Marzo e i suoi fiori

 

A Marzo, i fiori sono in boccio. Personalmente amo l’ Inverno, la neve e l’incanto dei paesaggi innevati, però non posso negare che il risveglio primaverile abbia il suo fascino. Intorno al 20 Marzo, con l’Equinozio, lo spettacolo della fioritura raggiunge l’apice. Prati, campi, alberi e giardini si riempiono di un tripudio di corolle colorate. Passeggiare lungo i sentieri di campagna gratifica la vista e l’olfatto, i lunghi tramonti profondono magia nell’atmosfera. Udire il ronzio delle api è rilassante, ma anche un privilegio, dato che sono insetti a rischio di estinzione. Impegnamoci a fondo affinchè questo non succeda. Piantiamo fiori, coltiviamo alberi per garantire loro il nutrimento e per far sì che si dedichino attivamente all’impollinazione: è fondamentale ai fini di assicurare l’ equilibrio degli ecosistemi e la sopravvivenza della specie umana. Quali sono, dunque, i fiori che sono soliti sbocciare a Marzo? Continuate a leggere e ne scoprirete alcuni.

Il Narciso

E’ diffuso in Europa e Asia, appartiene alla famiglia delle Amarillydaceae. Il suo colore è il giallo oppure il bianco, con una paracorolla che spazia invece dal giallo al rosso. Molte specie emanano un profumo inebriante ed hanno ispirato il termine greco nakào, “stordisco”, da cui deriva il nome del fiore.

Il Glicine

Il suo nome scientifico è Wisteria Nutt, appartiene alla famiglia delle Fabacee ed è una pianta rampicante che può raggiungere i 10 metri di altezza. Nell’ antica Cina era chiamato “Vite Blu”, un appellativo affascinante a cui i tedeschi si sono rifatti battezzandolo Blauregen, ovvero “Pioggia Blu”. Il suo punto di forza sono le ricche cascate di grappoli che spaziano tra colori come il lilla, il rosa, il bianco, il violetto e l’azzurrognolo. Ma la nuance che sfoggia più comunemente è diventata essa stessa un colore: il glicine, appunto, un mix di viola e di bianco.

La Magnolia

La sua famiglia è quella delle Magnoliacee, il suo nome un tributo a Pierre Magnol, botanico e medico di Montpellier. Ha origini negli Stati Uniti, nel Sud America, nel Sud-Est Asiatico, ma cresce benissimo anche in Italia poichè ama il clima Mediterraneo. Ne esistono oltre 80 specie, spazia dagli arbusti ad alberi che sfiorano i 30 metri. Profumatissima, esplode in una nuvola di fiori. Tra i suoi colori predominano il rosa, il bianco, il porpora e il viola.

La Mimosa

L’ 8 Marzo è anche la sua festa: il fiore ufficiale della Giornata Internazionale della Donna vanta un’infiorescenza a grappoli composti da fiori sferici e super soffici di colore giallo. Il suo nome scientifico è Acacia dealbata ed appartiene alla famiglia delle Mimosaceae. In Italia, precisamente a Rieti, negli anni ’50 è stata creata una torta che si ispira ai suoi fiori: sono realizzati in pan di Spagna per riprodurne la soavità e il giallo, naturalmente, è la loro tonalità.

Il Nontiscordardimè

Il Myosotis, appartenente alla famiglia delle Borraginaceae, è diffuso pressochè in tutto il mondo. Si presenta in gruppi di piccoli fiori azzurri che non oltrepassano i 25 cm di altezza. Se il nome “Myosotis” deriva dalla fusione di due termini greci, “mys” e “otos”( rispettivamente “topo” e “orecchie”), molto più affascinante è la leggenda legata al Nontiscordardime: nasce in Austria e narra di due innamorati che, mentre passeggiavano lungo la riva del Danubio, si incantarono davanti a quei fiorellini azzurri e si fermarono a raccoglierli. Il ragazzo, purtroppo, scivolò nel fiume proprio mentre ne stava cogliendo uno, e prima che le acque lo travolgessero gridò “Non ti scordar di me!” alla sua fidanzata.

La Margherita

E’ il fiore più caratteristico della Primavera: quando le aiuole si riempiono di margherite, ci rendiamo conto che è arrivata ufficialmente. Il suo nome scientifico è Leucanthemum vulgare, la sua famiglia le Asteraceae. Si trova un po’ ovunque in giro per il globo, continente africano a parte. Anche in questo caso, la denominazione del fiore ha origini greche: deriva da “leukos” (bianco) e “anthemon” (fiore). La corolla, di colore bianco, ruota attorno al “capolino”, il bottone giallo oro al centro, che a sua volta è composto da fiori minuscoli detti flosculi.

Il fiore di Ciliegio

Il ciliegio sboccia in un tripudio di fiori bianchi o nei toni del rosa. Botanicamente appartiene al genere Prunus e alla famiglia delle Rosacee.In Giappone, i fiori del Prunus Serrulata (il ciliegio nipponico) vengono chiamati Sakura e sono un autentico oggetto di culto: all’ apice della loro fioritura si ammirano tramite un rito, l’Hanami, che consiste nel contemplarli. Per saperne di più sull’ Hanami e sulla simbologia associata al Sakura, clicca qui.

La Primula

E’ un altro fiore-emblema della Primavera. Il suo nome deriva da “Primus”, un termine latino che simbolizza lo sbocciare della Primula non appena la neve si scioglie. Appartiene alla famiglia delle Primulaceae ed è ampiamente diffusa in America, Europa e Asia, ma solo laddove il clima temperato lo permette.

Il fiore di Mandorlo

Quando fiorisce, dà origine a una magnifica nuvola di fiori bianchi. Non è difficile capire perchè al Mandorlo (il cui nome scientifico è Prunus Amygdalus) siano state dedicate innumerevoli leggende: come quella, di origine greca, di Fillide e Acamante. Ma i fiori di Mandorlo appaiono persino nella Bibbia, dove sono identificati come un simbolo di rinascita dal profeta Geremia.

L’Anemone

L’ Anemone, appartenente al genere Euanemona e alla famiglia delle Ranunculaceae, include oltre 100 specie che hanno caratteristiche tutte proprie. Vanta tepali coloratissimi (rosso, rosa, azzurro, bianco, giallo sono le cromie più diffuse) e la sua pianta può raggiungere persino 1 metro di altezza. A idearne  il nome fu il filosofo e botanico greco Eufrasto: lo chiamò “fiore del vento” perchè le sue corolle impalpabili sembravano poter librarsi nell’aria da un momento all’altro.

La Camelia

Ha origine nell’ Asia Tropicale e prende il nome dal botanico e missionario Georg Joseph Carmel: fu il primo ad importarla in Europa dal Giappone. Le sue due specie più note sono la Camelia Sinensis, dalle cui foglie si ricava il tè, e la Camelia Japonica, una pianta ornamentale che decora giardini pubblici e privati. I colori spaziano dal bianco al rosso passando per il rosa, la corolla somiglia vagamente a quella della “regina dei fiori”.

Il Giacinto

Il suo nome ha origini nella mitologia greca: si ispira a Giacinto, Principe di Sparta, di cui il dio Apollo si innamorò. Il loro amore fu spezzato però da Zefiro che, geloso, uccise Giacinto. Questo fiore, nome scientifico Hyacinthus e famiglia di appartenenza Asparagacee, proviene dal Medio Oriente e dall’ Africa Tropicale. Le sue specie sono innumerevoli, tutte bulbose. Ogni infiorescenza comprende circa 15 fiori profumatissimi e coloratissimi: le tonalità più comuni sono l’azzurro, il blu, il rosa, il giallo e il bianco.

La Viola Mammola

Appartenente alla famiglia delle Violaceae, è uno dei primi fiori a sbocciare  a fine Inverno. Cresce prevalentemente in Europa, America, Asia, Australia e Nuova Zelanda. Non supera i 15 cm di altezza e i suoi petali sono tinti di un profondo viola.

La Rosa

La “regina dei fiori” appartiene alla famiglia delle Rosacee e conta a tutt’oggi circa 3000 specie. Tra quelle spontanee, in Italia prevalgono la Rosa Canina, la Rosa Gallica, la Rosa Glauca e la Rosa Alpina. E’ diffusa in quasi tutto il mondo. Il suo nome ha origini latine, la sua bellezza viene celebrata da poeti e scrittori sin da tempi remotissimi (William Shakespeare la citò in “Romeo e Giulietta”). La corolla, ricca e preziosa, sprigiona un profumo irresistibile ed è tinta di innumerevoli colori: predominano il rosa, il rosso, il bianco, il giallo e l’arancio.

 

 

San Martino

 

“A San Martino, castagne e vino.”

 

Da dove nasce esattamente questo proverbio? Anche se l’ 11 Novembre si celebra San Martino (narra la leggenda che, durante una tempesta, donò metà del suo mantello a un mendicante infreddolito, e che subito dopo il sole tornò a splendere), il detto ha poco a che vedere con il vescovo cristiano sepolto a Tours nel 397. Si ricollega invece agli antichi contratti di mezzadria e alle fasi dell’ attività agricola. In autunno, con l’ ultimo raccolto, i mezzadri concludevano il loro operato e rimanevano in attesa della buonuscita. Ma non ricevevano denaro: venivano pagati in natura. Il signore proprietario dei terreni li congedava con castagne e vino a volontà, perchè erano i prodotti più preziosi che la stagione potesse offrire. Il castagno, non a caso, veniva chiamato “l’albero del pane”, perchè i suoi frutti rappresentavano un alimento indispensabile per la sopravvivenza: essiccati e macinati a dovere, davano origine a una farina dall’ elevato valore nutrizionale e più economica rispetto a quella di frumento. Con questa farina si preparavano il pane e i dolci, ma le castagne venivano gustate anche bollite oppure arrosto. Il vino era la bevanda ideale da abbinare a un cibo tanto succulento. Entro il mese di Novembre, quindi, doveva essere assolutamente pronto per destinarlo ai mezzadri.

 

 

Nacque così il vino Novello, fruttato, avvolgente e ottenuto con una speciale tecnica di vinificazione.  La tradizione del vino Novello di San Martino è giunta fino a noi, sebbene con modalità diverse: oggi, non è legata alla scadenza di alcun tipo di contratto. In Italia, il vino Novello viene immesso al consumo a partire dal 30 Ottobre. Per mantenere inalterate le sue doti, tuttavia, rimane in vendita solo fino al 31 Dicembre: questo vino non migliora con l’ invecchiamento. A San Martino, usanza vuole che lo si accompagni alle castagne arrosto; un rituale che, come abbiamo visto, ha radici antiche e fa parte del nostro retaggio storico-culturale.

 

 

La stella marina: caratteristiche e simbologia dell’ icona degli abissi

 

Le stelle non “abitano” solo in cielo. Potete trovarle anche ai suoi antipodi, nelle profondità degli abissi. Come gli astri della volta celeste, le stelle marine emanano un fascino del tutto peculiare: sfoggiano tonalità vibranti, a volte sono multicolori, e se in gran parte si avvalgono di cinque braccia (le punte), diverse specie ne presentano dalle sei alle cinquanta! Il loro nome scientifico è Asteroidei, appartengono alla classe Asteroidea e al gruppo degli echinodermi (in cui rientrano, tanto per fare un esempio, anche i ricci di mare). Le stelle marine, o asterie, vivono nei fondali acquatici dell’ intero pianeta, ma nei mari tropicali potrete rintracciare gli esemplari più variopinti e sgargianti.

 

 

A livello di struttura, gli Asteroidei presentano la tipica simmetria pentaraggiata, originata da un disco centrale e diramata in cinque punte pressochè identiche che costituiscono le braccia dell’ animale. Tutto il loro corpo è rivestito da piastre (sia ossee che calcaree) che compongono il dermascheletro. Individuare il lato frontale e posteriore di una stella marina è praticamente impossibile, per i non esperti. In sintesi, si possono distinguere un lato orale e uno aborale: sul primo è posta la bocca, sul secondo l’ ano. Il lato orale è ricco di canali acquosi, detti solchi ambulacrali, diffusi in lunghezza su tutte le braccia. E’ proprio dai solchi ambulacrali – il sistema acquifero della stella – che fuoriescono prolungamenti simili a dei tubicini muniti di ventose; si chiamano pedicelli ambulacrali e permettono all’ animale di spostarsi da un luogo all’ altro degli abissi. Ma i pedicelli hanno una funzione importantissima anche per l’ alimentazione, la respirazione e la percezione sensoriale. Di conseguenza, il sistema acquifero è un componente essenziale dell’ organismo dell’ Asteroideo: questa rete di canali va ad irrorare i pedicelli ambulacrali, che quando sono pieni d’acqua si estendono e, tramite le ventose che li completano, si connettono con il substrato favorendo la deambulazione della stella. C’è qualcosa, quindi, che non dovreste mai fare: privare un Asteroideo del suo habitat naturale. Quando il sistema acquifero viene a contatto con l’aria, è facile che si formino bolle interne che ne danneggiano il funzionamento: la stella potrebbe perdere la vita a causa di un’ embolia. Persino dopo diversi giorni, persino se viene reimmersa nel mare. Bastano pochi secondi per compromettere il delicato equilibrio dell’ organismo di una stella marina.

 

 

Oltre ad estrarle dall’ acqua, è sconsigliabile toccare le stelle marine: la sostanza che riveste il loro corpo, atta a favorire la respirazione dell’ animale, potrebbe deteriorarsi al contatto con le mani. Se trovate qualche Asteroideo sulla riva spostatelo in acqua con molta attenzione, utilizzando un retino per evitare di sfiorarlo. Tornando alla conformazione di questo echinoderma, va aggiunto che vanta un sistema nervoso complesso che coordina il suo apparato motorio e sensoriale. Essendo priva di occhi, la stella rileva la presenza di una preda tramite l’odore; a quel punto, il braccio che lo ha percepito si attiva per superare tutti gli altri durante il movimento verso l’ animale di cui andrà a cibarsi. A proposito di cibo, quali sono gli alimenti preferiti dalla stella marina? Diciamo che ha un debole per i crostacei e i molluschi. In genere, predilige gli invertebrati poco mobili. Il suo appetito vorace la spinge a soddisfarlo pressochè tutto il giorno. Il dettaglio più curioso relativo all’ alimentazione dell’ asteria è la digestione esterna: quando raggiunge la preda, rovescia lo stomaco al di fuori della bocca per divorarla istantaneamente. Il cibo viene assimilato mentre è ancora posto all’ esterno, intento a produrre gli enzimi digestivi. Dopodichè, lo stomaco si ritira all’ interno in pochi secondi.

 

 

La riproduzione e la rigenerazione degli Asteroidei risultano oltremodo caratteristiche. La riproduzione avviene prevalentemente per via sessuale, ma alcune specie sono solite riprodursi…da sè: il loro corpo si scinde in due parti che vanno a formare una vera e propria coppia di asterie. Questa incredibile capacità si riflette anche nella rigenerazione del singolo animale. Una stella, infatti, è in grado di ricomporre il suo aspetto alla perfezione anche se un braccio è l’unica parte che le resta di sè. Affinchè ciò avvenga, tuttavia, è necessario un requisito imprescindibile: l’ integrità del disco centrale o quantomeno di una sua porzione. 

 

 

Tra i fattori che minacciano la vita degli Asteroidei, risalta l’ inquinamento dei mari. Come tutti gli echinodermi, le stelle marine non hanno la capacità di filtrare le sostanze nocive presenti nell’ acqua. Ciò costituisce, purtroppo, un elemento di rischio per la loro sopravvivenza.

 

 

Le tipicità della stella marina sono direttamente associate alla sua simbologia. Questo sorprendente echinoderma è stato assurto, non a caso, a portafortuna ufficiale dell’ isola di Creta: la capacità di rigenerarsi è il suo punto di forza, lo ricollega a tutto ciò che concerne la rinascita. Ci protegge durante ogni nostro nuovo capitolo di vita, ogni nostra nuova avventura, dandoci la forza per affrontarli con propositività. Nei periodi più tormentati dell’ esistenza, la stella marina ci aiuta a “risorgere” incentivando la consapevolezza e il cambiamento interiore. La sua sorellanza con le stelle del cielo, inoltre, la tramuta in un potente spirito guida. Tutte doti niente male, per l’ icona degli abissi!

 

 

Foto di copertina di Alfiero Brisotto via Flickr, CC BY-NC-SA 2.0

La Luna Piena della Neve, uno straordinario spettacolo astronomico nel cielo di Febbraio

 

Febbraio è un mese ricco di sorprese e ricorrenze. Anche gli astri, in questi giorni, fanno la loro parte: lo spettacolo che il cielo ci regalerà oggi pomeriggio è assolutamente imperdibile. La Luna Piena della Neve, seconda luna piena dell’ anno, ci stupirà con un fulgore luminoso che alle 17.56 raggiungerà il suo apice. Sarà una visione del tutto magica, che molti di noi non esiteranno a immortalare tramite smartphone e macchine fotografiche. Anche perchè si tratta di un plenilunio speciale, carico di atmosfera: gli Indiani d’America lo battezzarono “Luna Piena della Neve” perchè appariva nel pieno dell’ inverno, quando le temperature erano gelide e i paesaggi completamente innevati. Il discorso, come vedremo, è molto ampio e coinvolge temi quali la sopravvivenza, la caccia, il rinnovamento…Tutti argomenti associati, appunto, all’ apogeo della stagione fredda e a impercettibili preludi di primavera.

 

 

La luminosità di questa luna non mancò di far colpo sulle tribù Pellerossa del Nord America, che le assegnarono svariati nomi. Oltre a “Luna Piena della Neve”, ad esempio, fu chiamata “Luna della Fame” e “Luna dell’ Osso”, un appellativo coniato dai Cherokee: nel cuore dell’ inverno, le provviste di viveri erano quasi terminate e la caccia difficilmente praticabile; non era raro che nelle tribù si digiunasse, si rosicchiasse la carne dalle ossa della selvaggina o ci si nutrisse di pietanze a base di midollo osseo per non patire la fame. Ma la Luna Piena della Neve era anche la prima luna piena dell’ anno, secondo il calendario lunare. La popolazione indigena degli Hopi, di conseguenza, la battezzò “Luna della Purificazione e del Rinnovamento”; si pensava che quel plenilunio, con la sua luce mozzafiato, sancisse una sorta di rinascita, un nuovo ciclo temporale. Lo stesso concetto è insito nell’ appellativo che le fu dato in Cina, “Luna che sboccia”, mentre i Celti si rifecero agli scenari invernali chiamandola “Luna di Ghiaccio”. Tornando all’ evento che si verificherà oggi pomeriggio, prendete nota dell’ orario: 17.56, come vi ho già accennato. In quel momento la Luna Piena della Neve sprigionerà il massimo della luminosità, ma in molti consigliano di ammirarla anche più tardi, quando il cielo sarà completamente buio. Alle 17.40, in effetti, il sole tramonterà e 16 minuti dopo l’oscurità potrebbe essere troppo scarsa, impedendoci di godere appieno del plenilunio. Qualunque sia la vostra scelta, non perdetevi per nulla al mondo questo straordinario spettacolo astronomico!

 

Paris Fashion Week: flash dalle sfilate delle collezioni PE 2021

1.KENZO

Quarta e ultima tappa di VALIUM alle Fashion Week delle capitali mondiali della moda: il gran finale, come ogni anno, spetta a Parigi. Nella Ville Lumière, a differenza di New York e Londra, si è registrato un minor numero di presentazioni digitali. A cavallo tra il 28 Settembre e il 6 Ottobre – queste le date della Paris Fashion Week – le classiche sfilate “live” (in presenza o meno) e le esibizioni virtuali si sono suddivise in modo equo. Chanel non ha rinunciato al suo celebre show al Grand Palais, perpretrando così la tradizione della sfilata-evento nella location adorata da Karl Lagerfeld. Massiccia è stata la partecipazione dei big: Dior, Balmain, Louis Vuitton, Chloé, Hermès, Givenchy (con la collezione opera prima del designer Matthew M. Williams), Balenciaga, e poi ancora Maison Margiela, Marine Serre, Yohji Yamamoto, Rick Owens, Giambattista Valli, Loewe, Miu Miu e Andreas Kronthaler x Vivienne Westwood non sono mancati all’ appuntamento con i défilé Primavera Estate 2021, ma sono state parecchie anche le defezioni. Valentino a parte, assente giustificato dato il trasferimento a Milano, nomi del calibro di Alexander McQueen, Celine, Comme des Garçons, Dries Van Noten, Sacai, Off-White, Lacoste e Lemaire hanno disertato la settimana della moda. Non può essere trascurata, poi, l’ assenza di Saint Laurent; Anthony Vaccarello ne ha spiegato i motivi accennando al suo nuovo modo di rapportarsi al processo creativo. Sul versante ispirazione, ancora una volta il lockdown e il mondo forgiato dal Covid hanno prevalso. Ogni brand ha espresso le proprie considerazioni al riguardo tramite la sua collezione, imbastendo un fil rouge “filosofico” che permea tutte le creazioni.

 

2.KENZO

“Bee a Tiger”: è questo il titolo della collezione proposta da Felipe Oliveira Baptista, al timone creativo di KENZO dal 2019. Ma vedremo più avanti il senso di quel “bee”. Cominciamo col dire che l’ ispirazione di Baptista scaturisce dalle riflessioni sulla Terra ai tempi del Coronavirus. Come poter andare avanti, come mantenere la positività in un mondo malato, calato in una realtà in gran parte ancora ignota e tanto difficile da sostenere? Le idee si moltiplicano, a volte in accordo ed altre in contrasto fra loro: la collezione rispecchia questo stato d’animo tramite un eclettismo costante. Le stampe floreali, uno dei trademark di Kenzo, “piangono” grazie a un effetto che ce le mostra sfuocate, scolorite a causa delle lacrime. Ma un antidoto alla crisi proviene proprio dalla natura e precisamente dalle api, grandi benefattrici del pianeta. I benefici che erogano in termini di mantenimento della biodiversità sono innumerevoli, la loro estinzione metterebbe a repentaglio la nostra stessa sopravvivenza. Ecco il perchè dei molti look ispirati all’ abbigliamento protettivo degli apicoltori, con tanto di cappelli il cui velo ricopre, a volte, l’intera mise. Le silhouette sono lineari, ma movimentate: predominano le canotte indossate come minidress, spesso abbinate a pantaloni da ciclismo oppure larghi e comodi, zeppi di tasche a toppa come i gilet, i soprabiti, i marsupi. Il colore, altro signature di Kenzo,  assume sfumature tenui e quasi sbiadite. Il rosso, il verde menta, il giallo, l’arancio, il lilla, il bluette sono immersi nella medesima nebulosità che offusca il mondo attuale. Tuttavia, è nel messaggio trasmesso dalla collezione che è insita la speranza, la via per la liberazione: ritrovare l’armonia con la natura è tassativo.

 

3.KENZO

 

1.DIOR

Maria Grazia Chiuri si concentra sui cambiamenti che il drammatico periodo attuale ha apportato nelle nostre vite. Per raccontare tutto questo serve un nuovo linguaggio: nella moda si traduce in una concezione innovativa del taglio dell’ abito, l’ elemento attraverso il quale un capo “dialoga” con l’esterno ed esprime la propria filosofia. Chiuri rivisita quindi la silhouette DIOR per allinearla alle sensazioni e alle emozioni del nostro tempo. Il suo non è un gesto eversivo, bensì un atto d’amore nei confronti dell’ heritage della Maison, che omaggia rileggendolo alla luce di una nuova visione. La giacca Bar viene rielaborata sulle basi di una collezione che Christian Dior creò in Giappone nel 1957: assume linee vagamente a kimono e sottili cinture la stringono in vita per sagomarla sul corpo a seconda dell’estro personale. Le gonne e gli ampi pantaloni sono sostenuti da una coulisse, la camicia è onnipresente e molto lunga, a volte indossata a mò di chemisier; il tailleur include immancabilmente la giacca “kimono” di cui sopra. Sul punto vita si concentra una delle novità rispetto al taglio: scende appena sopra ai fianchi, sottolineato dalla lavorazione smock, oppure “sale” in stile impero. Un tocco etnico pervade tutta la collezione, le creazioni sono intrise di pattern Paisley e il raffinato pizzo si alterna al Tie-Dye. Non mancano i lunghi abiti in chiffon, fluttuanti e declinati in una splendida palette di indaco, blu oltremare, rosa intenso, verde e cipria; i tessuti si mescolano, i ricami proliferano, spighe e motivi floreali riappaiono in grande stile. Fanno da leitmotiv linee fluide e ondeggianti, che accarezzano il corpo con leggerezza sintonizzandosi alla perfezione con l’ anelito di libertà e i mutamenti associati a quest’ era di transizione.

 

2.DIOR

3.DIOR

 

1.BALMAIN

Il tratto distintivo della collezione ideata da Olivier Rousteing è evidente: un’ eleganza ispirata agli anni ’70 con incursioni nel decennio successivo. Non è un caso che lo show si apra con un breve défilé introduttivo in cui trionfano pantaloni palazzo a vita alta, maglie dolcevita, completi a zampa d’elefante, mantelle, tutti nei toni del grigio e invasi da un pattern monogram ripreso dall’ archivio di BALMAIN. Persino il modo di muoversi delle modelle rimanda a quell’ epoca: avanzano disinvolte, sorridenti, con le mani in tasca, ammiccando al pubblico e volteggiando su se stesse. Questa scena fa da apripista a una collezione sartorialmente accuratissima e dal forte impatto visivo; basti pensare che il primo look è un suit giallo fluo con pantaloni svasati e una giacca che sfoggia le spalle a pagoda ricorrenti in ogni creazione. La parata fluo include anche il rosa, spesso mescolato al giallo, evidenziando completi drappeggiati e fasciatissimi. Poi torna il grigio, e l’attenzione si focalizza sul tailleur declinato in svariate versioni a partire da alcuni elementi base: spalle a pagoda (anche asimmetriche), drappeggi, pantaloncini da ciclismo. Tutti gli outfit della collezione avvolgono il corpo in panneggi e forme aderenti che la svasatura rende più easy, mentre le spalle a pagoda accentuano una “drammaticità” teatrale e vagamente Couture. Le ritroviamo in variante smoking, in pelle grintosa, in denim, sul bolerino con grandi revers in un colore a contrasto. Le silhouette si fanno fluide verso la fine del défilé, tramite abiti (indossati a piedi nudi) scintillanti di Swarovski che tramutano la donna Balmain in un’ autentica dea.

 

2.BALMAIN

3.BALMAIN

 

1.GIVENCHY

E’ stato un debutto attesissimo, quello di Matthew M. Williams alla direzione creativa di GIVENCHY. E non ha deluso. La sua collezione Primavera Estate 2021 irrompe come un vortice: per la Maison, senza dubbio, comincia una nuova era. Williams si propone di trovare “l’ umanità nel lusso” focalizzandosi sulla realtà delle persone che indosseranno le sue creazioni, ma non trascura l’heritage di Givenchy. Un intento celebrativo, il suo, e al tempo stesso la volontà di perpetrare uno stile che ha sempre guardato al passato, al presente e al futuro. Con Williams lusso e streetwear si intrecciano in un connubio potente. Esaltazione dell’ hardware, linee pulite e lavorazione dei materiali sono i cardini del suo creare: i gioielli ispirati ai celebri “lucchetti degli innamorati” del Pont des Arts di Parigi adornano le scarpe, gli accessori e i tessuti degli abiti, mirabilmente trattati. Un esempio? I pantaloni solcati da fitte rughe che ricordano le crepe nei muri. Ma è anche il modo in cui il materiale viene utilizzato a originare degli “effetti speciali”, come nel caso dei capi (top, pantaloni, lunghi abiti a sirena) composti da listelli orizzontali simili a quelli di una veneziana, oppure delle aderentissime magliette see-through ornate da disegni che potrebbero essere scambiati per tatuaggi. Tra le creazioni abbondano, poi, tailleur pantalone con la giacca priva di revers e dotata di soprammaniche geometriche. I pantaloni, dal taglio dritto, sono a vita bassa e hanno la piega frontale, gli abiti più lunghi e sinuosi scoprono completamente la schiena, i drappeggi omaggiano lo stile Givenchy. Le borse, extrasize e munite di lucchetto, diventano parte integrante del look, mentre le G Chains, catene gioiello composte da una sfilza di G, sono già candidate a must have. Altamente iconiche risultano anche le mantelline, rigide e squadrate sulle spalle, in pelle di coccodrillo groffata. Un unico giudizio, quindi, per il debutto di Matthew M. Williams da Givenchy: promosso cum laude.

 

2.GIVENCHY

3.GIVENCHY