
Bert Stern, di close.up, se ne intendeva. Lo shooting che lo ha ancorato indelebilmente all’ immaginario collettivo è quel Last Sitting di Marilyn‘ divenuto immortale: oltre 2571 foto scattate in tre giorni nell’ Hotel Bel Air di Hollywood, un mese esatto prima della scomparsa dell’iconica star. Ma la mole del lavoro di Stern è immensa e risale, ritratti dei divi a parte, agli ambiti della fotografia di moda e della pubblicità. Nato a Brooklyn nel 1929, di origini ebree, Bert Stern rappresenta il ‘terzo elemento’ di quella triade di artisti, in cui sono inclusi anche Richard Avedon e Irving Penn, che ha rivoluzionato la fotografia di moda del XX secolo. Gli inizi professionali di Stern, eppure, avrebbero lasciato presagire un percorso diverso: trova impiego presso la rivista Look, ma se è vero che esiste un destino che premia il talento, l’incontro con un giovane fotografo – con cui intraprende un’amicizia ed interminabili partite a scacchi – lo porta a interessarsi all’ espressione artistica. L’amico scacchista ha un nome che, dal canto suo, diverrà una pietra miliare nella storia del cinema: si chiama Stanley Kubrick. La svolta di vita di Stern lo conduce ad abbracciare la fotografia come passione assoluta e totalizzante, in virtù del feeling che si stabilisce tra lui e la macchina fotografica. Negli scatti che risalgono al suo periodo ‘pubblicitario’ degli anni ’50, riesce a donare appeal persino agli oggetti più banali. A soli 25 anni, grazie a una campagna dallo straordinario impatto visivo per la Sminoff, riesce ad instillare nel popolo americano il gusto per la vodka. Nella sessione di foto promozionali per il film Lolita (1962) girato dal suo amico Kubrick, ha l’ intuizione degli occhiali a cuore di Sue Lyon mentre girovaga per bar e drugstore in cerca di ispirazione, Ne risulta un lavoro perfetto, che in pochi elementi -l’auto, il leccalecca, gli occhiali a cuore – coglie in pieno la natura del personaggio di Lolita. Stern fotografa abiti e dichiara ‘I don’t know about clothes’, ma conosce a menadito l’ animo umano che si cela dietro alle movenze e agli sguardi, e lo immortala nella sua quintessenza. I suoi ritratti colgono mirabilmente l’ interiorità attraverso l’esteriorità: Elizabeth Taylor, Audrey Hepburn, Brigitte Bardot, ma anche Twiggy, Madonna, Gary Cooper, Mastroianni sono alcuni dei suoi soggetti. Stern fotografa anche la ex moglie Allegra Kent, madre dei suoi tre figli, in tutta la sua grazia di ballerina, ma soprattutto fotografa Marilyn per Vogue in quell’ interminabile session al Bel Air Hotel nel 1962, un servizio che rimarrà nella storia anche grazie alle voluminose croci che la diva traccia con un pennarello arancione sulle immagini che non approva. E’ una Marilyn di cui Stern immortala i contrasti, la Marilyn del Last Sitting, uniti a quella leggerezza tutta femminile che la bionda di Hollywood per antonomasia ostentava all’esterno per cammuffare un’ interiorità tormentata e ‘pensante’. La nudità, gli impalpabili foulard di chiffon con cui nelle foto gioca a celarsi il corpo, descrivono la diva più ‘dentro’ che ‘fuori’. Quando a Stern chiesero cosa pensasse del mito di Marilyn, non si profuse in grandi panegirici: fu coinciso, diretto, quasi riservato. Disse di lei che era ‘La ragazza americana’. Poche parole per riassumere il suo mito: gli oltre 2500 scatti del Last Sitting avevano già parlato, e in abbondanza, per lui. Il 26 giugno, nella sua casa di Manhattan, Bert Stern è morto a 83 anni. Ma la sua arte lo consegna all’ immortalità: con la stessa certezza con cui si è sempre adoperato a far vivere, nella sua fotografia, tante anime piuttosto che corpi.