Le uova colorate: un’antica tradizione pasquale tra leggenda, simbologia e sacralità

 

L’uovo è il simbolo pasquale per eccellenza. Sin da tempi remotissimi ha rappresentato la vita, il cardine dei quattro elementi, la fertilità, la rinascita. Regalare uova in occasione dell’arrivo della Primavera era una tradizione diffusa tra molti antichi popoli pagani. I Persiani, così come gli Egizi, i Greci e i Cinesi solevano scambiarsi uova di gallina per festeggiare la rinascita della natura, e non era raro che si trattasse di uova decorate manualmente. Con l’avvento del Cristianesimo, questa simbologia venne sostituita da quella prettamente associata alla Resurrezione: in Mesopotamia, tra i cristiani era d’uso donarsi uova tinte di rosso per rievocare il sangue di Cristo Crocifisso. La Chiesa Cattolica considerava l’uovo un emblema perfetto del Cristo che risorge. Esternamente, infatti, l’uovo somiglia alla pietra di un sepolcro, è freddo e inanimato; al suo interno, invece, germoglia la vita. Con questo significato, nel Medioevo, le uova si tramutarono in un tradizionale dono pasquale. Ma come ebbe inizio l’usanza di colorarle? Per tingerle delle tonalità più svariate, era comune farle bollire avvolte in delle foglie o insieme ai petali di certi fiori.

 

 

Tra i ceti aristocratici, nello stesso periodo storico, era molto in voga regalare uova interamente costruite in oro, platino o argento, oppure rivestite di questi metalli preziosi. Il popolo, tuttavia, adottò l’abitudine di colorare le uova anche per ragioni pratiche: durante la Quaresima, infatti, quando era proibito mangiare carne e prodotti di origine animale, le famiglie usavano bollire le uova per conservarle fino alla fine del digiuno; tingerle di vari colori si rivelava utile ai fini di distinguerle dalle uova crude. Tornando alla tradizione pasquale, le tonalità tipiche erano il giallo, il rosso, il marrone, il verde e il nero, che era possibile ottenere tramite coloranti naturali. Nei paesi dei Balcani e ortodossi, la millenaria usanza delle uova colorate è giunta fino ad oggi. Le uova, bollite, sono rosse a simboleggiare la Passione, ma di recente sono state introdotte anche altre cromie. Il pasto viene poi consumato a Pasqua e Pasquetta. Parlando di uova rosse, è interessante sapere che in Primavera, nella Roma antica, era abitudine sotterrarle nei campi affinchè fossero di buon auspicio per il raccolto. Esiste anche una leggenda, riguardante le uova tinte di questo colore.

 

 

Si narra che Maria Maddalena, quando scoprì che Cristo era risorto, corse a dare la bella notizia a tutti i suoi discepoli. Nessuno di loro, però, prestò fede alle parole della donna, e Pietro le disse che l’avrebbe creduta solo se le uova che portava con sè in un cestello si sarebbero tinte di rosso. Così avvenne: come per miracolo, tutte le uova di Maria Maddalena diventarono rosse in un batter d’occhio.

 

 

Oggigiorno, con la supremazia delle uova di cioccolato, la tradizione delle uova di gallina colorate è sempre viva, anche se un po’ in ribasso. Negli stati di fede ortodossa, tuttavia, permane in tutto il suo fulgore originario: le uova sode, tinte con coloranti alimentari, in questi paesi rappresentano un po’ una risposta al boom dell’uovo di cioccolato, che viene generalmente associato a connotazioni più consumistiche.

 

Foto di Roman Odintsov via Pexels

 

Equinozio di Primavera

 

Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire.”
(Gabriele D’Annunzio)

 

La Primavera è entrata ufficialmente alle 4.06, un’ora a metà tra notte e alba: il cielo è ancora buio, ma il silenzio viene invaso dal cinguettio degli uccellini che annunciano l’imminente nascita di un nuovo giorno. Oggi inizia la stagione del risveglio, la natura si desta dal lungo torpore invernale. I fiori sbocciano, il paesaggio si tinge un tripudio di colori. La terra inaugura il suo periodo di fertilità, l’aria si impregna di frizzante leggerezza. C’è voglia di ricominciare a vivere, di godere appieno delle giornate sempre più lunghe, di trascorrere più tempo all’aperto. La Primavera irrompe come una folata di energia, porta con sè la gioia della rinascita. Ci si riapre al mondo, ai desideri del cuore, alla magia del nuovo inizio. E i fiori diventano l’emblema di questo stato d’animo, di questa atmosfera inebriante: i loro profumi e le loro tonalità ci invitano ad addentrarci nei sentieri della bella stagione e a riscoprirla in tutta la sua meraviglia.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Una Couture fiabesca per un Natale da fiaba

Yuima Nakazato

Natale è fiaba, e gli abiti più fiabeschi dell’Haute Couture tornano anche quest’anno a farci sognare. Sono creazioni sontuose, evocative, vagamente surreali, che ho scelto per la loro capacità di riecheggiare le narrazioni dell’antica tradizione popolare. Lascio a voi il compito di collocarle in una fiaba ben precisa, e di inserirle, foss’anche solo con l’immaginazione, nel vostro personale racconto di vita.

 

Viktor & Rolf

Stéphane Rolland

Armani Privé

Aelis

Raul Mishra

Celia Kritharioti

Giambattista Valli

Schiaparelli

Zuhair Murad

Georges Chakra

Iris Van Herpen

Tony Ward

 

Le Frasi

 

“Pensa che in un albero c’è un violino d’amore.
Pensa che un albero canta e ride.
pensa che un albero sta in un crepaccio e poi diventa vita.”
(Alda Merini)

 

 

Le Frasi

 

“A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino.” 

(Pablo Picasso)

 

 

Foto: Pablo Picasso con la sorella Lola nel 1889

 

I doni dell’Autunno

 

“In Natura tutto parla, nonostante il suo apparente silenzio.”

(Hazrat Inayat Khan)

 

Uva, fichi, mele, melograni, pere, susine, frutti di bosco, noci, castagne, cachi, zucche…I frutti autunnali che la Natura ci offre sono doni preziosi. Per non parlare della verdura, che include, tra l’altro, i deliziosi funghi che tanto allietano il nostro palato. Viene voglia di immortalare tutti in grande stile, con scatti che rievocano le celebri nature morte caravaggesche. Ma di  “morto” non hanno proprio nulla, anzi: semmai le composizioni, le disposizioni, le collocazioni che li vedono protagonisti esaltano a dovere le loro doti, inneggiano alla vita, riducono l’immobilità ad una sorta di fermo immagine. VALIUM dedicò già lo scorso anno un post (rileggilo qui) allo still life delle colture dei primi mesi freddi, e oggi decide di fare il bis. Anche perchè questo post, a proposito di frutta d’Autunno, avrà un sequel…Stay tuned per scoprire di che si tratta.

 

 

Foto via Unsplash

 

Le Frasi

 

“Un uomo verrà certamente, fra molti anni, in una calma sera d’estate, a chiedermi come si può vivere una vita straordinaria. Ed io gli risponderò certamente con queste parole: Rendendo abituali le azioni e le sensazioni straordinarie e facendo rare le sensazioni e le azioni ordinarie.”
(Giovanni Papini)

 

 

“Otto e mezzo”, “Il Gattopardo” e la completezza del mondo

 

“Vivere la vita come un blocco unico e coerente, vivere la vita come esplosa in tanti frammenti. E’ la storia della volpe e del riccio di un frammento di Archiloco, e su cui Isaiah Berlin ha costruito un saggio. “La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande”. Berlin ne fa uno spartiacque degli scrittori, dei pensatori, e dell’ umanità in generale. Gli esseri umani si dividono in volpi e ricci. Ricci sono quelli che si rifanno a un unico principio ispiratore, sulla base di una visione morale del mondo. Volpi sono quelli che si appassionano a modelli diversi e contraddittori, senza un faro etico. Per esempio, ricci secondo Berlin sono Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij e Proust. E volpi: Erodoto, Aristotele, Montaigne, Erasmo, Molière, Goethe, Puskin, Balzac e Joyce. Otto e mezzo racconta che Guido è volpe. Il Gattopardo racconta che don Fabrizio è riccio. Tutti e due concludono il film accettando la propria essenza. E forse, Fellini, Mastroianni sono volpi; Visconti, Lancaster sono ricci. Non so, potrebbe essere così. Ma di sicuro, questi due film contemporanei rappresentano i due aspetti dell’ umanità, secondo questo principio. Insieme, riempiono tutti i tasselli possibili. Guido chiede a Claudia se potrebbe essere fedele a una sola cosa. Proprio alla Cardinale, che ha già tradito questa fedeltà andando da un set all’ altro, facendo avanti e indietro dalla volpe al riccio. Mettendo insieme i due film, confrontandoli, marcando le tante differenze e qualche somiglianza, si ha il bianco e nero e il colore, la sceneggiatura originale e non originale, il finto e il vero, il chiasso e il silenzio, l’ improvvisazione e la precisione; si tengono insieme il riccio e la volpe, e quindi si copre l’ intero scibile creativo e intellettuale. E si mettono insieme l’accettazione della vita e l’accettazione della morte. Così Otto e mezzo e Il Gattopardo, insieme, restituiscono la completezza del mondo. “

Francesco Piccolo, da “La bella confusione” (Giulio Einaudi Editore)

 

(Nella foto: Claudia Cardinale in “Otto e mezzo”, Public Domain via Wikimedia Commons)

 

Il girasole e le sue leggende

 

Botanicamente è l’Helianthus Annuus, un nome che fonde i termini greci “helios”, ovvero “sole”, e “anthos”, “fiore”. Ma anche la sua denominazione più nota, “girasole”, cita l’astro infuocato. Ciò perchè, in base ai principi dell’ eliotropismo, ha una corolla sempre orientata verso il sole. In realtà, ciò avviene quando è ancora nello stadio di bocciolo; dopo la fioritura punta laddove il sole sorge, ovvero ad est. Il girasole si associa al sole persino nell’aspetto: la forma tonda e i petali gialli disposti a raggiera fanno subito pensare alla stella più vicina alla Terra. Qualche mese dopo la semina, fissata tra Marzo e Aprile, i campi si tramutano in spettacolari distese color oro che ispirano gioia e buonumore. La particolarità che cattura immediatamente l’attenzione è l’imponenza dei girasoli: il loro stelo può raggiungere i due metri di altezza. La tonalità vibrante e la bellezza unica li annoverano tra i più richiesti fiori ornamentali, mentre i semi, ricchi di nutrienti, sono molto utilizzati in cucina.

 

 

Ma quali sono le origini del girasole? L’ Helianthus Annuus nasce nell’ America Meridionale, precisamente in Perù. Gli Incas lo coltivavano già nel 1000 a.C., e identificavano in questo fiore il loro dio del Sole: l’essere rivolto costantemente verso l’astro era un indizio del dialogo che intratteneva con lui. Il condottiero spagnolo Francisco Pizarro, che conquistò l’Impero Inca e fondò in seguito la città di Lima, fu il primo a scoprire la valenza divina assunta dal girasole  presso gli Incas. In Europa il fiore approdò nel XVI secolo, sia sotto forma di semi che delle innumerevoli riproduzioni in oro che la popolazione andina era solita dedicargli.

 

 

Gli antichi popoli, in generale, consideravano il girasole un emblema di immortalità. L’identificazione con il dio Sole, e quindi con la vita, era presente in un gran numero di culture, favorita anche dal fatto che questo fiore offriva semi commestibili e olio in abbondanza. Esistono leggende molto suggestive, sul girasole; la più celebre lo ricollega alla mitologia greca: Clizia, una giovane ninfa, era perdutamente innamorata di Apollo, il dio del Sole. Non poteva fare a meno di tenere gli occhi incollati al cielo, ogni volta che passava con il suo carro. Apollo, lusingato da tanta attenzione, riuscì a sedurla, ma poco tempo dopo la abbandonò. Clizia, disperata, pianse per nove giorni di seguito in un campo, fissando continuamente il sole. Secondo la leggenda, il suo corpo si immobilizzò fino a diventare uno stelo; i piedi presero le sembianze di radici, i capelli formarono una corolla di petali color giallo brillante: si era tramutata in un girasole, e ammirava il sole da mattina a sera. La leggenda è citata ne “Le metamorfosi” di Ovidio, ma non essendo il girasole ancora sbarcato dall’ America si pensa che possa riferirsi all’ eliotropio.

 

 

Un’ altra leggenda narra di un fiore molto solitario e malinconico. Aveva un aspetto particolare; non era considerato bello e tutti, nel campo in cui sorgeva, evitavano di stargli accanto. Così, il fiore passava le giornate ad ammirare il sole. Lo adorava a tal punto che il suo stelo, a furia di guardarlo, era cresciuto in altezza. Il fiore seguiva il percorso del sole con la sua corolla, e il sole non potè fare a meno di notarlo. Un giorno, incuriosito, l’astro chiese al fiore come mai era sempre solo e costui gli raccontò la sua triste storia. Il sole rimase molto impressionato da quel racconto e decise di aiutarlo: lo confortò e lo trasformò in un fiore alto, splendido e completamente tinto di giallo. Adesso era il fiore più bello di tutto il campo, e prese il nome di Girasole in onore della sua amicizia con l’astro.

 

 

 

Le Frasi

 

“Si può trovare la vita solo nel momento presente. Il passato non è più, il futuro non è ancora arrivato, e se non torniamo a noi stessi nel momento presente, non possiamo essere in contatto con la vita.”

(Thich Nhat Hanh)