Milano Fashion Week: 10 +1 flash dalle sfilate PE 2020

GUCCI – La moda contro ogni forma di imposizione, anche quella del vestire: fedele ai propri principi, Alessandro Michele ribadisce il suo concetto di stile come consacrazione della diversità e dell’ autodeterminazione. Va in scena quindi una collezione lontana da qualsiasi stilema avvistato nei suoi quasi cinque anni alla direzione creativa di Gucci, e tuttavia permeata  – al pari della Gucci Cruise 2020 – dall’ ispirazione Seventies: ma in questo caso si tratta dei Seventies reinterpretati dalla stessa Maison, precisamente quelli dell’ “era Tom Ford”. Michele li rivisita attraverso un processo di Guccification che mixa sensualità, linee nette e un seducente color block. L’ accessorio clou? Un alto choker in vernice nera dal vago sapore fetish.

Il nostro iter dedicato alle Fashion Week delle collezioni Primavera Estate 2020, oggi ci porta a Milano. Nella capitale meneghina la parola d’ordine sembra essere “portabilità”: senza rinunciare agli sperimentalismi, le creazioni privilegiano look indossabilissimi nella vita quotidiana. Tornano alla grande le spalline anni ’80, con i loro maxivolumi, le linee si fanno più essenziali coniugandosi con una lavorazione ricercata e con un’ eccentricità attentamente calibrata. Dal punto di vista cromatico, ritroviamo il binomio rosa-arancio al top di stagione (vedi London Fashion Week) e una “golosa” palette pastello, ma, soprattutto, si registra l’avanzata del menta, del giada e di un’ azzurro tendente al giada già candidati a nuance chiave del 2020. Predominano, poi, le stampe: fantasie jungle, tropicali e floral si alternano al batik ed a psichedelie all’ insegna del colore. Gli accessori sono più che mai “scolpiti” ed adottano, di volta in volta, dimensioni maxi o mini. Sul versante calzature predominano i tacchi massicci, svasati sul fondo, oppure rasoterra, e la punta si affila. Le borse sono sempre più di design (la Whitney Bag di Max Mara porta addirittura la firma di Renzo Piano), ed i modelli in miniatura svettano al top, mentre tra i cappelli si segnala il boom dei cappellini con visiera, che hanno tutta l’ intenzione di soppiantare falde larghe e cloche. La Fashion Week milanese ci ha sbalordito con degli incredibili colpi di scena: Jennifer Lopez ha concluso la sfilata di Versace sfilando nell’iconico Jungle Dress che rese celebre nel 2000, mentre Moschino ha mandato in passerella una collezione, cubista e spettacolare, completamente dedicata a Picasso. In attesa di partire insieme per Parigi, godetevi quindi la selezione di look + un accessorio che VALIUM vi propone!

 

PRADA – E’ un inno allo stile individuale, alla personalità – più che agli abiti di per sé – quello che che manda in scena Miuccia Prada. Le silhouette sono all’ insegna del “less is more” eppure ricercatissime, profuse di accenti anni ’50. Prevalgono giacche e cappotti trequarti con grandi bottoni, longuette sia sotto forma di gonna che di abiti, forme che vanno a restringersi nel fondo. La palette “discreta”, composta perlopiù dal bianco, dal nero ravvivati dall’ arancio e da gradazioni di marrone e verde bosco, è impreziosita da motivi ornamentali vagamente Déco che riproducono felci dorate.

 

ALBERTA FERRETTI – L’estate di Alberta Ferretti è coloratissima e pervasa da un mood “boho”: l’ispirazione anni ’70 è potente, esalta uno chic informale ma soprattutto un glamour che rivisita, in puro stlle Ferretti, uno dei decenni più fertili e creativamente innovativi. Pantaloni che scoprono l’ ombelico, top sfrangiati, caftani in maxilunghezze e in versione minidress abbondano, sfoggiando di volta in volta stampe esotiche o all’ insegna del batik e del dégradé. I look in nero e bluette che chiudono la sfilata fanno pendant con il fondale, una video installazione raffigurante una cascata ideata dall’artista Fabrizio Plessi.

 

FENDI – Molto beige, molto ocra, molto marrone per una collezione in cui Silvia Venturini Fendi inneggia al fascino insito nella quotidianità. Lunghezze mini, oppure lunghe e fluttanti, contraddistinguono look portabilissimi, ma non certo privi di stile: capispalla scamosciati, coat-vestaglia in stampa check, gonne e t-shirt in crochet a rete si alternano ad abiti see-through con lunghe maniche a sbuffo, inserti trasparenti su giacche abbottonatissime e vistose stampe floreali. Risaltano dettagli come i calzini indossati con i sandali e con le décolleté, mentre, dal punto di vista sartoriale, lo straordinario savoir faire della Maison si riconferma tale.

 

VIVETTA – Ispirazione vacanze in Grecia per Vivetta Ponti; o meglio, sull’ isola greca di Skorpios, dove Aristotele Onassis approdava con gli sciccosissimi ospiti del suo yacht. Pensando al guardaroba di quell’ equipaggio femminile, la designer si sbizzarrisce nella creazione di capi ladylike ma in versione “fiabesca”, com’è nel suo stile: maniche a sbuffo, drappeggi, orli di piume, cuori e grandi fiocchi ornamentali sono i leitmotiv di look in cui il satin lucente si alterna a un tulle pervaso di pizzi e di applicazioni floreali. “Femminilità” potrebbe essere la parola d’ordine dell’ intera collezione.

 

MOSCHINO – Jeremy Scott omaggia Picasso e dà vita ad una collezione a dir poco incredibile. I look, spettacolari, citano le muse dell’ artista e i suoi soggetti ricorrenti, inscenando una parata “cubista” difficile da dimenticare: con un mood Spanish a far da filo conduttore, i ritratti del Maestro si traducono in abiti eccentrici dove trionfano i grafismi, le asimmetrie ed un trompe-l’oeil davvero mozzafiato. Enormi maniche a sbuffo sono una costante, sia in versione “classica” che  in stile trompe-l’oeil, la figura del torero troneggia (coronata da un copricapo-maschera, firmato Stephen Jones,  che riproduce un toro cubista) e durante la sfilata si possono scorgere sia il celebre Arlecchino di Picasso che la “Donna con mandolino”, uno strumento che Scott plasma prodigiosamente sugli abiti.

 

MARNI – Una collezione all’ insegna della sostenibilità, un’ ode ai materiali riciclati,  un tema eco che ricorre persino nell’ ispirazione: tutti elementi che hanno spronato Francesco Risso ad immaginare una “jungle fever” tangibile, suggestioni e brividi suscitati da look che rimandano costantemente alla natura. Completi drappeggiati, abiti a palloncino, full skirt e giacche-kimono sono contraddistinti da asimmetrie costanti, cromie verde foglia e “pitture” floreali multicolor che non di rado si tramutano in autentiche fantasie psichedeliche. Predominano le maxilunghezze ed i giacconi esibiscono ampie maniche squadrate.

 

MARCO DE VINCENZO – Una sfilata a cielo aperto, sotto il sole della Darsena: la prima in assoluto, a Milano, allestita in questa location. E’ qui che prende vita l’arcobaleno di Marco De Vincenzo, che presenta una serie di look monocromatici arricchiti da eccezionali lavorazioni. I colori per cui opta – a partire dal nero e dal check iniziali – sono il celeste, l’azzurro, il turchese, il giada, il grigio perla, il bianco, il panna, il giallo, il rosa, il rosso e il fucsia, declinati in abiti dalle trame in 3D ed adornati con frange o bordature di tulle increspato. Ed è sempre il tulle a forgiare l’ accessorio più iconico della collezione: un foulard annodato sotto il mento e in rigoroso pendant cromatico con gli outfit.

 

VERSACE – Abbandonando i vibranti colori della collezione AI 2019/20, Donatella Versace torna al nero e ad un’estetica fortemente anni ’90. Ma la pulizia delle linee non intacca certo la seduttività delle mise, contraddistinte da minilunghezze o da una silhouette affusolata: nel primo caso, i sandali alla schiava con tacco a stiletto accentuano l’ allure sofisticata. Al nero si alternano le nuance al neon di alcuni look, ma soprattutto una stampa jungle nei toni del verde e del rosa. La stessa stampa riprodotta sul Jungle Dress, l’iconico abito della Maison, sfoggiato in chiusura del défilé da una statuaria Jennifer Lopez: fu proprio lei a renderlo celebre nel 2000, indossandolo ai Grammy Awards. Per l’occasione, JLo ne ha indossata una versione “aggiornata” ancora più sensuale, sleeveless e con un vertiginoso spacco frontale, che ha mandato in visibilio in pubblico. Non è un caso che fu proprio il Jungle Dress ad ispirare la creazione di Google immagini, dove la ricerca dell’ abito divenne la più popolare di sempre.

 

GIORGIO ARMANI – In “Terra”, questo il nome della collezione, si avvicendano i capi signature del più recente Giorgio Armani: pantaloni ampl e fluttuanti, giacche nehru, lunghi abiti impalpabili, gliet che impreziosiscono gli outfit. L’ ispirazione privilegia l’ ambiente naturale, affiancando le stampe floral-vegetali a pattern paillettati che delineano farfalle, applicazioni di rose in tessuto, sciccosi boa di frange e ruches che rievocano gli agglomerati cristallini. E se i colori greige, blu e marrone rimandano ad un’idea emblematica di “terra”, il rosa, il lilla ed un celeste delicatissimo – spesso accesi di bagliori – ne sottolineano le risorse più eteree. Accessori come collane a cascata e grandi orecchini lavorati a cerchio sembrano esaltare, invece, accenti marcatamente tribali.

 

MAX MARA – Un agente segreto che non rinuncia alla propria seduttività: è questa la donna della Primavera Estate 2020 di Max Mara, che ispirandosi alla serie TV “Killing Eve” tinge di tenui nuance pastello capi ed accessori di stampo militare. Il monocolor predomina, bermuda e camicie multitasche si abbinano rigorosamente alla cravatta, le giacche hanno spalline squadrate come le t-shirt; linee sobrie si affiancano, per contrasto, a pantaloni da paracadutista cosparsi di ruches. Ma sono i dettagli a definire la personalità della musa ispiratrice di Ian Griffiths: in passerella, le modelle sfoggiano un paio di treccine ed indossano i gambaletti con le gonne ed i bermuda. Una menzione speciale va al képi, tipico cappello della Gendarmerie francese. Declinandosi nelle identiche tonalità di celeste, lilla e giallo pastello, viene abbinato persino con i long dress sinuosi e fruscianti che chiudono la sfilata, a dimostrazione di come un copricapo iper-spartano possa tramutarsi in un simbolo di femminilità: non vi sembra un motivo sufficiente per sceglierlo come accessorio della Milano Fashion Week?

 

 

 

 

L’ inarrestabile ascesa del Duo Bellavista-Soglia

Raffaello Bellavista e Michele Soglia insieme a Alessandro Cecchi Paone (foto di Luca Concas)

“Two stars are born”: niente di meglio che parafrasare il titolo del noto film, per descrivere la carriera del Duo Bellavista-Soglia. Dopo pochi mesi dall’ ultima intervista che hanno concesso a VALIUM (rileggila qui), l’ascesa all’ Olimpo musicale di Raffaello Bellavista e Michele Soglia prosegue inarrestabile: il Festival estivo “Suoni e Parole. Un simposio informale tra le Pietre di Luna”, organizzato dal Duo alla Cava Marana di Brisighella, ha accolto ospiti illustri quali – per citarne solo alcuni – Ivano Marescotti, Lorenzo Kruger (il frontman della indie band Nobraino), Alessandro Cecchi Paone  e il Principe Maurice, registrando un en plein di pubblico senza precedenti. Ma non è finita qui. L’ Autunno è appena iniziato e si preannuncia già di fuoco, per i due talentuosissimi musicisti romagnoli. A partire dal 28 Settembre, giorno in cui si esibiranno al vernissage del pittore faentino Enrico Versari, Raffaello e Michele saranno coinvolti in un vortice di progetti talmente irrefrenabile da lasciare sbalorditi. Impossibile citarli tutti; vi anticipo solo, dandovi un’idea della loro portata, che il 5 Ottobre potrete applaudire il Duo Bellavista-Soglia al MEI (Meeting delle Etichette Indipendenti) di Faenza, il Festival della musica emergente, dove prenderà parte al concerto in programma a Piazza del Popolo dalle 19.45. Qualche nome relativo agli artisti che quella sera saranno sul palco? Morgan, i Negrita, Pietro Tredici, se possono bastare. Per approfondire il fortunato iter del Duo, ho intervistato Raffaello e Michele: il risultato è una conversazione che esplora a tutto campo il loro universo musicale. Sappiate, ad esempio, che l’ anima Crossover insita in entrambi potrebbe condurli nientepopodimeno che a Sanremo

La vostra estate è stata ben poco all’ insegna delle vacanze, ma fitta di performance musicali: “Suoni e Parole, un simposio informale tra le Pietre di Luna”, la seconda edizione del Festival che organizzate alla Cava Marana di Brisighella, ha visto alternarsi ospiti d’eccezione come Ivano Marescotti, Alessandro Cecchi Paone e il Principe Maurizio Agosti. Cosa ci raccontate di quelle straordinarie serate?

Il Duo Bellavista-Soglia ha creato l’Accademia del Melo Silvestre che si occupa di gestire due Festival, uno al Cardello di Casola Valsenio durante il mese di Maggio e l’altro a Brisighella, all’interno della Cava Marana, tra Agosto e Settembre. Quest’anno le presenze sono andate oltre ogni aspettativa, portando persone da ogni parte d’Italia per assistere a questi simposi. La formula è ormai consolidata: forti del nostro crescente consenso in ambito musicale, ci teniamo a portare quelle che sono le personalità dell’alta cultura italiana sul territorio per creare assieme a noi serate esclusive, valorizzando così quelle che sono le peculiarità dei nostri luoghi. Il primo incontro, incentrato sull’Inferno Dantesco, vedeva il celebre attore  Ivano Marescotti assieme a Franco Costantini dialogare in un connubio perfetto tra alta cultura e riferimenti alla cultura romagnola. Gli interventi letterari si alternavano alle musiche del Duo Bellavista-Soglia, che per l’occasione ha presentato brani in affinità con i temi trattati. La seconda serata è stata dedicata alla musica Indie e Crossover classica:  il Duo Bellavista-Soglia  ha presentato in chiave colta celebri brani come “Heroes” di Bowie, “Enjoy the silence” dei Depeche Mode, “Arrivederci” di Bindi… Ospite d’onore, il  cantautore Lorenzo Kruger, frontman dei Nobraino, che è stato intervistato  dal  patron del MEI Giordano Sangiorgi. La terza serata, incentrata su Ulisse, simbolo della ricerca della conoscenza, vedeva sul palco il noto giornalista televisivo e scrittore Alessandro Cecchi Paone, che ha letteralmente stregato il pubblico alternando momenti di altissima cultura ad altri di umorismo, in un perfetto connubio che ha reso fruibile ed interessante lo spettacolo ad un pubblico estremamente eterogeneo. Il Duo Bellavista -Soglia ha interagìto in perfetta affinità con il celebre accademico italiano, che ha mostrato grande interesse per questa formazione musicale. L’ultima serata era incentrata sulla figura di Carlo Goldoni, che fu più volte ospite della famiglia Spada a Faenza. Un ruolo del genere poteva essere affidato solamente ad un attore come il Principe Maurizio Agosti, che ha calzato i panni del più grande commediografo italiano: il veneziano Goldoni. L’incontro era moderato dal giornalista Pietro Caruso. Interessante è stato il percorso musicale che affiancava quello storico letterario, in quanto durante la serata si sono alternate celebri arie di Mozart e brani del Novecento legati al tema delle maschere.

 

La locandina del Festival “Suoni e Parole”, che si è tenuto alla Cava Marana di Brisighella

State vivendo un vero e proprio boom e, di conseguenza, anche la nuova stagione vi vedrà impegnatissimi. Il 28 Settembre sarete gli artefici del “commento musicale” al vernissage di Enrico Versari, un giovane ma già affermato pittore di Faenza, mentre il 5 Ottobre prenderete parte al MEI, il Meeting delle Etichette Indipendenti che (sempre a Faenza) celebrerà il suo 25mo con una tre giorni di concerti a cui parteciperanno artisti del calibro di Morgan, dei Negrita e dei Marlene Kuntz. Con quali aspettative e quale state d’animo state affrontando questo momento di gloria?

Sicuramente le aspettative sono alte, in quanto, io e Raffaello stiamo lavorando a ritmi serrati sia come concertisti che come direttori artistici di questi importanti eventi. Questi due aspetti sono in realtà facce della stessa medaglia:i Festival sono da noi considerati dei veri e propri laboratori creativi che alimentano la nostra sete di conoscenza, permettendoci di sperimentare e di mettere in atto il concetto di sinestesia unendo in un unico filo conduttore un messaggio culturale ed artistico trasversale. Logicamente sono situazioni importanti, sia dal punto di vista musicale che umano, poiché tutte queste esperienze ci permettono di venire a contatto con persone di spicco dell’alta cultura e di valorizzare il nostro territorio, dando lustro a palcoscenici naturali ancora poco noti al grande pubblico. Siamo entusiasti del percorso che stiamo facendo, perché la ricerca artistica svolta durante queste manifestazioni alimenta il nostro bagaglio culturale, arricchendo anche le nostre performance in giro per il mondo. Ne deriva che, proprio per questa indole eclettica, veniamo invitati ad esibirci anche in situazioni non convenzionali quali il vernissage di Enrico Versari, che sarà moderato da noi, ed anche il concerto del MEI del 5 Ottobre. Proprio quest’ultimo appuntamento sarà una situazione molto Crossover ed una sfida non indifferente, perché ci metterà a contatto con un pubblico molto vasto: per l’occasione abbiamo preparato alcune chicche che per il momento non vogliamo rivelare, una su tutte la rielaborazione colta di “Enjoy the Silence” dei Depeche Mode.

 

Il Duo insieme al poeta Franco Costantini e a Ivano Marescotti

Che rapporto avete con la fama? Vi state facendo strada velocemente e potreste prestissimo diventare delle celebrità a livello nazionale. Pensate che il successo vi cambierebbe?

Credo che il successo non ci cambierebbe…Rimarremmo sempre i soliti Raffaello e Michele che vogliono ottenere una cosa e lottano con tutte le forze per conseguirla. Certo è che dobbiamo stare attenti alle “malelingue” che, come è già capitato, ci attaccano per invidia o chissà che altro. Noi adoriamo il nostro pubblico, che ad ogni concerto è sempre più numeroso e caloroso e ci dà una grande energia per continuare a lottare per la nostra causa, ovvero portare la cultura musicale su larga scala. Concludiamo dicendo che il successo è sicuramente una condizione alla quale aspirare, ma non si deve a nostro avviso fare l’errore di sedersi sugli allori, perdendo quella tensione creativa alla base di ogni manifestazione artistica.

Qual è la vostra opinione riguardo i talent musicali? Li ritenete delle vetrine efficaci per i giovani?

I talent possono avere una duplice connotazione. Da un lato rappresentano una grande possibilità per portare il proprio talento su una piattaforma che dà una visibilità molto alta, dall’altro però bisogna fare attenzione a non caderne vittima, oppure ad esserne strumentalizzati. Mi spiego meglio. Un artista deve prima di tutto pensare al proprio messaggio, a quello che vuole trasmettere: a volte capita che alcuni, soprattutto i più giovani, per cercare di seguire le tendenze più in voga al momento finiscono per indossare dei panni non propri. In conclusione, bisogna a nostro avviso saperne prenderne il meglio senza snaturarsi.

 

Raffaello e Michele, raggianti, portano in trionfo Lorenzo Kruger, cantautore e frontman dei Nobraino

Il 14 Settembre scorso siete tornati a collaborare con lo strepitoso e poliedrico Principe Maurizio Agosti, alias Principe Maurice, che stavolta ha vestito i panni del commediografo Carlo Goldoni: parlateci di questa esperienza.

E’ stata una serata strepitosa ed il pubblico era davvero entusiasta, in quanto il Principe Maurice ha interpretato da par suo il grande Carlo Goldoni che ha vissuto realmente, per alcuni anni, in Romagna.La sua interpretazione è stata suggestiva, in quanto ha evocato con i costumi e le movenze il periodo settecentesco in cui visse il grande commediografo che nelle sue commedie ironizzò molto sulle debolezze umane con sorprendente modernità. L’idea di presentare il personaggio attraverso un’intervista, condotta mirabilmente dal noto giornalista Pietro Caruso, è stata particolarmente efficace poiché ha fatto emergere gli aspetti di contemporaneità dell’opera goldoniana ,collegando in un secondo momento l’estro e la figura istrionica del Principe Maurice ad alcuni stereotipi della commedia umana.

 

Il Duo insieme all’ istrionico Principe Maurizio Agosti, alias Principe Maurice

Tornando ai vostri progetti, so che vi accingete ad esibirvi nuovamente nei teatri, una location per voi ideale. In quali occasioni?

Per quanto riguarda i concerti in teatro, stiamo ancora lavorando al cartellone della stagione 2019\2020, ma ti possiamo già preannunciare alcune date significative tra cui il 16 Novembre al Teatro degli Animosi di Maradi,il 7 Dicembre nel prestigioso Istituto di Cultura Tedesca a Bologna e il 10 Marzo con un importante debutto al Teatro Alighieri di Ravenna all’interno della stagione promossa dall’ Associazione Angelo Mariani. Inoltre stiamo organizzando eventi in vari auditorium, sempre in forma di simposio, con artisti internazionali.

Avete un calendario di impegni che arriva al 2020, siete richiestissimi. Potreste darci qualche anticipazione sugli spettacoli che vi vedranno protagonisti l’anno prossimo?

 Il nostro Duo è nato circa due anni fa e di cose ne sono successe davvero molte: abbiamo fatto oltre 100 concerti in tutta Italia. I prossimi appuntamenti saranno, come sopraccitato, il vernissage del celebre pittore Enrico Versari, il 5 Ottobre in piazza a Faenza dove saremo sul palco assieme a grandi nomi come Morgan e i Negrita, il 16 Novembre saremo nel magnifico Teatro degli Animosi di Marradi. A Dicembre Raffaello Bellavista terrà un recital a Bologna, a fine Dicembre ci sarà il tanto atteso concerto di Natale a Casola Valsenio, mentre a Marzo il Duo sarà ospite della celebre associazione musicale Angelo Mariani e si esibirà in un cartellone con i nomi più importanti del concertismo internazionale. Inoltre Michele Soglia è alle prese con la registrazione di un disco metal con i Mourn in Silence e porta avanti la sua classe di percussioni con numerosi riconoscimenti.

 

Raffaello e Michele esultano dopo il successo del Festival “Suoni e Parole. Un Simposio informale tra le Pietre di Luna”

Voi e la contaminazione artistica, uno dei “marchi di fabbrica” del vostro esprimervi: dopo il Festival della Cava Marana, avete in programma nuove performance che vi permetteranno di esibirvi ”a più voci”?

Come hai perfettamente colto, la contaminazione artistica, l’eclettismo musicale con riferimenti alla base colta è il nostro DNA e marchio di fabbrica. A nostro avviso l’artista del nuovo millennio deve essere una figura non rinchiusa nella sua cupola di cristallo, ma essere conscio di quelle che sono le tendenze e gli sviluppi della cultura. Questa visione viene poi filtrata con quello che è il nostro background accademico e ne risulta una visione trasversale della musica. Partendo da questo concetto non possiamo ancora svelare molto, ma sia su Casola Valsenio che su Brisighella stiamo lavorando alla prossima edizione di quello che potremmo definire un “Duo Bellavista-Soglia and Friends” con ospiti internazionali con i quali abbiamo già parlato. Saranno degli eventi memorabili!

 

Da destra a sinistra: il Presidente del Parco della Vena del Gesso Romagnola Enrico Venturi, Michele, Raffaello, l’ Assessore al Turismo di Brisighella Gian Marco Monti e il sindaco di Brisighella Massimiliano Pederzoli (foto di Luca Concas)

Il foltissimo pubblico accorso al Festival

Per concludere, una domanda tra il serio e il faceto: vi vedremo mai a Sanremo?

L’Ariston sicuramente è un palco importante, ed esibirci in quel contesto ci piacerebbe molto. Sarebbe, inoltre, una grande opportunità per far conoscere il meraviglioso repertorio contemporaneo che proponiamo, senza dimenticare i nostri arrangiamenti Crossover classici. Siamo consapevoli che il nostro non è sicuramente un genere musicale sanremese, però noi siamo anche compositori ed abbiamo qualche “piccolo capolavoro” inedito nel cassetto: se non ci sbagliamo, a Sanremo bisogna presentarsi con un inedito. Vedremo se in futuro ci sarà qualche bella sorpresa….

 

Da destra a sinistra: il Principe Maurice, Michele, Raffaello, il giornalista Pietro Caruso e la pianista Maria Laura Berardo

Il Duo con Giordano Sangiorgi, patron del MEI (Meeting delle Etichette Indipendenti)

 

Photo courtesy of Duo Bellasoglia-Vista

 

 

Foliage

TOM FORD

Se Hanami significa “guardare i fiori”, Foliage si potrebbe tradurre con “guardare i boschi”: i boschi d’Autunno, quando il fogliame si tinge di incredibili colori. Rosso, arancio, giallo, beige, marrone, viola, ocra, fucsia sono  le nuance che, insieme a residue pennellate di verde, si affiancano in una tavolozza talmente spettacolare da mozzare il fiato. Non è un caso che il Foliage sia diventato un vero e proprio rito. Passeggiate, escursioni, persino viaggi a bordo di un treno apposito (che parte dal Piemonte per approdare in Svizzera, nel Canton Ticino) vengono organizzati allo scopo di ammirare gli incantevoli panorami autunnali: la nuova stagione rivela il suo fascino in tutto il suo splendore. Anche la moda ne rimane ammaliata, e tramuta la palette sfoggiata dalla natura in un leitmotiv delle collezioni dedicate ai mesi freddi. In queste immagini, un excursus iconografico di look ed accessori, si snodano cromie che rievocano quelle, vibranti, dei paesaggi tra Settembre e Novembre. E’ un Foliage altamente speciale: il Foliage dello stile. Per concludere, il cielo azzurro di Mansur Gavriel a ribadire che l’ Autunno, con le sue meraviglie, è tutt’altro che monotonia e grigiore.

 

 

VERSACE

EMPORIO ARMANI

BLUMARINE

CUSHNIE

 

N. 21

ELISABETTA FRANCHI

CAROLINA HERRERA

Spilla di CHRISTOPHER KANE

CHLOE’

GUCCI

VALENTINO

VICTORIA BECKHAM

EMILIA WICKSTEAD

 

DOLCE & GABBANA

MARNI

ANNAKIKI

RODARTE

FENDI

 

STELLA MCCARTNEY

MIU MIU

DELPOZO

EACH X OTHER

ZIMMERMANN

MANSUR GAVRIEL

SIMONE ROCHA

MAX MARA

CHIARA BONI

 

Orecchini di GUCCI

DIOR

 

SAINT LAURENT

PRABAL GURUNG

ALBERTA FERRETTI

MARC JACOBS

DIOR

MANSUR GAVRIEL

 

 

 

Una fiaba onirica in bilico sui trampoli: la campagna pubblicitaria AI 2019/20 di JW Anderson

 

Avventurandosi in aperta campagna, proprio poco prima del limitare del bosco, può capitare di imbattersi in una scena talmente insolita da sembrare irreale: quattro ragazze vestite di abiti dai colori vibranti avanzano sui trampoli, fiere e maestose, impregnando l’atmosfera di magia. Ci si chiede da dove siano spuntate, la loro è una sorta di apparizione. Provengono dalla foresta, forse da un circo accampato nelle vicinanze? A dire il vero, sembrano uscite direttamente da una fiaba. Una fiaba che il giovane fotografo Tyler Mitchell ha tramutato nel fulcro della campagna pubblicitaria Autunno Inverno 2019/20 di JW Anderson ed ha immortalato in scatti super applauditi;  il che non stupisce, considerando la perfetta sintonia che mantengono con l’universo del designer. L’ elaborazione di uno stile di matrice classica, ma rivisitato nelle proporzioni ed arricchito da dettagli, cromie e abbinamenti vagamente surreali è infatti un trademark di Jonathan Anderson, che, insieme a Mitchell, ha stabilito di selezionare le modelle di questa campagna tramite un “street casting” a cui hanno partecipato candidate di tutta Europa. Per la ricerca di volti nuovi, freschi, non familiari, il fotografo e il designer si sono avvalsi di un unico criterio: optare per ragazze energiche ma al tempo stesso estremamente femminili e, soprattutto, che fossero castane o black. La scelta di riunire modelle afro e dai colori mediterranei, oltre che dal desiderio di fomentare l’inclusività, è stata dettata dalla volontà di distanziarsi da qualsiasi standard estetico.

 

L’ originalità perseguita dalla campagna si esprime anche nell’ utilizzo dei trampoli, strumenti per eccellenza associati all’ inconsueto e all’acrobatico. Usciti da un circo immaginario, aggiungono spettacolarità all’ incedere delle protagoniste ed accentuano l’incanto della loro escursione campestre. Le scene catturate dagli scatti sembrano visioni, le modelle presenze fatate che si muovono tra la realtà e il sogno. Il risultato sono immagini meravigliose, ammalianti e sottilmente giocose: una fiaba circense che il mood bucolico ammanta di indescrivibile poesia.

 

 

 

CREDITS

Fotografo: Tyler Mitchell

Fashion Editor e Stylist: Benjamin Bruno

Hair Stylist: Cindia Harvey

Make Up Artist: Lauren Parsons

Art Director: Mathias Augustyniak e Michael Amzalag

Set Designer: Andy Hillman

Casting Director: Julia Lange

 

 

 

London Fashion Week: 10+1 flash dalle sfilate PE 2020

MOLLY GODDARD – Elevando ai massimi livelli il suo know-how sartoriale, Goddard esalta lo stile che l’ha resa celebre. Tulle a profusione, volumi over e una miriade di ruches si tingono di cromie pastello o più vivaci. L’inedito abbinamento con materiali quali il satin, il knitwear e il denim dà vita ad outfit squisitamente drappeggiati e impreziositi da ampie maniche balloon.

Dall’ esplosivo mix & match di Vivienne Weswtood alla raffinata essenzialità di JW Anderson, le sfilate londinesi non hanno mancato neppure stavolta di catturarci con le loro proposte poliedriche. Per la selezione dei 10 + 1 look tratti dalla London Fashion Week, mi sono ispirata ad un fil rouge ben preciso: il romanticismo, la femminilità, la grazia eterea donata dal tulle coniugato con una discreta dose di ruches e di volants. Un filone, questo, ampiamente rappresentato ed evidenziato persino nelle collezioni dei brand più “insospettabili”, inneggiante in genere a soavi nuance pastello o, al contrario, cromaticamente vibranti. Non c’è da stupirsi, quindi, che anche l’accessorio che conclude la gallery qui di seguito si armonizzi con il medesimo stile e lo esalti tramite un tripudio floreale al tempo stesso sfiziosissimo e molto chic.

 

HUISHAN ZHANG – Femminilità a tutto campo per una collezione che attinge all’ Oriente declinando il tipico “Qipao” in differenti versioni ed alternandolo a trasparenze floreali in pizzo e tulle. Colpiscono le fitte ruches, profuse sia in verticale che in orizzontale su abiti che avvicendano un profondo nero a svariate – ma immancabilmente magnetiche – gradazioni di blu.

 

BORA AKSU – L’ ispirazione guarda ad una Principessa persiana della dinastia Qajar, Taj Saltaneh, femminista ed attivista per i diritti delle donne. Di conseguenza, Aksu crea una collezione che ripercorre le tappe più importanti della storia della moda e raggiunge l’ apogeo della femminilità aggraziata (il suo marchio di fabbrica) con una serie di impalpabili abiti in tulle a balze declinati in colori vivacissimi: tra il fucsia, il giallo e l’arancio spicca quel connubio dello stesso arancio con il rosa che è uno dei leimotiv cromatici della London Fashion Week.

 

VICTORIA BECKHAM – Portabilità e fantasia, un binomio che Victoria Beckham accentua in outfit fluttuanti, che si muovono con la donna che li indossa (parafrasando le sue stesse parole) e sorprendono grazie a pennellate inaspettate di colore. Il taglio essenziale dei power suit viene ravvivato da dettagli speciali: una blusa con collo a ruches, pantaloni in tonalità sorbetto, revers tipicamente anni ’70. Risaltano abiti longuette, dalla linea fluida e vagamente boho, tinti di un verde mela o di un viola acceso che li rendono a dir poco iconici.

 

SIMONE ROCHA – La designer si ispira ad antiche tradizioni irlandesi accentuando la suggestività del suo signature style. Gli splendidi abiti in tulle, arricchiti da balze in pizzo multistrato, alternano le puff sleeves alle maniche che oltrepassano il polso e sfoggiano stampe simili a quelle delle porcellane. Le linee balloon di Rocha risaltano anche su inediti long dress glitterati, ma è la rafia l’autentica novità: si sovrappone agli outfit sotto forma di decori o di “strutture” ornamentali vere e proprie. Il risultato? Un tocco bucolico che accresce il romanticismo sottilmente gotico della collezione.

 

ERDEM – Fedele alla sua estetica ricca di poesia, Erdem  crea numerosi long dress dal sapore vittoriano ma li affianca a poncho sfrangiati e multirighe. E’ Tina Modotti (fotografa, attrice e attivista italiana),  infatti, ad ispirare questa collezione: i look citano soprattutto il suo periodo messicano rinvigorendo i caratteristici motivi floreali di Erdem con sgargianti, molteplici colori ed abbinando agli abiti grandi fiocchi, foulard annodati lateralmente al corpo e cappelli a falda larga con lunghe sciarpe come sottomento. Anche in questo caso, il bicolor rosa-arancio risulta una delle combinazioni cromatiche più spettacolari.

 

PREEN BY THORNTON BREGAZZI – Una collezione sostenibile, composta da materiali rigorosamente riciclati. Le tematiche ambientali svolgono un ruolo di primo piano per Justin Thornton e Thea Bregazzi, che le hanno abbracciate seppur senza ostentazioni. I look esaltano il loro stile signature, dove predominano ruches, volants e pizzi, ma coniugandolo con texture assolutamente inedite ed eco-friendly. Per sottolineare il mood etereo delle creazioni, le modelle calzano scarpe da ballerina con lacci declinate in diversi colori.

 

CHRISTOPHER KANE – Da qualche anno Kane esplora un erotismo dai tratti vagamente fetish, e questa collezione non sfugge alla regola. “The Ecosexual Collection” esalta la natura come motivo ispiratore e crea un parallelismo tra la sua forza riproduttiva e quella umana. Il contatto con la natura è il fulcro attorno al quale ruotano i look: la sensualità che scaturisce dall’ amarsi in un prato, dal dormire sotto le stelle si esprime in creazioni dove l’elemento floreale è molto presente accanto, però, ad elementi fetish come una serie di oblò strategici, abbondanti borchie e, soprattutto, inserti azzurro-trasparenti in silicone che spuntano a sorpresa.

 

ROKSANDA – Il connubio tra “architettura, arte e moda” di Roksanda non cessa mai di stupire. Lunghi abiti vengono scolpiti dalle balze ed adornati con mantelle che li completano, il parka si alterna ai cappotti sartoriali ed il drappeggio, insieme al plissé, plasma le forme oltre che i volumi. I giochi di colore sono mozzafiato: il rosso accanto al rosa acceso o all’ arancione, l’ ocra accanto a sfumature di nude, un tocco di giallo accanto al rosa pastello…E poi, i “graffiti” astratti e multicolor che contraddistinguono alcuni look. L’ ispirazione di Roksanda, non a caso, attinge all’ artista Mary Weatherford ed ai suoi dipinti con strisce al neon incorporate.

 

BURBERRY – Con Riccardo Tisci al timone creativo, il brand-emblema della Britishness ha rivoluzionato la propria identità stilistica. Questa collezione prosegue sulla via dell’ innovazione e diversifica il patrimonio creativo del brand, sviluppando spunti del tutto inediti come le suggestioni sporty e l’ evening wear. Incentrati su una palette di bianco, grigio e beige, i look evidenziano un’ eleganza disinvolta arricchita non di rado da drappeggi, maniche scultoree e strascichi laddove meno te li aspetteresti. Le piume e le trasparenze non mancano, adottate in chiave mai sfrontata: l’ abito immortalato in questo scatto ne è una perfetta dimostrazione.

 

FYODOR GOLAN – L’ accessorio che ho selezionato dalla London Fashion Week è molto in linea con l’estetica romantica evidenziata nella gallery qui sopra. Un bouquet in diverse gradazioni di rosa “fiorisce” su un choker impreziosendo un look pink tono su tono. In una collezione avveniristica, sorprendente e mozzafiato come quella di Fyodor Golan si inserisce come dettaglio rappresentativo di una femminilità che proietta i connotati “frou-frou” direttamente nel futuro: l’ hairstyle di stampo settecentesco, ma frisé e tinto di un rosa cipria che non coinvolge le radici del capello, accentua con ironia questo mood rivoluzionario.

 

 

 

 

 

Glitter People

 

” Tutto quel che faccio è molto autobiografico. Sto cercando di essere il più possibile un libro aperto e di dare al pubblico ogni singolo pezzo di me stessa. “

Dua Lipa

 

 

 

Photo by Daniel Åhs Karlsson via Wikicommons [CC BY 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0)]

 

 

 

New York Fashion Week: 10 +1 flash dalle sfilate PE 2020

TOM FORD Il glamour signature del brand abbraccia accenti urban e sporty chic. Ispirandosi al famoso scatto in cui Edie Sedgwick e Andy Warhol sembrano sbucare da un tombino, Tom Ford dà vita ad una collezione molto “metropolitana”: che, non a caso, sfila in una galleria in disuso della subway di New York.

Come ogni stagione, VALIUM va all’ esplorazione delle Fashion Week di New York, Londra, Milano e Parigi: propone quindi una selezione di 10 look – più un accessorio – tratti dalle collezioni Primavera Estate 2020 che stanno sfilando in queste quattro metropoli. Oggi ci trasferiamo a New York, dove la Settimana della Moda si è conclusa l’ 11 Settembre scorso. Nella Grande Mela, molte sono le rivisitazioni dei trend che hanno spopolato di recente: frange, glitter, ruches, volumi balloon, mood anni ’70  vengono accentuati, esasperati ed aggiornati al 2020.  Resiste il dégradé così come i colori pastello, con un predominio del cipria e dell’ albicocca, ma la palette è perlopiù vivacissima. Il giallo trionfa, il fucsia e il rosa abbagliano accanto al verde mela, all’arancio e a un metafisico total white. Silhouette ultrafemminili si alternano a linee essenziali e nette, puntando su materiali quali il satin, la pelle, i tessuti plastificati, pur senza trascurare le trasparenze del tulle. All’ insegna del top color della New York Fashion Week, vale a dire il giallo, è anche l’accessorio che chiude questa gallery: sebbene per parlare di trend dovremo attendere la conclusione delle quattro Settimane della Moda che dettano legge, emerge già un radioso e briosissimo indizio di stagione.

 

ECKHAUS LATTA – Ruches e volant rivisitati in puro stile Zoe Latta e Mike Eckhaus, abiti glitterati dalle linee iper minimal, trasparenze e giochi visivi dal sapore optical: il duo rielabora i crismi della femminilità in modo del tutto personale e, soprattutto, senza mai cessare di stupire.

 

BIBHU MOHAPATRA – Virtuosismi scultorei e flash di colore che includono il giallo, il turchese, l’arancio. Bibhu Mohapatra gioca con le forme ed i volumi, scopre le spalle di sovente e non disdegna il tulle pur prediligendo tessuti più plasmabili. Il plissè declinato in inserti ornamentali geometrici, svolazzanti e simmetrici è uno dei dettagli iconici della collezione.

 

AREA – Un’ esplosione di frange, lunghissime, copiose, va oltre il concetto di “decorazione” per comporre interi – quanto sorprendenti – evening dress: è uno degli elementi clou di questa collezione, ispirata sia alla Black Culture anni ’90 che alla couture intramontabile di Christian Dior e Balenciaga. Ecco quindi che un ricorrente “bubble dress” acquista toni avveniristici e completamente inediti.

 

CHRISTIAN COWAN – Sexy-glam, audacia e gambe al vento potrebbero essere le parole d’ordine della collezione. Bagliori in lamè si coniugano con tonalità smaglianti come il fucsia e il rosso, oppure optano per la tenuità del cipria, del celeste e del lilla. Spicca un “arlecchinesco” pattern a rombi – ma rigorosamente in black and white – e non mancano outfit scenografici, impreziositi da voluminose maniche di piume.

 

SIES MARJAN – La ricca palette di Sies Marjan si intensifica spalmandosi su una varietà di tessuti che spazia dal satin al plastificato, passando per la pelle. Giallo, blu, vinaccia, verde smeraldo, rosso, celeste e lilla predominano, ma il colore clou è un’azzurro oltremare che replica l’esatta shade dei lapislazzuli: esaltato dalla seta, contraddistingue gli outfit più cool della collezione.

 

ZIMMERMANN – Senza abbandonare il romanticismo, Nicky Zimmermann fa rivivere le estati australiane dei suoi anni teen: ampie maniche a sbuffo, molto pizzo, long skirt con top dagli orli mini si contrappongono a miniabiti leggeri e riccamente decorati. Il colore si accende soprattutto nelle stampe vintage, a tema surf, riprodotte sugli oufit. Insieme alle onde che campeggiano sul fondale del catwalk, sono un dettaglio che rievoca potentemente la spiaggia e le sue atmosfere.

 

HELMUT LANG – Il minimalismo come leitmotiv supremo. Che, a parte un look contraddistinto da spalline squadratissime tipicamente anni ’80, si accompagna però a plissè fluttuanti, drappeggi e trasparenze iper femminili. Allo stesso modo il total white, colore che riflette la purezza delle linee, si alterna a varie nuance di beige, all’azzurro, al rosa e ad un giallo limone che sottolineano il fascino della collezione.

 

MARC JACOBS – E’ forse la collezione più giocosa di Marc Jacobs: coloratissima, divertente, esplosiva, fomenta il buonumore e, al tempo stesso, trascina nelle surreali atmosfere di una fiaba. Cappelli a falda larga, miniabiti ricchi di applicazioni floreali in tulle, tailleur pantalone sgargianti e long dress vagamente Hippie si alternano all’ insegna di un mix’n’match sia di pattern che cromatico. Il beauty look anni ’60, con lunghe ciglia in stile Twiggy, è stato uno dei più ammirati della Fashion Week.

 

TOMO KOIZUMI – Dopo il debutto della stagione scorsa, Tomo Koizumi continua a mozzarci il fiato con le sue incantevoli nuvole di tulle. Per l’Estate 2020 propone sette creazioni  realizzate con centinaia di metri di organza, che increspa in fittissime ruche. I volumi sono maxi, plasmano l’abito nella sua interezza, mentre i colori si avvalgono del dégradé: un ton sur ton di azzurro, rosa, viola, giallo e menta evoca quasi un effetto bonbon, mentre il bianco e il nero si mantengono “integri”. La spettacolarità dei look viene arricchita da un tripudio di fiocchi, il “grazie” di Koizumi a tutti coloro che hanno lavorato alla sua collezione.

 

MICHAEL KORS – L’ accessorio che scelgo per completare questo sintetico resoconto della NYFW è una borsa firmata Michael Kors. A tracolla e dalla linea rotonda, è tinta di un vivacissimo giallo limone e colpisce grazie alla sua allure energetica e vibrante. Oltre ad intrigare per il design accattivante, quindi, “vince” in quanto stiloso emblema di una nuance che sulle passerelle di New York ha decisamente fatto tendenza.

 

 

 

 

L’irresistibile magia del Teatro Equestre: conversazione con Silvia Elena Resta

Silvia e il suo cavallo Zar (foto di Maurizio Polverelli)

Di lei colpiscono subito gli occhi, magnetici e di un verde che vira all’ acquamarina. Sono occhi che accentuano l’ allure ammaliante della sua figura: Silvia Elena Resta è un’ amazzone e, in quanto tale, la circonda un alone quasi mitologico. Sembra una creatura senza tempo, difficilmente collocabile in un’ epoca ben precisa, mentre la silhouette flessuosa, lo sguardo fiero e volitivo rivelano le sue origini russe. Quel che è certo è che, quando pensiamo a lei, la immaginiamo inevitabilmente in sella ad uno splendido cavallo bianco. Oppure mentre manipola le fiamme, intenta in mirabolanti virtuosismi di giocoleria con il fuoco, o, ancora, nelle vesti di abile e sensibile falconiera. Le competenze di Silvia Elena Resta, infatti, partendo da una passione innata per l’equitazione, spaziano ad ampio spettro decretandola un’ artista oltremodo eclettica. Fondatrice della Compagnia di Teatro Equestre Le Zebre  (con sede equestre a La Baglina di Cesenatico e teatro situato a Gatteo, nella provincia di Forlì-Cesena), Silvia vanta un curriculum che annovera una precoce carriera agonistica, studi presso le scuole ippiche europee più prestigiose (come quelle di Doncaster e di Jerez de la Frontera), titoli di istruttrice sia nell’ ambito dello sport che dell’arte associati al cavallo. Tra i suoi ispiratori troviamo Mario Luraschi, Bartabas, il Teatro del Centauro di Manolo, che hanno contribuito a rafforzare in lei l’amore per l’ universo del Teatro Equestre: le evoluzioni degli eleganti quadrupedi, lo straordinario connubio di equitazione ed arti performative circensi inscenato da questa amazzone dall’ “anima russa” (prendendo in prestito il titolo di una delle sue performance), rappresentano i punti di forza degli spettacoli che allestisce. L’abbiamo vista protagonista di show come – solo per citarne alcuni – “Madame Butterfly”, “Amarcord” (grazie al quale è risultata vincitrice della Rassegna delle Regioni a Cavallo di Leonessa), ed ospite d’eccezione di eventi tra cui spiccano il “Gran Ballo della Cavalchina” di Venezia, svariate edizioni di “Horse Lyric” e “Oriental Image”, oltre che la prima tappa italiana del tour “Appassionata”. Per saperne di più, leggete cosa mi ha raccontato Silvia nell’ intervista che segue.

La tua passione per l’equitazione si è rivelata quando eri ancora una bambina. Come è cominciato, tutto?

L’ inizio del mio avvicinamento ai cavalli è stato casuale. E’ stato mio nonno Luigi a portarmi nel maneggio, o meglio, nel centro di addestramento di un’amica di famiglia, perché in quel periodo lui lavorava per la rivista equestre “Western Journal”. Tant’è che io ho iniziato con la monta western, con i cavalli di razza americana, facendo successivamente delle gare e vincendo, tra l’altro, un paio di titoli italiani quando avevo solo 12-13 anni. Andavo già a cavallo e gareggiavo quando a una fiera di Verona vidi lo spettacolo di un bravissimo addestratore italo-francese, Mario Luraschi, che si è esibito in una performance medievale da brividi. Ne sono rimasta incantata al punto tale da pensare “Anch’io voglio fare questo tipo di spettacoli!”, sia per passione personale che per regalare emozioni al pubblico: quando cavalchi, si sviluppa un’energia che da te passa al cavallo, contagia gli altri artisti in scena e, infine, lo spettatore; è come regalargli un sogno. Dopo le mie esibizioni sono in molti a farmi i complimenti, ricevo tante lettere soprattutto da ragazze che si immedesimano in me, perché i personaggi femminili che interpreto –  da Giovanna d’Arco a Madame Butterfly  –  appaiono come qualcosa di estremamente bello e realizzabile. In pochi minuti di spettacolo, tra il fuoco, i cavalli e le musiche, la gente si sente trasportata altrove, in un universo fantastico. E’ quello che desideravo, e sembra che io sia riuscita ad ottenerlo! Nel corso degli anni mi è costato impegno e fatica, tanto più che non esisteva una scuola di formazione ad hoc e i miei genitori trovavano difficile persino solo immaginare cosa avrei voluto fare.

 

Silvia e Zar nel backstage di un set fotografico moda per “Fisico”

Buona parte della tua formazione si è svolta all’ estero. Hai notato un approccio diverso, oltreconfine, rispetto all’ universo equestre?

In alcuni stati sono più avanti. Il Teatro Equestre è nato in Francia perché le sovvenzioni dallo Stato a livello artistico sono cospicue: questo certamente influisce e ha fatto sì che siano sorte delle scuole. La massima cultura nel settore l’ho riscontrata in Spagna, in Portogallo, anche se, in generale, trovo l’ambiente legato al mondo dei cavalli un po’ troppo indietro rispetto a come potrebbe essere, nei confronti dell’approccio con gli animali. Perché per approcciarsi bene, fare una buona esecuzione ed imparare veramente a comunicare con i cavalli ci vuole davvero tanto impegno, ma non tutti sono disposti ad impegnarsi a fondo. E’ un po’ come la danza classica, bisogna allenarsi tutti i giorni e mettersi in discussione su ciò che si fa in maniera corretta o meno. Io ho iniziato con delle buone basi, però nel corso del tempo ho provato un po’ tutte le metodologie, anche sbagliando; l’importante è che tu dica “Ok, questo metodo non va bene quindi lo cambio”. L’ impegno aumenta, poi, quando all’ aspetto della tecnica equestre devi aggiungere quello artistico, per cui è necessario avere una formazione teatrale, musicale, di danza, perché devi muoverti in scena e solo lo studio di tutte queste discipline ti permetterà di ottenere un buon risultato. A Versailles c’è l’Accademia di Bartabas, ma in Italia non esiste una scuola che ti istruisca ad ampio spettro: devi spostarti ed imparare un po’ dall’ uno e un po’ dall’ altro nei vari ambiti. Qui non abbiamo aiuti da parte dello Stato, servirebbero buone iniziative promosse da privati. Anzi, già che ci sono, vorrei approfittare di questa occasione per lanciare un appello ed invitare uno sponsor, un mecenate, a interessarsi dell’arte equestre e ad erogare delle sovvenzioni. Sarebbe la soluzione ideale, perché di artisti che si impegnano ce ne sono, ma è un lavoro che non porta a grandi incassi e le spese superano le entrate abbondantemente.

 

Un set fotografico romantico e “d’altri tempi” in Portogallo (foto di Debra Jamroz)

Discendi da una nobile famiglia di origini russe: tra i tuoi antenati figurano il poeta Vassili Sumbatoff, tuo bisnonno, e il drammaturgo (oltre che direttore del Piccolo Teatro di Mosca) Sumbatoff Yuzhin, ma anche una stirpe di cavalieri Giorgiani e Armeni. Che influenza hanno avuto, in te, le tue radici russe e soprattutto, quando le senti riaffiorare?

E’ qualcosa che appartiene al mio DNA, perché fin da bambina – pur non essendo psicologicamente influenzata dalle mie origini russe – fantasticavo di cavalieri, falconieri, combattimenti…In me l’idea del contatto con gli animali era innata, pensavo solo a loro. Non ho mai avuto bambole o cose del genere; volevo il costume da Moschettiere, da Cavaliere della Tavola Rotonda, da Principessa mai. Quindi, le mie radici sono un tutt’uno con il patrimonio genetico: non è un caso che in molti, quando mi incontrano per la prima volta, mi chiedano se sono russa. Poi, nel momento in cui ho conosciuto meglio la storia di famiglia, devo dire che l’ho trovata molto interessante sia dal punto di vista artistico che umano, perché i miei antenati ne hanno passate di tutti i colori ma non si sono arresi, sono rimasti onesti ed apprezzabili, non hanno mai perso il valore dell’amore in senso lato. Non arretrando davanti a nessun tipo di avversità, mi hanno trasmesso quell’ idea di onore quasi cavalleresco che va al di là dell’essere cavalieri. Il mio bisnonno poeta, tra l’altro, apparve anche in un film con Gassmann intitolato “La figlia del Capitano”, mentre mia nonna e mia zia facevano le comparse a Cinecittà per sbarcare il lunario. Arrivati dalla Russia come Principi, i miei in Italia erano semplicemente dei profughi. Però hanno mantenuto sempre una dignità molto spiccata, valorizzando la cultura ed esprimendo di continuo il loro talento artistico. Mia nonna e mia zia, infatti, alla fine aprirono una scuola di danza classica. Ma io decisi che non avrei mai fatto la ballerina, perché non mi piaceva portare il tutù! Mi sono un po’ pentita…La danza l’ho coltivata in un modo diverso e un po’ più avanti nel tempo. Nell’ arte equestre ho fuso tutti gli elementi che amavo: il fuoco, la falconeria, i cavalli, la danza e persino la musica, che è parte integrante della mia vita anche se non suono nessuno strumento. L’unica cosa di cui mi rammarico è la difficoltà di trovare i canali giusti, perché le mie performance, come quelle di molti altri artisti (danzatori, acrobati, musicisti…), potrebbero valorizzare tanti luoghi e tanti eventi. L’arte equestre, ad esempio, potrebbe essere introdotta nei musei piuttosto che nei borghi; anche gli eventi live, anziché rientrare solamente nell’ ambito, che so, della rievocazione storica piuttosto che della discoteca, del gala o del meeting aziendale, sarebbero ancor più sorprendenti in tutte quelle situazioni in cui non ti aspetteresti mai di vedere un cavallo, come appunto un museo o altre location particolari.

Qual è stato il momento in cui hai deciso che il tuo amore per il mondo dei cavalli sarebbe diventato un lavoro?

E’ stata una cosa quasi fisiologica, naturale…A conti fatti, l’ho deciso da bambina. C’è stato anche un periodo in cui avrei voluto fare la regista, perché amo molto il cinema. Però in quell’ ambito avevo pochi agganci, non c’era qualcuno che mi potesse direzionare, perciò sono rimasta con i miei cavalli. Poco a poco ho pensato di donare un aspetto artistico alle mie performance, e gli spettacoli sono diventati una parte sostanziale del mio lavoro; ma non ho mai trascurato le attività inerenti all’ addestramento dei cavalli e all’ insegnamento dell’equitazione, che per me continuano ad essere delle grandi passioni. L’esperienza artistica rappresenta, anzi, un valore aggiunto e mi dà la possibilità di affrontare temi tipo le difficoltà che un cavallo può riscontrare nei confronti di elementi inusuali come il fuoco, la musica ecc…L’ aspetto diciamo così, “teatrale”, inoltre, può essere applicabile anche all’ insegnamento equestre perché ha dei valori simili, interessanti per chi impara ad andare a cavallo e a rapportarsi con i cavalli. La decisione vera e propria di lavorare nell’ ambiente equestre, forse, l’ho presa la stessa sera in cui ho assistito allo spettacolo di Mario Luraschi. E’ stata una scelta che è andata maturando piano piano, ma quando l’ho abbracciata sapevo che non l’avrei abbandonata mai più. E’ stato difficile, in certi momenti. Mi dicevo “Basta, tutto questo non succederebbe se facessi un lavoro “normale”!”…A volte ero totalmente sconfortata. Ma quando la gente ti chiama, sollecita uno spettacolo, l’arte poi ti trascina. Nella mia vita l’arte equestre è stato un amore corrisposto, che mi ha restituito parecchio in termini di emozioni, di conoscenze e di soddisfazioni.

 

Silvia, Zar e Elisa (foto di Manuel Zarrelli)

Cosa rappresenta, per te, esibirti in sella ad un cavallo?

La sella è un po’ il prolungamento del tuo corpo, ti tramuti in un tutt’uno con qualcuno con cui devi capirti molto bene e collaborare. E’ come ballare in coppia, e sono io a condurre. Sin dall’ inizio hai la sensazione di essere trasportata altrove, le zampe del cavallo diventano un po’ le tue gambe e tu diventi qualcos’altro: c’è dell’elettricità. Malgrado sia impegnativo, perché allenarsi tutti i giorni è una fatica, quando arriva il giorno dello spettacolo è sempre un’emozione. Soprattutto perché l’emozione, poi, la leggi negli occhi degli spettatori e capisci che funziona!

 

Silvia e il suo adorato Fidalgo

Nella vostra compagnia, Le Zebre, figurano acrobati, trampolieri, giocolieri con il fuoco, amazzoni, falconieri…Puoi raccontarci come le magiche arti che padroneggiano interagiscono tra loro?

Sempre nei termini di inscenare una danza insieme. Possono esserci i giocolieri con il fuoco tutt’intorno piuttosto che una danzatrice che si relaziona con me e con il cavallo, piuttosto che l’acrobatica aerea…E’ ogni volta un interagire, un creare vari quadri collettivamente. Poi, ad esempio, c’è uno spettacolo intero sul Barocco, il mio sulla Madama Butterfly – tutto incentrato sul kabuki e sulle arti orientali – ed altri, ancora, in cui le musiche e i costumi contribuiscono a interpretare uno stile o magari un’epoca. Uno show molto bello è dedicato al Minotauro ed alla sua leggenda: un acrobata sui trampoli è vestito da Minotauro e tra di noi c’è un inseguimento che ricorda un po’ il Rejoneo, la corrida a cavallo, ma con un trampoliere invece del toro. E’ importante che ci sia feeling, che tutti gli artisti che lavorano allo spettacolo amino gli animali, i cavalli, questo ambiente…Normalmente, però, tutti collaborano molto volentieri.

 

Silvia durante una performance di giocoleria con il fuoco (foto di Claudio Silighini)

La falconeria è entrata a far parte delle tue performance equestri. Come nasce, e perché, il tuo interesse per il falco?

Fin da ragazza ero affascinata dai falchi, poi ebbi l’occasione di conoscere un falconiere che aveva anche un cavallo e ho fatto un po’ di gavetta da lui. Aiutandolo nel suo lavoro, poco a poco ho imparato la pratica della falconeria. Quello che mi intrigava di più era il fatto che un animale così, completamente libero, tornasse da me e volevo iniziare a capirne le dinamiche. Oggi, per esempio, con il cavallo si fa molto lavoro di Horsemanship, una tecnica che consiste nel tenerlo in libertà per poi farlo riavvicinare, nel fargli fare degli esercizi senza toccarlo. Queste nuove tecniche hanno a che fare con aspetti squisitamente etologici, bisogna conoscere bene le caratteristiche della specie; sono tutte metodologie applicabili anche alle relazioni umane, tant’è che io ho fatto diversi team building su questi temi. Osservare chi hai davanti ti aiuta a capire come ti stai comportando tu, perché le persone pensano di fare certe cose ma fisicamente si contraddicono: comunicare senza parlare è un metodo utile per comprendere gli altri e di conseguenza se stessi. Anche il rapporto con gli animali dipende da come ti poni, fondamentalmente devi essere capace di controllarti. E’ una condizione non solo fisica, bensì psicologica. Le tecniche addestrative più moderne, quelle che hanno una base etologica e scientifica, sono molto interessanti sia per quanto riguarda i cavalli che i rapaci. Io in casa ho un falchetto, si chiama Cid (come El Cid Campeador, il celebre condottiero spagnolo) ed è uno di famiglia. Fa gli spettacoli con me, è bravissimo, però al di là del fatto che lavoriamo insieme mi piace averlo vicino.

Puoi raccontarci un aneddoto indimenticabile associato ad una tua esibizione?

Te ne posso raccontare due. Uno riguarda l’evento della Cavalchina (con la direzione artistica di Antonio Giarola e la collaborazione di Bruno Baudino e Freddy Bazzocchi): entrai a cavallo al Teatro La Fenice di Venezia e, per l’occasione, facemmo volare al suo interno una miriade di falchi. E’ stato qualcosa di spettacolare! Tutto ciò dimostra che i cavalli possono essere portati in luoghi non comuni, dove non si penserebbe mai che possano entrare e invece possono farlo, creando peraltro un effetto mozzafiato. In quell’ occasione ho avuto il piacere di conoscere Maurice Agosti, a riprova del fatto che queste situazioni sono magiche anche perché si incontrano persone magiche, con le quali si intrecciano rapporti che durano una vita. Un altro aneddoto molto bello l’ho vissuto al Mazda Palace di Milano, dove mi esibivo con Fidalgo: il mio cavallo preferito, un cavallo albino con cui ho fatto i miei spettacoli più importanti. Purtroppo, è morto tre anni fa. Eravamo a Milano per “Appassionata”, la tournée di una compagnia tedesca di alto livello che era approdata nel Bel Paese per la prima volta e mi aveva voluto come guest italiana. La mia performance aveva il sottofondo della “Lucia di Lammermoor” cantata dal vivo da una bravissima cantante lirica islandese, c’era il pienone, la location era meravigliosa. Io e il mio cavallo eravamo al top, tra noi c’era il feeling di due anime gemelle. Fidalgo imparava a memoria tutte le coreografie e quando si apriva il sipario, nel silenzio che precedeva l’inizio del brano musicale, lui cacciava un gran nitrito per salutare il pubblico: era impressionante! Poi, partiva con gran baldanza. In quel momento vivevo sensazioni da brividi! Fidalgo è persino apparso in uno spot con Valentino Rossi. Rimane il mio cavallo del cuore, aveva un modo di calcare la scena da vero artista! Adesso, invece, con me c’è Zar.

 

Il backstage dello spot Fastweb. Da sinistra a destra: Valentino Rossi, Silvia, Fidalgo, Claudia e Giulia

Se Silvia Elena Resta non fosse un’artista equestre, cosa farebbe nella vita?

L’astronauta! O magari la regista, come ti dicevo, data la mia passione per il mondo cinematografico.  Non sarebbe così semplice, però ho notato che tante cose che non mi sembravano semplici poi sono riuscita a farle…quindi! Diciamo che in questo momento, più a livello pratico, sono molto impegnata nel far funzionare la struttura – con sede fisica vicino a Cesenatico – che ho destinato a location stabile per le nostre esibizioni. Se ho mai pensato di fare la stuntman? Sarei dovuta andare negli Stati Uniti, credo: qui le stuntman femminili non sono ricercatissime. Bisognerebbe trasferirsi a Hollywood, dove di film ne producono a bizzeffe!

 

Silvia, Fidalgo e il falchetto Cid (foto di Paola Paris)

Quali sono i tuoi progetti a breve termine? Ce n’è qualcuno di cui ci vorresti parlare?

C’è un progetto ancora top secret, posso soltanto dirti che avrà a che fare con lo sport…Ma non è a breve termine. Invece in questo periodo, soprattutto in Emilia Romagna, stiamo facendo una miriade di spettacoli con il fuoco oltre che con i cavalli. Ne avremo uno molto carino in stile western – e sarebbe la prima volta, per noi –  qui a Cesena: ho ritrovato un po’ le mie radici. Avendo la possibilità di fare dei sopralluoghi prima, intuisco molto bene quali sono gli spazi che possono accogliere i cavalli. Pensa che Mario Luraschi ne ha portato uno persino nel ristorante della Torre Eiffel! I cavalli possono andare in tanti posti. Per esempio, in Francia, Manolo e i ragazzi del Teatro del Centauro hanno fatto delle performance equestri in cui passeggiavano in centro, nei treni, in stazione…Sono cose assolutamente fattibili. Per questo ti dico che sarebbe molto bello trovare qualcuno, uno sponsor, non solo per uno spettacolo, ma magari per delle performance artistiche continuative che condurrebbero i cavalli nei luoghi più inaspettati. Tornando ai miei progetti, c’è quello della nostra location fissa: non sarà finalizzata solamente alle esibizioni, ma anche alla formazione di altri artisti e di tutti coloro che vogliono avvicinarsi al mondo equestre.

 

Photo courtesy of Silvia Elena Resta

 

 

L’ accessorio che ci piace

 

Nasce all’ insegna di un mood quasi “mistico”, dove la sacralità barocca di Dolce & Gabbana viene meravigliosamente tradotta in stile. La Devotion Bag venne lanciata, infatti, durante la sfilata della collezione Autunno Inverno 2018/19: “Santa Moda”, “Fashion Devotion” e “Fashion Sinner” erano solo alcuni degli slogan che campeggiavano sugli oufit. I codici del brand si aggiornavano alla contemporaneità avvalendosi della consueta ironia e sottolineando una squisità sartorialità. Volando sulle ali di un drone, la Devotion fece la sua prima comparsa in passerella lasciando stupefatto il pubblico, che da allora non ha mai smesso – tanto per usare un verbo pertinente – di adorarla. Oggi, la celebre borsa di Dolce & Gabbana si declina in una miriade di materiali, stili e dimensioni; non c’è bisogno di dire che il suo fascino, se mai ve ne fosse stato bisogno, sia aumentato in modo esponenziale. A VALIUM piace particolarmente in versione mini (misura 19 x 13 cm) e tinta di una splendente nuance di fucsia.

 

 

Questa top handle è stata appositamente pensata per le occasioni speciali: creata in nappa mordoré, è un piccolo gioiello di preziosità. Dotata di manico e di tracolla removibile, colpisce soprattutto per la sofisticata chiusura gioiello che, ispirandosi ad una delle iconiche rivisitazioni di Dolce & Gabbana del Sacro Cuore di Gesù, riproduce un cuore dorato intarsiato di perle. Persino la tracolla rimanda al savoir faire dell’ Alta Gioielleria. L’ interno della borsa, dunque, non poteva che essere pregiatissimo, completamente realizzato in vitello ed arricchito da una tasca piatta. La Devotion Bag ci piace perchè è un perfetto connubio di “cool” e “chic”, è un cult senza tempo e la gradazione di fucsia sfoggiata da questo modello è una delle nostre preferite (ma la palette include anche l’oro, l’argento e il rosa cipria). Possiamo star certi, in sintesi e rifacendoci un po’ alla giocosità tipica di Dolce & Gabbana, che è una borsa a cui…saremo sempre devoti!

 

 

 

 

Il fascino intrigante del verde menta

FENDI

E’ una gradazione di verde delicata, raffinatissima e intrigante, perchè vira impercettibilmente all’ azzurro: non a caso, di solito, il color menta raccoglie consensi unanimi. L’ Autunno Inverno 2019/20 lo vede tornare alla ribalta, più incantevole che mai. Lo ritroviamo soprattutto in total look, esaltato da abiti dai tessuti sinuosi od impalpabili, ma anche l’ outerwear e lo stile sporty si avvalgono del suo fascino tenue.  Inoltre, secondo l’agenzia di trend forecasting WGSN, il menta è uno dei candidati papabili al ruolo di Colore Pantone del 2020: Neo-Mint sarebbe la nuance in questione, una tonalità fresca, rigenerante e senza confini di genere che coniuga i rimandi alla natura con la contemporaneità più tecnologica. In questo post, cinque proposte cool che la decretano protagonista assoluta.

 

ELISABETTA FRANCHI

PRADA

MARC JACOBS

SALLY LAPOINTE