Ricordi di un’ estate che fu

 

Molti, in questa stagione segnata dal Covid, adorano ricordare gli episodi felici delle estati che furono. Rifugiarsi nel passato, in effetti, conforta e rigenera, seppure per pochi istanti…Anche se penso che la vita vada vissuta nel presente, oggi mi unisco al coro di chi ama ritornare con la mente ai “bei tempi andati”. E lo farò rievocando un luogo. Troppo scontato parlare del mare, delle spiagge tropicali, dei viaggi all’estero, dei locali bazzicati durante le vacanze. Voglio ricordare una location dell’ estate in città, così, semplicemente: una location associata a tanti anni fa, ma altrettanto suggestiva dei posti e delle situazioni che ho citato qualche riga addietro. Per me è stato e rimarrà sempre un luogo da sogno, emblema di bellezza e convivialità. Immaginate un monte a ridosso delle storiche Cartiere (chi segue VALIUM sa che abito a Fabriano, la “città della carta”), dove anticamente sorgeva un borgo romano. Civita, questo il nome  dell’ abitato,  nel tempo è diventata un’ area cosparsa di ville e case di campagna ombreggiate dalla fitta vegetazione. Tuttora rimane una traccia di quel remoto insediamento, la chiesa di Santa Maria di Civita: tra il XII e il XIII secolo ospitò Francesco di Assisi quando si recava in visita al suo confessore, il pievano Beato Ranieri. Nel corso dei secoli, il colle ha perso l’aura mistica ma non l’atmosfera idilliaca, e resta il luogo ideale in cui vivere per chi ama la privacy e il contatto con la natura.

 

 

Avrò avuto 15 o 16 anni quando un amico di mio padre ha iniziato ad invitarci a cena sulla splendida terrazza della sua casa di Civita. Era una grande terrazza, all’ ombra di una quercia e affacciata sulla valle dove si adagia Fabriano: per raggiungerla bisognava farsi strada tra stanze in stile bohémien dove spiccavano i quadri dipinti dal nostro anfitrione. Eh già, perchè l’ amico di mio padre era un pittore, reduce degli anni della Swingin’ London e molto sul genere “bello e dannato”. Anzi, dovrei dire bellissimo: fisicamente ricordava il Warren Beatty di “Shampoo”, le donne andavano pazze per lui. Originario della Mitteleuropa, poliglotta, arrivava al metro e 90 e i capelli gli sfioravano le spalle. In quella casa immersa nel verde viveva con la sua compagna ungherese e un cane enorme, tutto nero, che aveva chiamato Golia. Le cene d’estate con loro e la mia famiglia – nonostante fosse diversissima in quanto a “imprinting”, c’era una notevole sintonia reciproca – erano una meraviglia. Tra chiacchiere in libertà, calici di vino e il panorama delle mille luci della città di fronte, la terrazza diventava uno scenario mozzafiato con il canto dei grilli in sottofondo. Nel cielo brillavano miriadi di stelle, l’afa si stemperava con l’altura, di tanto in tanto le nostre voci venivano inframezzate dal motore delle macchine che si inerpicavano lungo i tornanti di Civita…e poi, l’autentico spettacolo della Fabriano tutta illuminata, maestosa e antica, distesa ai piedi del colle. Non so se per la compagnia, per la location o per la sensazione di dominare il paesaggio dall’ alto, ma respiravo un’ aria di pura libertà. Quelle serate estive sono rimaste impresse nella mia memoria, indelebili anche dopo svariati anni. Tantevvero che poco tempo fa, incontrando il proprietario della casa con terrazza dove viveva il nostro amico pittore, gli ho chiesto se per caso era in affitto o in vendita…

 

 

 

E’ di nuovo basco boom

Gucci

 

 

Chi mai potrà dimenticare quello indossato da una fascinosissima Faye Dunaway nella pellicola Gangster story? Iconico simbolo evergreen di una femminilità carismatica e disinvoltamente chic, il basco viene da sempre associato a un mood vagamente ribelle e bohemien. Un’accezione che lo ha accompagnato nel corso della storia, quando da copricapo tipico dei “campesinos” dei Paesi Baschi nel primo ‘900 è evoluto -tralasciando il suo uso in ambito militaresco e “guerrigliero” – ad accessorio cult di artisti e signorine à la page all’ ombra della torre Eiffel. Dai “ruggenti anni venti” in poi la sua fama si è consolidata, decretandolo prototipo del cappello francese e complemento di stile gettonatissimo a livello internazionale: sofisticato e sbarazzino al tempo stesso, con il debutto al cinema della “Gangster story” di Bonnie e Clyde il basco ha conosciuto un nuovo boom. Correva l’ anno 1967 e il film, diretto da Arthur Penn e prodotto da Warren Beatty – che recita, peraltro, nel ruolo di Clyde – segnò l’ avvio di un vero e proprio trend modaiolo ispirato al look da sciccosa “donna del gangster” sfoggiato da Faye Dunaway. Il basco che indossa, in particolare, fece furore: in tempi record, ne venne mondialmente raddoppiata la produzione e fu assurto a must da un incalcolabile numero di fan.  Non è un caso che un anno dopo anche la leggendaria BB, nel videoclip della canzone che Serge Gainsbourg ha dedicato alla celebre coppia criminale, interpreti una Bonnie con baschetto che a tutt’ oggi rimane impressa negli annali dello stile. Prima di lei e di Faye Dunaway, un nutrito novero di dive aveva scelto il “french beret” come copricapo d ‘elezione. Qualche nome? Louise Brooks, Greta Garbo e persino la fatale Marlene Dietrich, movie star accomunate da una personalità magnetica e da una forte allure di unicità. Oggi, le passerelle sanciscono il ritorno alla grande del baschetto celebrandolo in collezioni in cui, al di là della valenza di mero accessorio, acquista un decisivo e insostituibile valore nella definizione di tutto un mood: alleato iconico e prezioso, il basco si riconferma un basic in grado di brillare di luce propria in ogni “questione di stile”.

 

 

 

Luisa Beccaria

 

 

 

Maison Margiela

 

 

 

Fay

 

 

 

Paul and Joe

 

 

 

Marc by Marc Jacobs