I Re Magi: tra leggenda e realtà

Giotto, “L’Adorazione dei Magi” (1303-1305 ca.)

 

Il 6 Gennaio non è solo la “festa della Befana”. Il Cristianesimo ricollega a questa data l’arrivo a Betlemme dei Re Magi, i forestieri che nel Vangelo di Matteo portano in dono oro, incenso e mirra a Gesù Bambino. Tradizionalmente vengono rappresentati come tre re originari dei continenti conosciuti all’ epoca, ovvero l’Asia, l’Africa e l’Europa. La carnagione e i tratti somatici di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare (questi i nomi attribuiti ai Magi), di conseguenza, sono indicativi della loro provenienza. I Bizantini privilegiavano l’aspetto simbolico dell’ età, che doveva rispecchiare le tre fasi della vita umana: solevano quindi raffigurarli come un giovane, un uomo nel pieno della maturità e un anziano. Nel suo Vangelo, tuttavia, Matteo non ci fornisce indizi sull’ identità dei Magi. Tutto quel che sappiamo è che venivano dall’ Oriente e che fecero tappa a Gerusalemme, dove incontrarono Erode e  (inconsapevoli dell’ avversione che nutriva per Gesù)  gli chiesero ragguagli sul luogo di nascita del Messia. Dopodichè la stella cometa li condusse fino a Betlemme e, grazie a un sogno rivelatore, cambiarono il tragitto di ritorno per non far parola con Erode di quanto avevano visto.

 

 

Matteo, definendo i visitatori “Magi”, svela che provenivano da una delle tribù dei Medi, un popolo anticamente stanziato nell’ attuale Iran, ma soprattutto che erano sacerdoti mazdei dediti all’ astronomia e all’ interpretazione delle visioni oniriche. Il fatto che avessero iniziato il loro viaggio guidati da una stella, dunque, è perfettamente plausibile. Un gran numero di particolari sulla reale identità dei Magi proviene dai Vangeli apocrifi, che tra l’ VIII e il XII secolo contribuirono a rimpolpare l’ immaginario della tradizione cristiana, e dalla “Legenda Aurea”, un testo che il domenicano Giacomo da Varazze redasse nella seconda metà del 1200. Sebbene Matteo non citi il numero dei Magi, si suppose che fossero tre in base ai doni che offrirono a Gesù Bambino. Altre interpretazioni riconducono il numero tre al simbolismo dei tre continenti, gli unici che l’umanità conoscesse allora: proveniendo i Magi da ognuno di essi, era come dire che il mondo intero aveva omaggiato la venuta del Messia. Ma come facciamo a sapere che Gaspare, Melchiorre e Baldassarre fossero dei re? La spiegazione viene fatta risalire all’ Antico Testamento, dove nei Salmi e nel Libro di Isaia si citano dei re che camminano nella luce del Salvatore, in procinto di porgergli doni, e si profetizza che ogni sovrano si sarebbe prostrato davanti a lui.

 

 

Anche i doni sono elementi dalla potente valenza simbolica: l’ oro, regale, rimanda al Cristo Re, l’incenso alla sua essenza divina, la mirra alla morte del Figlio di Dio. I nomi dei Magi sembrerebbero invece avere radici nell’area che comprendeva la Fenicia, la Babilonia e l’odierno Iran. Ulteriori indizi sull’identità di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre provengono dalle loro reliquie. Fu Sant’ Elena a rinvenire i resti dei tre re, che dopo essere stati trasferiti a Costantinopoli vennero donati a Eustorgio di Milano. Il vescovo li portò con sè nella città meneghina e fece erigere una basilica (oggi basilica di Sant’Eustorgio) dove furono collocati. Nel 1164 l’ imperatore Federico Barbarossa traslò le reliquie dei Magi a Colonia e le donò all’ Arcivescovo Rainaldo di Dassel. I resti sono stati sottoposti ad analisi scientifiche nel XIX e nel XX secolo; quest’ ultima indagine, svolta nel 1981, si è focalizzata sugli abiti dei Magi, e l’esito è stato sorprendente. L’esame ha rilevato la presenza di tre stoffe preziosissime, due damascati e un taffetà di seta provenienti dal Medio Oriente e datati intorno al 100 d.C.: un dettaglio che potrebbe confermare l’ipotesi della regalità di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre.

 

 

La stella cometa è parte integrante del “mistero” dei Re Magi. Giotto inserì la cometa nel celebre affresco “L’Adorazione dei Magi” che realizzò a Padova, nella Cappella degli Scrovegni, tra il  1303 e il 1305 circa: un omaggio alla cometa di Halley che aveva potuto ammirare al suo passaggio nel 1301. Il realismo del corpo celeste dipinto da Giotto lascia tuttora senza fiato. Studi scientifici hanno dimostrato che simili spettacoli cosmici sono effettivamente avvenuti, all’ epoca della nascita di Gesù. In particolare, pare che determinati allineamenti planetari abbiano originato fenomeni contraddistinti da una luminosità sbalorditiva.

 

 

 

Immagine de “L’Adorazione dei Magi” via NASA Universe from Flickr, CC BY 2.0

 

Il Focus

 

Un abito che incarna e sottolinea il mood primaverile? Il Belle Dress di Cecilie Bahnsen. Non è una nuova creazione, appartiene alla pre-collezione Primavera 2019, ma viene riproposto grazie alla Encore Collection (o Encore 13) che la designer danese ha lanciato nel 2020: una linea basata sul riciclo dei tessuti avanzati da precedenti assortimenti. Materiali preziosi, delle vere e proprie stoffe couture, riprendono vita tramite un progetto inneggiante al riutilizzo, uno dei cardini dell’ economia circolare. Divenuto celebre per le raffinatissime lavorazioni, il marchio conserva accuratamente i tessuti che adopera; oggi, mediante la linea Encore 13, li recupera ripresentando le creazioni più iconiche del suo archivio. Abiti, certo, ma anche accessori: nello specifico, borse con manico riccamente decorate come la Fryd Bag e la Louise Bag. Tutti i look della collezione vengono realizzati su ordinazione,  ed è possibile avvalersi di speciali appuntamenti virtuali per definire le misure del capo. Encore 13 è la testimonianza concreta del senso etico e della consapevolezza del brand riguardo ai temi ambientali. Cecilie Bahnsen, non a caso, è una delle label contrassegnate da The Butterfly Mark, una sorta di attestato di benemerenza per gli operatori del lusso. 

 

 

Veniamo ora al Belle Dress: interamente in seta fil coupé, è tinto di rosa pallido e ha un vago aspetto bamboleggiante. La silhouette è ampia, svasata; l’orlo arriva a metà coscia. Le maniche sono a sbuffo da metà braccio in giù e il collo è alto, movimentato da una ruche. Due balze accentuano la linea ad A della gonna conferendole accenti playful. Ma a rendere l’abito ancora più delizioso è un tripudio di minuscoli ricami in 3D, ornamenti a metà tra un cuore e un pois che cospargono in toto il Belle Dress. Il risultato è una creazione fiabesca, ad alto tasso di meraviglia: un vestito che fa sognare chi lo guarda e chi lo indossa.

 

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Un omaggio a Venezia: la collezione da fiaba di Alberta Ferretti per i 1600 anni della Serenissima

 

Anche Alberta Ferretti è sbarcata in laguna, e ha presentato una collezione intrisa di meraviglia. La designer ha celebrato i 1600 di Venezia omaggiandola con creazioni a dir poco da fiaba, magiche e preziosissime: il tributo ideale per una città straordinaria, opulenta e decadente al tempo stesso, onirica, trait d’ union tra Oriente ed Occidente e dunque storico crocevia di culture. Persino la location della sfilata esalta il patrimonio della perla lagunare; Alberta Ferretti ha scelto Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano, inneggiando a un’ epoca che per la Serenissima fu di massimo fulgore. Non è un caso che in ogni look si intreccino arte, storia e moda dando vita a un mix sontuoso, dai livelli di sublimità quasi sacrale. La palette, metallica, è parte integrante dello sfarzo delle creazioni: l’ oro, l’ argento, il nero e il bronzo sono i colori attorno ai quali ruota l’ intera collezione, inondata di luce dai loro bagliori.

 

 

I look scultorei (la maggioranza) si alternano a quelli più eterei e fluidi, gli abiti dagli orli rasoterra ad ampi pantaloni. Le forme sono perlopiù svasate, arricchite da gonne ariose con accenni di strascico, i tessuti spaziano dall’ impalpabile damasco di seta al velluto, dal pizzo al tulle. E se frange a cascata, finissimi ricami floreali, ruches movimentate come onde, tripudi di piume e accenti rocaille fanno da leitmotiv, il plissè soleil trionfa: scolpisce gli abiti schiudendoli in ampie, sorprendenti raggiere. Le mantelle non potevano mancare, in una simile collezione. Sono importanti, drappeggiate, misteriose. Accentuano la solennità delle creazioni e vengono spesso incorporate nell’ outfit, come dimostra il look che chiude la sfilata: un long dress con mantella, una miriade di plissè argentati cinti in vita da un ricamo filigranato in 3D che riproduce la scultura delle enormi mani realizzata da Lorenzo Quinn sulla facciata di Ca’ Sagredo.

 

 

Il motivo della raggiera ricorre, e non solo negli abiti. Diventa uno spettacolare gioiello che espande i suoi raggi saldati sui collier, siano essi posizionati in orizzontale o in verticale. L’allure fiabesca delle mise viene potenziata a dismisura da queste “fiamme” che rimandano ai bagliori solari. Ai gioielli, luminosi e surreali, spetta anche il compito di sottolineare il contrasto tra una collezione che è pura luce e il mood notturno, vagamente enigmatico, che si insinua nei look. Per la realizzazione dei monili, Alberta Ferretti si è avvalsa del savoir faire di un talentuosissimo artista veneziano: Massimiliano Schiavon, discendente da una famiglia che lavora il vetro da ben sei generazioni. I bijoux che hanno sfilato in passerella, infatti, sono in vetro soffiato; oltre alle raggiere includono ramoscelli di fiori, lingue, perle lagunari, che Schiavon ha plasmato con maestria esaltandone la cangianza e la radiosità. L’ omaggio di Alberta Ferretti a Venezia ha coinvolto un altro prestigioso nome dell’ artigianato locale: quello di Rubelli, la storica impresa familiare che, dal 1889, produce tessuti rifacendosi alle più antiche tecniche di lavorazione veneziane. Un esempio? I tradizionali damaschi marezzati e i caratteristici cuoi impressi del Barocco lagunare.

Il fashion show di Alberta Ferretti ha avuto il patrocinio del Comune di Venezia, dal quale la designer ha ricevuto un invito diretto a prendere parte alle celebrazioni del 1600mo anniversario della città. Neppure la scelta di Ca’ Rezzonico è stata casuale: l’ iniziativa ha infatti l’ obiettivo di supportare la Fondazione Musei Civici di Venezia. L’ evento si è tenuto il 4 Settembre, una data cruciale in quanto coincide con lo svolgimento della Mostra Internazionale del Cinema.  Questa concomitanza con il Festival, kermesse di caratura mondiale, non ha fatto altro che accrescere il valore e il prestigio dell’ omaggio di Alberta Ferretti alla Serenissima. Un omaggio che ne coglie, esaltandolo, tutto il potente e sottilmente misterioso incanto.

 

 

 

Foto tratte dal lookbook della collezione

 

 

Ashi Studio, l’ abito come un’ incantevole fiaba

 

Dire Ashi Studio equivale ad evocare una Haute Couture da fiaba: abiti sontuosi, squisitamente scolpiti e ricamati minuziosamente a mano incarnano l’ essenza di un lusso che diventa opera d’arte vera e propria. Fondata nel 2007 a Beirut dal designer Mohammed Ashi, la Maison è diventata subito un punto di riferimento per la clientela raffinata. E non sorprende, perchè le creazioni di Ashi sembrano uscite da un sogno. Si ispirano alle sue radici arabe, ma non solo: declinate in tessuti pregiati, arricchite da preziosissimi ornamenti, subiscono il fascino delle più disparate culture e ne reinterpretano le suggestioni. Ad accomunarle è il desiderio di raccontare una storia, una fiaba, attraverso ogni abito. Il designer libanese attinge al suo amore per l’arte e lo traduce in uno chic senza tempo, eppure assolutamente contemporaneo. Basti pensare alla collezione di Alta Moda Autunno/Inverno 2018/19 di Ashi Studio, che coniuga tonalità come il bianco, il panna, il blu, il nero e il grigio perla con una sartorialità che sfiora le vette del sublime. Da questa collezione VALIUM ha tratto alcuni look, capolavori accomunati da un ammaliante candore: non nascono come abiti da sposa, ma del bridal possiedono tutto l’ incanto. Voi che ne dite?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiar di Luna

Alberta Ferretti

Bagliori argentei, silhouette fluide e la luminosità “liquida” di uno stuolo di paillettes spalmate sul tessuto: quando la luna di Primavera regna, il buio risplende di un magico, rarefatto alone che alcuni look della Primavera/Estate 2018 catturano e fanno proprio. Lo scintillio discreto di questi outfit sembra emanare riverberi di raggi lunari, traducendone la poetica suggestività con fascino in dosi massicce. E’ una allure magnetica a predominare, la sensualità impalpabile che si associa al principio femminile per eccellenza: quello che la luna, da sempre, rappresenta. Non è un caso che i sogni, le emozioni, la versatilità rientrino tra le sue più caratteristiche più spiccate. Suit eterei, long dress rasoterra, abiti, jumpsuit e top le incorporano in uno stile che fa di una lucentezza soffusa, sottilmente misteriosa, il suo prezioso e irresistibile atout.

 

Valentino

Tom Ford

 

Ingie Paris

Dior

 

Flash su una collezione: femminilità e bon ton secondo Zanini. La Primavera/Estate di Rochas

 

Non è casuale, il mio flash sulla collezione Primavera/Estate 2013 di Rochas proprio mentre iniziano le feste Pasquali: un periodo ideale per sfoggiare, tempo permettendo, gli outfit bon ton e dalle vaghe reminescenze anni ’50 ideati da Marco Zanini. Una collezione che nasce da uno stato d’animo, la sua: come spiega Zanini stesso, suo intento principale è stato quello di tradurre, in abiti, “quel self-control che hanno le donne quando usano la gentilezza e la calma come arma per esprimere il loro carattere.” . E nella ‘gentilezza’ risiede il concept delle sue creazioni, declinate in una serie di forme e tessuti che – in modi diversi – denotano classe e femminilità. Molto importante, a questo fine, è la scelta dei materiali: lo chiffon, il satin stretch, il broccato, la seta cloquè, il taffetas, il raso jacquard che, a seconda della loro consistenza, determinano differenti silhouette. Vediamo cosi utilizzare i più rigidi, voluminosi, malleabili come i broccati, il raso jacquard, il faille di seta,per abiti ‘importanti’ dalle ampie gonne, giacchini che lasciano scoperto l’ ombelico,  maxidress e mantelle dalla forma scampanata, mentre è affidato a materiali come il raso lucido e il satin stretch il compito di sottolineare outfit dalle linee aderenti al corpo. Anche le lunghezze, di conseguenza, si diversificano: mini, midi e maxi si alternano indifferentemente come a delineare, in ogni dettaglio, ognuna delle tante sfaccettature che compongono la donna – simbolo della collezione. Ma è il gioco di forme quasi danzanti, che alle più voluminose contrappone quelle attillate, a costituire uno dei motivi più accattivanti della collezione. Anche la palette cromatica gioca un suo ruolo essenziale: una grande profusione di bianco, grigio perla, rosa cipria viene affiancata da tonalità più decise come il ruggine, il nero, il violetto, il fucsia e il rosso ciliegia con ‘pennellate’ di oro e di blue navy, ma non mancano le stampe floreali a confermare una predilezione molto cara al designer. E’ sugli splendidi outfit dal sapore anni ’50 che scatta il nostro flash: costituiti da top aderente scollato ‘a cuore’ e gonna voluminosa, in fantasia floreale, dalla lunghezza midi, ripropongono lo stesso tipo di ampia gonna abbinandola ad un giacchino cortissimo con mezze maniche e abbottonatura frontale. Per entrambi i modelli, è la rigida consistenza del raso jaquard a valorizzarne le forme.   Tra gli accessori, spiccano le wresting shoes bianche che accompagnano ogni completo: rasoterra o a mezzo tacco, a metà polpaccio o al ginocchio, sono un leit motiv costante. Marco Zanini, con questa collezione, riesce ad evocare versatilmente femminilità e bon ton evitando ogni connotazione sdolcinata, esprimendone il romanticismo tramite una sapiente ricerca di volumi, forme e colori che creano il link ideale tra modernità e squisiti tocchi rétro.

Buon venerdì.