Le Frasi

 

“Voglio un autunno rosso come l’amore, giallo come il sole ancora caldo nel cielo, arancione come i tramonti accesi al finire del giorno, porpora come i granelli d’uva da sgranocchiare. Voglio un autunno da scoprire, vivere, assaggiare.”

(Stephen Littleword)

 

I dolci italiani della vendemmia: 5 tipicità regionali

 

Dopo la schiacciata con l’uva (rileggi qui l’articolo che MyVALIUM le ha dedicato), è il momento di conoscere gli altri dolci tradizionali della vendemmia italiana. Ogni regione, ogni area della nostra penisola ha il suo: si tratta di dolci “poveri” ma buoni, rigorosamente preparati con i chicchi d’uva e il mosto di Settembre. Come la schiacciata d’uva, venivano (o vengono tuttora) consumati durante le sagre autunnali, e le loro radici affondano nella cultura agreste. Passiamoli in rassegna uno per uno.

 

Il pane, le ciambelle e i biscotti di mosto

 

Sono tipici del centro Italia, in particolare delle Marche e del Lazio. L’impasto si prepara con il mosto fresco; il prodotto finale risulta soffice, voluminoso e dolcemente aromatico. Il biscotto di mosto, in realtà, del biscotto non ha nulla: è una brioche in pasta di pane dalla caratteristica forma a treccia. Ciò che rende inconfondibili questi dolci è il sapore di semi di anice con cui vengono arricchiti.

 

Il sugolo

 

Originario di regioni quali l‘Emilia Romagna e la Lombardia, il sugolo è una specie di budino che tra i suoi ingredienti, un tempo, annoverava solo mosto e farina. Oggi è molto più zuccherato, ma ugualmente delizioso. Viene servito caldo, dopo una cottura che segue alla pigiatura. Nel 2021, il sugolo ha ottenuto la certificazione De.Co. (Denominazione Comunale di Origine) dal Comune di Gonzaga.

 

La torta Bertolina

 

Proviene dal cremasco, e pare che abbia origini ottocentesche: viene guarnita infatti con l’uva fragola, che proprio in quel periodo fu importata dall’America. A Crema esiste addirittura una sagra che ha preso il suo nome, la Sagra della Bertolina, dove ogni anno, nel mese di Settembre, è possibile degustare la torta. Questo dolce della vendemmia, inoltre, è stato riconosciuto come P.A.T., Prodotto Agroalimentare Tradizionale Italiano.

 

La sapa

 

E’ uno sciroppo d’uva caratteristico dell’area che comprende l’Emilia Romagna, le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo, la Sicilia, la Calabria e la Sardegna. Il mosto viene cotto a fuoco lento affinchè consegua una consistenza estremamente densa, dopodichè, dato il suo sapore zuccherino, è comune utilizzarlo come dolcificante. La sapa, dal colore molto scuro, si versa sulle torte e sui biscotti, ma accompagna anche piatti quali la polenta o lo gnocco fritto, oppure si spalma sui formaggi.

 

La mostarda d’uva

 

In Piemonte, sua terra d’origine, viene chiamata comunemente Cugnà, ed ha radici antichissime. Si preparava nei giorni della vendemmia perchè il mosto non andasse sprecato. Al mosto d’uva, rigorosamente cotto, veniva aggiunto un tripudio di spezie e di frutta fresca: noci, nocciole, fichi secchi, mele cotogne, mele, pere, arance, zucche, scorza d’arancia…Ne risultava una sorta di marmellata dalla consistenza densa e dall’aroma a metà tra il dolce e lo speziato. Oggi, la mostarda d’uva è considerata uno storico prodotto del Monferrato. Può essere spalmata sia sul pane o sui biscotti che sulla carne o sui formaggi stagionati: manterrà intatta la sua delizia.

Foto

Torta Bertolina di Cremasco, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Sapa di Saba san giacomo.JPG, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

 

I dolci italiani della vendemmia: la schiacciata con l’uva della tradizione toscana

 

Di nuovo un post dedicato all’uva? Certo, è tempo di vendemmia (rileggi qui il post che ho dedicato a questo antichissimo rituale) ed è un argomento che non va trascurato. Stavolta, però, lo approfondiremo dal punto di vista della gola: sapevate che la tradizione agreste pullula di dolci tipici della raccolta dell’uva? Sono dolci a base di mosto o di acini succosi, molto semplici ma a dir poco irresistibili. Era comune prepararli in occasione delle sagre e per allietare le serate autunnali, talvolta persino natalizie: basti pensare, ad esempio, alla mostarda d’uva abruzzese, abitualmente consumata durante le feste di fine anno. Oggi scopriremo il dolce più famoso, la schiacciata con l’uva, e nei prossimi giorni esploreremo tutti i restanti manicaretti della vendemmia.

 

 

La schiacciata con l’uva nasce in Toscana, nei vigneti che circondano Firenze e Prato. Questo dolce è diffuso anche nel grossetano, dove però prende il nome di “schiaccia con l’uva”. La schiacciata è in realtà una focaccia, ma una focaccia dolce; alcuni la definiscono “pane dolce” senza tanti giri di parole. Prepararla è semplicissimo: basta munirsi di pasta da pane, zucchero, olio extravergine e uva canaiola, una varietà contraddistinta da acini di piccole dimensioni che abbondano di semi. L’uva canaiola, scarsamente idonea per essere degustata sotto forma di vino, si rivela ottimale per dare alla schiacciata sapore e gusto. La focaccia toscana veniva consumata in periodo di vendemmia, durante le sagre; tra Settembre e Ottobre era presente in tutte le case, e offrirla agli ospiti era considerato un gesto estremamente conviviale.

 

 

L’esiguo numero degli ingredienti che la compongono è sempre valso alla schiacciata la definizione di “piatto povero”. Povero, ma certamente non privo di dolcezza: l’uva canaiola, d’altronde, è celebre per il sapore zuccherino dei suoi chicchi. La tradizione toscana prevede che i molteplici semi contenuti in questa varietà d’uva rimangano rigorosamente intatti. Secondo alcune testimonianze, la ricetta della schiacciata con l’uva risalirebbe nientemeno che ai tempi degli Etruschi. La famosa focaccia si prepara con la pasta del pane già lievitata: quando il primo impasto viene steso sulla spianatoia, si aggiungono quattro cucchiai d’olio extravergine e 50 grammi di zucchero prima di lavorarlo una seconda volta. Dall’impasto vengono ricavate due sfoglie; dopo averne inserita una in una teglia oliata, sullo strato di pasta si versano un tripudio di acini d’uva, due cucchiai d’olio d’oliva e un cucchiaio di zucchero. La seconda sfoglia servirà per ricoprire il tutto, e sarà sormontata da numerosi chicchi di canaiola. Due ulteriori cucchiai d’olio e un’abbondante spolverata di zucchero completano l’opera; poi, la focaccia viene lasciata cuocere per circa un’ora in un forno che ha già raggiunto la temperatura di 180 gradi.

Foto della schiacciata via Flickr, dall’alto verso il basso:

Sara Gambarelli, CC BY-NC-SA 2.0

Mei Man Ren Sheng, CC BY-NC-ND 2.0

 

Uva Pop

 

Abbiamo sempre parlato di uva nera, di viola scuro che è il colore di tendenza dell’Autunno oltre che il “color of the month” di Settembre. Ma esiste anche l’uva bianca, dalla caratteristica tonalità lime o, se preferite, verde chartreuse: una nuance che dona un tocco pop a qualsiasi cosa si indossi, per non parlare poi del make up. Oggi andiamo ad esplorarla in entrambe le declinazioni, beauty e modaiola. Più una terza, a sorpresa, inerente all’hairstyle. Guardate le foto e lasciatevi stupire.

 

Foto: Andrej Lišakov via Unsplash

 

Viola scuro, il colore di Settembre

 

Il colore del mese di Settembre è…il viola scuro, chiamato anche color melanzana. Pensate a un viola profondo, tendente al nero, che rimanda a quello del suddetto ortaggio. Oppure, pensate all’uva…la cosiddetta uva nera, che in realtà esibisce la gradazione più intensa di viola. Ne esistono diverse varietà: la Midnight Beauty, la Black Pearl, la Black Magic…tutti nomi evocativi che designano un grappolo dagli acini sommamente scuri. E siamo perfettamente in tema con Settembre, fateci caso. Anche perchè, proprio in questo periodo, matura una cospicua quantità di frutta e ortaggi viola. Qualche esempio? I fichi, le susine, l’uva nera, appunto, e poi le già citate melanzane, le more, i mirtilli, alcune varietà di lamponi, il radicchio, le patate, le carote e il cavolo viola. Non c’è che l’imbarazzo della scelta, insomma. Per quanto riguarda la simbologia del viola scuro, a grandi linee ci si avvicina a quella del viola, che MyVALIUM ha già approfondito qui . Il viola scuro è particolarmente associato al misticismo e alla sfera spirituale, alla meditazione e all’introspezione. E’ un ponte tra tutto ciò che è terreno e trascendentale; un colore legato al mistero, alla capacità di scorgere realtà apparentemente invisibili, alla preveggenza. Il viola scuro è magico, raffinato, regale. Secoli orsono era la tonalità preferita dai sovrani e dagli aristocratici, poichè emanava un fascino assai raro. I religiosi, a tutt’oggi, indossano paramenti liturgici viola scuro in tempi penitenziali quali l’Avvento e la Quaresima. Il viola scuro è connesso al mese di Settembre anche per il senso di mistero: i suoi giorni conducono in Autunno, la stagione delle prime brume. Le atmosfere sono molto diverse da quelle estive: più introspettive, più imperscrutabili; non dimentichiamo che la festa di Halloween sancisce il trionfo dell’insondabile. Dulcis in fundo, il viola scuro, nella fattispecie il viola ametista, rientra tra i colori di tendenza dell’Autunno Inverno 2025/26: prendete nota.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Tra Estate e Autunno: la stagione di mezzo e i suoi aromi

 

Questo weekend sancisce la fine di Agosto, il mese vacanziero per eccellenza. Lunedì arriva Settembre, e porterà con sè nuove atmosfere, nuovi stati d’animo e nuovi aromi. Sì, aromi: perchè a cavallo tra l’Estate e l’Autunno la natura ci regala, ogni volta, delle straordinarie esperienze olfattive. Basta una semplice passeggiata in campagna per rendersi conto dei profumi sedimentati dall’Estate appena conclusa e degli indizi dell’Autunno in arrivo, con i suoi inconfondibili sentori. I vigneti, tanto per cominciare, a Settembre strabordano di grappoli d’uva: rimandano all’odore del mosto, un aroma intenso e “carico” dovuto al processo della fermentazione alcolica. Un profumo che sa di vino, e a seconda di svariati fattori può rievocare accenti di volta in volta erbacei, fruttati o floreali. Ma anche terrosi, scaturiti soprattutto dalla pigiatura, ed ecco che entra in scena la profonda connessione tra gli aromi di Settembre e la natura. La terra, in particolar modo quella bagnata, è altresì l’odore indissolubilmente associato alle prime foglie cadute.

 

 

Non è ancora tempo di foglie che scricchiolano sotto i piedi, però i fichi (quelli derivanti dalla seconda fioritura) e i fichi d’india, tra Agosto e Settembre, raggiungono la piena maturazione. E sembra quasi di cogliere nell’aria il sentore dei fichi lasciati essiccare al sole: dolce e intriso di note caramellate, ricorda la terra e il calore dei raggi solari. Questo particolarissimo aroma, non a caso, è stato paragonato a quello del cognac o dello whisky, mentre i “nasi” più celebri lo associano olfattivamente al davana, l’erba aromatica indiana i cui fiori venivano donati a Shiva, una delle più venerate divinità indù.

 

 

Le piogge, se saranno abbondanti come quelle che ha portato con sè l’Estate, tra poche settimane permetteranno ai muschi di fare la loro comparsa sulle rocce, sui tronchi degli alberi e sui muri, elargendo copiosamente un altro dei caratteristici odori che anticipa le brume autunnali.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Il vino e i suoi colori

 

Autunno, tempo di vino. Ma non tutti i vini, e lo sappiamo bene, hanno lo stesso colore. Potremmo inserirli in tre diverse tipologie cromatiche: vini rossi, vini bianchi e vini rosati. La loro colorazione dipende dai pigmenti vegetali presenti nella buccia dell’uva: gli antociani sono i responsabili della tonalità dell’uva rossa, i flavoni di quella dell’uva bianca e gialla, mentre l’ossidazione delle catechine e dei leucoantociani determina le sfumature più intense dell’uva bianca. Scopriamo meglio, nel dettaglio, come si ottengono i colori delle tre tipologie principali di vino.

 

Vino bianco

 

Viene vinificato dall’uva a bacca bianca. Tuttavia, a volte si adopera anche l’uva a bacca nera, ma tramite uno specifico procedimento: la sgrondatura. La separazione, cioè, delle bucce dal mosto nel momento immediatamente successivo alla spremitura; ciò permette di evitare la macerazione delle bucce nel mosto. E dato che sono i pigmenti contenuti nelle bucce degli acini a determinare la colorazione dell’uva, questo processo fa sì che si possano ottenere vini bianchi anche dall’uva a bacca nera.

 

Vino rosso

 

E’ il risultato della vinificazione dell’uva a bacca nera. La sgrondatura viene effettuata dopo un notevole lasso di tempo dalla macerazione delle bucce nel mosto; questo periodo varia a seconda del tipo di vino, ma di solito dura una manciata di giorni.

 

Vino rosato

 

Viene utilizzata l’uva a bacca nera, ma riducendo al minimo i tempi di macerazione delle bucce nel mosto; oppure, si ottiene una miscela di vino rosso e vino bianco utilizzando l’arte della cuvée, un particolare processo di assemblaggio. Ciò non riguarda, comunque, i vini fermi DOC poichè è vietato utilizzarli in questo tipo di procedimento.

 

 

Ma non esistono solo le tre colorazioni di cui abbiamo parlato: ciascuna di esse è contraddistinta da molteplici sfumature. Da ognuna si deduce di quale tipo di vino stiamo parlando. Come riconoscere, dunque, un vino dal suo colore? Facciamo subito qualche esempio.

 

Le gradazioni del vino bianco

 

I vini giovani sfoggiano sfumature giallo paglierino, che possono assumere una vaga tonalità verdognola in quelli più freschi.

I vini bianchi strutturati, che offrono un’esperienza degustativa estremamente avvolgente, hanno un tipico colore giallo dorato. Ciò vale anche per i vini ottenuti con vendemmia tardiva, quando l’uva viene lasciata appassire sulla vite dopo la maturazione, e per i passiti, realizzati tramite l’appassimento in fruttaio. Il giallo dorato può contraddistinguere, inoltre, i vini per i quali sono state utilizzate bucce che esibiscono una tonalità più scura.

I vini concentrati sono caratterizzati, invece, da una nuance di giallo ambrato: tra essi rientrano i passiti e i vini liquorosi o fortificati.

 

Le gradazioni del vino rosso

 

I vini giovani e di pronta beva, freschi e gradevoli al gusto, hanno intense sfumature rosso porpora.

I vini rossi di media struttura, così come quasi tutti i vini rossi, ostentano un bel rosso rubino.

I vini di lungo affinamento, lasciati cioè maturare a lungo direttamente in bottiglia, sono tinti di un caratteristico rosso granato.

Quando il suo stato evolutivo indica un’evidente maturazione, il vino assume decise sfumature rosso arancio. Se questa colorazione riguarda la totalità della bevanda, può designare invece un vino ricco di note ossidative: realizzato, cioè, tramite un processo di esposizione controllata all’ossigeno. Oppure ancora, la tonalità aranciata denota un’alterazione del vino.

 

Le gradazioni del vino rosato

 

Anche il vino rosato non ha un unico colore. Ad esempio, assume una gradazione rosa tenue quando le bucce dell’uva sono state lasciate a macerare per pochissimo tempo.

Quasi tutti i rosati sfoggiano una tonalità rosa cerasuolo, che conferisce loro un aspetto lussuoso.

La sfumatura che i francesi chiamano pelure d’oignon, ovvero buccia di cipolla, riguarda invece soprattutto gli spumanti e si identifica con un rosa intenso.

I vini rosati fermi, di media intensità, presentano una gradazione di rosa ancora più intensa: il rosa chiaretto. E’ per questo che prendono il nome di Clairet, “chiaretto” in francese.

 

La vendemmia: un rito antichissimo e le sue tradizioni

 

Sono i giorni più belli dell’anno. Vendemmiare, sfogliare, torchiare non sono neanche lavori; caldo non fa più, freddo non ancora; c’è qualche nuvola chiara, si mangia il coniglio con la polenta e si va per funghi.
(Cesare Pavese)

 

Settembre, da sempre, è tempo di vendemmia. Un termine che indica la raccolta dell’uva da vino: l’ultima tappa di un impegno nei vigneti che dura un anno intero, a cominciare dalla potatura invernale di Gennaio. L’uva che si raccoglie durante la vendemmia, in sintesi, è quella che troviamo sulle nostre tavole tramutata in delizioso nettare degli dei. Ma la vendemmia, oltre ad essere una pratica agricola, è un vero e proprio rituale: sopravvive da secoli, portando con sè un bagaglio di tradizioni, usanze scaramantiche e tecniche entrate far parte degli annali della cultura agreste. La vendemmia nasce nell’antica Roma, e lo dice il termine stesso; “vendemmia” proviene dal latino “vindimia”, che unisce “vinum” (vino) e “demere” (raccogliere). Sin da allora, dunque, designava la raccolta dell’uva destinata alla vinificazione. I romani adoravano questo periodo, tant’è che gli dedicarono una festività, i “vinalia rustica”, che cadeva ogni 19 Agosto. Ma non solo: chiamarono il mese di Settembre “mensis vindemialis” e lo consacrarono interamente alla vendemmia. In quei giorni, il lavoro nei vigneti veniva coniugato con feste e rituali in onore degli dei; i romani esprimevano così la loro gratitudine alle divinità per l’abbondanza del raccolto.
E qui torniamo al discorso iniziale: la vendemmia, al di là dell’importantissima funzione che ricopre a livello agricolo, è sempre stata un’attività ricca di significati. In primis rappresenta un momento di aggregazione fondamentale per la comunità agreste, un evento all’insegna della convivialità e della voglia di festeggiare. Ci si ritrova tutti insieme in vigna e la raccolta dell’uva viene celebrata con canti, stornelli, chiacchiere e risate. Il duro lavoro si alleggerisce lasciando il posto alla magia che impregna questa fase dell’anno agrario. Usanze e rituali abbondano, così come la superstizione. E una volta terminata la raccolta, ci si diverte tramite balli, degustazioni e musica rigorosamente suonata dal vivo. La vendemmia è una festa da condividere in compagnia.
In più, c’è un dato non trascurabile da prendere in considerazione: il vino produce ricchezza. E non solo in qualità di bevanda. L’enoturismo, ovvero il turismo del vino, ultimamente ha conosciuto un incremento eccezionale. Un  numero sempre maggiore di persone è attratto da mete che hanno fatto del vino la loro eccellenza. Si moltiplicano le visite alle cantine, ai grandi vigneti, alle aziende vinicole, per vivere esperienze che spaziano dal semplice giro di perlustrazione ai workshop, le attività all’aria aperta, le degustazioni, gli approfondimenti culturali sui “territori del vino”. Il valore del vino, di conseguenza, è inestimabile sia dal punto di vista economico ma anche socio-culturale: definisce l’identità di un luogo, ne sancisce le tradizioni, favorisce la socialità e la coesione sociale.
Continuando a parlare della vendemmia e delle sue usanze, notiamo che sono innumerevoli e variano da regione a regione. Si tratta di consuetudini secolari, ma per la maggior parte tuttora in uso: un modo per mantenere ben saldo il legame tra l’uomo e le proprie radici. Ma quali sono le tradizioni più diffuse nei vigneti d’Italia? Tanto per cominciare, prima ancora che la vendemmia inizi, la vigna dovrebbe essere benedetta da un sacerdote: questo gesto, oltre che a scacciare la malasorte e a porre il vigneto sotto la protezione divina, serve a garantire un raccolto vinicolo abbondante.
La data di inizio della vendemmia, solitamente, viene stabilita dopo un attento studio delle fasi lunari, che si pensa possano influire sull’uva e sulla sua pregiatezza. Si tratta più che altro di superstizioni, ma sono in pochi a non tenerle in conto. Per una buona vendemmia, dunque, ne andrebbe ponderato l’avvio con il calendario alla mano.
Il primo grappolo d’uva raccolto ha un’importanza decisiva. Lo si mostra a tutti i partecipanti, a volte lo si benedice, lo si passa di mano in mano, lo si condivide mangiandone qualche chicco a testa. Ciò assicurerebbe una buona riuscita della vendemmia e una copiosa raccolta di grappoli.
L’inizio della vendemmia è un momento cruciale: le tradizioni proliferano e sono tutte volte a propiziare il successo della pratica agricola. In molte regioni italiane, ad esempio, la prima persona che entra nel vigneto è determinante. Una classica figura di buon auspicio è la donna, che alcuni vogliono bionda e altri bruna. Costei sarebbe portatrice di fecondità.
E’ comune accompagnare la vendemmia con canti, stornelli e botta e risposta pepati tra i due sessi. Nelle Marche, per esempio, i più giovani erano soliti scambiarsi frasi di corteggiamento attraverso gli stornelli. Si faceva a gara a chi formulava la proposta più arguta, o a chi replicava con un’altrettanto arguta risposta. Gli adulti chiacchieravano tra loro del più e del meno. Si rideva molto, questo sì, e la fatica risultava dimezzata. In alcuni vigneti d’Italia, invece, si ritiene che la vendemmia vada svolta in silenzio: servirebbe a non risvegliare le entità naturali, che potrebbero vendicarsi rendendo l’uva di pessima qualità.
Vendemmiando, va fatta molta attenzione al numero di grappoli che contiene ogni cesta. Anche in questo caso, trionfa la superstizione: tuttavia, le credenze differiscono in ogni regione. Ad attirare la buona sorte potrebbe essere, a seconda del territorio, un numero pari o un numero dispari. Il numero pari sarebbe emblema di armonia, il numero dispari di straordinarietà.
Frequenti sono anche le usanze che riguardano il primo mosto, il succo dei grappoli schiacciati poco tempo prima: a scopo propiziatorio viene versato sul suolo oppure lo si usa per produrre il vino “apripista” dell’annata.
Lo spirito della vigna è una credenza popolare molto diffusa. Questo spirito veglierebbe sul vigneto proteggendolo costantemente; non è un caso che un gran numero di viticoltori gli dedichi preghiere o doni per attirarsi i suoi favori.
Esistono poi delle curiosità che voglio citare ispirandomi ancora una volta alla mia regione, le Marche. Torniamo per un momento alla raccolta dell’uva. I grappoli venivano inizialmente sistemati nelle ceste e, a filare ultimato, versati nelle cassette che con un biroccio (un carretto a due ruote) si trasportavano fino alla cantina. Lì le uve si scaricavano nelle “canà”, grandi vasche adibite alla pigiatura. Quindi iniziava il lavoro che uomini e donne compivano con i propri piedi, pigiando i chicchi per lasciar fuoriuscire il mosto. Il movimento era una sorta di saliscendi che coinvolgeva  in alternanza la punta e il tallone del piede. Questa operazione, a seconda della quantità d’uva raccolta, non era raro che durasse tre giorni di fila. L’elemento interessante è la leggenda che è stata imbastita attorno alla pigiatura: si narra che un conte, avendo notato che i pigiatori procedevano stancamente, mandò a chiamare un suonatore ambulante di organetto. Quando questi arrivò nella cantina, il conte gli chiese di suonare una ballata dal ritmo serrato e molto allegra. I pigiatori si rinvigorirono non appena la ascoltarono, si lasciarono trascinare dalla musica e diedero involontariamente vita a un ballo che fu chiamato “saltarello”: è tipico delle Marche e di molte regioni dell’Italia centrale, come il Lazio, l’Umbria e l’Abruzzo. Viene considerata una delle danze più antiche d’Italia; con la vendemmia ha dunque in comune, oltre che l’origine, le radici ancestrali.
Foto via Pexels e Unsplash

Settembre, il look del mese

 

Omaggio all’ametista, colore del mese di Settembre, con un look che lo esalta in modo divino: la gonna è lunga, fluttuante, a vita alta, composta da balze e increspature. Impreziosita dal tessuto di raso, sprigiona eleganza e lucentezza con un’impronta vagamente gipsy. La sua nuance, oltre che una gemma, rievoca un succoso grappolo di uva matura. E dato che siamo in epoca di vendemmia, il riferimento non è puramente casuale. Il viola simboleggia l’intensità dell’Autunno, è un preludio all’indistinta cupezza del nuovo ciclo stagionale. Considerata una tonalità magica, misteriosa, ipnotica, si collega a tutto ciò che è spirituale; favorisce il contatto con il nostro io più profondo e le nostre emozioni. La lunga gonna viola viene abbinata a un giacchino dagli accenti scintillanti che si apre sulla pelle nuda: tinto di squarci di blu e marrone, sembra richiamare i rami degli alberi che, ormai privi di foglie, si stagliano contro il cielo della sera.

 

 

Il look è firmato Fely Campo, un brand leader nel mondo del bridal e degli abiti da cerimonia fondato in Spagna, a Salamanca, nel 1997. Fely Campo, direttore creativo e fondatrice del marchio, nel corso degli anni ha dato vita anche a una linea di prèt-à-porter di lusso che viene presentata alla Mercedes Benz Fashion Week di Madrid. I codici stilistici di Fely Campo coniugano un impeccabile savoir faire artigianale con l’attenzione alla durabilità, qualità e raffinatezza dei capi. La ricerca costante di nuove forme e nuovi tessuti è finalizzata alla creazione di abiti che esaltano la femminilità e la sicurezza della donna che li indossa.

 

Ultima settimana di Agosto: il nuovo tema della settimana

 

Dovrebbero metterle in una scatola le sere tiepide di fine estate, aria, riflessi e sogni compresi, per respirarle durante i primi freddi dell’inverno.
(Fabrizio Caramagna)

 

Inizia l’ultima settimana di Agosto. Il mese più caldo dell’anno sabato arriverà al capolinea e lascerà spazio a Settembre. Si avvicina il periodo della vendemmia, di sera i lampioni si accendono sempre più presto. Ma il 31 Agosto segna anche la fine dell’estate metereologica, che comprende i mesi di Giugno, Luglio e Agosto. In campagna si attende l’avvio dell’aratura dei campi, e intanto ci si appresta a dedicarsi alla raccolta dell’uva: sono istanti impareggiabili, all’insegna della convivialità e del lavoro di squadra. Con le vacanze ormai giunte al termine, le città tornano a riempirsi. Il tran tran quotidiano si rimette in moto, obbligandoci a relegare le puntate al mare nel weekend. E anche se il caldo non ne vuole sapere di andarsene, le giornate che si accorciano garantiscono un maggior numero di ore di buio e notti più fresche e arieggiate. La fine di Agosto, non va dimenticato, è il momento propizio per la formulazione di buoni propositi: il cambio di stagione favorisce la propositività, le svolte, l’ideazione di nuovi progetti. L’estate ci ricarica e rinvigorisce al punto tale da stimolarci a rimetterci in gioco. Molti, moltissimi di noi fanno coincidere Settembre con un giro di boa. L’energia è quella giusta per dare una sferzata alla propria vita, soprattutto quando ci si trascina in una quotidianità stagnante e sempre uguale. Che dire, allora? Prendiamo tutto il meglio dell’ultima tranche di estate, considerandola un’occasione per evolvere, cambiare direzione o rinnovarci interiormente. Perchè, come diceva Kierkegaard, “la vita può essere capita solo all’indietro, ma va vissuta in avanti”.