Baci, Sospiri e voluttà: i dolci di San Valentino della tradizione italiana

 

In Italia non esistono dolci tipici associati alla ricorrenza di San Valentino, ma sono molti i prodotti di pasticceria che, in un modo o nell’altro, rimandano all’amore. A volte solo per il nome, o grazie a un aspetto che rievoca i simboli della voluttà. Questi dolci, preparati dal Nord al Sud dello Stivale, sono sempre stati reputati un regalo perfetto per dichiararsi alla persona amata. Per risalire alle loro origini, bisogna andare a ritroso nel tempo: la data di nascita di alcuni di essi si colloca nientemeno che tra il XV e il XVI secolo. Andiamo subito a scoprire i più rappresentativi.

 

I Baci di Dama

 

Sono originari di Tortona, in provincia di Alessandria, dove vennero preparati per la prima volta nel XIX secolo. Hanno un nome romantico di cui non si conosce la storia; quel che è certo, è che possono essere considerati una vera e propria eccellenza pasticcera. La loro forma sferica e la farcitura al cioccolato li rendono inconfondibili. Prepararli è molto semplice. La ricetta dei Baci di Dama  include ingredienti come il burro, lo zucchero, le nocciole, la farina e il cioccolato fondente.

 

I Baci di Giulietta e Romeo

 

Provengono da Verona, la città della sfortunata coppia che ispirò la tragedia (“Romeo e Giulietta”, appunto) di William Shakespeare. E con Romeo e Giulietta, questi squisiti biscotti condividono il nome; ideati dal pasticcere veronese Enzo Perlini nel 1950, li caratterizza un “impasto meringa” con farina di mandorle e nocciole e una farcitura di ganache al cioccolato bianco o fondente. Nei biscotti di Romeo viene aggiunto del cacao, mentre quelli di Giulietta deliziano il palato grazie al cocco. La tradizione vuole che, a San Valentino, le donne regalino i  Baci di Romeo (al cioccolato fondente) e gli uomini i Baci di Giulietta (bianchi) ai propri partner.

 

I Baci di Assisi

 

A metà tra biscotti e pasticcini, sono tipici di Assisi, città natale di San Francesco. Hanno una forma tondeggiante, la consistenza soffice della pasta di mandorle. E le mandorle, stavolta sotto forma di fette sottilissime, li ricoprono completamente. Il sapore dei Baci è irresistibile: non è un caso che ne esistano molteplici varianti. I dolcetti storici, tuttavia, sono composti di farina, uova, lievito, burro, zucchero e mandorle, rigorosamente tritate e a fette.

 

I maritozzi

 

Anche Roma ha i suoi dolci della tradizione amorosa. Uno di questi è il maritozzo, che le ragazze, in tempo di Quaresima, solevano regalare ai loro promessi sposi. Quei maritozzi, senza panna ma ricchi di uvetta, canditi e pinoli, contenevano anelli o minuscoli monili d’oro nell’impasto: oggetti dalla forte valenza simbolica che si associavano a un amore destinato ad essere coronato dal matrimonio. Secondo una leggenda, le giovani donne donavano i maritozzi che loro stesse preparavano all’uomo più attraente della comunità. Costui avrebbe poi impalmato la “pasticcera” più brava.

 

I Sospiri

 

Un nome che è tutto un programma, rimanda alle dolci (in tutti i sensi) tribolazioni amorose. Creati a Bisceglie, in Puglia, vantano una storia romantica che si dirama in due differenti versioni: secondo la prima, furono ideati dalle monache in occasione del matrimonio tra Lucrezia Borgia e il Conte di Conversano. Poichè le nozze non furono mai celebrate, le religiose si inventarono questi dolcetti per alleviare l’uggia degli invitati durante l’interminabile attesa degli sposi. Quando vennero serviti, il sorriso tornò a splendere sul volto di tutti: la pasta soffice, la farcitura di crema e la copertura di glassa rendono i Sospiri invitanti al solo sguardo. Ma fu soprattutto la forma a togliere il fiato ai presenti; i Sospiri rievocano inequivocabilmente il seno di una donna. La seconda versione dell’origine dei dolcetti ha per protagonista un giovane pasticcere. Pare che, quando venne abbandonato dalla donna che amava, tra lacrime e sospiri preparò questi pasticcini ispirandosi al suo seno. Dei Sospiri esiste anche una variante senza glassa, curiosamente battezzata “tette delle monache”.

Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash.

Foto del maritozzo di Andy Li, CC0, da Wikimedia Commons

 

San Valentino e i proverbi tra Inverno e Primavera

 

Anche San Valentino ha i suoi proverbi, lo sapevate? No, non sto parlando dell’amore, ma proprio del 14 Febbraio, la Festa degli Innamorati. Che ovviamente la saggezza popolare associa ai primi indizi che segnano il passaggio tra l’Inverno e la Primavera. A metà Febbraio le giornate sono più lunghe, il sole tramonta solo dopo le 17; le temperature si intiepidiscono e gli uccelli ricominciano a cantare sotto il cielo stellato. La Primavera fa capolino: sparge le sue tracce qua e là, e sono tracce che non sfuggono alla popolazione agreste. Chi è abituato a vivere a contatto con la natura, infatti, sa cogliere ogni minimo segnale dei suoi mutamenti.

 

 

Per San Valentino la lodola fa il nido.

 

 

Per San Valentino la Primavera sta vicino.

 

 

Per San Valentino mezzo pane e mezzo vino.

 

 

Per San Valentino fiorisce lo spino.

 

 

Per San Valentino tutti i venti vanno in marino.

 

Foto: Allison Saeng e Mel Poole via Unsplash

 

Carnevale 2025: qualche spunto per il make up

 

Il countdown a Carnevale sta per terminare: la festa più sfrenata dell’anno avrà inizio domenica 16 Febbraio (a Venezia il 14, in concomitanza di San Valentino, e vedremo in seguito il perchè). In attesa di approfondimenti dal punto di vista storico e delle tradizioni, ci soffermiamo sul make up; che è un dettaglio importante, perchè rimanda a un cardine delle cerimonie “carnascialesche”: il travestimento. Travestirsi, diventare altro da sè, a Carnevale è fondamentale. Perchè è un periodo in cui il caos, il sovvertimento delle regole, gli eccessi e le trasgressioni diventano catartici e favoriscono la rigenerazione della società. Carnevale, con i suoi travestimenti, cancella qualsiasi distinzione tra le classi sociali: si esce da sè stessi per abbracciare una nuova identità, quella che più si desidera. Questo livellamento sociale, seppur provvisorio, era guardato con diffidenza dai potenti. Basti pensare che a Venezia, tra il XVIII e il XIX secolo, i festeggiamenti carnevaleschi vennero proibiti sia da Napoleone che dagli Austriaci. Si temevano disordini, cospirazioni. Ma le maschere, nella Serenissima, erano state vietate molte altre volte: venivano indossate pressochè tutto l’anno incrementando il malcostume, i raggiri e il libertinaggio. Tornando all’epoca contemporanea, travestirsi è tornato ad essere un momento liberatorio e rigenerante: anche il make up, oltre alla maschera (di cui parleremo nei prossimi giorni), permette di forgiarsi un’identità a propria scelta. E se siete a corto di idee, guardate la gallery dove vi dò qualche spunto.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

“Sonetto XVII”, una poesia di Pablo Neruda

 

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
O freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, entro l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
Dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato amore che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

(da “Cento sonetti d’amore”)

 

Viola, il colore di Febbraio

 

Omaggio al viola, colore del mese di Febbraio. Questa nuova rubrica, al suo debutto, celebrerà le tonalità simbolo dei dodici mesi dell’anno. Cominciamo con il secondo, associato a una pietra preziosa come l’ametista: il quarzo viola di cui è composta ha fatto sì che sia una delle più utilizzate in gioielleria dal 2379 a.C. Il mese di Febbraio, dunque, può vantare un colore e una gemma che sfoggiano la stessa nuance. Il viola, ottenuto dalla mescolanza del blu e del rosso, viene da sempre connesso al potere, al prestigio, ma anche al mistero, al divino e al misticismo; in periodi penitenziali come la Quaresima e l’Avvento, è il colore dei paramenti liturgici utilizzati dalla Chiesa Cattolica. Nel Medioevo, quando in chiesa predominava il viola non c’erano dubbi: iniziavano i giorni di penitenza. Sulle città e sui villaggi calava il silenzio, ogni spettacolo era probito. I teatranti dovevano interrompere la loro attività e prepararsi ad affrontare un lungo periodo di ristrettezze. Vi siete mai chiesti perchè per la “gente di teatro” il viola porta sfortuna? Per capirne il motivo, bisogna risalire a quei tempi. Ma il viola è anche associato alla sontuosità dei re, che indossavano abiti tinti di questo colore, e poi alla sapienza, all’apertura al cambiamento spirituale. Nella Bibbia il Sommo Sacerdote veste di viola, e non dimentichiamo che il rosso e il blu simbolizzano Cristo e la sua natura divina.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

Il profumo della neve

 

La neve ha un suo profumo? E in caso affermativo, quale? Cominciamo subito col dire che la neve, essendo composta di acqua allo stato solido (ogni fiocco è costituito da molteplici cristalli di ghiaccio), è assolutamente inodore. Possiamo parlare, dunque, dei profumi che la neve evoca. Ad esempio il profumo dell’aria cristallina, tersa, pervasa da note di ghiaccio. Alcuni ricercatori, tuttavia, sostengono che la neve, a causa del riscaldamento globale, abbia sviluppato un proprio odore: quando cadono, i fiocchi di neve si impregnano delle impurità contenute nell’aria. Di conseguenza, gli studiosi affermano che in ogni luogo la neve abbia un odore diverso. Il manto nevoso presente in Svezia, ad esempio, risulterà olfattivamente distinto da quello del Wisconsin o di una qualsiasi metropoli del globo; ad avallare questa teoria è Johan Lundstrom, docente di neuroscienze cliniche al Monell Chemical Senses Center di Philadelphia. Tornando al cambiamento climatico, è stato dimostrato che ha un ruolo fondamentale nella veicolazione degli odori: l’aumento della temperatura globale facilita la diffusione delle molecole odorose, che vengono avvertite con maggiore intensità.

 

 

Forse è proprio per questo che molti sostengono che più ci si avvicina al Circolo Polare Artico, più la neve ha un odore che rimanda all’aria gelida e pulita. Differenze in base ai luoghi a parte, l’olfatto percepisce lo stimolo odoroso della neve associandolo a sentori di purezza, benessere e intensa freschezza. Potremmo paragonarlo all’aria pungente che respiriamo in montagna, quando attraversiamo con le ciaspole i boschi silenziosi, o a quello della brina che si forma sui prati, sui tetti e sul suolo nelle prime ore del giorno. Le marche di profumi più prestigiose, affascinate dall’ineffabile odore della neve, hanno cercato di riprodurlo svariate volte. A tale scopo, si sono servite di specifici ingredienti. Vediamo quali.

 

 

Il muschio bianco è certamente il più diffuso. La sua profumazione delicata, un po’ dolce e “minimale”, richiama il candore e la nettezza della neve fresca. Gli accenti metallici rinviano al tipico sentore che il gelo espande nell’aria. La famiglia olfattiva dei legni, rappresentata soprattutto dal sandalo, dal cedro e dal vetiver, è molto presente: le loro note boisé evocano l’odore delle foreste, la maestosità della natura ammantata dalla coltre nevosa. Gli accenti acquatici ci trascinano in un viaggio olfattivo dove i laghi ghiacciati, gli arabeschi di gelo e i ghiaccioli che pendono dai tetti e dai rami degli alberi catturano l’algido fascino dell’atmosfera invernale. Gli agrumi, infine, apportano un tocco di briosa luminosità: fanno pensare a un paesaggio innevato lambito dai raggi del sole. Che sia inodore o meno, insomma, la neve ha ispirato un gran numero di nasi grazie alla sua evocatività; prova ne è il fatto che possiamo contare su molteplici profumi che si sono fatti interpreti del suo odore  e hanno saputo catturare le glaciali atmosfere della stagione più magica dell’anno.

 

Foto via Pexels, Pixabay e Unsplash

 

Febbraio e i suoi proverbi

 

Febbraio, mese di transizione tra l’Inverno e la Primavera, per la saggezza popolare è sempre stato una sorta di tormentone. In un’epoca in cui dal raccolto agricolo dipendeva la sopravvivenza di buona parte della popolazione, il secondo mese dell’anno si affrontava con un misto di timore e d’inquietudine: il maltempo perdurava, gli animali erano stremati dalla scarsità di cibo e le provviste stavano per finire. Il presente veniva vissuto con difficoltà, a volte tra gli stenti; il futuro era un’incognita totale. Gli abitanti delle aree agresti andavano avanti come potevano, sempre in attesa della Primavera. Se ne deduce che Febbraio non fosse un mese molto amato: eppure, i proverbi che lo riguardano lo rivelano solo in parte. Gli ultimi 28 giorni dell’Inverno metereologico vengono associati, certo, a detti intrisi di stizza, ma sono anche imbevuti della tipica arguzia contadina. Riaffiorano così l’ironia, il disincanto, il brio tipici di una cultura, quella agreste, che ha sempre guardato alla vita con concretezza e un pizzico di sano fatalismo.

 

 

Febbraio febbraietto, corto e maledetto.

 

 

Febbraio, febbraiello, cortino e bugiardello.

 

 

Febbraio, il sole in ogni ombraio.

 

 

Se febbraio avesse tutti i giorni di gennaio, farebbe gelare il vino nelle botti.

 

 

Se di febbraio corrono i viottoli, empie di vino e olio tutti i ciottoli.

 

 

A Madonna candelora dall’inverno siamo fora.

 

 

Febbraio febbraiolo, ogni uccello poso l’ovo.

 

 

Se febbraio non febbreggia, marzo campeggia.

 

 

La neve di febbraio ingrassa il granaio.

 

Foto via Pexels e Unsplash

 

February Mood

 

Fa ancora freddo, a Febbraio, ma una briosa leggerezza si libra nell’atmosfera. Manca poco alle follie del Carnevale, il cammino in direzione della Primavera è già iniziato…Un giro di giostra per volteggiare nei paraggi delle stelle, capelli sciolti perchè svolazzino nel vento. E la gioia, la spensieratezza che ti assale ogni volta che abbandoni i tuoi fardelli mentre vai incontro all’aria frizzante.

 

Foto: Olga Shenderova via Pexels

 

“Sera di Febbraio”, una poesia di Hermann Hesse

 

Bluastro sul pendio del colle al lago di un bagliore
opaco è il crepuscolo di soffice neve che si scioglie,
nella nebbia labili come pallidi sogni
nuotano corone ramose di alberi morti.

Ma per il villaggio, per i vicoli immersi nel sonno
passa il vento notturno, tiepido, calmo e ozioso,
posa alla siepe e negli oscuri giardini risveglia
e nei sogni dei giovani la primavera.