel che lascia senza fiato. E lo squalo? Lo ritroviamo nelle ampie giacche in gomma e nei cuissardes “da combattimento” che proteggono dalle insidie del mare, ma anche nelle stampe, come quelle che sfoggia un bomber con maniche e inserti in rete nera.

 

2.BURBERRY

3.BURBERRY

 

1.MOLLY GODDARD

Regina degli abiti in tulle più spettacolari, MOLLY GODDARD ripropone il suo trademark non senza innovazioni. Che sono parecchie: innanzitutto, il tulle contraddistingue solo una parte degli outfit e viene declinato in inedite versioni. Un’ altra novità riguarda il suo abbinamento, per contrasto, con dei geometrici pattern a scacchi o a righe. In tutti i casi, e per tutti i look o quasi, la palette cromatica è a dir poco sgargiante: il rosso, il verde mela, l’arancio, il rosa, sono utilizzati in dosi massicce e accostati fra loro. Risaltano fittissime ruches in tulle disseminate sulle gonne in grandi “bouquet” verticali, oppure in alte bande che circondano un velo di chiffon trasparente. Sono sempre le ruches in tulle a plasmare dei vaporosi top o, unite in gruppi sovrapposti, a dar vita a rutilanti tutù in stile impero. Chi ama l’iconico abito “da bambola” griffato Goddard, poi, lo troverà tinto di un giallo pallido che vira al crema, una delle poche eccezioni nel novero dei colori strong della collezione. Ruches e volant abbondano anche tra i decori degli oufit in tessuto: si moltiplicano sugli abiti, sulle gonne e sulle jumpsuit. La collaborazione tra Goddard e Ugg ha dato eccellenti frutti; sabot con platform vertiginoso e mules in fake fur sono il complemento ideale delle mise fiabesche e surreali create dalla designer londinese.

 

2.MOLLY GODDARD

3.MOLLY GODDARD

 

 

 

Ultimo weekend di Agosto

 

Inizia l’ ultimo weekend d’ Agosto, l’ estate è ormai agli sgoccioli. Ma il mare è sempre lì, immancabile sfondo dei nostri momenti di riflessione. E al crepuscolo, subito dopo il tramonto, diventa una tavola solcata dai bagliori argentei che seguono il calar del sole. Davanti a quell’ infinita distesa d’acqua, sono tanti i pensieri che affiorano alla mente: in generale direi che no, non è stata una bella estate. Una minaccia invisibile, perennemente incombente, ci ha costretti a privarci di tutto ciò che di più bello l’ estate ha da offrirci. Aperitivi e cene in compagnia, abbracci, balli sfrenati, viaggi, concerti e festival attesissimi sono entrati nella “lista nera” delle probabili cause di diffusione del Covid. Non sappiamo quando tutto questo finirà e come, a regnare è l’incertezza. La nostra quotidianità, intanto, è cambiata a 360 gradi: l’ unica evidenza è che dobbiamo imparare a gestirla. Scendere a patti con il cambiamento, acquisire una nuova consapevolezza sembrano essere gli unici modi per (come dicono gli scienziati) convivere con il virus. Senza fondamentalismi, senza terrore, ma senza neppure sottovalutare il problema. Perchè sfidare il Covid per non dargliela vinta è solo dargliela vinta, in realtà. Il mare è ancora lì, calmo e fermo, il suono delle onde trascina nel suo ritmo ipnotico. Ci insegna a essere stoici, il mare. A non arrenderci, come i flutti che ininterrottamente lambiscono la riva. E a guardare lontano, oltre l’ orizzonte…Chissà, magari – in attesa di un vaccino o di una terapia – il mondo riscoprirà i valori dell’ armonia, dell’ equilibrio, dell’ attenzione per l’ ambiente. Se niente o quasi è come prima, cogliamo l’ occasione per volgere al meglio questo cambiamento. Neanche il mare, dopotutto, è quello “di un tempo”: bagni di mezzanotte, flirt sul bagnasciuga, barbecue in spiaggia, riunioni attorno ad un falò con tanto di schitarrate e danze non sono più all’ ordine del giorno. Ma come diceva Eraclito, “Panta rhei” (tutto scorre). Non vedremo mai nulla con gli stessi occhi, perchè ogni cosa, ogni situazione, è inesorabilmente soggetta alla legge del mutamento; un principio filosofico che, oggi più che mai, acquista tutto il suo significato.